[RPF Calcio] Sei colpa mia, la gelosia infrange tutto e resta niente. (S2)

Mar 08, 2011 13:42

Titolo: Sei colpa mia, la gelosia infrange tutto e resta niente.
Autrice: innocence8
Beta/Prelettrice: lisachanoando
Fandom: RPF FC Inter (Primavera ♥)
Personaggi/Pairing: Samuele Longo/Simone Benedetti. (S2!) ♥♥♥
Wordcount: 1270 (FDP)
Rating: PG.
Warnings: Slash, angst a vagonate.
Disclaimers: No miei ci sto lavorando no soldi no verità.
Intro: Di un orgoglio straripante, di non detti e non fatti, di gelosia e di perdite.
Note: Okay, da dove posso iniziare? XD La partita c'è stata davvero e DAVVERODAVVERO Simo s'è passato il suo tempo a schienare Samu senza motivo. Voglio dire, se non ha la palla e non è nemmeno in area lascialo stare. Marca qualcun altro, tesoro mio, eh? No, okay. Saltagli addosso. Poi te la vedi tu con Simo D. Poi? La mamma di Simo c'era davvero ** L'ho vista mentre inquadravano gli spalti #stalker #signoraleièbellissima E davvero Samu ha fatto un bellerrimo gol col Genoa. Se inoltre Simo B ha la fantastica idea di postare questa foto sul suo profilo FB è logico che voglia dirmi qualcosa.

Titolo rubato a Per Tutta La Vita di Noemi. :)

# In più, aiuta i compagni del #TeamMaghi del COW-T @ maridichallenge per la missione n. 1 di questa settimana.



Sei colpa mia, la gelosia infrange tutto
e resta niente.

Per tutta la vita
Andare avanti
Cercare i tuoi occhi
Negli occhi degl'altri
Far finta di niente
Far finta che oggi
Sia un giorno normale
Un anno che passa
Un anno in salita
Che senso di vuoto
Che brutta ferita
Delusa da te, da me,
Da quello che non ti ho dato
(...)
Esplode
Il cuore
Distante
Anni luce fuori da me
Sei colpa mia
La gelosia
Infrange tutto e resta niente...

Simone ti passa davanti nel tunnel, senza degnarti di uno sguardo. Tutti i tuoi ex compagni sono corsi a salutarti, a stringerti, a chiederti come va e a complimentarsi per il gol fatto subito con il Genoa.

I quarti di finale del Torneo di Viareggio vi vedono avversari, ma non credevi che sarebbe stato così difficile per lui accettare una cosa del genere. Insomma, vi siete sempre detti che il calcio non doveva minare la vostra sfera più privata - anche se, in effetti, quando ti ha lasciato perché partivi per Genova quella promessa dovrebbe essersi infranta. Almeno per lui, perché per te è sempre lo stesso.

Non hai provato a cercarlo, ci mancherebbe. Avrebbe dovuto farlo lui per primo, chiederti scusa per il casino che aveva fatto, per la valigia che ti aveva messo a soqquadro (comportarsi da bambino dell’asilo è una cosa che ama fare, lo farà sempre), per le urla che avevano svegliato tutto il complesso di Interello, per le cose cattive che ti aveva vomitato addosso come se fosse posseduto da uno strano spirito - lui sempre così buono e dolce con tutti quanti. Ti ha sbattuto fuori dalla sua vita, solo perché cambiavi squadra e città per un prestito, e tu non hai nemmeno provato a fermarlo. L’hai lasciato fare, convinto che fosse soltanto un momento di pazzia e che gli sarebbe passata, che poi ti avrebbe cercato e le scuse si sarebbero sprecate.

Ma non è arrivato niente. Simone ti ha cancellato dalla sua vita, lasciandoti praticamente solo a fare i conti con la tua - e non puoi dire che stia andando esattamente male, insomma, sei salito in prima squadra, hai fatto un bel gol, ora con la Primavera ti ritrovi ai quarti di finale del Torneo più importante della categoria. Però avresti bisogno di lui - di un amico che ti conosce da tanto, di quello che era diventato. Mentre lui cammina davanti a te, ti passano per la testa tutti questi pensieri e molti altri, e non sai trovare un filo conduttore. Non sai fare niente, resti immobile attaccato al muro, sperando quasi che t’inghiotta per non dover continuare a pensare. Perché i pensieri che hai, i ricordi che stanno saltando da una parte all’altra della tua mente, ti stanno ferendo in maniere che non credevi possibili. Quando sei partito da Milano per raggiungere Genova, con le urla di Simone ancora in testa, eri fermamente convinto che avresti dimenticato tutto, che non ti avrebbe fatto male. Ora capisci che se la situazione non ti ha fatto male è solo perché ti sei impegnato così tanto con gli allenamenti e le partite e le uscite con i nuovi compagni, solo perché la fatica è stata così tanta che non avresti nemmeno trovato il tempo per sentire il tuo cuore scricchiolare.

Ora puoi ammettere che hai perso la testa ogni volta in cui ti è arrivato un messaggio o una mail da un compagno dell’Inter e non si trattava di lui. Ora puoi abbassare gli occhi e fartene una colpa: avresti dovuto dirglielo che ti avevano inserito nella trattativa, che probabilmente saresti andato a Genova - ma per un prestito, eh piccolo?, poi torno e comunque le cose tra noi due continuano, ché non ho intenzione di perderti; avresti dovuto chiamarlo, appena arrivato, e dirgli che erano tutti carini con te ma che ti mancava già casa (che ti mancava la sensazione che ti dava lui di essere sempre a casa), che ti saresti abituato ma che sarebbe stato strano avere un nuovo compagno di stanza, che avresti odiato uscire per bere qualcosa ma tornare presto.

Invece hai preferito tenerti stretto il tuo orgoglio anziché la persona più importante per te - la persona che avevi visto piangere e urlarti dietro cose per la tua partenza, la stessa persona con cui avevi fatto l’amore per la prima volta e non sapevate nemmeno come fare e siete andati a tentoni per un quarto d’ora buono - e i risultati sono quelli che hai davanti: fa finta di non vederti, così come ha fatto finta di non averti mai conosciuto, e raggiunge Felice dicendogli qualcosa a testa bassa.

Entrate in campo, lo vedi voltarsi verso la tribuna e salutare qualcuno con un sorriso appena accennato e ti giri anche tu (l’abitudine di seguire tutto quello che fa non ti è mai passata ed è dura rendersene conto adesso) e vedi la sua mamma. Vorresti salutarla anche tu, abbracciarla e dirle che hai sbagliato tutto con suo figlio, ma il buonsenso per una volta tanto decide di essere con te e desisti.

Quando scorri davanti alla tua vecchia squadra per dare la mano, senti il cuore battere talmente forte che avresti solo voglia di strappartelo dal petto e posarglielo in mano per poi dirgli di farne quello che vuole; ti passano davanti tutti come una macchia indistinta, finché non c’è lui che quasi esita a porgerti la mano, ma è solo una frazione di secondo e ti ha sfiorato ed è già passato avanti.

Passato avanti. Ecco cos’ha fatto. Quello che ti eri illuso di aver fatto tu.

Poi c’è il fischio iniziale, comincia la partita e non puoi più permetterti di pensare, non puoi deconcentrarti. Devi aiutare la tua nuova squadra a passare alla semifinale e devi dare tutto te stesso, non puoi far sì che i sentimenti abbiano la meglio: c’è bisogno di freddezza e razionalità, adesso. Magari dopo potrai raggiungerlo e (farti picchiare) chiedergli scusa, ma non ora.

Solo che Simone non la pensa esattamente come te. Non hai nemmeno la palla, stai solo correndo insieme ad altri due compagni verso la porta e lui si butta su di te e ti fa male. Ti rialzi subito dopo, facendo finta di niente e aspettando che il pallone ti arrivi tra i piedi. Torni a correre verso la loro area, nessuno ti sta marcando e ci provi, ma ti va male.

Non succede solo una volta ma diverse: ti dà fastidio anche quando non c’entri niente, ti tira la maglia, prova a fermarti quando hai la palla e ci riesce - perché ti sciogli come burro appena avverti la sua presenza accanto a te, questa sì che è una bella prova di maturità e razionalità.

Quando la partita finisce, e sono loro che hanno raggiunto la semifinale, entri subito nel tunnel senza guardarti intorno. Il tempo per salutare gli altri verrà dopo, ora hai solo voglia di stare sotto la doccia per i prossimi due secoli.

Solo che anche stavolta i tuoi progetti vengono mandati in fumo, perché appena fai un passo ti senti spinto contro il muro e c’è Simone lì di fronte a te, che ha un po’ di fiatone e cerca di guardarti con gli occhi cattivi ma in fondo vedi altro - forse un barlume di quello che c’è stato.

Non dice niente, ti guarda e ti tiene fermo senza aggiungere una sola parola, e tu fai lo stesso. Non cerchi di divincolarti ma non cerchi nemmeno di parlare come avresti voluto fare nemmeno un’ora e mezza prima. Non sai cosa fare - forse dovresti solo scappare o più semplicemente dovresti chiedere scusa col capo chino e magari anche cosparso di cenere - ma ti limiti a fissarlo negli occhi.

Il respiro di Simone si placa, poco a poco, diventando più regolare però non accenna a lasciarti andare. Vorrebbe darti uno schiaffo, morderti, renderti tutto il male che gli hai fatto poco tempo fa.

“Non c’è più niente da fare”, ti sibila così vicino che potresti sporgerti di un altro millimetro e baciarlo. Ma quelle parole sono un po’ come una lama e resti fermo in quell’angolo anche dopo che se n’è andato.

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