Fandom: Sherlock Holmes/
The Tarot Café;
Pairing: Holmes/Watson;
Altri personaggi:
Aron,
Bellus,
Pamela;
Rating: Pg;
Prompt: 11 - Taccuini;
Genere: Introspettivo, Romantico.
Warning: Crossover, Pre-Slash;
Beta: Narcissa63;
Summary: La storia che mi accingo a raccontare, non è destinata alla pubblicazione, perché non potrebbe essere di alcun interesse per i miei lettori […] Dunque ne verranno fatte solo due copie; una di esse rimarrà chiusa nel baule di ferro che contiene molte delle avventure del mio amico e mie, mentre l’altra andrà alla legittima coprotagonista.
Note: Scritta per
221B, Baker Street Table di
holmes_ita (il resto della mia tabella è
qui), partecipa alla challenge “
A tutto campo!” del
Marauders Archive.
“The Tarot Café”, il fandom che ho usato per questo crossover, non è molto conosciuto, anche perché si tratta di un
manhwa - un fumetto coreano. E’ una storia splendida ed intrigante, realizzata con disegni a dir poco bellissimi, che non pregiudicherà la lettura di chi non la conosce.
Pamela - la protagonista del manhwa, il personaggio che ho sfruttato maggiormente in questa fic - è una cartomante di origini scozzesi, nata dal medioevo e, in seguito ad alcuni eventi della sua vita, divenuta immortale, che gestisce una caffetteria e legge i tarocchi ai suoi avventori. Dopo la mezzanotte, nel suo locale - che guarda caso si trova a Londra - si presentano ‘clienti di un altro tipo’, umani solo all’apparenza, tutti in cerca del suo consiglio.
DISCLAIMER: Tutti i personaggi delle saga di Sherlock Holmes non sono opera mia, bensì della mirabile penna di Sir Arthur Conan Doyle. Dato, però, che i diritti d’autore sono ormai scaduti, stappiamo tutti insieme lo spumante ed appropriamocene beatamente! XD Ah, ovviamente non mi paga nessuno, anche perché altrimenti il succitato autore si rivolterebbe nella tomba, poverello.
I personaggi di The Tarot Café, ugualmente non mi appartengono, sono opera di Park Sang Sun, che ne detiene tutti i diritti.
L’Avventura della Cartomante
Dopotutto, è ammaliante l'idea che la felicità di qualcuno
sia totalmente nelle mani di una persona.*
Pamela si riscosse dalla lettura, distratta da un inebriante profumo di cioccolata e dai passi leggeri di Aron, che si accingeva a raggiungerla nella stanza sul retro del locale.
La cartomante aveva appena occhieggiato le invitanti tazze poste sul vassoio, quando Bellus fece la sua poco gradita comparsa.
«Ah, che giornata! Aron, ho proprio bisogno della tua cioccolata» esordì quest’ultimo e, senza essere invitato, si accomodò di fronte all’amica e prese una delle chicchere. Evidentemente il ragazzino lo conosceva bene, perché era stato previdente e ne aveva preparata una in più.
Pamela, troppo occupata a fulminare con lo sguardo lo sgradito ospite, non si accorse che egli stava osservando il titolo del suo libro.
«Sherlock Holmes? Ti prego, dimmi che non fai parte dei suoi fanatici fans!» esclamò il demone.
«Il signor Holmes ed il dottor Watson erano dei veri gentiluomini, molto affascinanti. Ben diversi da qualcuno di mia conoscenza» replicò lei pungente.
«Lo sei davvero» il capo biondo del Granduca di Pandemonium crollò sconsolato.
A quel punto Aron, che aveva seguito con divertimento i loro soliti scambi di battute, osservò perplesso la sua datrice di lavoro: «Ehm… Pamela, ne parli come se fossero esistiti davvero» le fece notare e, se fosse stato il personaggio di un fumetto, il suo sorrisino teso sarebbe stato accompagnato da un gocciolone al lato del volto.
«Oh, non ve l’ho mai raccontato?» borbottò lei, infilandosi in bocca un cucchiaino ricco di panna e cacao.
«Raccontato cosa?» ribatté il giovane licantropo.
In risposta, la ragazza immortale si alzò e, aprendo un mobiletto, prese un piccolo baule di legno. Da quest’ultimo tirò fuori un quaderno dalla copertina di pelle, coperto da uno strato sottile di cellophan trasparente, che serviva a preservarlo dalle ingiurie del tempo. Lo maneggiò con un tocco estremamente delicato e, quando lo sfogliò, un forte odore simile a lacca - quello di un fissativo per inchiostro - riempì l’aria.
«Ecco, guarda qui, ma fa’ attenzione, oramai è molto antico» ammonì l’adolescente, prima di spostare il taccuino sotto i suoi occhi.
Aron scorse brevemente la scritta, poi boccheggiò e, sotto incitamento di Bellus, lesse a voce alta: «Alla signorina Pamela, che mi ha restituito la persona più importante della mia vita. John H. Watson» si voltò repentinamente verso la donna citata e, con la sua solita effervescenza, domandò: «E’ proprio vero? E’ una sua dedica autentica??»
Ella sorrise. «Vai avanti» lo spronò.
*°*°*°*°*
La storia che mi accingo a raccontare non è destinata alla pubblicazione, perché non potrebbe essere di alcun interesse per i miei lettori, anche se forse Arthur Conan Doyle - il caro amico che spesso, da diversi anni a questa parte, mi presta il suo nome - potrebbe trovarla di suo gusto. Dunque ne verranno fatte solo due copie; una di esse rimarrà chiusa nel baule di ferro che contiene molte delle avventure del mio amico e mie, mentre l’altra andrà alla legittima coprotagonista. Infatti, in questo racconto, io avrò un ruolo molto marginale.
Ho cercato di convincere lo stesso Holmes a scriverla di suo pugno, ma non ne ha voluto sapere.
«Sarebbe del tutto inutile» con queste parole si è opposto alla mia richiesta, salvo poi aggiungere: «Lei ne faccia ciò che vuole, Watson». Eccomi qui, dunque, a raccontare “L’avventura della cartomante” che, pur non avendo nulla a che fare con le singolari capacità del mio amico, è un frammento significativo della sua - e di conseguenza anche della mia - vita.
Sentii parlare per la prima volta della signorina Pamela, poco tempo dopo il ritorno di Holmes a Londra ed il mio rinnovato trasferimento in Baker Street. Ma forse sto correndo troppo, il mio amico mi rimprovera spesso per il mio brutto vizio di cominciare le storie dalla fine, anziché dall’inizio. Quindi ve la narrerò esattamente così com’è stata raccontata a me.
Quella sera, poco dopo cena, mi trovavo nel soggiorno del nostro appartamento, seduto nella mia poltrona a leggere un nuovo trattato di chirurgia.
Holmes era immerso nei suoi pensieri ed osservava le fiamme del camino con fare assorto.
Senza distogliere lo sguardo dal fuoco, mi domandò distrattamente: «Ricorda il giorno in cui ci siamo conosciuti, vecchio mio?»
«Come fosse ieri» risposi perplesso, stupito da quell’inaspettata domanda dall’apparenza nostalgica.
«Il giorno prima ebbi un’esperienza bizzarra. Qualcuno - una ragazza molto affascinante - mi predisse che l’indomani avrei incontrato la persona più importante della mia vita. Sì, usò proprio queste parole, “incontrerà qualcuno di speciale, signor Holmes, la persona più importante della sua vita”» esordì, poggiando i gomiti sulle ginocchia e congiungendo la punta delle dita.
Inutile dire che aveva catturato tutta la mia attenzione.
«Accadde proprio la notte precedente al nostro primo incontro. Forse non lo ricorda, ma pioveva a dirotto, io sventuratamente, nonostante fosse quasi mezzanotte, ero ancora per strada, a causa di alcune indagini che mi avevano portato via più tempo del previsto, e venni sorpreso dal temporale. Con mio disappunto, mi trovavo in una stradina poco trafficata e non vi era nemmeno l’ombra di una carrozza. Stavo giusto ponderando di dirigermi verso l’arteria principale, quando notai una deliziosa caffetteria le cui luci erano ancora accese; fu allora che decisi di entrare in quel locale ad attendere che la pioggia si affievolisse.
La porta scampanellò quando la sospinsi e l’atmosfera calda di quel grazioso caffè mi accolse, insieme al sorriso cordiale di una donna giovanissima - sorriso che si spense dopo pochi secondi.
“Buonasera, signorina. Non aspettava me, immagino, ma con il suo permesso, spero di potermi riparare dalla pioggia per un po’” esordii ed ella, che - come compresi subito dopo - era la padrona del locale, mi invitò ad entrare con un cenno cordiale.
“Buonasera a lei, signore. Ma certo, si accomodi e perdoni la mia scortesia, solitamente i clienti che ricevo a quest’ora sono di un altro tipo” replicò allora, senza chiarire in alcun modo quell’ultima affermazione “Posso servirle un tea caldo, nell’attesa, e magari una fetta di crostata? Mi sembra infreddolito e stanco, ed io - modestia a parte - cucino la migliore crostata di Londra”, aggiunse con tono affabile e solare.
Accettai, sedendomi ad uno dei tavolini tondi che gremivano la saletta, ed allora notai il nome del locale stampato sul menù: ‘Tarot Café’.
“Si chiama così perché, ai clienti che lo desiderano, leggo i tarocchi” spiegò la giovane, posando di fronte a me una tazza di tea caldo ed un piattino con una fetta di torta, che si rivelò davvero deliziosa. “Io sono Pamela” si presentò, e poi aggiunse “E’ interessato, signor…?”
“Holmes. Sherlock Holmes, molto onorato,” risposi, stringendole la mano “ma non credo di averne bisogno, grazie” conclusi.
Immagino, Watson, che lei sappia che è naturale per le cartomanti presentarsi solo con il nome, il quale il più delle volte si rivela un nome d’arte, quindi non indagai oltre sulla sua identità.
“Lei è un uomo molto determinato e caparbio, pare che ritenga di non avere alcuna domanda per le carte, pertanto non insisterò. In alcuni casi, però, mi basta toccare una persona per scoprire inavvertitamente qualcosa, e sono tenuta a rivelarlo ad essa. Lei domani incontrerà qualcuno di speciale, signor Holmes, la persona più importante della sua vita”.
Mi parve un’affermazione molto bizzarra ed ovviamente non intendevo darle alcun credito, ma ero curioso, così domandai: “Come lo sa?”
La signorina Pamela ridacchiò. “Lei come sa se una persona mente o è sincera? Spesso è una questione d’istinto, non è così? E lei ha un istinto molto buono, signor Holmes, che raramente la tradisce; anche se non si affida solo ad esso, ma alla ragione ed alla logica. Lo stesso è per me: certe cose, semplicemente, le so - le vedo”.
“Lei non ha affatto l’aspetto di una cartomante” ponderai. Infatti era graziosa, molto giovane, come le ho già detto, e vestita sobriamente. Una fanciulla fresca ed intelligente. Solo gli occhi avevano una luce troppo profonda per la sua età, uno sguardo verdissimo e penetrante.
“E lei non ha l’aspetto di un investigatore, mio caro” replicò, lasciandomi completamente di stucco. “Piuttosto quello di uno chimico, di uno scienziato. Eppure lo è - uno dei migliori, aggiungerei - a ben vedere lei è tutt’e tre le cose: investigatore, chimico e scienziato”. Non le avevo rivelato nulla di me, a parte il mio nome e, pur capendo che poteva intuire l’attitudine alla chimica dalle mie mani macchiate dagli acidi e dall’inchiostro, non vedevo come potesse sapere qual’era il mio lavoro. Come ben sa, allora la mia discreta fama non era quella di oggi. Nessuno mi faceva pubblicità scrivendo su di me» s’interruppe per accendere la sua amata pipa d’argilla e per lanciarmi un sorrisetto canzonatorio, poi continuò: «Consumai l’ordinazione in sua compagnia, facendole i complimenti per la crostata davvero deliziosa, e frattanto il temporale si acquietò. Quando mi alzai per congedarmi, però, lei mi disse: “Mi pagherà un’altra volta, signor Holmes, so che ci rivedremo. Stanotte offre la casa” e non mi lasciò possibilità di scelta.
Be’, aveva ragione vecchio mio, su tutto. Il pomeriggio seguente conobbi lei, Watson, e quasi dieci anni dopo, reincontrai anche la signorina Pamela.
Accadde la notte prima che partissimo per il nostro viaggio che si concluse a Reichenbach, amico mio. Passai la notte lì, al Tarot Café, un luogo che nessuno conosceva e dove i miei nemici non mi avrebbero mai trovato, e la signorina Pamela mi lesse le carte, perché stavolta avevo una domanda: volevo sapere se sarei uscito vivo da quell’avventura e se sarei mai tornato a Londra».
A quel punto fece una lunga pausa, come se volesse riordinare le idee ed io fremetti nella mia poltrona, completamente catturato dal racconto e curioso di saperne il seguito.
«Non credo lei abbia dimestichezza con i tarocchi, vero Watson?» mi domandò dopo qualche minuto di silenzio.
«Nessuna» ammisi senza riserve la mia ignoranza «So solamente che sono simili alle carte da gioco italiane».
«Non è esatto. I tarocchi si compongono di due mazzi: ventidue carte illustrate, dette trionfi ed altre cinquantasei chiamate lame, che sono appunto quelle a cui lei ha accennato. Queste ultime si dividono a loro volta in quattro semi: bastoni, coppe, pentacoli e spade» mi chiarì «E’ proprio l’insieme di queste carte che mi fu presentato. La signorina Pamela - che in dieci anni non era cambiata di una sola virgola e sembrava ancora una fanciulla - mi fece accomodare in una stanza sul retro, poi mischiò il mazzo per sette volte, capovolgendo le lame almeno in due o tre occasioni e, infine, ne dispose sei sul tavolo in uno schema a croce, tutte poggiate sul lato illustrato. La prima che svelò fu quella più in alto.
“Questo è lei, signor Holmes” esordì.
“Sì, a volte mi hanno chiamato così” ironizzai osservando quel trionfo. Era ‘Il Mago’.
Lei annuì divertita, ma poi riprese un’aria seria e concentrata: “Il Mago ha l’aspetto di un uomo che attira su di sé l’attenzione dei passanti con la propria destrezza, i propri gesti e le proprie parole, ma non è un imbonitore, bensì una persona che agisce da solo, usando unicamente la propria abilità; egli si esibisce, attrae e stupisce. Questo è il suo passato, signor Holmes, l’inizio della sua storia. Come il Mago, lei è artefice del proprio destino. Vedo coraggio, entusiasmo, carica innovatrice e realizzatrice”.
Non dissi nulla, ma dovetti ammettere che quell’esame fosse piuttosto calzante. Le assicuro che mi sentivo ridicolo, Watson. Non ho mai creduto in simili cialtronerie e, soprattutto, sono sempre stato convinto che il Destino non sia qualcosa di prescritto e d’ineluttabilmente stabilito, ma una strada che noi tracciamo, con i nostri gesti e le nostre decisioni. Tuttavia avevo bisogno d’un consiglio.
Il secondo tarocco ad essere svelato fu quello più in basso; era il sei di coppe.
“Vedo che la previsione che le feci durante il nostro incontro precedente, non fu affatto errata” sorrise soddisfatta “questo è il presente, mio caro, e lei ha trovato una persona preziosa”. Non era una domanda, bensì un’affermazione ed io non la smentii. “Non vuole raccontarmi nulla? Non importa, non ne ho bisogno. Il suo compagno è un uomo calmo, silenzioso, ma forte, come l’acqua che è l’elemento delle coppe. Il numero sei indica che lui è la sua metà, il triangolo che si contrappone a lei e la equilibra”.
“Ha letto i suoi libri?” domandai curioso.
“Oh sì, e mi piacciono molto” ammise la fanciulla con un sorriso. “Vogliamo continuare? La prossima carta è quella del futuro” voltò la lama al centro. Questa raffigurava un vecchio con la schiena curva, che viaggiava sostenendosi con un bastone. Lo sguardo della signorina Pamela s’intristì. “Il suo amico si è sposato e l’ha lasciata solo, ma non l’abbandonerà mai del tutto, sarà lei a separarsene. L’Eremita indica il viaggio. E’ colui che, contando solo sulle proprie forze, cammina nell’oscurità; ciò significa che lei non si fermerà di fronte a nessuna difficoltà. Il mantello lo ricopre interamente e gli permette di passare senza essere riconosciuto. Il bastone a cui si appoggia indica cautela, prudenza; può anche servire per difendersi, per scansare gli ostacoli. Non è semplice il cammino che l’attende, signor Holmes, le sue scelte potrebbero far soffrire più di una persona, anche quelle che non se lo meritano. Vedo silenzio e solitudine, un isolamento voluto o imposto”.
Con il senno di poi, Watson, lei noterà sicuramente un segno di quelli che furono i miei tre anni lontano dall’Inghilterra. Ma io allora non potevo saperlo, compresi quelle parole solo mentre Moriarty precipitava nelle cascate Reichenbach.
La quarta carta ad essere scoperta fu quella a destra: era ‘La Torre’ e, vedendola, la fronte della ragazza si corrucciò.
“I suoi oppositori, signor Holmes, sono molto pericolosi. Questa lama non è mai definitiva, indica il capovolgimento di una situazione, la fine delle ingiustizie o un castigo, ma è strettamente legata a quella che la precede ed a quella che la segue. In questo caso il suo futuro - l’Eremita, il viaggio, l’isolamento forzato - sono la conseguenza di una sua decisione - la Torre, una caduta - ma non finisce così. Vuole vedere l’ultima carta? In base a quella potrò darle un consiglio”.
“Sono qui per questo” annuii e l’ultimo tarocco venne scoperto».
A quel punto, con la sua solita vena teatrale, Holmes si fermò di nuovo. Riaccese la pipa, si poggiò contro lo schienale della sua poltrona e mi guardò in tralice.
«Era ‘La Temperanza’ e la signorina Pamela ne rimase piacevolmente stupita.
“Accetti lo scorrere degli eventi, signor Holmes. Sarà doloroso, ma se lo farà verrà ricompensato da un periodo d’oro. E’ ciò che la Temperanza le promette, se lei compirà una scelta scevra da qualunque egoismo; sicurezza sul piano affettivo e lavorativo. La compensazione di un periodo di grande male con uno di grande bene”.
Non ero sereno, ovviamente, ma mi sembrò uno sprone alla speranza. Rividi il sogno di sconfiggere il professor Moriarty e ritirarmi dall’attività lavorativa, per dedicarmi ad occupazioni più tranquille.
Ed ora veniamo al motivo per cui le sto raccontando questa faccenda di poco conto, amico mio: quando chiesi alla signorina Pamela come potevo ripagarla della sua gentilezza, lei espresse il desiderio di conoscerla, Watson» controllò l’orologio appeso alla cappa del camino, quindi concluse: «E, se se la sente di uscire a quest’ora, siamo ancora in tempo per andare a trovare questa donna affascinante».
Fu così che, dieci minuti dopo, ci ritrovammo in carrozza, in viaggio verso la nostra meta. Ci fermammo davanti ad una graziosa caffetteria che portava un’insegna in legno, scritta in vivaci lettere scarlatte; essa recitava, come preannunciato dal racconto del mio amico, ‘Tarot Café’.
Non appena entrammo, una ragazza giovanissima ci venne incontro, lasciandomi di stucco. Non dimostrava più di vent’anni, eppure, da ciò che mi aveva raccontato il mio coinquilino, doveva averne molti di più. Perfino lui, in effetti, pareva sorpreso.
«Signor Holmes, è una gioia rivederla! Giusto ieri, leggendo sul giornale del ritrovamento del diamante giallo, mi stavo chiedendo quando avrebbe mantenuto la sua promessa». Aveva un sorriso radioso e due occhi felini incastonati in un volto di porcellana.
«Signorina Pamela, lei è incantevole come sempre. Abbiamo avuto bisogno di un po’ di tempo per sistemarci, ma siamo venuti appena possibile. Mi permetta di presentarle il mio carissimo amico e collega, dottor John Watson» replicò Holmes «Ragazzo mio, lei è Pamela, l’affascinante signorina di cui le ho parlato» concluse, poi, al mio indirizzo.
«Dottor Watson, è un vero piacere incontrarla e spero che più tardi vorrà autografare il libro di una sua ammiratrice» mi tese una mano bianchissima e delicata, che mi chinai a baciarle, prima di replicare: «Sarà un onore».
«Ed il mio autografo non lo vuole, mia cara?» domandò il mio compagno con una luce divertita nelle iridi d’acciaio.
«Sa, signor Holmes, solitamente si chiede quello dell’autore» ribatté lei vivacemente, costringendomi a soffocare una risata con un più opportuno colpo di tosse.
Poco dopo ci accomodammo, ed ebbi così occasione di assaggiare la deliziosa crostata della nostra graziosa ospite e di conoscere meglio quest’ultima. Prima di andarcene, autografai la sua copia di “Uno studio in rosso” e sulla porta quasi ci scontrammo con un giovane molto avvenente e dai capelli biondissimi.
«Cosa ci fai tu qui?» sentii la nostra amica apostrofarlo.
«Non ti sono mancato, cara Pamela?» replicò lui.
«Nemmeno un po’» rispose quest’ultima, ma era evidente che non vi era alcuna acredine in quel breve scambio di battute, ed anzi mi diedero l’impressione di essere due intimi amici.
Sorrisi chiudendomi l’uscio alle spalle e Holmes infilò il suo braccio nell’incavo del mio gomito.
«E’ una bella serata, Watson, che ne dice di una passeggiata per Hide Park, prima di tornare a casa?»
«Mi pare un’ottima idea» convenni, dedicando solo un ultimo pensiero al bel locale ed alla sua affascinante padrona, prima d’incamminarmi con lui verso la strada maestra.
I tre anni appena passati erano stati, con tutta probabilità, i peggiori della mia vita. Sia Holmes che io, però, ci fidavamo delle parole della signorina Pamela e, se lei aveva ragione, ora ci attendeva il periodo più brillante delle nostre esistenze, e noi eravamo desiderosi di viverlo.
Dottor John Hamish Watson
Marzo 1894.
*°*°*°*°*
Un quieto silenzio, pieno di muto stupore calò nella stanza sul retro del Tarot Cafè.
«E’ tutto vero…» mormorò infine Aron, meravigliato, accarezzando con gentilezza la firma del dottor Watson sull’ultima pagina, ormai ingiallita, del taccuino.
«Oh sì, il dottor Watson mi spedì questo quaderno circa una settimana dopo, e quelli che seguirono furono proprio i loro anni d’oro» confermò Pamela «Ti sei ricordato di loro?» chiese poi a Bellus, in tono canzonatorio.
«Allora ero proprio io quello che li ha incrociati?!» esclamò lui, facendo quasi volare la sedia mentre si alzava di colpo.
«Esatto» confermò l’amica.
«E non mi hai mai rivelato chi fossero?» domandò retoricamente il demone.
«Perché avrei dovuto?» ribatté la cartomante, inarcando un sopracciglio sottile.
«Sei una vecchia zitella inacidita che cucina la stessa crostata da settecento anni» piagnucolò il Granduca di Pandemonium.
E, mentre la ragazza insorgeva al grido di battaglia «Chi sarebbe vecchia?!», Aron pensò bene di riporre il quaderno di pelle nel suo scrigno, prima che la sua focosa datrice di lavoro usasse quel fragile documento come arma da lancio.
FINE.
*La frase d’introduzione è tratta dal film “Ragione e sentimento”.
Note finali: era da molto che non leggevo i tarocchi e, per scrivere questa fic, ho dovuto rispolverare tutte le mie conoscenze. Posso assicurarvi che tutto ciò che trovate qui, in merito ad essi, non è inventato - mi sono semplicemente limitata a scegliere le carte più adatte ai miei scopi - ma se doveste essere curiosi, qui potete trovare informazioni sulla loro
storia e sulla loro
interpretazione.
Potete trovarla anche su:
EFP;
Fire&Blade;