Fandom: Harry Potter/Sherlock BBC;
Pairing: John/Sherlock;
Rating: NC17;
Beta:
koorime_yu (ancora lei, povera martire XD)
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: AU!Hogwarts, Crossover, Sesso descrittivo, Slash;
Words: 3902 (
fiumidiparole ).
Summary: Sherlock deve cogliere una pianta nella Foresta Proibita e decide di fare una passeggiata notturna. In qualità di Prefetto, John non può lasciarlo andare da solo.
Note: scritta sul prompt “Sherlock BBC, John/Sherlock, AU!Hogwarts” per il
P0rn Fest #4 di
fanfic_italia e sul prompt “Beneath the noise/below the din/I hear a voice/it’s whispering/in science and in medicine/‘I was a stranger/you took me in’.” (U2 - Miracle Drug) ¹ di
Acchiappa la Citazione! di
holmes_ita , che tradotto fa da introduzione alla fic.
Note (più o meno) importanti: Teoricamente la fic dovrebbe essere ambientata nel 1998, stesso anno della Battaglia Finale della Saga di Harry Potter, ma - seriamente - vi immaginate i personaggi di Doyle nel mondo della Rowling? Moriarty avrebbe fatto saltare in aria Voldemort, diventando il nuovo Signore Oscuro, quindi Harry sarebbe risultato inutile, e Holmes e Watson avrebbero dovuto smazzarsi la grana. Troppo complicato, ragion per cui ho deciso di ambientarlo ai giorni nostri, così come lo è Sherlock BBC, anche se i ragazzi sono tutti adolescenti.
Inoltre, non sono sicura di come sia la situazione nel telefilm, ma qui Sherlock - come da canon libri - è un anno più giovane di John.
DISCLAIMER: Tutti i personaggi delle saga di Sherlock Holmes non sono opera mia, bensì della mirabile penna di Sir Arthur Conan Doyle, nessuno mi paga, e i diritti vanno a Mark Gatiss, Steven Moffat e la BBC. Per quanto riguarda l’ambientazione, tutti sanno che è di mamma Rowling, no?
A Study in Green
Sotto il rumore e il fracasso
sento una voce che sta sussurrando
nella scienza e nella medicina
‘ero uno straniero che tu hai fatto entrare’. ¹
Il castello di Hogwarts sorgeva nel suo parco innevato come un antico relitto marittimo, ululante e pieno di spifferi. In quella notte gelida, John Watson avrebbe dato la propria bacchetta per trovarsi già nel suo comodo letto a baldacchino, alla calda Torre di Grifondoro. Avrebbe perfino preferito essere in Sala Comune, chino su quel tema di Trasfigurazione terribilmente complicato, ma essenziale per conseguire il M.A.G.O. che gli avrebbe garantito l’ingresso all’Accademia di Medimagia. Invece si trovava proprio lì, nel gelido atrio della scuola, a fare l’ultimo turno di ronda.
Stava quasi considerando il fatto che rientrare dieci minuti prima non avrebbe ucciso nessuno, quando con la coda dell’occhio scorse un’ombra risalire dai sotterranei. Un viso pallido ed affilato emerse dal buio e lui seppe che Sherlock Holmes sarebbe stata la rovina della sua esistenza.
«Buonasera, John» lo salutò il ragazzo, con l’aria sbrigativa di chi aveva un impegno urgente, dirigendosi verso il portone del castello.
«Sherlock, sei fuori orario per una passeggiata notturna, per di più in mezzo alla neve. E, cielo, sono un Prefetto, potresti evitare di passarmi davanti come se nulla fosse?» gli fece presente seccato.
«Devo cogliere una pianta che fiorisce solo con la luna nuova. Hai due scelte, John: lasciarmi andare per la mia strada o denunciarmi ed intralciare un’indagine della Squadra Speciale Auror. Per me non fa alcuna differenza, il Signor Potter contatterebbe la Preside domani stesso per evitarmi la punizione» gli spiegò l’interpellato con un mezzo sorriso e quella supponenza tutta Serpeverde che faceva uscire di testa tre quarti buoni della scuola.
«Squadra Speciale Auror? Signor Potter… Harry Potter?» replicò John frastornato.
«Conosci altri Potter adulti vivi?» ribatté Sherlock, inarcando un sopracciglio.
In quel momento, John Watson maledì la propria lingua lunga e le geniali idee del Caposcuola Lestrade, suo compagno di classe e Capitano della loro squadra di Quidditch.
In realtà, lui e Sherlock Holmes non erano affatto in confidenza, si erano parlati per la prima volta qualche giorno prima, quando agli allenamenti si era lasciato sfuggire che cercava una casa a buon prezzo dove andare a vivere dopo il diploma e un coinquilino con cui dividerla.
«Sai, sei la seconda persona che mi confida di essere alla ricerca di un coinquilino» gli aveva rivelato Lestrade e lui - John si maledì ulteriormente - aveva avuto l’inaudita furbizia di chiedergli chi fosse l’altro.
Poco dopo il compagno lo aveva guidato verso i Sotterranei di Pozioni, dove il potenziale candidato stava conducendo un esperimento. Lo studente che si era trovato davanti era chino s’un grosso calderone, così concentrato da non rivolgergli lo sguardo nemmeno una volta, mentre il loro amico comune li presentava. Le sue mani erano pallide e affusolate come quelle di una ragazza e, quando infine aveva alzato il capo, l’aveva studiato con due occhi chiarissimi e pungenti
Ovviamente, Watson aveva già sentito parlare di lui: Sherlock era lo studente più brillante della scuola, un ragazzo prodigio al pari del fratello maggiore Mycroft, diplomatosi sei anni prima. E, se non fosse bastata la fama delle sue doti straordinarie, sarebbe stato sufficiente assistere ad una delle sue bische con Jim Moriarty.
Giusto il giorno prima, quest’ultimo - un pazzo di tutto rispetto - aveva fatto saltare con un Reducto metà aula di Aritmanzia solo perché lui e Sherlock si erano sfidati su un esercizio ed avevano conseguito lo stesso punteggio. Punteggio oltraggiosamente alto, per di più.
Ciononostante, non si sarebbe mai aspettato che il suo probabile - no, possibile, solo possibile - coinquilino sarebbe stato proprio lui. Con sua sorpresa, Sherlock aveva accolto piuttosto bene l’idea di dividere casa con lui, tanto da proporgli di andare a vedere insieme un appartamento che aveva adocchiato a Londra, il prossimo finesettimana.
«Perché un diciassettenne starebbe aiutando il Capo della Squadra Speciale Auror?» domandò perplesso, trotterellando dietro l’altro ragazzo che, nel frattempo, aveva varcato con impazienza il portone.
«Mio fratello Mycroft lavora per il Ministro, adesso. Gli è capitato di aiutare il Signor Potter in una faccenda e questi gli ha proposto di fargli da consulente fisso, ma Mycroft è terribilmente pigro, così gli ha fatto il mio nome» spiegò.
«E Harry Potter ha accettato l’aiuto di un ragazzo appena maggiorenne?» chiese scettico.
«Il Signor Potter, alla mia età, ha fatto cose molto più grandi di me. Lui non sottovaluta i ragazzi» asserì il Serpeverde «John, perché mi stai seguendo?»
«Ti stai dirigendo verso la Foresta Proibita. Sono un Prefetto, non posso lasciarti andare da solo» sbuffò, seppellendo il naso nella propria sciarpa rosso-oro. «Che tipo è il Signor Potter?» domandò curioso.
«Oh, sai… discreto, passionale. Molto bravo a fingersi stupido» rispose distrattamente Sherlock, sondando il terreno con lo sguardo, alla ricerca della sua preziosa pianta. La sua pelle era così pallida che perfino alla fievole luce di un Lumos, sembrava scintillare. John si chiese se fosse così liscia come sembrava.
Scosse il capo per scacciare quei pensieri e ripete le sue parole con tono interrogativo: «Bravo a fingersi stupido?»
«Hai intenzione di ripetere tutto quello che dico? Sì, bravo a fingersi stupido. È un test ed una forma di protezione: se una persona ti crede stupido abbassa le difese e ti lascia in pace. Ad un Auror come il Signor Potter, scomodamente famoso, torna molto utile. È un vero soldato, tutto sangue freddo ed istinto affinato, davvero temibile».
«Ovvio che sia temibile, è Harry Potter!» sbuffò il Prefetto.
«Non intendevo quello» Sherlock lo guardò come se lo stupido - un vero stupido - fosse lui. «Una persona che sa fingersi mediocre con tanta facilità è capace d’ingannare chiunque e di tenere grandi segreti. Mi guarderei le spalle da lui perfino se fosse un mio buon amico».
«Oh, avanti, è il Salvatore del Mondo Magico, è uno dei buoni!» esclamò il Grifondoro.
«Per nostra fortuna» convenne. «Non è affatto uno sciocco, ha un grande intuito. In realtà, credo che mi abbia assunto anche per controllarmi» continuò come se nulla fosse, avanzando nel silenzio inquietante della foresta.
«Control…» s’interruppe prima di ripetere per l’ennesima volta quello che aveva detto «Che intendi, dire?»
«Be’, sono un giovane e brillante Serpeverde, con un cervello fino, dei grandi poteri ed una profonda sete di conoscenza. Ha avuto un certo numero di brutte esperienze con persone che rispondono ad un profilo simile» gli diede l’imbeccata.
«Teme che tu possa diventare il prossimo Lord Voldemort?» intuì John con scettico divertimento.
«Già, per questo gli ho assicurato che - nel bene e nel male - non ho alcun interesse per i babbani e per il potere» confermò. «Piuttosto, gli ho detto di tenere d’occhio un certo Jim Moriarty».
L’altro ragazzo sorrise, ora apertamente divertito. «Tu e Moriarty non andate proprio d’accordo, eh? Strano, considerato il fatto che dividete anche il Dormitorio».
«Se vuoi usare un eufemismo. Vivere spalla a spalla per anni con una persona non vuol dire amarla o fidarsi di lei. Moriarty è un’incredibile seccatura, riesci ad immaginare di avere sempre attorno un tipo simile?»
«No, non ci riesco proprio» rispose con appena una punta di sarcasmo, guardandolo gesticolare furiosamente in preda all’irritazione. Purtroppo, aveva l’impressione che lo avrebbe scoperto molto presto.
«In effetti, sei un Serpeverde abbastanza atipico» considerò poi. Atipico era un altro eufemismo; Sherlock Holmes era l’unico ragazzo che avesse avuto la sfacciataggine di rifiutare la carica di Prefetto. «Come mai il Cappello Parlante non ha scelto Corvonero, per te?»
«L’ha considerato, ma abbiamo convenuto entrambi che Serpeverde fosse la Casa più adatta a me. Sono troppo furbo e subdolo per i Corvonero, inoltre sono uno dei pochi Purosangue rimasti - non che importi, ma Salazar lo apprezzava - e la mia Casa mi permette di farmi molti contatti utili» gli confidò, poi con un movimento repentino si chinò ai piedi di un grosso albero e recise alcuni rametti di una piantina dai bizzarri fiori verde acido. «Trovata!» esclamò soddisfatto.
«Posso sapere a cosa serve?» John l’osservò riporre con attenzione il rametto in una bustina trasparente e sigillarla, per poi infilarla nella tasca interna del mantello.
«Sorriso di Diavolo» rispose Sherlock indicandola «È una pianta magica molto rara, fiorisce solo in questa zona della Scozia. Dai suoi pistilli si ricava un veleno letale».
«Nome davvero suggestivo» considerò il Grifondoro, ma all’improvviso scorsero una luce in lontananza.
Rapidamente, Holmes spense la bacchetta, afferrò John per le spalle e lo schiacciò contro l’albero, mettendogli una mano sulla bocca per soffocare la sua voce, proprio mentre quella familiare del Professor Hagrid berciava: «Chi va là?!» con il tono un po’ alticcio di chi ha passato la serata alla Testa di Porco.
Premendosi su di lui, Sherlock si posò un dito sulle labbra, fissandolo con insistenza ed intimandogli di fare silenzio, prima di togliere la mano dalla sua bocca. In quell’istante, il Prefetto detestò essere così basso; anche se la sua statura era nella media, l’altro ragazzo lo superava di tutta la testa, nonostante fosse un anno più giovane di lui. Un intenso odore di tabacco, mischiato ad un sentore di sapone neutro e colonia, lo investì e John trattenne il fiato, mentre il respiro ritmico del Serpeverde gli accarezzava una guancia.
Dopo qualche tachicardico minuto, il Guardiacaccia si grattò il testone con aria perplessa, poi cambiò strada, allontanandosi da loro. I due ragazzi tirarono un sospiro di sollievo e Watson riuscì a leggere uno scintillio divertito negli occhi grigi dell’altro.
«Sarà meglio rientrare, ora» bisbigliò, soffocando un sorriso.
«Sì, hai ragione» convenne il più giovane, ancora addossato a lui. Le sue labbra erano un arco di cupido rosa pallido, così perfette che a volte faticava a concentrarsi su quello che dicevano.
Si schiarì nervosamente la voce. «Ehm… Sherlock, dovresti spostarti» gli fece notare, dopo quasi un minuto intero in cui questi si era limitato a fissarlo in silenzio, tenendolo ancora premuto contro il tronco dell’albero.
Si scostò lentamente, con espressione indecifrabile. John proprio non riusciva a capire il suo comportamento.
«Posso farti una domanda?»
«Ne hai appena fatta una» gli fece notare Holmes, ma lo osservò in attesa.
«Cosa ti fa pensare che sarei un buon coinquilino? Mi conosci appena e siamo completamente diversi» lo interrogò curioso. Erano giorni che voleva porgli quel quesito.
Sherlock lo soppesò per qualche secondo, poi distolse lo sguardo, disinteressato. «Ti ho osservato. Hai intenzione di intraprendere gli studi di Medimagia, ma sei interessato anche alla professione di Auror, da buon Grifondoro. Potresti diventare un ottimo coroner, e a me sarebbe utile avere attorno un persona con conoscenze mediche. Inoltre ti ho visto al Club dei Duellanti e sul campo da Quidditch, sai difenderti molto bene e hai una mira perfetta, da cecchino. Preferisco avere un coinquilino che sa badare a sé stesso» spiegò sorprendendolo e s’interruppe, esitante a continuare, ma poi ammise: «E, cosa più importante, sei paziente e non giudichi le persone dalle apparenze».
Allora John capì. Sapeva che il resto della scuola considerava Sherlock una specie di fenomeno da baraccone, era troppo intelligente, capiva troppo con una sola occhiata, al punto da poter quasi essere scambiato per un Veggente. Non lo biasimava per volere attorno qualcuno che non lo considerasse pazzo o strambo.
Lui, invece, nonostante quel ragazzo fosse un tipo davvero seccante, aveva sempre trovato che avesse molto fascino. Spesso l’aveva osservato da lontano con una certa curiosità, colpito dal suo aspetto e ancor più dalla sua mente.
«Come sai che voglio diventare un Guaritore?» domandò curioso.
«Le tue mani: hanno le tipiche macchie lasciate dalle pozioni curative. Ed il modo in cui impugni la bacchetta: con una presa morbida ma precisa, come se impugnassi un bisturi babbano» elencò.
Watson l’osservò affascinato, lui stesso non era consapevole di quelle cose. «Stupefacente».
«Tu trovi?» replicò Sherlock, quasi scettico.
«Sì, sei straordinario» confermò John, lasciandolo di stucco.
Il ragazzo non replicò, né ringraziò, ma - prima che si voltasse - il Prefetto scorse sul suo viso un sorrisino lusingato, segno che aveva davvero gradito il complimento. Non avrebbe potuto giurarci, ma sembrava quasi in imbarazzo.
Ripresero a camminare, lasciandosi rapidamente la foresta alle spalle ed inoltrandosi nel resto del parco, dove la neve era più spessa. Il Serpeverde era una sagoma lunga ed affusolata qualche passo avanti a lui. Forse fu per il singolare pallore della sua pelle o per l’innata eleganza dei suoi gesti, precisi e sbrigativi, ma a John ricordò l’illustrazione di una Veela che aveva visto da bambino.
«Da un’occhiata a questa» Sherlock trasse qualcosa dalla tasca interna del proprio mantello e gliela porse. Era una fotografia magica e ritraeva la scena di un crimine, ma la cosa strana non era quella.
John accostò la bacchetta all’immagine, per distinguere meglio i particolari, e strabuzzò comicamente gli occhi, sotto lo sguardo indagatore dell’altro.
«Non avrai problemi con questo genere di cose, mi auguro. Se vuoi diventare un buon Medimago devi farci il callo» gli fece presente, ma lui lo ignorò.
«È verde!» esclamò, rivelando ciò che l’aveva stupito.
L’immagine ritraeva il corpo di un mago riverso a terra, tanto palesemente di bassa statura da avere, con tutta probabilità, sangue Goblin nelle vene. Era vestito con un mantello rosso acceso, che faceva a pugni con il colorito della sua pelle, diventato di un verde intenso. Sarebbe stato quasi comico, se non fosse stato così tanto morto; sembrava la parodia grottesca di un elfo di Babbo Natale.
«Hai un vero talento per sottolineare l’ovvio. Cosa te ne pare?» lo interrogò Holmes.
John gli scoccò un’occhiataccia. «Non ci sono incantesimi capaci di dare questo colorito alla pelle, se si fosse trattato di qualcosa del genere sarebbe svanito dopo qualche ora o alla morte di quest’uomo. Potrebbe essere opera dell’assassino, forse per trasfigurare il cadavere, ma questa tinta è chiaramente un effetto collaterale di ciò che l’ha ucciso. Quasi sicuramente si tratta di un veleno, ma non conosco pozioni che lasciano una traccia simile» rispose, osservando bene la foto alla luce della bacchetta.
«È opera sua» lo informò Sherlock, mostrandogli nuovamente il rametto di Sorriso di Diavolo. «Come ho già detto: è tanto rara quanto letale. Devo verificare se si tratta proprio di questa, anche se non ho dubbi in merito, e poi informare il Signor Potter».
«Quindi l’assassino o è scozzese o ha buoni contatti a Nocturne Alley» suppose Watson.
Il ragazzo più giovane gli rivolse un’occhiata d’apprezzamento che gli sconquassò qualcosa nello stomaco. «Una buona deduzione, peccato che per essere efficace questa pianta debba essere fresca, infatti essiccata è inutile, quindi le probabilità che l’abbia acquistata si assottigliano» asserì. «Cosa mi sai dire della vittima?» continuò, porgendogli una piccola ma efficace lente d’ingrandimento, in modo che potesse osservare meglio i dettagli.
John riprese a studiare l’istantanea. «Era un Mezzosangue - un Ibrido, se vogliamo evitare la finezza - tra i trenta e i quarant’anni. Gli abiti sono di buona fattura, era sicuramente benestante, se non addirittura ricco. Forse lavorava alla Gringott; gli Spezzaincantesimi hanno un ottimo stipendio e, viste le sue origini, sarebbe stato assunto subito. Non vedo nessuna fede all’anulare, quindi è probabile che fosse scapolo. La modalità del delitto suggerisce un omicidio premeditato. A parte questo, dalla sola foto non saprei dirti altro».
«Un interessante cumulo di supposizioni» il Serpeverde sorrise derisorio. «Tu guardi, ma non osservi, John» lo rimproverò «La vittima è un ex-Grifondoro, nessuno che non sia appartenuto alla tua Casa indosserebbe mai quell’agghiacciante sfumatura di rosso. Non era sposato, ma era di certo fidanzato: al collo porta un pegno d’amore. Avere nelle vene sangue Goblin non implica necessariamente lavorare in banca o essere attaccato al denaro - ne abbiamo un chiaro esempio qui a scuola, con il Professor Vitious. Era mancino, osserva le sue mani; vedi il callo sulla prima falange del medio? È chiaramente segno di una persona che scrive con assiduità, per parecchie ore al giorno. Tuttavia non c’è una sola macchia d’inchiostro, ciò denota che era un uomo molto accurato, come dimostra anche il taglio impeccabile degli abiti, le scarpe immacolate ed i capelli ben pettinati» elencò, parlando così veloce che quasi John non riuscì a seguirlo «Infine, la spilla sul bavero del mantello è il blasone del suo ufficio. Occupava una posizione di rilievo al Ministero: Sottosegretario Anziano del Ministro» concluse, lasciando l’altro a bocca aperta, quasi stordito.
Il ragazzo più grande fu quasi preso dall’impulso di applaudire, finché Sherlock non portò due dita sotto il suo mento per chiudergli la mascella: «Di questo passo ci entreranno le mosche, John» lo sbeffeggiò, evidentemente compiaciuto di averlo impressionato. Con uno svolazzo del mantello riprese a camminare e l’altro fu costretto a corrergli di nuovo dietro.
Si erano ormai inoltrati nel castello e i loro passi rapidi risuonavano sul pavimento di pietra, amplificati dal silenzio notturno. Presero le scale che portavano ai sotterranei e Holmes gli domandò per la seconda volta in quella notte: «Perché mi stai ancora seguendo?»
«Ho il dovere di riaccompagnarti fino al tuo Dormitorio» spiegò il Prefetto, poi si rese conto della strada che stavano prendendo in quel dedalo di corridoi bui «Aspetta un attimo, la Sala Comune di Serpeverde è dall’altra parte».
«Lo so. E tu come lo sai?» replicò Holmes, inarcando un sopracciglio.
«Oh, be’, sai… ragazze» spiegò evasivamente il Grifondoro, con un sorrisetto malizioso, ma Sherlock aveva la faccia confusa di chi, no, non sapeva. John non aveva nessuna voglia di spiegargli la storia delle api e dei fiori. «Dove stai andando?» lo interrogò piuttosto.
«Al laboratorio di Pozioni» rispose, come se fosse ovvio «Devo testare questa pianta».
«Sherlock, è quasi l’una di notte, il tuo esperimento può aspettare» gli fece presente.
«L’indagine per omicidio no» replicò questi.
«Hai bisogno di dormire» s’impunto lui.
«No, invece, sono abituato a rimanere sveglio durante un’indagine. Non posso sprecare tempo a dormire» ribatté, come se la sola idea fosse ridicola.
Questo spiegava perché fosse così magro, probabilmente si dimenticava perfino di mangiare, tanto era preso dai suoi casi. Chissà quante energie bruciava quel corpo, sospinto dalla sua mente iperattiva. Quel ragazzo aveva proprio bisogno di qualcuno che lo tenesse d’occhio e si prendesse cura di lui, o avrebbe finito per cacciarsi in guai seri.
«Sono certo che il Signor Potter non ne avrà a male, se ti prendi qualche ora di sonno» lo blandì.
«Anche se andassi a letto, non riuscirei a dormire comunque» sbuffò con impazienza il Serpeverde.
«Questo è perché hai preso una cattiva abitudine» lo rimproverò John.
«Vai pure a dormire, se vuoi, domani ti racconterò com’è andata. Io devo assicurarmi che le mie supposizioni siano esatte e poi mandare un gufo al Signor Potter. Ho bisogno di ulteriori informazioni per…» stava intanto dicendo Sherlock, ma lui ne aveva avuto abbastanza delle sue chiacchiere. Conosceva un modo molto efficace per tappargli la bocca e convincerlo ad andare a letto.
Afferrandolo per un polso, mentre già si voltava per riprendere la propria strada, lo attirò a sé, facendolo ruotare di centottanta gradi. Gli posò una mano sulla nuca, costringendolo ad inchinarsi, e pressò le labbra sulle sue. Sherlock rimase immobile, fece appena un passo indietro, sbilanciato dal suo impeto, e nei suoi occhi chiarissimi John riuscì a leggere una tale sorpresa che si sentì inspiegabilmente galvanizzato; cominciava a capire perché a quel ragazzo piacesse così tanto spiazzarlo. Averlo in suo potere era più eccitante di quanto si sarebbe mai aspettato.
Intrufolò la lingua nella sua bocca socchiusa, catturata nel bel mezzo del discorso, e poco dopo Holmes cominciò a ricambiare il bacio con i modi impacciati di chi non sapeva cosa stesse facendo esattamente. Si aggrappò al suo mantello, insicuro su dove mettere le mani e Watson lo sospinse verso il muro, facendogli poggiare le spalle contro la parete.
«John, cosa… cos’hai intenzione di fare?» biascicò il ragazzo, quando lui scivolò con le labbra sul suo orecchio e gli sfilò la sciarpa per liberare il suo collo, portando subito le dita alla cravatta della sua divisa.
«Devo farti un disegnino o ti accontenti della dimostrazione pratica?» sussurrò l’interpellato, premendo una mano sul cavallo dei suoi pantaloni e sfregandolo piano, al ritmo di un nuovo bacio. Sentì il suo membro svegliarsi velocemente sotto le proprie carezze, mentre Sherlock rimaneva addossato al muro, tremante e senza fiato. Era chiaro che non avesse la minima esperienza, ma non pareva affatto contrariato; era pur sempre un uomo, se non avesse gradito certe attenzioni gli avrebbe mollato un pugno e poi l’avrebbe affatturato. Invece lo lasciava fare, con una sorta di morbosa curiosità negli occhi. John ebbe l’impressione che stesse studiando anche lui.
Spostò di nuovo le labbra sulla sua gola, succhiando la pelle chiarissima ed invitante; sembrava che in quel punto fosse particolarmente sensibile, a giudicare da come le sue ginocchia cedettero e si abbandonò maggiormente contro il muro. Tutto il corpo di Sherlock era così bianco da dare un ingannevole percezione di purezza, troppo agli antipodi con la sua mente criptica ed acuta.
Stava cedendo al suo volere, eppure John aveva ancora l’impressione che avesse il controllo della situazione, che il suo cervello stesse continuando a lavorare e muoversi per conto suo come una dannata piuma prendi-appunti. No, non gli era sufficiente, voleva fargli perdere la testa, strappargli ogni capacità raziocinante.
Si lasciò cadere ai suoi piedi e, con movimenti lesti, gli slacciò i pantaloni. Il Serpeverde gli scoccò un’occhiata tra il curioso ed il terrorizzato, mentre lui gli abbassava i boxer, esponendo il suo uccello, che scattò su, duro e liscio.
Il profumo intenso del sapone gli arrivò alle narici e, sotto di esso, quello più peculiare della sua eccitazione. Inconsciamente, John si leccò le labbra come la peggiore delle puttane di Nocturne Alley e attirò la punta tra di esse, saggiandone il sapore. Il suono sordo della testa di Sherlock che impattava contro il muro lo fece sorridere ed ingoiò un paio di volte la sua intera lunghezza, provocandolo, prima di riprenderla in mano e usare la lingua per studiarla con minuzia, strappandogli un grugnito frustrato.
Le sue dita gli artigliarono presto i capelli ed i suoi fianchi s’inarcarono, chiedendo di più, ma il Grifondoro gli pressò i palmi sulle anche per tenerlo al suo posto e si concesse ancora qualche attimo di tortura, prima di riprendere in bocca il suo sesso e succhiarlo.
Gli ansiti di Sherlock erano incredibili, John ce l’aveva così duro che la pressione della zip stava diventando dolorosa. Fu tentato di masturbarsi, ma non era così che voleva concludere, voleva far impazzire quel ragazzo e, solo dopo, prendersi la propria soddisfazione. L’avrebbe portato a letto e l’avrebbe sfiancato sinché non sarebbe svenuto per la stanchezza, parola d’onore. Sì concentrò ancora di più su di lui, aumentando il ritmo e rilassando la gola per farlo arrivare il più a fondo possibile, tanto da sentirsi un po’ soffocare quando la punta gli sbatté contro il palato.
I fianchi di Sherlock parvero prendere vita propria, tanto fu l’impeto con cui iniziarono a muoversi. Solo le sue spalle rimasero attaccate al muro, mentre gli scopava la bocca senza remore. Infine, sentì tremiti fortissimi scuotere il suo corpo e, con un grido muto, gli riversò l’orgasmo sulle labbra e sulle guance.
John si rimise in piedi lentamente, ubriaco d’eccitazione e mantenne una presa salda sul suo bacino, per evitare che scivolasse a terra. Sherlock Holmes così sconvolto era la visione più oscena che avesse mai immaginato: i riccioli scuri gli si erano appiccicati alla fronte sudata, gli zigomi pallidi erano infiammati da un rosa acceso, la bocca dischiusa ed arrossata dai baci, la camicia storta e mezza slacciata, il collo bianco marchiato da due succhiotti viola e i pantaloni della divisa ancora aperti e abbassati fino alle ginocchia.
Il Prefetto s’impresse quell’immagine nella mente per richiamarla nei momenti di solitudine e gli riallacciò la cintura, prima di premersi su di lui con tutto il corpo, sfregandosi contro una sua coscia tramante e dandogli modo di sentire con precisione in che condizioni fosse.
«Pensi che ora potremmo andare a letto?» domandò insinuante ed il Serpeverde lo attirò a sé per il bavero del mantello, baciandolo con violenza.
Oh, gliel’avrebbe fatta pagare cara, John se lo sentiva, l’avrebbe punito per ogni singolo secondo. E lui non vedeva l’ora.
FINE.
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