Una cena per farli conoscere
Capitolo 2
Titolo: Ti presento i miei
Personaggi: Sherlock Holmes, John Watson, Harry Watson, Watson family
Rating: Verde
Prompt: "Holmes family, Watson family, pranzo di Natale."
Note: Note generali per la fic.
Ok, mi sono accorta ora che invece di pranzo in entrambi i capitoli sono cene, spero di non incappare nell'ira di nessuno, sono stupida io, non c'è da meravigliarsi ._.
Numero 1: E' una fic divisa in due capitoli su un unico prompt, cosa che spero non incasinerà nessuno soprattutto per il mio essere totalmente capra nell'usare lj e quindi verranno a crearsi graaaandi enormi casini quasi sicuramente.
Numero 2: ... L'ho perso. Giuro che l'avevo. No, ok, andato, spero non fosse nulla di importante, quantomeno. E' arrivato, è arrivato. Il titolo pensavo fosse preso da un film bello che ricordavo, ma che ho scoperto non esistere, in quanto tutto ciò di simile che esiste è un film italiano (io odio i film italiani) che non ho mai visto e che si chiamerebbe 'LA cena per farli conoscere'.
Ma il titolo mi piace, amen, quello rimane, e che nessuno lo colleghi al film è____é
Note specifiche per il capitolo.
1. Le informazioni che ho su John e famiglia (tranne Harriet, ovviamente) sono prese dalla Wikipedia in spagnolo, l'unica che parli di suo padre e sua madre (anche se penso siano tutti dati di fantasia, ma amen, avevo i nomi già serviti su un piatto d'argento).
2. Anche questo titolo è preso dall'omonimo film, che precede l'altro di un anno (Ti presento i miei, 2003, sempre con Ben Stiller e Robert De Niro).
Ho terminato definitivamente, vi lascio alla seconda parte.
E ricordate, lo
sherlockfest_it aspetta \o/
“John.”
Se non fosse stato che ormai lo conosceva bene come le sue tasche, avrebbe detto che appariva leggermente nervoso. Leggermente. E per Sherlock Holmes quella era una cosa assolutamente ed assurdamente inaudita. Lo osservò fissare insistentemente la porta, l’indice sinistro fermo immobile ad un centimetro dal campanello, prima di accorgersi che l’aveva interpellato.
“Sherlock.”
Voltò il viso velocemente, contrariato.
“Smettila con questi giochetti da bambini.”
“E tu smettila di offrirmeli su un piatto d’argento. Cosa vuoi?”
“Ripetimi il nome di tua madre.”
John sbarrò gli occhi, stringendogli un polso tra le dita - era sottile, dannazione, così sottile che aveva paura di romperlo se non fosse stato per il carattere che gli assicurava che le ossa così come l’animo erano senza dubbio di ferro - e costringendolo ad abbassarsi di qualche centimetro. Giusto giusto per arrivare a posargli una mano sulla fronte.
Sherlock sbuffò.
“Non sono malato, John.”
“Sei sicuro?” non si mosse dalla posizione in cui si trovava, fissandolo direttamente negli occhi, terrorizzato. “Me l’hai chiesto questa mattina, ed è assolutamente impossibile che non lo ricordi, con una memoria come la tua.”
“Immagino sia perché è una cosa inutile.” Si liberò dalla stretta e da quello che sembrava il nervosismo di poco prima, ritornando diritto e sistemandosi i guanti. “Sai che tendo a dimenticare immediatamente le cose non necessarie.”
John si finse offeso. Si finse, esatto, perché ormai con una persona del genere accanto ventiquattro ore su ventiquattro e sette giorni a settimana, aveva imparato che offendersi o arrabbiarsi era solamente una cosa inutile. E gli procurava uno sbalzo di pressione odioso, senza parlare dei livelli di stress che era riuscito a raggiungere.
“Speravo che, dovendo essere suo ospite a cena, avresti come minimo provato a ricordare.”
“Come solito sbagliavi.”
Certo, arrabbiarsi era inutile, ma Dio che voglia di prenderlo a schiaffi.
John soffiò tra i denti. “Come solito.”
“Allora? Sai che le due cose che odio di più sono perdere tempo ed essere in ritardo; mi stai costringendo ad entrambi.”
John sospirò profondamente, pizzicandosi la base del naso.
“Ella. Vedi di non dimenticarlo almeno fino alla fine della cena, o ti dovrai trarre d’impaccio da solo.”
Il detective agitò una mano, sbuffando una nuvoletta argentea dal naso. “Saprei cavarmela da solo in ogni caso.”
Un bel pugno sulla mascella. Avrebbe detto a sua madre che era sorto un contrattempo, un gruppo di Babbo Natale assassini avevano invaso Londra e c’era bisogno del loro aiuto in città. Nah, purtroppo non era l’unico fan di Doctor Who, Harry l’avrebbe scoperto subito.
“Bene, grande uomo, cosa aspetti a suonare il campanello?”
In effetti l’altro aveva ripreso la posizione iniziale, col dito alzato ad un soffio dal pulsante che avrebbe dato inizio alla serata.
“Appena tu smetterai di essere così nervoso, mi arrivano i tuoi pensieri negativi.”
John trattenne un verso disperato, aggirò Sherlock, e finalmente suonò alla porta.
“John!” la luce si riverse sulle scale, seguita a breve dal calore dell’interno della casa e dal profumo di biscotti allo zenzero. Due secondi. Avrebbe giurato che fosse appostata dietro la porta, a quanto pareva non aveva sbagliato.
“E lei deve essere Sherlock!” Ella sorrise apertamente ad entrambi, scostandosi dalla soglia. “Entrate, entrate, si gela qua fuori.”
Li condusse in salotto, prima di sbilanciarsi in smancerie varie. Il primo a capitare nel suo mirino fu ovviamente il figlio, che venne stritolato a puntino in un abbraccio che sapeva di lontananza. “Tesoro, come sei cresciuto!”
John arrossì fino alla punta delle orecchie, sperando che Sherlock fosse troppo impegnato a studiare la casa - troppo modesta -, l’arredamento - spaiato, non c’erano due cose abbinate -, o i rumori che provenivano dalla cucina - altra gente in casa, banalmente ovvio.
Quando però finalmente passò in secondo piano e sua madre mosse un passo verso l’altro, John sperò quasi che lo avesse tenuto più tempo; lo sguardo di Sherlock non prometteva nulla di buono.
“Così lei è il famoso detective! La sentiamo sempre nominare, è un piacere conoscerla.”
La mascella di John quasi raggiunse il pavimento, quando l’altro sostituì il solito sguardo glaciale ed il comportamento distaccato con un’occhiata quasi cordiale ed un accenno di sorriso. Oddio, erano tutti in pericolo. Era malato, lo sapeva, di un qualcosa di indefinibile che non riusciva a diagnosticargli.
“Signora Watson, il piacere è tutto mio. Mi dia pure del tu, qui è lei l’unica a cui dover presentare rispetto.”
Certo, John era il figlio del vicino, cosa gli importava di non avere rispetto nemmeno in casa sua.
Elle arrossì visibilmente, deliziata dalle maniere eleganti di quel bel giovanotto.
“Oh, che maleducata, non vi ho nemmeno detto di togliervi i cappotti.” John aveva già fatto, abbandonando il giaccone da qualche parte come aveva sempre fatto, e sua madre parlava solamente rivolta a Sherlock. Non gli staccava gli occhi di dosso, sembrava volesse mangiarselo.
John sospirò, sentendosi di nuovo il figlio del vicino. Invisibile e per nulla degno di attenzione. Si diresse in cucina: sempre meglio affrontare Harriet piuttosto che rimanere là a guardare i sorrisi zuccherosi di sua madre.
Quando tornò in soggiorno, dopo aver salutato il resto della famiglia e litigato per bene con la sorella come suo solito, trovò i due ancora là, seduti fianco a fianco sul divano che parlavano e ridevano come due vecchi amici, ignorando la televisione che parlava instancabile sullo sfondo. Si appoggiò a braccia conserte allo stipite della porta, sperando inutilmente che qualcuno lo notasse.
Doveva ammettere che Sherlock si stava comportando in maniera impeccabile nonostante i suoi pronostici.
Per una volta in vita sua, fu contento quando apparve Harry, calamitando tutte le attenzione su di sé come sempre.
Si avvicinò a Sherlock, presentandosi. Se non fosse stato certo che fosse lesbica, avrebbe giurato di vederla flirtare spudoratamente. Anzi, ne era certo. Era Harriet, cercava di calamitare attorno a lei più gente possibile, uomini o donne indifferentemente.
Vide Sherlock studiarla attentamente, probabilmente maledicendola per il soprannome che durante il loro primo caso l’aveva portato ad una deduzione sbagliata su di lui. L’unica deduzione sbagliata e che ancora gli bruciava terribilmente nonostante non l’avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura. Piuttosto la morte.
“Ella, qui brucia tutto!” l’appello di suo padre distolse la madre dall’incredibile carisma del detective, riportandola con i piedi per terra e la testa in cucina.
Qualche minuto dopo la sua scomparsa, un grido annunciò la cena.
Lasciò che Harriet li precedesse, ancheggiando come se non avesse un domani ed agitando il calice di vino che aveva tra le mani, poi si avvicinò a Sherlock e prese il cappotto e la sciarpa che lui gli porgeva, gettandoli sopra la poltrona nell’angolo.
“Sai quanto costa quel cappotto?”
“Decisamente più di quello che riuscirei mai a racimolare in una vita intera a lavorare in miniera, si, si.” Gli portò le mani sulle spalle, rassegnato, indirizzandolo verso la cucina.
Sherlock puntò i piedi a qualche metro dalla porta, voltando appena il viso sopra la spalla. “Ah, tanto per la cronaca: odio tua sorella.”
“Immaginavo. Non sei l’unico. Però sei stato incredibile con mia madre, te lo concedo.”
***
La serata trascorse magnificamente nonostante l’improvvisa comparsa a fine cena di nonna Watson e nonna Mackenzie che si odiavano da tempo immemore e che si erano ritrovate per pura e semplice sfortuna di John a passare da casa Watson nello stesso dannatissimo istante. Inutile dire che dal loro arrivo era stato tutto un susseguirsi di insulti e tentati lanci di dentiere.
Ma tralasciando quel piccolo dettaglio, era andato tutto benissimo, Sherlock compreso. Neanche John avrebbe sperato tanto. L’appello ad ogni santo che conosceva doveva averlo aiutato, per una volta. E dire che aveva sempre pensato che persino Dio in persona si sarebbe lavato le mani del detective, etichettandolo come essere umano non creato da lui e quindi di cui non doveva rispondere.
Quando misero piede a Baker Street, si sentì come se si fosse appena chiuso nel suo unico porto sicuro. Fuori da lì c’erano la famiglia Holmes e la famiglia Watson ansiose di passare il Natale con i loro pargoli. Un incubo. Soprattutto visto e considerato che nessuna delle due aveva organizzato la suddetta cena il giorno stesso di Natale e che quindi non c’era nemmeno la scusa ‘invitiamo solo i parenti più stretti’ - valido per casa Holmes, a casa Watson esistevano praticamente solo i parenti stretti, da quando Harry e Clara avevano rotto.
Quando John si ritrovò in soggiorno, si sentiva così felice della serata, euforico, quasi, che tutto fosse andato bene, che Sherlock fosse stato così deliziosamente damerino per tutta la serata. Perciò decise di fare quello che fece, quantomeno per fargli vedere che aveva apprezzato.
Si era allungato al massimo per lasciargli un castissimo bacio appena accennato sulle labbra, peccato che i troppi bicchieri di vino gli avessero fatto dimenticare quanto poco Sherlock ci mettesse ad accendersi come un fiammiferino.
Un secondo dopo si ritrovava già chiuso in una camera non sua e purtroppo non per dormire. Una nottata insonne. Di nuovo.
Ma non risentiva del sonno mancato se ad accompagnarlo tutta notte c’erano quei baci così rari.