[Takaru] So long to happy every after

Jan 02, 2014 16:02

Titolo: So long to happy every after [Goodbye Girl - The Civil War-]
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Takaki Yuya, Yaotome Hikaru
Pairing: Takaru
Rating/Genere: PG/ malinconico
Warning: slash
Wordcount 1.077 fiumidiparole
Note: la storia è scritta per la Maritombola #5 indetta da maridichallenge con il prompt 33 ispirata a Goodbye Girl - The Civil Wars e per la 500themes_ita con il prompt ‘la verità sul per sempre’.
E la storia è uno spin off di questa storia
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella: 500themes_ita
Tabella: Maritombola #5

Yuya sedeva sulla panchina del parco, poco lontano dall’edificio ospedaliero dove lavorava il suo fidanzato e nel mentre che aspettava il suo arrivo, stringeva tra le mani un bicchiere di caffè caldo, cercando di scaldarsi e trovare la forza e il coraggio per dire quello che aveva in testa; sperava che Hikaru capisse e che potesse in qualche modo perdonarlo, un giorno, per quello che gli stava facendo.
Il cellulare vibrò nella tasca del cappotto e Yuya lo prese, togliendosi i guanti per riuscire a impostare la visualizzazione: per un attimo temette di vederne il mittente, ma sorrise dolcemente quando lesse il numero dal quale la mail era giunta, sentendosi in qualche modo più rassicurato. Rispose brevemente, preferendo lasciare al suo rientro a casa ogni spiegazione e quando stava per riporre il telefono questo suonò di nuovo e stavolta il messaggio era di Hikaru.
‘Arrivo’ diceva soltanto e Yuya tornò a sentirsi inquieto, cercando però di calmarsi, non aveva senso farsi prendere dal panico o, si conosceva, non sarebbe riuscito a parlare con chiarezza e a spiegare nel migliore dei modi quello che doveva.
Si alzò dalla panchina, improvvisamente bisognoso di sgranchirsi e gambe e percorse appena qualche metro sul sentiero di ciottoli, prima di vedere Hikaru correre verso di lui e tagliare per il prato per raggiungerlo più in fretta.
Il più grande prese un profondo respiro, tornando sui propri passi andandogli incontro, sforzandosi di sorridere, ma l’espressione che intravide sul volto del più piccolo glielo fece immediatamente smorzare.
“Hikka, non c’era bisogno di correre” gli disse, salutandolo e tendendogli la tazza di cartone. “Ho preso un caffè, pensavo che…” non concluse di parlare, stringendosi nelle spalle come se quello che aveva da dire non fosse importante. “Ci sediamo?” propose, indicando la panchina dove era stato fermo ad aspettare, ma Hikaru scosse il capo.
“Ti dispiace se camminiamo? Preferisco” gli chiese l’altro e Yuya annuì, riprendendo a camminare, senza avere una meta precisa e in silenzio, cercando le parole adatte per cominciare.
“Hikaru…” esordì trovando il coraggio, ma l’altro lo fermò con una semplice affermazione.
“Mi ha chiamato Ryosuke, poco fa. Stava piangendo e non sono riuscito a calmarlo” gli disse, fermandosi e guardandolo, restando di fronte a lui, leggendo sorpresa e colpa in quegli occhi nei quali tante volte si era specchiato.
Yuya scosse il capo e mormorò: “Non avrebbe dovuto farlo.”
“Lo so… ma è Ryosuke” lo giustificò semplicemente Yaotome.
“Hikaru, mi dispiace!” si scusò Takaki, inchinandosi in avanti, stringendo tra le mani la propria tazza, rialzandosi poi dopo diversi secondi, osservando il volto del fidanzato nel quale non riusciva a leggere nulla. E questo lo spaventò non poco.
“Hikaru, credimi che io non lo so come sia successo, però è successo. Io ti amavo e…”
“Mi avessi amato non ti saresti innamorato di lui” lo fermò Yaotome con una pacata calma nella voce e nell’espressione del viso che scontravano con il tumulto di sensazioni che aveva nel cuore. Perché quando Ryosuke l’aveva chiamato, piangendo, raccontandogli di come Yuri l’avesse appena lasciato affermando di essersi innamorato di un’altra persona, aveva capito anche il motivo nell’urgenza che il suo ragazzo aveva avuto nel chiedergli di potergli parlare subito dopo il lavoro.
“Non ho alcuna giustificazione da presentarti, Hikka, non voglio cercare scuse con te, ma voglio dirti che non ti ho ingannato, non avrei voluto farti del male e che io e Yuri non avremmo mai voluto fare questo né a te né a Ryosuke” spiegò, parlando velocemente, senza riuscire a mascherare il nervosismo e l’urgenza che aveva di esprimergli quei suoi pensieri, che a conti fatti, erano sì delle scuse per giustificare il proprio tradimento.
“Non importa quanto siamo stati bene, Yuuyan, vero?” Hikaru lo chiamò ancora una volta in quel modo intimo e familiare che tante volte aveva usato, in differenti contesti. “Non importa l’amore che puoi aver provato per me, perché Yuri è diventato più importante di tutto” gli disse, spostandosi sulla strada e sedendosi sul bordo dell’aiuola, sul prato, sospirando.
“In fondo non ho mai creduto nelle favole, ho sempre pensato che la verità sul per sempre è che nulla duri per sempre. Ci illudiamo, quando siamo felici, che tutto possa andare bene, ma non è così” affermò, arreso, credendo davvero a quelle sue tristi parole.
“Mi dispiace, Hikaru…” gli disse di nuovo Yuya, inginocchiandosi davanti a lui, posandogli le mani sulle ginocchia e Hikaru le osservò, quelle dita che tanto a lungo aveva stretto e baciato e accarezzato, ma che non gli appartenevano più, dita che erano diventate ormai fredde su di lui. E da diverso tempo già, ma aveva cercato di negare, di non vedere, eppure tutto il tempo passato insieme non era servito a salvare il loro rapporto e il loro amore non era stato abbastanza.
“Finiamola qui, Yuya” decise Hikaru, guardandolo. “Non avrebbe senso continuare ancora a parlarne, perché sarebbe continuare a fare del male a entrambi, inutilmente” affermò, alzandosi, vedendo Yuya imitarlo, ma restare fermo davanti a lui, guardandolo in volto. Inutile anche rincorrersi quando ormai le loro strade si erano divise per non incontrarsi più, probabilmente.
“Mi dispiace” gli disse Yuya, un’ultima volta, inchinandosi di nuovo, stringendo forte gli occhi, sentendosi in quel momento incredibilmente vuoto; avrebbe voluto che le cose si risolvessero in un altro modo, ma lui non poteva controllare le proprie emozioni e i propri sentimenti, non quando erano così forti e incontrollabili.
“Anche a me…” mormorò Hikaru, infilandosi una mano nel giubbotto e salutandolo con un cenno del capo. “Ci vediamo” gli disse, ma sapevano entrambi che era anche quella una bugia.
Yuya lo osservò dargli le spalle e allontanarsi, restò a guardarlo fino a che non lo vide uscire dal parco e sparire alla sua vista: quello era il suo addio.
Quando si volse, si accostò al cestino, gettando i resti ormai vuoti del suo caffè e si strinse meglio nel giubbotto, cercando riparo nella sciarpa, camminando a testa bassa, osservando alcune foglie cadute sul marciapiede che volavano sollevate dal vento invernale, sovrapponendo poi la sua ombra a un’altra. Alzò il capo e davanti a sé vide Yuri, anche lui imbacuccato per proteggersi dal freddo e si ritrovò a sorridere, con il cuore appena più leggero adesso che aveva lui al suo fianco, un po’ meno triste di come si sentiva.
Senza dire una parola, il più piccolo gli si avvicinò e gli tese una mano che Yuya prese nella sua, intrecciando le loro dita, pronti a tornare a casa, insieme.

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