TITOLO: I know you want, so tell me.
FANDOM: Inception
COPPIA: Arthur\Eames
RATING: PG 13
BETA:
sacchan90 PROMPT: confessione a
bingo_italia DISCLAIMER: Arthur e Eames non mi appartengono, così come tutto il mondo di Inception. Ogni cosa proviene dalla mente geniale di Nolan e niente di tutto ciò è scritto a scopo di lucro.
NOTE: questa fic è stato un parto perchè per trovarle un finale mi ha fatto sudare sette camicie (infatti, il finale fa abbastanza schifo) e alla fine non mi è venuto in mente niente di che-.- Ma, comunque, in questi ultimi giorni sto avendo un ritorno acutissimo di shipaggio di questi due e per questo, anche se non mi convince al 100%, l'ho tenuta così com'è venuta XD
Arthur fissa la schiena dell’uomo seduto a pochi metri da lui, la cartellina con i documenti sui quali dovrebbe lavorare dimenticata in un angolo, e pensa che probabilmente si tratta di uno scherzo affatto divertente del suo cervello. Forse a forza di stare legato ad una macchina che crea sogni e a passeggiare nelle menti degli altri, la sua ha finito con l’andare in tilt.
A lui piacciono le cose e le persone di classe, gli piace ciò che è di gusto e poco vistoso, gli piace l’ordine e il controllo (gli piace sapere esattamente come andrà a finire una situazione prima ancora che ci si trovi dentro, avere schemi mentali con i quali gestire tutto quello che lo circonda e odia chi manda all’aria questi suoi schemi), gli piacciono la sobrietà e l’eleganza.
Arthur dubita persino che Eames conosca il significato di parole come discrezione e sobrietà; è la persona più confusionaria e disordinata che conosca e sembra essere dotato del dono innato di portare il caos nell’ordine (cosa che potrebbe tranquillamente essere tradotta come l’avere il dono innato di far irritare Arthur fino all’impossibile).
Conseguentemente, non può piacergli Eames.
Deve solo riuscire a far tornare a lavorare i suoi neuroni nella maniera corretta e tutta quella cosa finirà tanto velocemente quanto è iniziata.
Il problema è che, al momento, non riesce a staccare gli occhi dalla schiena di Eames e dalla sua orrida camicia del giorno. Ci sta provando veramente da una decina di minuti, ma proprio non riesce a tornare a concentrarsi su quello che dovrebbe fare. Il fatto che oramai questa sia una cosa che si ripete da circa un paio di mesi di fila è un dettaglio del tutto irrilevante.
“Per quanto non possa che sentirmi lusingato, se continui a fissarmi in quel modo finirai col consumarmi, tesoro. O col rovinarti quei bellissimi occhi.”
La voce di Eames che risuona nel magazzino vuoto, fatta eccezione per la loro presenza, rischia di far letteralmente saltare Arthur sul posto. Sposta velocemente lo sguardo, cercando di mostrarsi totalmente assorto nei suoi appunti sul loro nuovo lavoro, ma Eames si è già girato e ha spinto indietro la sedia su cui è seduto fino a stargli perfettamente di fianco. Si sporge verso di lui e gli fa l’occhiolino, mentre si gode il rossore che ha colorato le guance dell’altro e il modo in cui cerca di far finta di niente.
“Lo sai, dovresti semplicemente dirlo.” riprende Eames, con un piccolo ghigno “Sarebbe molto meglio per entrambi.”
“Eames.” dice Arthur ed è come se con quella parola cercasse di riprendere in mano la situazione. Alza la testa dalla marea di fogli che ingombrano la sua scrivania e torna a fissare Eames, questa volta negli occhi. “Non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando.”
Eames non smetterà mai di ammirare il modo in cui Arthur riesca sempre a dare l’impressione di avere ogni situazione nelle sue mani, anche quando decisamente non è così, e di essere pienamente padrone delle proprie reazioni. Probabilmente, è per questo che è così bravo nel suo lavoro e, d’altra parte, non sarebbe Arthur se non fosse così. Né per Eames sarebbe tanto divertente stuzzicarlo.
“Confessa.”
“Confessare cosa?” chiede Arthur e si pente di quella domanda nell’istante stesso in cui le parole finiscono di uscirgli di bocca.
“Che io ti piaccio.” dichiara Eames tranquillo, senza riuscire a nascondere nemmeno un po’ quell’espressione da gatto soddisfatto che ha mangiato il topo che gli campeggia sulla faccia.
Se questo fosse un sogno sarebbe un buon momento per svegliarsi (o, in alternativa, per piantare una pallottola in fronte ad Eames senza stare a farsi troppi problemi), ma questo non è un sogno e Arthur rischia quasi di strozzarsi con la sua stessa saliva.
“Se questi sono gli effetti che comincia ad avere su di te, dovresti mettere fine alle tue serate a base d’alcol perché, decisamente, il tuo fisico non è più in grado di reggerlo.”
Il sarcasmo è sempre un buon tipo di autodifesa pensa Arthur, mentre sente la cravatta stringerli intorno al collo più di quanto dovrebbe normalmente fare.
“Non sono io quello che stava per scavarmi un tunnel nella schiena a forza di fissarmela.” ribatte Eames, avvicinandosi ancora un po’ di più e appoggiando un gomito sul bracciolo della sedia di Arthur. “Non che la cosa mi dispiaccia, sia chiaro. Puoi sentirti libero di fare tutto quello che vuoi con la mia schiena. Sarebbe solo carino saperle prima certe cose.”
“Eames.” scandisce Arthur alzandosi in piedi di botto, Eames non scoppia ridere in quel preciso istante solo perché l’espressione dell’uomo davanti a lui non è chiaramente decifrabile ed Arthur può essere parecchio intimidatorio quando vuole, “C’è del lavoro da fare prima che tornino gli altri che merita molta più attenzione di qualsiasi strana idea quel mistero che è il tuo cervello abbia deciso di tirare fuori sta volta. Se vuoi scusarmi.” conclude, dandogli le spalle e avviandosi a passo spedito verso il retro dell’edificio.
“Davvero, caro, dovresti solo ammetterlo. Sai cosa dicono delle confessioni, no? Che dopo ci si senta più liberi e leggeri. E così potresti dedicarti ad altre attività, molto più interessanti e divertenti.”
La voce di Eames lo raggiunge mentre è a metà corridoio e, per quando dovrebbe, non riesce proprio a trattenersi.
“Sì, nei tuoi sogni.” ribatte, senza fermarsi.
“Molto più probabilmente nei tuoi.” sente ancora dire alla voce di Eames, con una nota divertita e maliziosa al tempo stesso che è difficilmente ignorabile.
Arthur continua a camminare fino a che non raggiunge la porta di una stanza laterale, all’interno della quale sparisce.
Eames si lascia andare contro la sedia e porta le mani dietro la testa, proprio mentre nota il piccolo taccuino degli appunti di Arthur a terra, probabilmente caduto nella specie di vortice creato dal suo proprietario quando si è alzato per andarsene.
Scuote la testa divertito e si lecca le labbra contento.
*********
“Tu non dovresti essere qui.” sibila Arthur tra i denti, nel momento in cui vede Eames sederglisi di fianco e gli lancia un’occhiata che potrebbe incenerirlo sul posto.
”Ho finito quello che avevo da fare di sopra: ho magnificamente, oserei dire, impersonato il braccio destro del Colonnello Carson, introdotto Cobb come un imperdibile potenziale socio in affari e lui è riuscito a farsi dire quasi tutto quello che ci serve. Procede tutto alla perfezione.”
“Tu non dovresti essere qui, Eames. Quindi no, non procede tutto alla perfezione.”
Il locale è uno di quei club privati che sono privati per il semplice fatto di vantare al loro interno una serie di attività abbastanza particolari più che un servizio realmente esclusivo e a cui il loro bersaglio deve essere piuttosto abituato se ha deciso di sognare proprio un posto del genere. Arthur osserva le proiezioni sedute ai vari tavoli sparsi nella stanza e le altre, ai lati delle porte, che tengono d’occhio la situazione come gangster di un vecchio film in bianco e nero.
“Lo sai, Eames? Io starei cercando di tenere la situazione sotto controllo e di portaci tutti vivi fuori da qui. Potresti tornare dove dovresti essere ed evitare di mandare tutto all’aria?” domanda Arthur nervosamente.
“Non c’è nessun problema, Arthur. Sembri agitato.” lo stuzzica Eames ordinando un drink.
Ovviamente, Arthur è agitato. E’ agitato perché Eames lo agita, lo innervosisce, lo deconcentra. E Arthur odia tutto questo, esattamente come odia il modo in cui Eames gli sta sempre addosso, lo tampina continuamente e non lo lascia mai in pace. Lo odia perché gli piace, gli piace infinitamente, e non c’è possibilità che possa focalizzarsi su quello che deve fare se sta pensando alla schiena di Eames, ai suoi occhi, al suo sorriso che lo ossessiona e… si è già distratto abbastanza.
“Eames, te lo giuro, se anche sta volta va a finire che qualcuno mi spara giuro che, poi, sarò io a sparare a te. Da svegli.” lo minaccia Arthur riservandogli un’occhiataccia torva.
“Ehi, non è colpa mia se ti sparano sempre.” si lamenta Eames prima di fermarsi un attimo a riflettere “Beh, non tutte le volte, per lo meno.”
“Potresti almeno evitare di attirare l’attenzione? Mi rendo conto che, con quei vestiti addosso, la cosa è piuttosto difficile, comunque sarebbe molto utile.”
“Non sto facendo niente!”
“Potresti smetterla di filtrare con la cameriera, per esempio. Si nota, sai?”
“Ti dà fastidio?”
“O per piacere, ti sembra il momento adatto?” sbuffa Arthur esasperato.
“Per cosa?” domanda Eames come fosse la quinta essenza dell’innocenza.
“Per questo. Per questa tua stupida convinzione che ci sia qualcosa che io ti debba dire. E non c’è niente che io ti debba dire.” mente spudoratamente Arthur, così come ha mentito nelle ultime settimane, perché non c’è niente da fare: non lo ammetterà mai. Nella sua testa non riesce quasi nemmeno ad ammettere che ci sia qualcosa da ammettere. E comunque non né il momento né il luogo.
“Ovviamente no.” dice semplicemente Eames, ma lo fa in un modo che mostra talmente chiaramente quello che sta pensando, ovvero l’esatto contrario delle parole che sono appena uscite dalla bocca dell’altro, e con un sorriso talmente grande e splendente che Arthur si sente quasi sollevato quando sente la voce di Cobb che urla i loro nomi. Arthur volta la testa di scatto e lo vede scendere le scale che dal piano superiore portano alla sala dove si trovano e tutte le proiezioni si girano all’unisono verso di loro.
“Che succede?” urla Eames nella sua direzione.
“Carson ha cominciato a sospettare qualcosa e quando ha visto che non riusciva a contattare il suo braccio destro deve aver capito. Per fortuna ho quello che ci serve. Andiamo!”
Arthur si riserva giusto un istante per rivolgere ad Eames il suo peggiore sguardo alla “te lo avevo detto", prima di premere il pulsante sul piccolo telecomando che stringe tra le mani e vedere le mura intorno a loro cominciare a tremare.
Appena riapre gli occhi, nella stanza d’hotel dove si sono sistemati con tutta l’attrezzatura, Arthur vorrebbe prendere Eames e cantargliene quattro in un modo che ricorderà per un bel pezzo, ma sente il fantasma del sorriso di Eames ancora addosso e non può far altro che concentrarsi sul battito accelerato del proprio cuore.
***************
Quando Cobb e Eames entrano nel magazzino, Arthur sta armeggiando con la valigetta del PASIV mentre Ariadne sta ricontrollando i progetti su cui ha lavorato il giorno precedente. Ed è proprio la ragazza che li nota per primi, che nota che Cobb sta sostenendo il corpo dell’altro e che si accorge della macchia di sangue che spicca sulla manica della camicia di Eames.
“Che cosa è successo?” domanda preoccupata, abbandonando immediatamente le carte sul tavolo e avvicinandosi ai due.
Arthur, invece, non appena si volta verso di loro non riesce a muovere neanche un muscolo. E’ come se si fosse gelato sul posto, come se semplicemente fosse troppo assurdo per lui non vedere Eames entrare in una qualsiasi stanza ridendo, scherzando od esordendo con una delle sue solite battute e quindi, di conseguenza, il suo corpo non avesse idea di come reagire.
Si riscuote solo nel momento in cui sente le voci degli altri che lo riportano alla realtà.
“Ce li siamo ritrovati addosso non appena siamo usciti dal palazzo in cui avevamo appuntamento col nostro cliente.” inizia a spiegare Cobb, aiutando Eames a sedersi “Stavamo tornando qui, quando sono comparsi e hanno cominciato a sparare ovunque.”
“Chi?” indaga ancora Ariadne, andando a tirare su la manica della camicia di Eames e mostrando una ferita non veramente grave, ma abbastanza lunga e profonda da sanguinare parecchio, poco sotto la spalla dell’uomo.
“Qualcuno che, decisamente, doveva avercela con noi. Qualcuno con cui dobbiamo avuto a che fare in passato e a cui dobbiamo aver pestato i piedi.”
“D’altronde, presumo che mettersi a lavorare per il Governo non faccia sparire tutta la gente che hai fatto incavolare in anni e anni di onorata carriera.” tenta di scherzare Eames, ma il dolore alla spalla lo fa trasalire e viene fuori solo una specie di lamento.
Arthur gli si avvicina lentamente, e scruta la ferita come se ne volesse esaminarne ogni centimetro con lo sguardo.
“Siete sicuri che non vi abbiano seguiti?” chiede a Cobb, ma continua a tenere gli occhi piantati sulla figura di Eames.
Cobb annuisce brevemente prima di parlare.
“Controllo il perimetro intorno al magazzino per essere sicuro. Potete occuparvi di lui qui?”
Ariadne gli fa cenno di sì e l’uomo si allontana in direzione dell’uscita , mentre già sta pensando che domani dovranno lasciare quel posto e trovarsi una base nuova per essere certi al cento per cento di aver eliminato ogni probabilità di essere rintracciati.
“Vado a prendere la cassetta del pronto soccorso. Quella ferita ha bisogno di essere medicata.” dice la ragazza, strofinandosi le mani sui jeans. “Vedrai che ti faremo tornare come nuovo.” aggiunge per alleggerire un po’ l’atmosfera, prima di allontanarsi anche lei.
Certo, la cassetta del pronto soccorso, riflette Arthur dandosi mentalmente dell’idiota. E’ stato proprio lui ad insistere su quel particolare e a volerne una sempre a portata di mano; decisamente avrebbe dovuto pensaci subito.
Si avvicina ulteriormente ad Eames fino, praticamente, a sfiorare la sua gamba con il proprio ginocchio, e gli si china accanto, sfilandosi il fazzoletto dal taschino e utilizzandolo per iniziare a tamponargli momentaneamente la ferita.
“Ah… fa male!”
“Lo so, ma sto cercando di fermare il sangue.”
Eames cerca di accomodarsi meglio sulla sedia, mentre il silenzio si spande tra loro per qualche minuto.
“Dillo, forza.”
“Dire cosa?”
Il sopracciglio di Arthur si inarca donandogli un’espressione adorabilmente confusa che Eames apprezzerebbe di più in un altro momento.
“Che sapevi sarebbe successo? Che dovevamo stare più attenti? Che…”
“Avete corso un grosso rischio. Potevi farti male sul serio, potevi farti uccidere. E’ il mondo reale.” replica invece Arthur con una sfumatura nella voce che non è esattamente né rimprovero né biasimo. E Eames non può impedirsi di ghignare, nonostante il dolore e la situazione, perché forse persino da un proiettile che ti trapassa un braccio può venire fuori qualcosa di positivo.
“Sembri preoccupato.”
“Come ho detto, potevi farti male sul serio.”
“E ti stanno tremando le mani.” insiste il Falsario, notando che veramente le mani di Arthur stanno tremando e che il fazzoletto che stringono si sta muovendo incerto sulla ferita. E forse è arrivato il momento in cui si sentirà dire una cosa che aspetta da molto. “Più che preoccupato, a dire il vero, sembri quasi…”
“E va bene!” lo interrompe Arthur, rimettendosi in piedi e portandosi le mani, fregandosene persino delle provabilissime macchie di sangue, sui fianchi. “Sì, sono preoccupato. Perché dovevate stare più attenti, perché non sei capace di non attirare disastri, perché potevi farti uccidere e perché…”
“…perché io ti piaccio.” conclude Eames al suo posto, scoppiando in una risata che non può proprio evitare, anche se deve tenersi la spalla e stringere forte per contrastare il dolore che gli si irradia per tutto il braccio.
“…perché tu mi piaci.” ripete Arthur. Se ne rimane impassibile nella sua posizione a prendere atto della cosa, come se si fosse lasciato sfuggire qualcosa che non voleva dire. E nello stesso tempo non può che sentirsi come liberato per averlo detto perché è vero, Eames gli piace fin troppo,e magari adesso potranno smetterla con quel continuo stuzzicarsi e punzecchiarsi costantemente e lui potrà dire addio ad almeno un po’ di stress.
“Wow.” considera Eames alzandosi in piedi così che si ritrovano faccia a faccia, separati sì e no da pochi centimetri “C’era bisogno che mi sparassero perché l’ammettessi e ti decidessi a confessare che ti piaccio. Che ti piaccio e che ti piace avermi intorno.”
“Smettila.” sillaba Arthur, scandendo le lettere una ad una, e Eames può sentire il suo fiato caldo su una guancia mentre lo fa.
“Mi sto solo godendo il momento, tesoro. Ammetterai che me lo sono meritato. Hai idea di quanto sia faticoso starti dietro?”
“Magari tanto quanto è irritante avere intorno te?”
Beh, probabilmente tutta la parte sul punzecchiarsi e lasciarsi andare a quel continuo botta e risposta non cambierà proprio mai. Arthur sta per intimargli di togliersi quel sorrisetto che lo manda fuori di testa dalla faccia, quando le labbra di Eames toccano le sue e, non può esserci alcun dubbio, l’uomo lo sta baciando. All’inizio Arthur non se l’aspetta e si tira indietro, ma poi si lascia andare senza quasi accorgersene. Risponde al bacio incollando le sue labbra a quelle di Eames, facendo scivolare la lingua nella bocca dell’altro e facendosi trasportare dal suo sapore, un misto di alcol e tabacco, fino a che la mano di Eames che cerca di farsi spazio sotto la stoffa del suo gilet gli ricorda qualcosa e si stacca, ansimante.
“Il tuo braccio.”
“Può aspettare.” taglia corto Eames, cercando di riprendere esattamente da dove è stato interrotto.
“No, non può. Forza, siediti. Vado a vedere che fine hanno fatto Ariadne e la cassetta del Pronto Soccorso.” intima il Point Man.
Eames torna a sedersi di malavoglia, con l’incoraggiamento di un’occhiata particolarmente truce di Arthur.
“Non è che per avere un altro bacio dovrò farmi sparare nell’altro braccio,vero?”
A quelle parole Arthur alza gli occhi al cielo e scuote la testa.
“Sta buono qui. Torno subito.” si raccomanda con un tono più dolce, allontanandosi.
Ed Eames non ci pensa minimamente a muoversi, in fondo. Reclina la testa, chiude gli occhi e cerca di concentrasi su qualcosa che non sia il suo braccio o la ferita. La bocca di Arthur e le sue labbra gli sembrano un’ottima alternativa nell’attesa di tornare a poter sostituire il ricordo con qualcosa di più concreto.