Titolo: Soffierà nel vento una lacrima che tornerà da te.
Fandom: RPF - Hey!Say! JUMP
Personaggi: Yamada Ryosuke
Pairing: Ariyama
Rating: G
Genere: malinconico, triste
Wordcount: 1.078
fiumidiparoleWarning: slash, !deathfic
Note: la storia è scritta per la community
500themes_itacon il prompt “guardare il cielo con occhi umidi”.
Il titolo della canzone è tratto a un verso di “Per dirti ciao” T.Ferro.
Disclaimer: I personaggi non sono miei, non li conosco personalmente e quanto di seguito accaduto non vuole avere fondamento di verità. La storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.
Tabella:
500themes Ryosuke osservava fuori dal finestrino lasciando vagare lo sguardo sui contorni della stazione dall’aspetto malinconico dovuto alla serata uggiosa e umida. Una volta sceso dal treno aveva trovato subito la coincidenza, prendendo posto sul mezzo pubblico, sistemandosi la scatola di cartone sulle gambe, facendo attenzione che non cadesse, una volta che l’autobus aveva iniziato il proprio giro. Sempre uguale, come lo ricordava. Identico ad anni prima.
Lasciò vagare lo sguardo fuori dal finestrino, sui contorni delle case, le insegne dei negozi dalle scritte opache e sbiadite ai suoi occhi, sorvolandole con lo sguardo, la mente svuotata da ogni pensiero; era come ipnotizzato, nella sua testa non c’era niente, la musica che l’i-pod gli faceva risuonare nelle orecchie non aveva alcun significato, non portava pace alcuna al suo animo tormentato, un eco che si perdeva nel suo cuore vuoto.
Una frenata un po’ brusca lo fece sbilanciare in avanti e Ryosuke portò una mano in avanti, come a proteggere quella scatola, impedendo che si rovesciasse, risistemando il coperchio scivolato in avanti.
Quando riconobbe il viale alberato, si alzò cedendo il posto a una vecchina salita pochi secondi prima e premette il pulsante per prenotare la chiamata. Scese alla sua fermata e una folata di vento proveniente dal mare lo investì, scompigliandogli i capelli, ma Ryosuke non se ne curò, si tirò sulla testa il cappuccio della felpa e si sistemò meglio gli occhiali da vista sul naso, attraversando un breve sentiero, sedendosi poi su un muretto basso: non c’era nessuno quella sera, non c’era mai nessuno al mare d’inverno e poté così restare da solo, in tutta tranquillità, a osservare la città da quella prospettiva.
Quello era uno dei suoi luoghi preferiti, custode di ricordi belli, frammenti di vita che l’avevano fatto sentire vivo e che adesso, invece, di quella stessa vita lo stavano privando.
Guardò la scatola che aveva sistemato accanto a sé, sollevando una mano, scoprendola con mani tremanti, levandone il coperchio e, dopo qualche secondo di indecisione, vi infilò la mano, estraendo una sciarpa morbida, stringendola tra le dita, osservandola per qualche istante, prima di portarsela al viso e, chiudendo gli occhi, inspirare a fondo, rivivendo in un istante infinite scene, ripercorrendo in un attimo gli ultimi due anni, anni in cui era stato felice.
“Ha ancora il tuo odore, Daiki” mormorò a se stesso, parlando piano, avvolgendosi la sciarpa intorno al collo, controllando ancora quei pochi oggetti rimasti e che gli erano stati consegnati qualche ora prima dalla signora Arioka.
Era la prima volta che la vedeva dopo la sua morte e dal sorriso che gli aveva rivolto vedendolo, sapeva che la donna non doveva sapere, se così fosse stato, non sarebbero di certo state così dolci le sue parole e i suoi modi per lui. Non si era presentato al funerale o, meglio, era rimasto in lontananza a guardare, ad ascoltare l’eco delle parole che i pochi presenti, amici intimi e familiari, pronunciavano in memoria di Daiki, ma non era stato in grado di restare fino alla fine, si sentiva indegno di stare lì a condividere con loro quel dolore, lui che l’aveva allontanato, lui che aveva dubitato del suo amore, lui che non gli aveva neanche detto addio.
Lui che l’ultima volta che l’aveva visto gli aveva rivolto parole dure.
Lui che non gli aveva detto per l’ultima volta di amarlo e Daiki se n’era andato con la convinzione che lo odiasse.
“È meglio che li tenga tu. Credo che anche lui l’avrebbe voluto” gli aveva detto la donna con le lacrime agli occhi: e per lei, per quella madre distrutta dal dolore e adesso completamente sola, non aveva saputo dire niente, Ryosuke, non aveva avuto per lei parole di conforto, non aveva avuto la forza di abbracciarla, di stringerla, cosa di cui sapeva invece la donna avesse bisogno.
Aveva annuito semplicemente e se n’era andato, portando con sé gli ultimi ricordi della persona che entrambi avevano amato tanto.
Cercò ancora dentro la scatola, trovando una piccola confezione dall’aspetto elegante e che sembrava contenere qualcosa di importante e, nel momento stesso in cui la prese in mano, sentì il proprio cuore mancare un battito, il fiato mozzarsi e un brivido, non dovuto al freddo, attraversargli il corpo.
Come se sapesse.
Come se avesse capito e realizzato un istante tutti i propri errori.
Con mani tremanti l’aprì, scoprendo al suo interno due piccoli cerchietti d’argento e sulla parte alta della fedina due lettere: una D e una R, decorate a mano, di modo che quell’incontro di linee simboleggiasse un unione.
Le prese entrambe, notando come fossero di misura leggermente differente, e provò prima quella più larga, infilandola al proprio anulare sinistro, fermandola poi con la seconda, della sua misura. Osservò quel piccolo prezioso trovandolo semplicemente stupendo: la mano sinistra, avvolta nella destra, stretta al proprio cuore.
Sollevò il volto verso l’altro, guardando il cielo con occhi umidi, le lacrime premevano per uscire, ma Ryosuke le controllò, non era tempo quello per lasciarsi andare allo sconforto.
Scese dal muretto basso e si levò le scarpe e le calze, sistemandole nella scatola, richiudendola con il coperchio, poggiando il cappotto, ripiegandolo accanto al contenitore scuro e si incamminò così, a piedi nudi, verso il mare, i granelli sottili gli facevano il solletico ai piedi, ma neanche di quello si preoccupò.
Si fermò, solo quando l’acqua gli sfiorò le dita e rabbrividì, intensamente, osservando il mare scuro, mentre tanti altri brividi gli serpeggiavano per tutto il corpo.
“Mi dispiace, Daiki…” mormorò con voce roca e colpevole. “Io non avevo capito niente” ammise.
Gettò il capo all’indietro, chiudendo gli occhi, lasciando che l’aria fredda gli sferzasse il volto, sentendo un’unica lacrima scivolare lungo la guancia, tornando poi a fissare l’orizzonte, sedendosi sul bagnasciuga.
“Ho freddo, Daiki.” sussurrò, mentre si stendeva sulla sabbia gelida e umida, stringendosi tra le proprie braccia, tirando le gambe al petto e posando il mento sulle ginocchia.
Strinse i pugni, iniziando a battere i denti dal freddo e posando le labbra sulle proprie dita, su quei due anelli, chiudendo gli occhi, raggomitolandosi su se stesso, stendendosi sulla sabbia, iniziando a perdere coscienza dello spazio attorno a sé, gli occhi che pian piano si riempivano di lacrime, lasciando andare finalmente liberi quei sentimenti ed emozioni a lungo tenuti dentro di sé, sorridendo lievemente, mentre il proprio corpo iniziava a perdere sensibilità e una strana sensazione di calore interiore lo accoglieva.
“Mi sei mancato, Dai-chan” bisbigliò, accentuando quel sorriso e facendo un profondo respiro. “Ti amo” confessò e, senza smettere di sorridere, chiuse gli occhi.