Fandom: Doctor Who/Supernatural.
Pairing/Personaggi: TimeLord!Castiel/companion!Dean, Chuck, Sam, Zhacariah.
Charapter: 1/2.
Rating: Pg-15.
Beta:
koorime_yu (dovere coniugale ♥)
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico.
Warning: DW!AU, Crossover, Slash.
Words: 3695/9316 (
fiumidiparole ).
Summary: Rivisitazione di Doctor Who 5x01 - The Eleventh Our; Nella camera dei piccoli Dean e Sam c’è una strana crepa sul muro, attraverso la quale il primo sente sempre una voce. Una cabina blu precipiterà nel loro giardino ed uno strano tizio che si fa chiamare l’Angelo risolverà il problema… forse.
Note: Scritta su
questo prompt richiesto da
momocas per il
Festival del Crossover di
destiel_italia .
DISCLAIMER: Non mi appartengono, non ci guadagno nulla ù_ù
Angel Who - L’Undicesima Ora
Prima Parte
Mi riconosci?
Ho le scarpe piene di passi,
la faccia piena di schiaffi,
il cuore pieno di battiti,
e gli occhi pieni di te. ¹
Il vento soffiava forte sul giardino di una piccola villetta di Lawrence, in Kansas, piegava l’erba e faceva dondolare le altalene cigolanti. Per il piccolo Dean Winchester, inginocchiato ai piedi del proprio letto, il suono era confortante quasi quanto quello del respiro del suo fratellino, che dormiva nel materasso accanto.
«Caro Babbo Natale…» pregò sottovoce, dando le spalle alla finestra «Grazie per l’elicottero e la Condor. So che ora siamo a Marzo e probabilmente ti avrò svegliato, ma… ho un problema. C’è un crepa nel mio muro» spiegò, lanciando uno sguardo inquieto alla parete in questione. «Lo zio Bobby dice che non è niente, però io sento quella voce. Potresti mandare qualcuno a sistemarla? Un poliziotto, o un…» angelo, magari - concluse tra sé, ma all’improvviso sentì un rumore ritmico ed uno schianto fortissimo provenire dal giardino. «Aspetta un attimo» mormorò riaprendo gli occhi ed affacciandosi alla finestra.
C’era qualcosa di fumante riverso sull’erba: una cabina blu. Strizzò le palpebre per vedere meglio e scorse una luminosa scritta Polizia in cima alla cabina telefonica.
Un sorriso da monello si affacciò sul suo visetto lentigginoso. «Grazie» sussurrò alzando gli occhi al soffitto. Poi afferrò una giacca, una pila e la sua pistola giocattolo, e si precipitò fuori.
Una volta lì, osservò meglio quello strano oggetto; non aveva mai visto una cabina della polizia, prima d’ora. Ma proprio mentre la scrutava, le porte - che in quel momento davano al cielo - si aprirono di colpo, una corda saltò fuori, impigliandosi alla prima cosa che incontrò, poi degli strani rumori si sentirono provenire dall’interno della cabina. Infine, due mani si aggrapparono al bordo ed una testa le seguì, spuntando fuori ed affacciandosi all’esterno con espressione perplessa.
La testa, arruffata e gocciolante, apparteneva ad un uomo sulla trentina, che si accigliò nell’osservarlo. «Ciao» esordì incerto.
Istintivamente, Dean gli aveva puntato la pistola addosso, ma la sua presa vacillò per la sorpresa. «Stai bene?» gli domandò confuso.
«Sì. Ero finito in libreria» spiegò quello, issandosi sul bordo e guardando verso l’interno della cabina. «È stata una lunga scalata».
«Sei bagnato fradicio» gli fece presente il bambino.
«Sono caduto in piscina» spiegò l’uomo, riportando lo sguardo serio su di lui. Indossava una camicia e dei pantaloni dal taglio classico strappati e bruciacchiati, la cravatta gli pendeva lasca e storta dal collo, aveva capelli scuri e scarmigliati, e due grandi occhi blu dal malinconico taglio all’ingiù.
«Ma hai detto che eri in libreria» obbiettò il più piccolo.
«La piscina è nella libreria» chiarì lo sconosciuto, e non sembrava affatto scherzare.
«Sei un poliziotto?» lo interrogò Dean seccato, incrociando le braccia al petto, stanco di perdere tempo.
«Hai chiamato un poliziotto?» domandò quello di rimando.
«Sei qui per la crepa nel mio muro?» sbuffò quindi il bambino con sguardo indagatore.
«Quale crepa?» ribatté l’altro, inclinando il capo in una posa innocente quanto quella del suo fratellino, però poi gemette e perse l’equilibrio, crollando a terra.
«Tutto okay?» chiese per la seconda volta il ragazzino e si avvicinò allo strano tizio, che nel mentre si tirò sulle ginocchia.
«No. Ma non preoccuparti…» tossì e una strana nuvola dorata evaporò dalla sua bocca. «Succede sempre. Tra poco starò bene» lo rassicurò fissandosi le mani, dalle quali s’innalzò altro vapore luminescente.
«Bizzarro» osservò Dean. «Chi sei?» Non sembrava pericoloso, ragionò.
«L’Angelo» rispose lo sconosciuto, ricevendo in cambio un’occhiata stranita, poi il bambino aggrottò la fronte, infastidito.
«Non prendermi in giro. Gli angeli non esistono, sono solo storie. E poi quale angelo? Non ce n’è mica solo uno»
«Solo l’Angelo» replicò lui. «Hai una mela? Credo di averne una voglia matta. Ed è strano, non ho mai avuto una voglia matta, prima d’ora» continuò come se nulla fosse.
Confuso, ma sotto sotto divertito, Dean guidò l’uomo dentro casa. «Se sei un angelo, perché sulla tua cabina c’è scritto Polizia?» lo interrogò offrendogli il frutto richiesto.
Questi lo afferrò e lo morse, salvo poi sgranare gli occhi e mandare giù il boccone con l’aria di aver appena inghiottito una medicina amara. «Che cos’è?» replicò tossicchiando.
«Una mela» rispose il bambino con tono d’ovvietà.
«Spiacevole. Assolutamente spiacevole» concluse l’Angelo, gettandola nel cestino lì vicino.
«Sei stato tu a volerla» s’indispettì il più piccolo.
«Bocca nuova. Non so più quello che voglio» asserì l’uomo, guardandosi attorno con attenzione. «Friggi qualcosa. Sai farlo?»
«Certo che so farlo, ma parla a voce più bassa o sveglierai Sammy» lo rimproverò il bambino.
«Chi è Sammy?» chiese l’Angelo, mentre il ragazzino iniziava a cuocere del bacon.
«Il mio fratellino» rispose spiccio quest’ultimo, servendogli la pietanza qualche minuto dopo.
Con espressione curiosa, il suo nuovo amico ne assaggiò un pezzettino, masticò con entusiasmo… e lo sputò nel fazzoletto un attimo dopo. «Disgustoso» biascicò con un smorfia.
«Fagioli» sussurrò attento, alle spalle di Dean, sorvegliando la cottura mentre lui li bolliva in pentola. Il ragazzino, infastidito dal sentirselo tanto appiccicato addosso, fu vicino a rimproverarlo; gli metteva ansia sentirsi sorvegliato così.
Inutile dire che, dalla bocca di quello strano tizio, i fagioli finirono nel lavandino pochi minuti dopo. «Cattivi, fagioli cattivi» biascicò, guardando il bambino a mo’ di ammonimento.
«Pane e burro…» occhieggiò poi Dean con fare fiducioso, spalmandone una generosa dose su una fetta di pancarré, ma lui gli restituì una sguardo scettico. E non si era sbagliato.
Mezzo minuto dopo, infatti, l’adulto sibilò al panetto di burro: «Non tornare più!» gettandolo fuori di casa insieme a pagnotta e piattino.
«Abbiamo… delle carote» tentò il suo piccolo amico, controllando il frigo.
«Vuoi avvelenarmi?» replicò l’Angelo serio.
«Senti un po’, perché non ti arrangi?» sbuffò Dean seccato.
«Okay » asserì lui prendendo il suo posto davanti al refrigeratore, e poco più tardi si trovava di nuovo al tavolo ad immergere bastoncini di pesce soffritti in una terrina piena di crema pasticcera, con un accenno di sorriso soddisfatto ad incurvargli le labbra morbide.
«Buffo» commentò Dean, facendogli compagnia mangiando del gelato direttamente dalla scatola.
«Buffo…» ripete l’uomo. «Buffo è buono. Come ti chiami?» gli chiese finalmente.
«Dean Winchester» si presentò il bambino.
«Dean Winchester… è un nome da duro» considerò, facendo sorridere il suo piccolo amico. «E dove sono i tuoi genitori? Li avremmo svegliati a quest’ora, anche se abbiamo cercato di fare piano» osservò poi, alzando lo sguardo verso il soffitto, oltre il quale doveva trovarsi
la zona notte.
«Sammy ed io non abbiamo più dei genitori. Solo lo zio Bobby» spiegò Dean.«Io nemmeno quello» confidò l’uomo.
«Zio Bobby è okay, è forte» replicò il bambino.
«E dov’è, allora?» chiese l’Angelo.
«Fuori» rispose Dean scrollando le spalle.
«E vi lascia qui da soli?» replicò l’adulto, inclinando la testa in quel modo che Dean comprese essere un suo tratto distintivo.
«Non ho paura» si accigliò lui.
«Certo che no. Una cabina blu precipita nel tuo giardino, uno sconosciuto salta fuori e mangia pesce con la crema, ma tu sei lì, imperturbabile. Quindi, sai cosa penso?» ribatté l’Angelo.
«Cosa?» gli diede corda il ragazzino.
«Che quella crepa deve essere davvero spaventosa» concluse serissimo e un’ombra di terrore attraversò per la prima volta i grandi occhi verdi di Dean.
Poco dopo, quando salirono di sopra, il bambino si mise un indice davanti alla bocca intimandogli il silenzio, prima di schiudere la porta della camera, rischiarata da un abat-jour. Si avvicinò ad uno dei lettini, dove sotto le coperte s’intravedeva un piccolo fagotto, e l’Angelo lo seguì per vedere una piccola testolina bionda posata sul cuscino.
Il ragazzino sistemò meglio la coperta, dopo essersi assicurato che il fratellino dormisse sereno. «Facciamo piano» mormorò in raccomandazione all’adulto, prima di tirarlo dall’altra parte della stanza, dov’era la crepa.
L’uomo la scrutò, ma Dean gli tirò la manica per richiamare di nuovo la sua attenzione. «Quand’ero piccolo…» sussurrò, tirandolo giù per potergli parlare all’orecchio «non mi piacevano le mele, così la mia mamma ci disegnava sopra una faccina per farmele mangiare» raccontò, mettendone una in mano all’amico, accovacciato davanti a lui per essere alla sua stessa altezza.
L’Angelo osservò gli occhietti e la bocca sorridente scavati nella buccia del frutto, e posò gentilmente un palmo sulla sua spalla. «La tua sembra proprio una brava mamma» asserì «Lo conservo per dopo» aggiunse, infilandoselo in tasca, prima di rimettersi in piedi con un movimento fluido ed elegante, ed esaminare la crepa, sondandola con una strana bacchetta metallica ronzante.
«Che cos’è?» bisbigliò Dean, lanciando uno sguardo apprensivo al lettino occupato da Sammy, preoccupato che il rumore infastidisse il suo sonno. Ma il bimbo continuò a dormire sereno, con il tipico sonno pesante della sua età.
«Un cacciavite sonico» spiegò l’adulto, controllando qualcosa segnata sulla bacchetta. «Interessante» sentenziò poi.
«Cosa?» lo interrogò Dean.
«Il muro è solido» dichiarò bussando lievemente sopra e sotto la spaccatura che lo attraversava. «Se anche lo buttassimo giù, la crepa resterebbe, perché non è qui».
«E allora dov’è?» chiese il maggiore dei Winchester confuso.
«Ovunque» mormorò l’Angelo nascondendo uno sguardo allarmato. «È uno strappo nel tessuto del tempo. Due realtà che s’incontrano e spingono l’una contro l’altra».
«Non ho capito» ammise il bambino.
«Non importa, non lo capisco nemmeno io» gli assicurò l’amico distrattamente. Poi prese un bicchiere d’acqua dal comodino, bevve quella che era rimasta e lo posò capovolto contro la parete, avvicinando l’orecchio per ascoltare.
«Il Prigioniero Zero è fuggito» udì una voce metallica provenire dall’altra parte.
«Il “Prigioniero Zero”?» ripeté perplesso l’uomo.
«“Il Prigioniero Zero è fuggito”. È quello che sento sempre, ma che vuol dire?» intervenne Dean.
«Che oltre questa crepa c’è una prigione spaziale e hanno perso un detenuto. Vogliamo dare un’occhiata?» propose.
«Cosa succederà?» replicò Dean, con la classica intuitività dei bambini.
«Dovrebbe richiudersi, se va tutto per il verso giusto».
«Altrimenti?»
«Gli adulti spesso dicono che andrà tutto bene, ma tu sai che mentono, vero?» ribatté l’Angelo.
«Sì» sbuffò il piccolo imbronciato.
«Andrà tutto bene, Dean» sussurrò allora l’altro, offrendogli la mano ed un accenno di sorriso. Il ragazzino la strinse, poi l’amico puntò il cacciavite verso la spaccatura e questa si aprì, pochi secondi dopo un occhio enorme si affacciò da essa, sondandoli con attenzione. Qualcosa di luminoso uscì dalla crepa, poi questa semplicemente si richiuse. Senza lasciare traccia.
«Cos’è successo?» chiese Dean, cercando di non sembrare spaventato, anche se lo era e tanto. «Cos’era quello, il Prigioniero Zero?»
«La sua guardia. Ci ha lasciato un messaggio sulla mia Carta Psichica» spiegò l’Angelo, estraendo da una tasca qualcosa che somigliava ad un distintivo da poliziotto, ma bianca. «Il Prigioniero Zero è fuggito» lesse. «Perché lo dice a noi? Pensa che sia scappato qui, ma se così fosse, ci saremo accorti della sua presenza. Ho visto qualcosa…» ragionò, cercando di vedere quel qualcosa con la coda dell’occhio, come se fosse al margine del suo campo visivo «… ma cosa?»
Tuttavia, la sua concentrazione venne spezzata da un rumore ritmico ed ansimante, che lo fece sussultare. «No-no-no» sussurrò precipitandosi fuori dalla stanza e poi giù per le scale.
Il bambino lo seguì più veloce che poté e frenò bruscamente mentre lui recuperava la corda e si arrampicava sulla cabina rovesciata.
«È ancora in fase critica. Se non sistemo i motori, brucerà» spiegò, rimanendo a cavalcioni sull’orlo.
«Ma è solo una cabina!» obbiettò Dean.
«È una macchina del tempo» spiegò l’Angelo.
«Sul serio?» chiese sorpreso e, quando l’uomo annuì con quella sua faccia monoespressiva, domandò: «Posso… possiamo - Sammy ed io - venire con te?»
«Non ancora, sarebbe troppo pericoloso. Tra cinque minuti» replicò l’amico. «Torno presto» gli assicurò, ma il ragazzino s’incupì.
«Dicono tutti così, ma non lo fanno mai» asserì con uno sguardo troppo adulto per la sua giovanissima età.
«Io ti sembro tutti?» replicò l’Angelo accigliato, inclinando di nuovo il capo in quel modo a cui Dean iniziava ad affezionarsi. «Cinque minuti» ripeté, prima di lasciarsi cadere di nuovo all’interno.
Il ragazzino percepì un rumore di spruzzi, come se si fosse tuffato in acqua, poi girò sui tacchi e corse in casa, fermandosi davanti al lettino del fratello con una lunga scivolata. «Sammy… Sammy!» chiamò, scuotendolo gentilmente per svegliarlo. «Alzati, andiamo via!» esclamò entusiasta quando il piccolo aprì due occhioni verdi gemelli dei suoi.
«Dove?» chiese quest’ultimo, stropicciandosi le palpebre, mentre il fratello maggiore prendeva una valigetta da sotto il proprio letto e v’infilava un cambio d’abiti per entrambi.
«Metti la giacca» ordinò, aiutandolo ad infilarla sopra il pigiamino, prima di chinarsi ad allacciargli le scarpe. Poi afferrò la sua manina e la valigia e scese di nuovo giù, raggiungendo il punto davanti al quale era atterrata la cabina, e poggiando la valigia a terra per sedersi su di essa.
«Cos’è successo al capanno?» chiese Sammy, osservando la piccola costruzione che era stata distrutta dall’astronave precipitata.
Quindi Dean, con un sorriso smagliante, gli raccontò cos’era accaduto, guardando i suoi occhi riempirsi di meraviglia.
«Dici davvero?» domandò il più piccolo estasiato.
«Ti mentirei mai?» replicò lui.
«Perché non mi hai svegliato?» s’imbronciò allora il fratellino.
«Perché diventi lagnoso, se non ti lascio dormire» rispose il maggiore.
«Non è vero!» si lamentò Sammy.
«Ecco appunto» concluse Dean con un ghigno da monello, facendo accentuare il suo broncio, poi se lo tirò vicino, lasciandogli spazio sulla valigia. «Cinque minuti. Ha promesso» sussurrò fiducioso. Ma passarono quei cinque, poi altri dieci, e mezz’ora dopo l’Angelo non era ancora tornato.
«Dean, ho freddo» biascicò il bambino con la testa ciondolante di sonno.
Lui gli passò un braccio attorno alle spalle, portandolo più vicino e coprendolo un po’ con la propria giacca. Sammy si addormentò sul suo petto, mentre lui aspettava, aspettava, aspettava.
*°*°*°*°*
Il giardino della villetta di Lawrence era tranquillo ed assolato, quando la cabina blu vi atterrò di nuovo. L’Angelo spalancò le porte della nave, quasi senza notare che fosse ormai giorno, e raggiunse la porta di casa, aprendola con il suo cacciavite sonico e correndo su per le scale.
«Dean! Dean Winchester!» chiamò, preoccupato «Ho capito cos’era. Devi uscire subito da qui. Porta Sammy fuori da qui!» continuò una volta raggiunta la cameretta dei bambini, cercando di aprire anche quella, ma non ebbe la fortuna sperata. Fece a malapena in tempo a percepire una presenza dietro di sé, poi venne abbattuto da un deciso colpo di mazza da cricket.
*°*°*°*°*
L’infermiere osservò il dottore controllare i parametri del paziente e, subito dopo che questi constatò che era tutto regolare, si vide rivolgere un’occhiata sarcastica.
«Mi ricordi in che reparto siamo, signor Winchester» lo sollecitò l’uomo di mezz’età.
Lui lo detestava, davvero. Zhacariah il Viscido, così lo chiamava tutto il personale, e per un buon motivo.
«Reparto comatosi, signore» rispose il ragazzo, mordendo le parole tra i denti.
«Allora mi spieghi come, in nome del cielo, lei può sostenere che quest’uomo abbia parlato. Si diverte a farmi perdere tempo?»
«No, signore» replicò conciso. «Ma l’ha fatto. E io l’ho visto fuori di qui».
«Lei è un bravo infermiere, Sam Winchester, ma ora sta esagerando. La sorveglianza dell’ospedale è ottima e in nessun modo una di queste persone avrebbe potuto lasciare l’edificio».
«Guardi» ritentò Sam porgendogli il proprio cellulare.
«Ora perché mi sta dando il suo telefono?» domandò il Viscido seccato.
«È anche un videofonino, signore» spiegò il ragazzo, cercando di mantenere la pazienza.
«Angelo…» intervenne una terza voce.
«Come ha detto?» domandò il dottore.
«Non sono stato io, signore» ribatté l’infermiere, voltandosi verso l’uomo steso sul letto e percependo un brivido gelido inerpicarsi su per la propria schiena.
«Angelo…» ripeté la donna nel materasso accanto, facendoli sussultare entrambi.
Un attimo dopo tutti i pazienti del reparto chiamavano quel nome: «Angelo… Angelo… Angelo…»
Il Viscido si affrettò a ricontrollare i parametri, ma nulla era cambiato, a parte le bocche che si muovevano.
«Signore…» tentò ancora Sam, indicandogli di nuovo il proprio cellulare, ma in quel momento il cercapersone del medico squillò e questi fece una smorfia irritata.
«Si prenda una vacanza, signor Winchester» ordinò.
«Ma…» cercò d’obbiettare il ragazzo.
«Ora!» concluse il dottore infastidito, lasciando il reparto ed affrettandosi verso il suo prossimo impegno.
*°*°*°*°*
La luce gli pugnalò gli occhi quando socchiuse le palpebre, rinvenendo dopo un tempo indefinito. L’Angelo scosse il capo, frastornato, e una fitta lancinante gli trapassò la testa.
Aveva l’impressione che qualcuno l’avesse chiamato con insistenza e ci mise quasi un minuto a ricordare dove fosse e perché si trovasse lì, poi tentò di alzarsi con un scatto fulmineo, ma ricadde indietro, trascinato da un contraccolpo, a causa del proprio polso ammanettato ad un termosifone.
«Ma cosa…» mugugnò, ricordando solo in quel momento - quando una fitta gli trapanò una tempia - di essere stato steso da una mazza da cricket.
«Richiedo rinforzi. Uomo bianco, sulla trentina, statura media. Si è al 22 di Amelia Street» asserì una voce e l’Angelo riuscì a distinguere davanti a sé la figura di un poliziotto che parlava in una ricetrasmittente. «Fossi in te non mi muoverei, amico» gli intimò quest’ultimo.
«Cos’è successo? Dov’è Dean?» domandò lui, ancora confuso.
«Dean?» replicò l’agente, accigliandosi.
«Sì, Dean Winchester, il ragazzino. Devo avvisarlo, dobbiamo uscire subito di qui» spiegò il Signore del Tempo.
«Non abita più qui, se n’è andato sei mesi fa» asserì l’agente.
«Sei mesi? No, non è possibile. Gli avevo promesso cinque minuti, non posso essere in ritardo di sei mesi» asserì lui con aria quasi minacciosa. «Liberami» ordinò poi.
«Non penso proprio. Ti sei introdotto in casa mia» replicò l’altro.
«Ma tu sei un poliziotto» constatò l’Angelo perplesso.
«Sì, e abito qui. Problemi?» replicò quello in tono di sfida.
«Ascoltami, non c’è tempo da perdere. Siamo in pericolo. Quante porte ci sono qui?» domandò spiccio.
«Cosa?!» ghignò quello incredulo.
«Avanti, contale per me» lo incitò l’alieno.
«Cinque» asserì il poliziotto «Uno, due, tre, quattro, cinqu…» iniziò a contarle, indicandole una per una, ma venne interrotto.
«Sei» asserì l’Angelo.
«Non dire stronzate. Sei cieco? Ci sono solo cinque stanze, qui» sbuffò l’agente.
«Sono sei. Guarda meglio».
«Dove?»
«Alle tue spalle, proprio dove non vuoi vedere. Usa la coda dell’occhio» suggerì serissimo, tanto che il ragazzo si sentì costretto a dargli ascolto.
«Ma… ma cosa diavolo…» boccheggiò quando vide finalmente la sesta porta.
«C’è un filtro di percezione che ti impedisce di vederla, anche se è sempre stata lì» spiegò il Signore del Tempo. «Fermati!» sbottò, quando lo vide avvicinarsi all’uscio “appena apparso”.
«Non è possibile, abito qui da sempre…» lo sentì borbottare.
«Ho detto: fermati. È pericoloso!» cercò di richiamarlo. «Dov’è il mio cacciavite?» si domandò poi, frugandosi nelle tasche con la mano libera e strattonando furiosamente le manette quando non lo trovò. «Liberami!» comandò di nuovo.
«Ho perso la chiave…» mormorò quello distratto, mentre apriva e oltrepassava la porta.
«Dov’è finito? È argentato, con la punta blu» il ragazzo udì l’intruso da lontano, ma lo stava ascoltando a malapena, troppo intento ad osservare quella stanza cadente e semi-vuota che non aveva mai visto prima. Poi notò qualcosa in cima all’unico mobile che occupava la stanza.
«D’argento, punta blu, hai detto?» gridò all’indirizzo dell’altro uomo.
«Sì!» esclamò quello di rimando.
«È qui» asserì allora.
«Sarà rotolato sotto la porta» considerò l’intruso.
«Sì, e poi ha fatto un salto sul tavolino» ironizzò il poliziotto teso.
L’Angelo si sentì ghiacciare. «Esci! Esci subito da lì!» urlò.
L’agente si allungò a prendere il cacciavite e ritrasse istintivamente le dita. Era ricoperto da una sostanza viscida. Reprimendo il disgusto, lo afferrò usando solo i polpastrelli, poi avvertì una presenza alle proprie spalle e rabbrividì. Ma quando si voltò non vide nulla.
«Cosa diavolo c’è qui?» ringhiò voltandosi da una parte all’altra, continuando a sentire quella sensazione spiacevole.
«Non guardarlo! Se si accorge che l’hai visto ti ucciderà!» lo avvertì il Signore del Tempo.
«Dove accidenti è?» sbottò lui.
«Con la coda dell’occhio» gli ricordò l’uomo.
Contro ogni buon senso, il ragazzo seguì il suo consiglio e lo vide: un lungo, enorme e disgustoso serpente d’argento, che sfoderò una chiostra di denti affilatissimi. Sopprimendo un urlo e sibilando un’imprecazione corse più veloce che poté e si chiuse la porta alle spalle, lanciando il cacciavite all’Angelo quando questo lo richiamò con un cenno.
Subito lui si affrettò a chiudere la porta a chiave, poi cercò di liberarsi.
«Lo fermerà?» domandò il poliziotto.
«Gli alieni mutaforma non sono famosi per aver paura del legno» replicò l’altro atono, tentando di aprire le manette, ma il cacciavite aveva qualcosa che non andava.
«Alieno? È di questo che si tratta?» replicò l’agente incredulo.
Lui non si sprecò a rispondere, troppo occupato a sorvegliare la porta e a tentare di far funzionare quell’aggeggio. «Scappa. I rinforzi stanno arrivando» gli ricordò.
«No, non sta arrivando un bel niente» ringhiò il ragazzo.
«Ti ho sentito chiamarli» obbiettò l’altro, portando lo sguardo su di lui.
«Sono uno spogliarellista!» sbottò quest’ultimo, spalancando le braccia e mostrandogli il manganello che… be’, non era affatto un manganello. Gettò via il berretto del costume, mostrando una zazzera di capelli castano chiaro, quasi biondi, che insieme a quegli occhi incredibilmente verdi e alla spruzzata di lentiggini sulle guance ricordarono all’Angelo qualcuno. Ma chi?
Non ebbe tempo di pensarci, però, perché la porta di spalancò e ne uscì… un uomo con un cane.
«Ma è…» iniziò il giovane incerto.
«No. Guarda bene i loro volti» lo indirizzò l’intruso e solo allora il padrone di casa si accorse che l’animale era zitto, mentre a ringhiare era quel tizio.
«Che diavolo…?» riprese in un ansito.
«È un’unica entità in due corpi» spiegò l’Angelo a bassa voce, poi si rivolse all’alieno: «Ottimo costume. Ma hai confuso la voce. Dove l’hai preso? Serve un collegamento psichico costante, per una cosa del genere».
Ma il mutaforma non ebbe tempo di rispondere, perché una voce metallica, proveniente dall’esterno, li distrasse: «Il Prigioniero Zero deve lasciare la residenza umana, o la residenza umana verrà incenerita».
«Cosa?!» sbottò lo spogliarellista.
«Il Prigioniero Zero deve lasciare la residenza umana, o la residenza umana verrà incenerita» ripeté quella voce.
Intanto l’Angelo continuò a scuotere il cacciavite, mentre l’alieno si diresse ad una delle finestre delle camere per controllare l’esterno. Finalmente l’aggeggio riprese a funzionare e l’uomo riuscì a liberarsi, quindi afferrò il polso del ragazzo e ordinò: «Corri!» tirandolo via con sé.
Riuscirono a raggiungere il TARDIS, ma quando cercò di aprire le porte le trovò bloccate. «No, per favore!» sbottò, battendo i pugni contro i pannelli della cabina. «Si sta ancora ricostruendo, non ci fa entrare» dichiarò frustrato.
«Che cazzo succede?!»
«C’è un alieno in casa tua e la sua guardia vuole bruciarla per essere certo che non scappi ancora» spiegò servizievole.
«Il Prigioniero Zero deve lasciare la residenza umana, o la residenza umana verrà incenerita» tornò ad avvisarli quella voce metallica, come a dargli conferma.
«Muoviti!» esclamò il ragazzo e stavolta fu lui ad afferrarlo per un braccio e trascinarlo via, prendendo in mano la situazione, ma l’Angelo notò qualcosa.
«Aspetta un attimo. Il capanno, lo avevo distrutto» osservò gelandosi.
«Ora ce n’è uno nuovo» replicò il ragazzo spiccio.
«No, non è possibile, deve avere almeno quindici anni» stimò, poi lo scansionò con il cacciavite sonico. «Diciotto. Sono passati diciotto anni. Perché hai detto sei mesi?» concluse, quasi come un accusa.
«Il Prigioniero Zero deve lasciare la residenza umana, o la residenza umana verrà incenerita».
«Sbrigati!» sbuffò quello, cercando di portarlo via.
«Questo è importante. Rispondi! Perché hai detto sei mesi?» ripeté.
«E tu perché cazzo hai detto cinque minuti?!» urlò il ragazzo esasperato, pietrificandolo.
«Cosa?» ansò l’Angelo sconvolto e lui riuscì finalmente a trascinarlo via.
¹.
Le Tasche Piene di Sassi - Javanotti.
Capitolo sucessivo:
Seconda Parte.
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EFP;