Fandom: Originale
Titolo: Come terra che scorre
Rating: G
Personaggi/Pairing: Grion
Riassunto: Attriti silenziosi. Le parole passano di bocca in bocca e quando le prende in prestito le trova logore e smorte.
Conto Parole: 490
Avvertimenti: manco uno
Prompt: taedium vitae, squadra 5
Note dell'Autore: Shu, io c'ho provato XD Vedi ben tu com'è andata a finire. Nata anche per "Lingua" alla Notte Bianca di maridichallenge e imbucata a un pratico concorso di EFP sui propri OC in poche parole.
Come terra che scorre
Tre anni in città e Grion è ancora uno straniero. Lo straniero, per quelli cui non si è curato di confidare il suo nome, e nessuno si cura di correggerli. La definizione calza.
Verso il tramonto, nella pausa fra le incombenze della giornata e i parchi doveri di una cena per uno, i piedi si attardano all'attracco commerciale di Catris, l'unico sbocco che la Città Chiusa concede al resto della civiltà. È un mare di sabbia quello che si scorge dall'unico valico delle sue mura imponenti, vecchie come la memoria, e coppie di cavi sospesi si stendono dal porto fino all'orizzonte, guidando vascelli senza equipaggio salpati da paesi che i nativi conoscono solo nelle fiabe. Chi pone piede entro le mura vi è intrappolato: gli unici clandestini che giungono dal deserto sono condannati in fuga da prigioni più strette o esuli stanchi di una vita in viaggio. Non che Grion si aspettasse di cominciare un'esistenza diversa: fa quello che ha sempre fatto. Tira avanti.
La luce bronzea della sera si adagia sulla pietra intagliata e Grion si sente un sonnambulo in un mondo che dorme. La vita accade e lui le scorre a fianco.
I moli sono coperti di rumore; c'è uno sfregare di denti e lingue che attutisce i suoi suoni più profondi della città. La gente si perde nel brusio e gira in circolo, in una coltre ovattata da muro a muro, con i bastioni come unici punti fermi in quelle esistenze fluttuanti e sempre uguali. Grion osserva gli altri e sa di osservare se stesso, non pretende di dare un senso ai suoi giorni e alle sue brevi peregrinazioni serali, ma si consola nella consapevolezza di non cozzare, non grattare, non riempire l'aria fuorché con la sua sagoma allampanata.
Accade a volte che osservare non basti e ci siano delle idee piccole, lineari, di cui vorrebbe mettere a parte il suo prossimo. Sente le parole agitarsi in gola. Non sono sue: non ricorda le parole d'infanzia che rispettava nella loro forza semplice. Ora è pieno di parole altrui che ha accettato, sopportato, preso in prestito. Lotta per fermarle e comporle in forme che abbiano un senso, ma sono consunte: parole usate, che scivolano l'una sull'altra senza una forma definita e tornano a rimestarsi sul fondo. Allora le prende una ad una e le scava, gettando il superfluo, cerca di intagliarle secondo l'eleganza e l'acume originari, lontano dall'usura del quotidiano per dare forma a un pensiero, ma quando sente che il lavoro di lima è adeguato si trova a prendere fiato e finire in niente.
C'è una bambina che gioca spesso sui moli a quell'ora, prima che la madre chiuda l'officina e la porti a casa in spalla, ridente. Quando un giorno prende coraggio e gli chiede tutta rossa, con un inchino, perché stia sempre zitto e solo, Grion la guarda serio e ci riflette e si allontana con una scrollata di spalle che vuol essere una risposta.
Forse non ha niente da dire.