Fandom: Supernatural.
Pairing/Personaggi: angel!Castiel/vampire!Dean, wizard!Sam, angel!Balthazar, vampire!Crowley, arcangel!Gabriel, arcangel!Michael, arcangel!Raphael.
Rating: NC17.
Charapter: 4/4.
Beta:
koorime_yu (la martire ♥).
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico.
Warning: COW-T!AU, Fluff, EGGPREG, Sesso descrittivo, Slash, Spin-off, Vampirismo.
Words: 3022/18387 (
fiumidiparole).
Summary: Dopo essere stato trasformato, Dean vive nella Città dei Vampiri con Castiel, ma il suo angelo ha qualcosa che non va.
Note: Sequel di
Lazarus Rising. Scritta per il prompt Creatura Soprannaturale della mia
Tabellina Generale presa da
auverse.
Inizialmente Castiel potrebbe sembrare un tantino (molto) OOC, ma poi si capirà il perché del suo bizzarro comportamento.
Note imporatanti:
Clash Of the Writing Titans è un universo fantasy creato dagli amministratori di
fiumidiparole e
maridichallenge, per una delle loro iniziative. Si tratta di un mondo abitato da quattro popoli in lotta tra loro - angeli, cavalieri, maghi e vampiri - ognuno dei quali occupa una grande città, e sorretto dalla misteriosa figura della (del - in questo caso) Veggente. NON VENITE A DIRMI CHE NON VI AVEVO AVVISATO.
Dedica: Sempre per Narcissa63 ♥
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DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù No, nemmeno il COW-T è mio, no.
Mommy Dearest
Capitolo 4
Le fiamme nel camino baluginavano ancora nel soggiorno, quando Dean rientrò a casa, quella notte. E lì, con la sola compagnia di una candela, Sam era chino sull’ennesimo libro.
«Ehi,» lo salutò lui, avvicinandosi e sedendosi a mezzo sul bracciolo della sua poltrona «trovato nulla?» domandò, più per abitudine che per effettiva speranza.
Oramai, erano mesi che suo fratello si sfiniva di ricerche, perdendo gli occhi su un tomo dopo l’altro. Anche quel giorno doveva aver iniziato a leggere il pomeriggio, ed erano ormai le tre di notte - un orario piuttosto insignificante per un vampiro, ma del tutto incivile per un essere umano.
«No» sospirò di stanchezza l’interpellato, tirandosi indietro i capelli con una mano.
Era pallido, notò Dean, e aveva gli occhi arrossati e cerchiati. «Cominci a somigliare a me quando mi sveglio affamato, amico. E so che io sono uno schianto sempre e comunque, ma questo non è un complimento. Dovresti andare a nanna, ora».
«Sì, mamma» sbuffò Sam, malgrado tutto divertito «Ancora un minuto»
«Ho detto basta». Dean si accigliò e gli sottrasse sgarbatamente il libro dalle mani.
«No, ehi, Dean! Trattalo bene, è un libro, non uno spada!» esclamò il suo fratellino.
«Appunto, immaginati quanto è inutile».
«Hai una vaga idea di quanto possa costare e quanti anni ci vogliano per compilare un manoscritto del genere?»
«Francamente, Samantha, me ne infischio» asserì il vampiro, prima di lanciarlo sul divano di fronte. «Senti, so che sono stato io a chiederti di darti da fare,» riprese, prima che il fratello potesse ricominciare a lamentarsi «ma ti stai impegnando da mesi ed è ormai chiaro che non c’è nulla da scoprire. Lascia stare, okay? Hai fatto del tuo meglio, e lo apprezzo, davvero».
«Non lo faccio solo per te, Dean. È del mio nipotino che si tratta» gli ricordò il mago «Lo avrei fatto comunque, anche se non fossi stato tu a domandarmelo».
Lui non sapeva bene cosa dire. Fissò quegli occhi gonfi e gli poggiò una mano sulla nuca, attirandolo giocosamente a sé come faceva quand’era un ragazzino. «Non è così che si fa, Sammy. Se vuoi avermi, devi fare di me una donna rispettabile» ironizzò e suo fratello lo mandò bellamente al diavolo.
«Ehi, volevo chiederti un altro favore» riprese Dean, dopo qualche minuto di silenzio «In realtà, non ne ho ancora parlato con Cas, ma non credo che lui sarà contrario, quindi, che diavolo… vorresti essere il padrino del piccolo?» buttò fuori l’ultima parte tutto d’un fiato e Sam si scostò un po’ da lui per guardarlo negli occhi, il volto all’improvviso illuminato da una nuova luce, entusiasta.
«Dean, ne sarei-» cominciò, ma lui lo interruppe subito.
«Aspetta, aspetta» lo frenò, mettendo le mani avanti. «Prima di rispondere, pensaci bene» continuò, stringendogli una spalla «Essere il padrino di questo bambino potrebbe voler dire molto più del solito. Ci sono cose che io non potrò fare nemmeno volendo, dal portarlo fuori a giocare al sole, ad insegnarli a dar di spada se sarà un maschio, fino all’istruirla sulla buona conversazione se dovesse essere una femminuccia» spiegò «E vorrei che fossi tu ad occupartene. Quindi, sì, insomma…» chinò il capo, non sapendo bene cosa aggiungere.
«Dean, tu hai fatto tutto questo per me, hai fatto anche di più… Non credi che sia venuto il mio turno?» sorrise Sam, per nulla turbato.
Questi sbuffò. «Almeno dei fiori, amico. Devi portarmi almeno dei fiori, se vuoi entrare nelle mie grazie».
*°*°*°*°*
Sam era rimasto comunque.
«Il passo a nord per raggiungere la Città dei Maghi sarà inagibile, ormai. Ha nevicato troppo» aveva detto, e Dean sapeva che aveva ragione, ma quella neve era sembrata fin troppo provvidenziale per le intenzioni del suo fratellino.
Ad ogni modo, lui aveva provato tante volte ad immaginarsi come sarebbe stato, ma non avrebbe mai pensato che sarebbe accaduto così.
I mesi erano scivolati via uno dietro l’altro, scanditi da una piacevole routine: i risvegli con Castiel, le lezioni con Crowley, le chiacchierata davanti al fuoco con Sammy - mentre l’ovetto cresceva, cresceva, cresceva, al punto che ovetto non lo si poteva più definire e a Dean veniva quasi da sorridere ricordando quanto fosse stato piccolo all’inizio. Ora era così grande da dover essere per forza preso con due mani e tanto pesante da doverlo sostenere con un braccio, poggiandolo sull’incavo del gomito, come fosse un neonato. Si muoveva, sospinto involontariamente dal piccolo che nuotava dentro di esso, rischiando di rotolare qua e là, e poggiandovi una mano sopra, si riusciva spesso a sentire dei piccoli colpi dall’interno del guscio, come se stesse scalciando.
Anche mantenerlo al caldo era diventato più complicato; era troppo grosso perché lui e Castiel potessero tenerlo tra di loro, a letto, quindi avevano preso l’abitudine di dormire stesi a cucchiaio. L’uovo era un fagotto caldo contro il suo petto e Castiel una pressione bollente contro la sua schiena, mentre le sue ali coprivano tutti e tre come una coperta soffice. Dean era abituato a dormire di schiena e a volte trovava quella posizione terribilmente scomoda, ma non riusciva a lamentarsi nemmeno tra sé, non davvero, almeno, non in un tono che suonasse seccato.
E probabilmente avrebbe dovuto aspettarsi che sarebbe successo, d’altronde sapeva che il tempo era ormai agli sgoccioli e non era altro che una questione di giorni, ma quando sentì il piccolo crack d’avvertimento, si rese conto di essere del tutto impreparato.
Era l’alba, si erano stesi a letto da non più di un quarto d’ora e, forse, se Dean non avesse avuto l’udito di un vampiro, non l’avrebbe sentito. Eppure quel rumore, per quanto lieve, risvegliò in lui un istinto che credeva sepolto da anni: quello che, quando Sammy era piccino, lo faceva scattare anche nel bel mezzo della notte ogni volta che sentiva un minimo cambiamento nel suo respiro.
Spalancò gli occhi e lì abbassò sull’uovo tra le sue braccia, forse preoccupandosi di averlo inconsciamente stretto troppo, e poi accadde di nuovo: crack. Trattenne il respiro e si irrigidì, e Castiel alle sue spalle si mosse preoccupato.
«Che succede?» bisbigliò contro il suo collo.
Dean aprì bocca, ma non ne uscì nulla.
Ci riprovò.
Di nuovo niente.
«Credo che stia arrivando» riuscì a dire al terzo tentativo, con voce strozzata.
«Chi?» chiese il suo angelo, assonnato.
«I-il pulcino» soffiò lui, e si rese conto di star osservando l’uovo come se dovesse esplodere da un momento all’altro.
Castiel si sollevò su un gomito e fece scivolare la mano che teneva sul suo fianco fino al guscio dell’uovo. «Oh» sussurrò. «Ritengo che tu abbia ragione» confermò dopo un momento.
Se Dean aveva avuto sonno, ora era completamente scomparso. «C-che facciamo?»
«Nulla» rispose il compagno, più tranquillo di lui, ma non di molto «Deve farsi strada da solo» spiegò, agitandosi appena contro il suo corpo.
«E non… non possiamo fare nulla per aiutarlo?»
«Sarebbe meglio di no. Possiamo intervenire solo se fra dodici ore vediamo che una parte del guscio è crepata ma lui non riesce a rompere il resto».
«Non mi piace. Questa situazione non mi piace» gli notificò Dean, nervoso. Non era mai stato particolarmente bravo ad aspettare.
Castiel lo strinse di più a sé e gli accarezzò un braccio. «Andrà tutto bene» cercò di rassicurarlo, ma a lui bastava vedere il suo cipiglio per comprendere quanto entrambi fossero preoccupati.
Crack, fece di nuovo l’uovo.
*°*°*°*°*
Furono le ventiquattrore più lunghe della sua vita.
Dean aveva osservato in un paio di occasioni la schiusa delle uova di gallina, quand’era bambino, e quella situazione non fu molto differente. Rompere l’uovo per il pulcino richiedeva una grande fatica, e momenti di grande attività si alternavano ad altri di stasi totale. Lui dovette trattenersi più volte dall’andare lì e fare a pezzi il guscio con le proprie mani.
Ad ogni modo, pian piano, si ruppe. Da prima si crepò per tutta la lunghezza, poi piccoli pezzi di crosta cominciarono a cadere dalla spaccatura, infine - dopo quanto, dieci, dodici ore? - un pugnetto riuscì a rompere la superficie, spaccandola del tutto.
Dean sentì un tuffo al cuore.
Castiel si strinse a lui, mentre lentamente anche il resto del guscio iniziava a cedere, dividendosi in più parti. Alla fine, in mezzo ad una pozza viscosa e a cocci bianchi, apparve un esserino rosa appallottolato. Si avvicinarono con cautela, circondando l’asciugamano di lino su cui era posato, e un momento dopo il piccolo aprì due occhi bluastri - tipici dei neonati - e appiccicosi di… albume?, ed iniziò a piangere come una sirena, ferendo le orecchie del vampiro.
Era… uh, non esattamente carino; in qualche modo gli ricordò proprio i pulcini appena usciti dall’uovo, che - davvero - erano sempre bruttini, all’inizio. Dean non aveva mai assistito alla nascita di un bebè - quella era una cosa da donne! -, ma era abbastanza certo che fosse normale vederlo così sporco. Quello che lo preoccupo e gli strinse il petto in una morsa fu vedere le piccole ali rattrappite che gli spuntavano dalla schiena, simili ad un ammasso di ossicini sottili e cartilagine rosea.
«Cos’ha? Oddio, Cas, perché è così?» esclamò, prima di riuscire a trattenersi. Dovevano chiamare Sam, farglielo controllare, guarirlo, fargli qualcosa, dannazione!
Castiel lo trattenne, abbracciandolo stretto ed imprigionandolo contro il suo petto. «Va tutto bene, Dean, calma, è tutto a posto. È solo il piumaggio bagnato. Dobbiamo lasciare che il tuorlo si assorba da solo, è necessario per le ali, ma va tutto bene. Guardalo, Dean, è sano, sta respirando da solo, sta bene».
«V-voglio prenderlo» smozzicò lui, vedendolo lì, tutto sporco e in lacrime, in mezzo a quei gusci acuminati.
«No, non possiamo» disse ancora l’angelo, gentile, ma con fermezza.
Dean aveva voglia di urlare.
Pochi secondi dopo un tornado a forma di Sam investì la porta della loro camera e la spalancò, rimanendo impalato sotto la cornice a fissare il bebè sul letto ed i due genitori che si facevano forza per non toccarlo.
«Oh. Oh!» boccheggiò, prima di sorridere illuminando la camera a giorno. «I-io… vado a chiamare gli altri» disse dopo aver passato qualche secondo a fissare il pulcino con faccia ebete.
Dean fu tentato di urlargli dietro di non provarci nemmeno, ma ci ripensò quando si rese conto che avrebbe spaventato il bambino. Suo figlio. Cazzo.
*°*°*°*°*
Sei ore dopo, il soggiorno della loro casa era occupato da un mago, un angelo e un vampiro che chiacchieravano attorno al fuoco, sorseggiando idromele - be’, Sam e Balthazar lo sorseggiavano, Crowley perlopiù lo rigirava nel bicchiere facendo cortesemente finta di bere - dopo che Dean li aveva sbattuti fuori dalla camera da letto mezz’ora prima. Da quel che aveva capito, perfino Bobby ed Adam si erano messi in viaggio per venirli a trovare e sarebbero arrivati entro qualche giorno.
Sdraiato sul letto, con Castiel appiccicato ad un fianco, lui osservava il bimbo - sì, era un maschietto - steso sul suo petto nudo, tutto pelle rosea, capelli dorati e batuffolose alette bianche. Dean era innamorato.
Non riusciva a smettere di accarezzargli lievemente la schiena liscia, tentato di punzecchiare il sedere tondo e le gambette paffute. Dio, si sentiva una di quelle mamme fuori di testa che mordicchiavano i piedini dei bambini e facevano versetti assurdi - e, sì, il piccolo aveva dei piedini tozzi, perfetti ed assolutamente adorabili.
Una delle dita affusolate di Castiel era stretta nel pugnetto del pulcino, che lo agitava e gorgogliava, sbatacchiando le ciglia lunghe sugli occhi dal colore ancora indefinito, le alette - be’, -ette si fa per dire; erano piccole confronto a quelle degli angeli adulti, ma in realtà si presentavano lunghe quando l’intera altezza del pulcino, quindi l’apertura alare completa doveva essere più di un metro - stanche che riposavano lungo i fianchi.
Loro due gli avevano fatto il bagno circa un’ora prima ed ora era tutto profumato di sapone e talco per neonati, oltre a quell’odore indefinibile che i bambini avevano solo nei primi giorni di nascita ed un altro molto simile a quello delle piume di Castiel.
Dean faceva ancora fatica a capire dove mettere le mani, al momento era intento ad accarezzare l’attaccatura delle ali del pulcino con una di esse, mentre con l’altro braccio stringeva il compagno. «Dobbiamo trovargli un nome» si rese conto, all’improvviso. Non poteva continuare a chiamarlo pulcino in eterno! Fino a quel momento non ci aveva nemmeno pensato, se non in maniera molto astratta; era stato troppo preso da altre preoccupazioni, ad esempio se fosse sano o no.
«Io ne avrei uno in mente» ammise Castiel, attirando la sua attenzione. «Joel» disse, quando Dean incontrò i suoi occhi «Jo come John, tuo padre. Mentre -el è il suffisso della maggior parte dei nomi angelici, come il mio» spiegò.
Dean sentì la gola chiudersi in un nodo grande quanto una casa. Strinse di più Castiel e passò lo sguardo da lui al loro bambino. «Joel» mormorò, accarezzando i suoi capelli biondi «Che dici, pulcino, ti piace?» domandò, facendo sì che il piccolo voltasse la testolina nella sua direzione, seguendo la sua voce.
Un gorgoglio fu tutto ciò che ricevette in risposta, insieme a qualche bollicina omaggio. Per loro fu più che sufficiente.
*°*°*°*°*
I ritmi di Joel erano del tutto sfasati e Dean vi stava letteralmente impazzendo dietro. Non aveva bisogno di mangiare e dormire con la stessa frequenza di un lattante umano, anzi - comparato a questi - sembrava quasi non averne bisogno, di conseguenza i suoi pasti ed il suo sonno erano sfasati ed imprevedibili.
Per un po’, lui e Castiel avevano considerato la possibilità di prendere una balia, magari umana, se non fosse stato possibile trovarla angelica, ma nessuno dei due era entusiasta all’idea di pubblicizzare l’esistenza di un bimbo così straordinario. Quindi, dopo averci riflettuto, avevano deciso di arrangiarsi come meglio potevano, allungando il latte di vacca - non facilissimo da reperire nella Città dei Vampiri, ma nemmeno così complicato - con acqua. Joel sembrava non avere nulla in contrario.
Due settimane dopo la schiusa, Castiel e Sam decisero di arrischiarsi a portare Joel alla luce del sole. Dean non riuscì a dormire finché, dopo qualche ora, i primi due rientrarono sorridenti e gli rimisero il bimbo tra le braccia, bello e sano come prima, con l’unica differenza di una spruzzata di lentiggini sul nasino uguale a quello di Castiel.
Dean avrebbe potuto piangere di gioia e morire per il sollievo. Quando Joel sbadigliò stanco, con quella bocca a cuoricino, così simile a quella del suo angelo, che formava una “O” sdentata ed i capelli biondi arruffati dal vento, sentì parte del senso di colpa che si portava dentro - per aver contribuito a mettere al mondo una creatura che avrebbe potuto essere maledetta come lui, ed invece era perfetta e bellissima ed era la benedizione più grande che la vita gli avesse mai concesso - evaporare come acqua sul fuoco.
*°*°*°*°*
Joel imparò a volare ancora prima di puntare i piedi per camminare. A sei mesi era un batuffolo bianco che svolazzava qua e là, appendendosi alle ali di Balthazar e sbavando sui capelli di Sam.
«Allora, parliamone,» esordì lo zio angelico, un sera come un’altra, quando venne a trovarli dopo il tramonto, acchiappandolo sotto le ascelle e facendolo sedere sulle proprie ginocchia «non si fa!» concluse corrucciato, puntandogli un dito davanti al visino paffuto.
Serenamente, Joel lo strinse e se lo infilò in bocca, succhiandolo ed usandolo per grattarsi le gengive. La fronte di Balthazar si distese e le sue labbra tremolarono, nel tentativo - fallito in partenza - di non piegarsi in un sorriso.
«Ahio!» esclamò, poco dopo, quando il pulcino si accanì sul suo indice con più decisione. L’angelo lo strappò dalla sua morsa sorprendentemente tenace e, osservandola bene, si ritrovò la seconda falange forata in due puntolini. Joel aveva la bocca sporta di sangue.
Dean, stravaccato sulla poltrona di fronte, sbiancò e Castiel, accanto a lui, si tese come una corda d’arpa. Il vampiro si ritrovò accanto al piccolo ancora prima di rendersene conto, l’energia sovrannaturale che lo faceva scattare più veloce del suo stesso pensiero, e toccò delicatamente la bocca di Joel per fargliela schiudere. Dalle gengive superiori iniziavano a spuntare due piccoli canini a punta.
Dean crollò a sedere sul divano, di fianco a Balthazar, il volto inespressivo, lo sguardo vuoto.
«Ehi, ragazzi, è tutto okay, è solo un graffio» cercò di sdrammatizzare quest’ultimo.
«Andate a chiamare Crowley» replicò Dean, atono.
«Dean…» tentò Sam.
«Ora» ordinò lui, senza guardare nessuno in particolare.
Sam e Balthazar si scambiarono un’occhiata ed uscirono insieme in cerca del suo Master.
«E quindi?» fu l’unica cosa che disse Crowley, dopo aver esaminato la bocca del bambino, che ne aveva già le scatole piene di sentirsi palpeggiare e fece un verso infastidito, scivolando via dalla sua presa ed andando a gattonare sul tappeto.
«E quindi, cosa? Ti sembra normale, forse?» ruggì Dean, che quando si trattava di Joel perdeva completamente la voglia di scherzare.
«Senti un po’, marmocchio, per chi mi hai preso, la Fata Turchina? Cosa vuoi che faccia? Cosa ti aspettavi, da questo moccioso, che fosse tutto piume angeliche e guance maculate? Tu. Sei. Il. Padre. E sei un vampiro. Era ovvio che sarebbe saltato fuori qualcos’altro» scandì, la voce che ascendeva di parola in parola.
Joel, per niente contento del suo tono, si aggrappò ai suoi pantaloni di velluto, fissandolo minacciosamente come solo un lattante di sei mesi può minacciare.
«Sì, parliamo di te» continuò Crowley, puntando lo sguardo all’altezza delle proprie ginocchia «e della tua stupida mamma isterica, che non ricorda che mangi latte e frutta, e quindi non hai necessariamente bisogno di sangue per sopravvivere».
Dean non ebbe il tempo di rispondere o sentirsi in imbarazzo, o fare qualunque altra cosa, perché il pulcino scelse quel momento per lasciare il suo Master e svolazzargli davanti alla faccia, avvinghiandosi ai suoi capelli. Lo abbracciò, senza riuscire a districarsi dalla presa insistente delle sue manine e finendo per fronteggiare quegli occhioni dal colore indefinibile; ognuno aveva detto la sua, su di essi - turchesi, verde petrolio, azzurro carta da zucchero -, ma una cosa sola era sicura: non erano verdi e non erano blu, ma un colore che stava nel mezzo. Verde mare, aveva deciso lui, associandolo all’oceano che aveva visto una sola volta nella vita, profondi e mutevoli come esso.
Castiel li raggiunse, stringendoli a sé e circondando entrambi con le proprie ali, e Joel staccò un pugno dai capelli di Dean solo per chiuderlo sulle piume dell’altro padre. Questi accarezzò i suoi capelli biondi, così simili a quelli del compagno, e Dean capì che, in qualche modo, avrebbero affrontato anche quello. Insieme. Ce l’avrebbero fatta comunque.
FINE.
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