Libere Associazioni
La strada è sempre decisa, non però in senso fatalistico. Sono il nostro continuo respirare, gli sguardi, i giorni che si susseguono a deciderla naturalmente.¹
Tutto era cominciato il primo fine settimana estivo dopo la chiusura di Hogwarts. Il caldo era insopportabile nonostante fosse pomeriggio inoltrato, e la campagna di Godric’s Hollow sembrava incendiata dal tramonto.
Teddy era passato a casa Potter dopo il proprio turno di lavoro ed aveva trovato James in garage, a lucidare la sua nuova moto, già insopportabilmente splendente. Be’, “nuova” si fa per dire; era la vecchia moto volante appartenuta a Sirius Black, che Harry gli aveva appena ceduto, a patto che la sistemasse e se ne prendesse cura da solo, ed il suo migliore amico lo faceva con assiduità quasi religiosa.
Gli offrì una lattina di coca-cola che aveva acquistato prima di arrivare e Jamie l’accettò entusiasta; adorava quella bevanda babbana.
«A cosa devo la sua augusta presenza, Messer Lupin?» motteggiò, alitando sulla carrozzeria e passandovi di nuovo sopra un panno morbido.
«È sabato» gli ricordò lui; ogni weekend estivo, da che avesse memoria, lo aveva sempre passato lì a casa Potter o alla Tana, quando tutti i cugini andavano a trovare nonna Molly. «Ma se ti disturbo…» aggiunse, facendo finta di andarsene, e l’amico l’agguantò subito per una caviglia, rischiando di farlo finire faccia a terra.
«Dammi una mano, va’» sbuffò il ragazzo, dandosi arie da lavoratore sfiancato.
Ted gli strappò lo stracciò umido di mano per lanciarglielo in faccia. Poi, mentre l’amico ancora sputacchiava detersivo, annunciò: «Ho deciso di trovarmi un appartamento».
«E che ne farai della casa di tua nonna?» replicò James confuso.
«La venderò. È troppo grande per me, non riesco a starle dietro» spiegò lui.
Due anni prima sua nonna Andromeda era andata a vivere in Francia insieme alla sorella Narcissa, con la quale aveva fatto pace dopo la fine della Seconda Guerra Magica.
«Non ho più l’età per pulire questo posto da cima a fondo, poi tu sei sempre al lavoro ed io resto sola quasi tutto il giorno. Andrò a Parigi con Cissy; saremo due tenere vecchiette che si tengono compagnia a vicenda e fanno lo sgambetto ai giovanotti» gli aveva detto una mattina a colazione, senza interessarsi nemmeno più di tanto al suo parere. «E guai a te se verrai a trovarmi troppo spesso!» lo aveva minacciato.
«Hai già trovato qualcosa d’interessante?» gli chiese allora James, riportandolo al presente.
«Non ancora. Gli affitti a Londra sono molto alti, sia nella parte magica che in quella babbana, ma vendendo la casa non dovrei avere problemi» rispose Ted.
«Potremmo cercarlo assieme - Albus è insopportabile, devo liberarmene in qualche modo - e dividere l’affitto» propose Jamie.
«Uhm…» mugugnò lui, prendendosi qualche minuto per ponderare l’idea, mentre tormentava l’orlo sfilacciato di un polsino. Non sarebbe stato male, in fondo loro due vivevano già praticamente in simbiosi.
Ma forse l’altro fraintese il suo comportamento e lo considerò come una ricerca delle parole giuste per rifiutare l’offerta senza offenderlo, perché all’improvviso s’incupì e borbottò: «Certo, se preferisci stare per conto tuo…»
«Eh? No, sarebbe fantastico!» gli assicurò.
«Davvero?!» esclamò il giovane Potter illuminandosi.
«Sì» sorrise lui.
«Cosa sarebbe fantastico?» li interruppe una voce, prima che Harry James Potter, Capo Auror ed arcinoto Salvatore del Mondo Magico, facesse capolino in garage, ancora bardato dalla divisa d’ordinanza.
«Abbiamo deciso di trovarci un appartamento» lo informò il maggiore dei suoi figli.
«Uhm…» fece il padre, individuando un filo scucito sull’orlo della propria manica ed iniziando a giocarci, mentre s’immergeva nei propri pensieri.
Seriamente, delle volte a Teddy faceva un po’ paura il riconoscersi in quegli atteggiamenti.
«Sto morendo di fame» asserì il più vecchio di punto in bianco. «Andiamo a mangiare» concluse con un sorriso, e lui non fece più caso al suo bizzarro comportamento sino a dopo cena, quando Harry si presentò in camera di James, dove si erano rifugiati per vedere un film in santa pace.
«Ho una cosa per voi» annunciò, porgendo loro una vecchia pergamena dall’aria ufficiale.
Srotolandola, i due ragazzi scoprirono che era l’atto di proprietà di un appartamento nella Londra babbana, intestato a Sirius O. Black e Remus J. Lupin.
Passarono lo sguardo stupito dal documento all’uomo, che si affrettò a spiegare: «L’ho trovato dopo la fine della guerra, quando ho avuto il tempo di controllare tutti i beni lasciatimi dal mio padrino ed allora… be’, Remus era già morto e tu, Teddy, eri troppo piccolo. Non mi serviva, quindi l’ho conservato e l’avevo dimenticato, finché il vostro discorso non me l’ha ricordato» sorrise indulgente alla meraviglia che illuminò i loro visi, ma si affrettò ad aggiungere: «Vi avverto: non ho mai visitato quell’abitazione, perciò non ho idea delle condizioni in cui versi, ma se si può risistemare e ve ne occuperete voi, è tutto vostra» concesse. «D’altronde sarebbe di Ted a prescindere, ma tu…» aggiunse indicando suo figlio ed assottigliando lo sguardo «sarà tua solo se ti renderai utile e non ci causerai problemi».
«Ricevuto!» esclamò Jamie, tirandosi in piedi ed imitando il saluto militare. «Tranquillo, papà, non sono più un moccioso e ci tengo troppo a questa cosa» lo rassicurò poi, sgonfiandosi.
«Bene» assentì Harry «Allora domani fate un salto alla Gringott e chiedete ai folletti di farvi avere le chiavi dell’appartamento» concluse con un occhiolino, prima di lasciare la stanza, e ridacchiando appena fuori dalla porta, quando sentì il figlio esplodere in un grido entusiasta.
«Oh Merlino, è fantastico!» urlò infatti James, saltando con le braccia al cielo, prima di gettarsi su Lupin che, ancora seduto sul letto, gli sorrideva a trentadue denti.
Avrebbe visto l’appartamento di suo padre, realizzò questi. Quasi non riusciva a pensare ad altro, quando l’amico lo investì, soffocandolo con i suoi capelli incasinati ed il delizioso profumo di cioccolato della sua pelle - quasi.
*°*°*°*°*
La casa era all’ultimo piano di un vecchio edificio - più una mansarda che un appartamento, in effetti - sopra un magazzino di carne in scatola, e vi si accedeva salendo con un montacarichi. La prima cosa che Teddy pensò fu che era troppo piccola, quasi claustrofobica, e la spessa patina di polvere che negli anni si era poggiata su tutto non faceva che acuire quest’impressione. Poi si chiese come avessero potuto ben due persone vivere per anni in un posto così.
Ingresso, soggiorno e cucina erano un unico ambiente: l’angolo per i fornelli ed il lavello erano alla sinistra della porta, vicino ad un minuscolo tavolo per due; dall’altra parte, invece, c’era un divano a due posti di fronte ad un camino. La porta in fondo portava all’altrettanto stretta camera da letto - due letti singoli lì non ci sarebbero mai stati - ed al bagno adiacente. La carta da parati doveva aver avuto un fantasia deprimente già in passato ed ora, gonfia di umidità e muffa com’era, era semplicemente orrenda. Il pavimento doveva essere di cotto e d’estate sarebbe diventato caldo in maniera insopportabile, ed il soffitto aveva bisogno di una bella rinfrescata.
«È…» cominciò Ted.
«Fantastica!» concluse James, interrompendolo prima che lui potesse dire ciò che davvero pensava.
Gli gettò un’occhiata obliqua, ma i suoi occhi scuri brillavano di entusiasmo e Lupin si chiese cosa diamine vedesse che lui non aveva colto.
«Non riusciremo mai a vivere in due, qui» cercò di fargli notare, ma l’amico non lo ascoltava.
Si era già diretto al centro della stanza, dove campeggiava una grande finestra a vasistas ed aveva allungato un braccio per spalancarla e fare entrare un po’ d’aria fresca.
«Certo che ce la faremo, Teddy! Siamo capaci di vivere per mesi rinchiusi nella mia stanza, che è la metà di questo posto, figurati qui» replicò, prima di zampettare verso la camera da letto. E lui non poté dargli tutti i torti, quindi lo seguì.
«Visto? Due letti non ci staranno» insisté però.
Jamie scrollò le spalle. «Potrei comprare un divano-letto» osservò. «Ho un po’ di soldi da parte e quello che c’è qui è comunque da buttare. Con il montacarichi e la magia sarà un gioco da ragazzi portarlo su».
A quel punto non gli restò altro che alzare gli occhi al cielo ed arrendersi con un sospiro.
«Non è rimasto nulla qui» notò deluso; sperava di riuscire a trovare qualcosa che fosse appartenuto a suo padre.
«Probabilmente hanno portato via tutto prima di lasciare l’appartamento» ipotizzò Potter. Gli diede una leggera spallata d’incoraggiamento. «Immagina come sarà una volta che l’avremo pulito e ritinteggiato» lo incitò, come se potesse già vedere davanti ai propri occhi il lavoro concluso, e davanti a quel sorriso malandrino lui non poté che sorridere a sua volta.
*°*°*°*°*
I lavori iniziarono una settimana dopo, non appena Ted riuscì ad ottenere qualche giorno di ferie. Essere il figlioccio del proprio capo a volte si rivelava utile.
James, essendosi appena diplomato, aveva più tempo da dedicare alla casa e, ogni tanto, trascinava con sé Albus e Rose o Lily e Hugo per farsi aiutare. Ma per lo più faceva tutto da solo - non sempre per il meglio, ma ci provava - o con Teddy, perché voleva che fossero loro a rimettere a nuovo l’appartamento.
Nel frattempo lui era riuscito a mettere in vendita la casa di sua nonna ed aveva iniziato ad inscatolare tutta la propria roba. Aveva deciso di tenere alcuni mobili per il nuovo loft, ma la maggior parte facevano parte della casa e sarebbero stati ceduti insieme a tutto il resto.
Jamie gli diede battaglia per impedirgli di fare la cucina gialla - «È deprimente! Cosa siamo, Tassorosso?!» - e lo convinse ad optare per uno squillante arancione - «È allegro e originale, no?» - mentre decisero di comune accordo di tinteggiare la camera da letto d’azzurro; non un azzurro da neonato, ma uno opaco e rilassante.
Al momento stavano montando la libreria che sarebbe stata al lato del camino, per custodire tutti i suoi libri - «Porco Salazar, Ted, ma quanti sono?!» -, poi avrebbero dovuto istallare l’antenna per il televisore.
«Drago!» esclamò all’improvviso James per rompere il silenzio - era allergico alla quiete, Ted ne era convinto - dando il via ad un vecchio gioco che facevano sin da bambini, tutte le volte che si annoiavano: uno dei due diceva la prima cosa che gli venisse in mente e l’altro doveva subito rispondere con una parola che associava istintivamente ad essa. Di solito la finivano a ridere per ore, viste le assurdità che il maggiore dei Potter riusciva a tirare fuori.
«Volare» rispose lui, fissando la mensola più alta con uno svolazzo della bacchetta.
«Cielo».
«Blu».
«Teddy».
«Cosa c’entra il mio nome?» domandò confuso, abbassando lo sguardo per incontrare il suo.
«È il tuo colore preferito, quello della tua Casa a Hogwarts e dei tuoi capelli. Se penso al blu mi vieni in mente tu» si strinse nelle spalle, prima di passare al prossimo ripiano.
«D’accordo» sorrise un po’ - appena appena, eh! - intenerito. «Allora… Corvonero».
«Quanto sei banale. Tiara» replicò.
«Non sono banale, sono logico. Horcrux» ribatté facendogli una linguaccia.
«Certo, certo» lo canzonò James. «Spada di Grifondoro».
«Cosa vorresti insinuare?» lo provocò. «Cerva».
«Che sei noioso, mi pare ovvio» rispose con nonchalance. «Piton».
«E allora perché vuoi venire a vivere con me?» sbuffò. «Amore» si affrettò ad aggiungere, pensando a quello che Harry gli aveva raccontato su sua madre Lily ed il Preside Piton.
«Teddy» rispose subito Jamie e poi si schiaffò una mano sulla bocca, come se avesse voluto rimangiarselo.
«Ancora? Non c’entra nulla e non mi hai risposto» gli fece notare, ma l’amico si limitò a rivolgergli uno sguardo nervoso, prima di fissare il pavimento con crescente interesse.
«Sì che l’ho fatto» borbottò e Lupin, confuso, cercò di ricostruire il botta e risposta.
Lui aveva detto “amore” e James aveva associato subito il suo nome, ma cosa…? Prima ancora di riuscire a formulare la domanda nella propria mente, i suoi occhi si sgranarono e si puntarono sulla sommità di quella testolina arruffata.
«Amore…» ripeté, intrecciando le dita tra quelle ciocche per convincerlo al alzare il capo.
«Teddy» sussurrò di nuovo il ragazzo e - Merlino! - non era una sua impressione, era davvero arrossito. E, okay, magari stavolta lui era un po’ più che intenerito.
Cercò in quei grandi occhi scuri - da cerbiatto, sul serio, doveva essere una caratteristica ereditaria dei Potter - la conferma che avesse capito bene o che non fosse una presa in giro, poi semplicemente si chinò a baciarlo, perché non c’era nient’altro da dire.
*°*°*°*°*
Fu più di due mesi dopo l’inaugurazione dell’appartamento, che Teddy trovò l’ultima risposta alle sue domande. Era notte fonda e stava finendo di leggere un libro, mentre James guardava la TV in soggiorno. Aveva ormai deciso di riporre il volume sul comodino, quando il segnalibro cadde a terra e fu costretto a chinarsi per raccoglierlo.
L’infida strisciolina di cartone era scivolata sotto il letto, quindi dovette allungare un braccio per raggiungerla, ma ad un certo punto le sue dita sfiorarono una scanalatura di una mattonella e questa saltò su, aprendosi di lato come una piccola anta.
Incuriosito, fece luce con la bacchetta ed infilò la mano nello scompartimento nascosto. Ciò che ne tirò fuori era una vecchia foto incorniciata: raffigurava suo padre e Sirius Black in quella casa, stesi su un letto. Un letto matrimoniale.
In quel momento comprese come avessero fatto due ragazzi a vivere per anni in un posto così piccolo, ma non fu una gran sorpresa. In fondo, alla fine, il divano-letto a lui e James non era mai servito.
FINE.
¹. La frase d’introduzione è tratta da “Kitchen” di Banana Yoshimoto.
Potete trovarla anche su:
EFP;
Nocturne Alley;