DATI
Titolo: Akai Ito
Capitolo: Capitolo 39 (
Fanfiction Masterpost)
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale
Pairing: Sakurai ShoxOC / Masaki AibaxOC / Matsumoto JunxOC
Rating: PG
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Trama: Un filo ci lega alla persona cui siamo destinati: non importa il tempo che dovrà passare o le distanze che ci separano. Ma se questa persona fosse proprio davanti a noi e non riuscissimo a riconoscerla? Se la considerassimo antipatica tanto da non degnarla neanche di uno sguardo? E se l'avessimo trovata e noi stessimo vacillando nei dubbi? E ancora, cosa dice che non l'abbiamo già persa?
NOTE
Ringrazio il nuovo singolo dei Tohoshinki e anche "Lo Schiaccianoci" per avermi fatto da colonna sonora a questo capitolo.
Stranamente non è stato facilissimo, nemmeno ora so se sono pienamente soddisfatta, ma il tema trattato continua ad essere qualcosa di complesso per me quindi trovare il modo per raccontare senza scendere troppo nei particolari non è facile. Nonostante questo comunque, ci sono un paio di frasi scritte qui che mi sono piaciute... rileggerò questo capitolo tra qualche settimana e mi chiederò se sia farina del mio sacco. Alla me stessa del futuro: si è roba tua, pensa un po'! (→sproloqui casuali)
Buona lettura
39. Plastic garden
Nella notte aveva piovuto. Quando era rientrato a casa, verso le due, veniva giù tanta acqua da desiderare una canoa più che un passaggio in taxi. Poi si era svegliato per le undici e il salotto era illuminato dal sole che passava attraverso le ampie finestre del salotto. Quando uscì di casa il cielo era terso, l'aria tiepida e pulita, tanto da far sembrare tutto più chiaro ai suoi occhi, ogni cosa sembrava avere un contorno più netto. Si vestì in fretta e chiamò un taxi. «Buongiorno Tooru san» salutò il guardiano alla portineria del palazzo, alzando un braccio per farsi notare prima di uscire dalle porte scorrevoli che portavano all'esterno
«Matsujun, buon giorno. Sta uscendo?» domandò questi alzando lo sguardo da ciò che stava facendo «Fai attenzione!»
«Sì» rispose prima che si richiudessero le porte. Salutare qualcuno gli dava una scintilla di allegria. salutare qualcuno che non era tenuto a salutare, chiaramente: con gli addetti ai lavori sul set o con i ragazzi non era la stessa cosa. «Buongiorno» salutò salendo sul taxi
«Buongiorno» rispose il guidatore girando la testa verso di lui
«Al Centro Medico Comprensivo di Mita, secondo chome. Grazie» disse accomodandosi sui sedili. Sarebbe stato un viaggio lungo.
Per le vie di Tokyo era evidente come la stagione stesse cambiando: gli studenti avevano cambiato dalle divise estive a quelle invernali, erano sparite le bandiere che segnalavano i banchetti di granite, le persone avevano quale foulard o sciarpa leggera al collo, gli alberi erano tutti più colorati e ogni cosa nei locali -tende, seggiole, scaffali, stand, tappeti- sembrava intonarsi. La gente passeggiava con più calma, non sentiva il bisogno di scappare al fresco dei negozi, ma non era nemmeno rallentata dall'afa e dalla fatica: tutti sembravano semplicemente più rilassati per strada. Jun sorrise leggermente quando la macchina passò di fianco ad un gruppo di giovani, probabilmente studenti universitari. "La seconda volta che incontrai Shiori era l'anno scorso,in questa esatta stagione" pensò appoggiando il mento alla mano "Aveva... cos'era? Un vestito forse... mi ricordo il maglioncino che indossava seduta alla fermata dell'autobus: sembrava la scena di un quadro impressionista" sorrise leggermente. Poter fare quel sorriso era la conquista più grande che avesse raggiunto. Erano molti anni che non lavorava su se stesso, sui suoi pensieri, sul suo carattere e sulle sue emozioni, perchè ormai era un uomo e a grandi linee era fatto così: prendere o lasciare; ma era anche vero che solo uno sciocco sarebbe rimasto cristallizzato nel proprio modo di essere e di sentire. Lui sciocco non lo era e sapeva che, proprio perchè era già uomo adulto, aveva punti di riferimento a cui far ritorno mentre plasmava una parte di sè e del suo cuore.
Ringraziò il tassista, pagò e scese. Quando alzò lo sguardo ad osservare la struttura dell'ospedale non potè fare a meno di spalancare la bocca e sistemarsi gli occhiali sul naso per guardare meglio l'edificio moderno color grigio chiaro e dai vetri splendenti. Erano un paio di mesi che non entrava in un ospedale e farlo non gli faceva tornare alla mente dei bei ricordi, quindi aveva sempre evitato anche solo di avvicinarsi. "Non ha senso continuare a scappare. Vero?" si disse facendo un respiro profondo ed oltrepassò l'ingresso arrivando fino alla sala dove si trovava l'accettazione. "Figuriamoci se la trovo qui dentro" si disse deglutendo a fatica: l'imponenza dell'edificio si rispecchiava anche nell'ampiezza degli spazi. Lungo una parete stavano quelli che sembravano gli sportelli di una banca, con il muretto in marmo e l'addetto seduto dietro davanti ad un computer. la differenza era che l'impiegato in quell'ambiente era sostituito da infermiere in divisa bianca e il pavimento aveva anche il percorso in gomma per guidare i non vedenti. Jun si avvicinò ad uno sportello, senza dover fare fila dato che c'era poca gente. «Buongiorno, in cosa posso esserle utile?» chiese gentilmente l'infermiere alla scrivania
«Buongiorno» salutò lui «Io non sono malato... sto cercando un'amica che lavora in questo ospedale, lei può aiutarmi a contattarla?»
«Vediamo cosa si può fare» rispose questo, spiazzato dalla richiesta «Nome e... sa anche il reparto?»
«Sì: Nomura Tomomi, cardiologia» rispose appoggiandosi al marmo del banco e mettendosi in attesa di qualche riscontro. L'infermiere si sistemò gli occhiali sul naso osservando lo schermo, quindi chiamò una linea interna con una combinazione di tasti e si mise a chiedere. Fortunatamente Tomomi era di turno e la trovarono subito. «Scusi, chi devo dire?» domandò il giovane infermiere alzando lo sguardo su di lui mentre parlava ancora nel ricevitore
«Matsumoto. Non è urgente, quindi se ha da fare ripasso più tardi. Mi scusi molto» specificò lasciandolo di nuovo parlare rapidamente al telefono, poi questi ringraziò, riattaccò e gli diede le indicazioni per raggiungere il reparto. Jun prese l'ascensore insieme ad uomo apparentemente sano, un gruppetto di infermiere e una coppia sana. Nessuno scese al suo stesso piano, il quinto, ma quando uscì nel corridoio ebbe l'impressione di essere fissato da tutti. "Sembro troppo giovane per soffrire di cuore?" si domandò storcendo il naso, quindi si guardò intorno. Anche lì nel corridoio principale c'era un banco accettazione. «Salve, prego da questa parte!» richiamò la sua attenzione l'infermiera che stava dietro di essa «E' passato all'ingresso a farsi dare i fogli o aveva una appuntamento?» chiese subito
«Mi scusi, non sono un paziente, sto cercando la caposala. Nomura» spiegò nuovamente
«Ah sì, ci hanno chiamato prima. Aspetti un secondo per favore. Haruya sensei!» richiamò la giovane placcando un medico in camice bianco che passava di lì con un plico di cartelle in mano «C'è una visita per Nomura Fuchou, sa se è libera?»
«Uhm, dovrebbe...» tentennò quello cercando di sbirciare il proprio orologio sotto le cartelle che doveva tenere a due mani «Dovrebbe andare in pausa tra poco. Chi devo dire?» chiese e l'infermiera guardò Jun
«Matsumoto» disse ancora inchinandosi verso il medico «Scusi l'incomodo»
«Niente. Aspetti un secondo» e continuo ad aspettare pazientemente, come tutti gli chiedevano, mentre il medico si allontanava rapidamente. Il corridoio principale era frequentato ma tranquillo. Arrivarono un paio di pazienti dall'ascensore e l'infermiera alla reception ebbe del lavoro da sbrigare, ma a parte loro e i medici o le infermiere non c'erano malati in quella sezione del reparto. Le finestre che davano verso l'esterno davano sul lato dell'ospedale che affacciava su una grande via cittadina, attraversata da un'autostrada sopraelevate parecchio trafficata. A lato della strada, sotto di lui, alcune macchine facevano la fila per entrare nel parcheggio sotterraneo dell'ospedale. Nel guardarle i doppi vetri non facevano sentire alcun rumore del traffico esterno, poteva sentire solo il sommesso chiacchiericcio dei pazienti alla reception, il ronzare dei computer usati e il fruscio delle porte, scorrevoli e non, che si aprivano dando sul corridoio. Intrecciò tra loro le dita, dietro la schiena, e si fissò ad osservare l'andirivieni delle auto sul ponte dell'autostrada. "E' la cosa giusta?" si domandò per l'ennesima volta "Non ho altri a chi rivolgermi per un consulto del genere e poi è stata lei a dirmi di dimenticare tutto, quindi non c'è niente di male: è un'amica... o magari è più una conoscente?" si domandò respirando profondamente mentre seguiva una multipla color giallo limone "Forse lo sarebbe. Ma certi discorsi non si fanno con i conoscenti, mentre noi li abbiamo fatti. Quindi è un'amica? No, i ragazzi sono miei amici e con loro non ho parlato di queste cose. Già... con loro non ho parlato per niente di Shiori. Saranno arrabbiati". «La tua è una mossa per aumentare le pazienti del mio reparto?» sentì chiedere ad alta voce. Jun si riprese dai suoi pensieri e si voltò. Tomomi era a pochi passi da lui. Era la prima volta che la vedeva con il camice addosso e non potè fare a meno di squadrarla per qualche secondo. Aveva lo stesso viso stanco di quando si erano incontrati, settimane prima, ma sembrava più allegra. Teneva i capelli lisci stetti in una semplice coda e anche quel giorno non portava gioielli nè trucco. Jun faceva sempre caso a com'erano vestite le persone e, inconsapevolmente, faceva caso alle donne quando erano senza trucco perchè di quelle che lui incontrava di solito, pochissime erano senza. Persino le stiliste lo mettevano, le make-up artist probabilmente non se lo toglievano nemmeno la notte e le attrici... forse erano come le make-up artist! «Buongiorno Nomura san» la salutò con un inchino e un sorriso. Quel giorno era proprio felice di salutare le persone. «Buongiorno a te. E' successo qualcosa? L'ultima cosa che avrei mai immaginato era che un giorno saresti venuto fin qui» spiegò con aria sorpresa. Non sorrideva e il suo tono era leggermente freddo. «Ti ho disturbato?» chiese Jun, improvvisamente preoccupato di aver fatto la cosa sbagliata
«Ho finito il mio turno e dovrei andare in un posto» rispose lei «Ma dovrei anche pranzare. Credi che possiamo parlarne mentre mangio un panino?»
«Se ciò che hai da fare è urgente possiamo rimandate» scosse il capo Jun, improvvisamente deluso, aveva sperato di poter parlare subito
«Urgente dici? No, non troppo» spiegò stringendosi nelle spalle «Erina è a casa con la febbre alta e devo portarle delle medicine, ma può aspettare il mio pranzo»
«E se peggiorasse?»
«Di certo non muore, gli stupidi sono duri a morire. Se così non fosse avremmo un mondo migliore» spiegò storcendo il naso «Allora, ne parliamo a pranzo?» insistè
«Se conosci un posto dove fanno un buon caffè, volentieri» le rispose con un mezzo sorriso. Era uno strano invito a pranzo, ma in quanto tale dimostrava che non era arrabbiata con lui nonostante quel tono distaccato e i modi di fare un po' troppo freddi rispetto a quelli che aveva sempre adottato con lui. La donna gli chiese di aspettare ancora qualche minuto e poi sparì dietro ad una delle tante porte del corridoio. Quando ne uscì si era tolta il camice, aveva cambiato le scarpe togliendo quelle da interni e mettendone un paio con il tacco e aveva preso con sè la borsa. «Nejou san, vado in pausa. Ho lasciato tutto ad Haruya sensei» disse al bancone davanti all'ascensore. L'infermiera annuì e la salutò per poi rivolgersi anche a Jun con un sorriso molto più smagliante di quello che aveva rivolto alla sua superiore. Mentre scendevano erano soli nell'abitacolo «Ho fatto qualcosa di sbagliato?» domandò senza mezzi termini, tenendo le mani in tasca
«No» gli rispose subito Tomomi, guardandolo con gli occhi sgranati, poi sembrò volersi correggere e tornò a guardare davanti a sè «Voglio dire: no» aggiunse ancora
«Va bene: no» ripetè piegando le labbra in un mezzo sorriso divertito. La donna si tolse gli occhiali e chiuse gli occhi stropicciandoseli «Scusami, non volevo sembrarti arrabbiata» rispose riaprendo le palpebre e asciugandosi le lacrime dovute allo sfregamento «Ero un po' nel panico» ammise infine
«Per cosa?» domandò sorpreso
«Mentre finisco il mio giro mi dicono che c'è un "Matsumoto" che mi cerca. hai idea di quanti Matsumoto conosco? Ho cominciato a vagliare tutte le ipotesi e, senza offesa, l'idea che tu venissi qui è talmente assurda che non rientravi nella lista. Poi ti ho visto e ho cominciato a farmi le paranoie, non sapevo bene come comportarmi in pubblico con te»
«Detta così suona sbagliata» ridacchiò leggermente «Ci siamo sempre incontrati in pubblico, o te lo sei dimenticato?»
«Non è quello che intendevo» ribattè piccata per poi ammutolirsi quando arrivarono al piano terra. Non disse nulla lungo tutto il corridoio verso l'uscita e una volta fuori gli indicò la direzione e gli chiese di seguirla. Camminava a passo rapido e schiena dritta lungo il marciapiede e continuò ad avanzare silenziosa e compita fin quando non girarono un angolo e furono fuori dalla vista dell'ospedale. «Intendi pranzare con un caffè?» domandò finalmente, slegando la coda di cavallo
«Veramente la mia sarà una colazione» spiegò
«Ora che mi ci fai pensare... credo di non averla fatta nemmeno io» riflettè la donna
«Ho l'impressione che questo non significhi che ti sei svegliata da poco come me»
«No, infatti. Significa che non ho nemmeno dormito» spiegò con un sorriso divertito, scrollando le spalle «Mi piace l'idea della colazione, però ho fame quindi io prendo una cheesecake» sentenziò prima di fermarsi e spingere la porta di un locale per entrare. Jun sorrise e la seguì all'interno: il posto aveva una sala abbastanza ampia, ma non era piena nemmeno a metà, probabilmente perchè ancora non era ora di pranzo. Il pavimento era in legno e scricchiolava leggermente ad ogni passo, ma erano dei listelli tanto spessi che i passi risuonavano a malapena. Un grazioso soppalco, con scala e ringhiera in ferro battutto, aumentava il numero di posti a sedere presenti nel locale. "Non credo che questo sia il posto dove viene a mangiare tutti i giorni" riflettè trovando il posto troppo bello perchè dei lavoratori indaffarati andassero lì a trangugiare un panino in pochi nanosecondi "Che l'abbia scelto per me?" si chiese avvicinandosi alla donna: le indicò il soppalco e le chiese di poter scegliere lui il posto mentre lei dava le ordinazioni. Scelse un tavolo vicino alla vetrata per poter guardare fuori e si sedette attendendo che Tomomi tornasse. «Cappuccino al cacao, va bene?» domandò lei sedendosi davanti a lui
«Va bene. Tu cos'hai preso?»
«Un Royal Milk Tea e una cheesecake al limone» rispose, dopodichè nessuno aggiunse altro. Attesero in silenzio l'arrivo delle tazze e Jun, a braccia incrociate, comodo sulla sedia, guardò in basso, verso le persone che camminavano sul marciapiede. L'atmosfera silenziosa e tranquilla fu interrotta dopo alcuni minuti dalla cameriera che, come da rito, si scusò per l'attesa e svuotò il vassoio. Il ragazzo prese la tazza tra le mani e inspirò profondamente l'odore di caffè e cacao.
«Sentiamo, di cosa hai bisogno?» domandò Tomomi affondando la forchetta nella cheesecake. Jun sentì i muscoli del collo contrarglisi "Ci siamo..." si disse cercando dentro di sè il coraggio di cominciare il discorso per il quale era andato fino a lì.
«Cosa ti fa pensare che sia qui per qualcosa di particolare?» chiese Jun guardandola, tentennando appena davanti alla sua domanda diretta
«Sono poco più che una conoscente per te» ammise Tomomi a malincuore «Quindi non sei certo qui per una visita di piacere ad un'amica. Non lavoriamo insieme, quindi non è per qualche progetto che mi hai cercato, e non sei nemmeno un mio paziente perciò non abbiamo nessuna terapia da discutere» finì di spiegare
«Non ti si può nascondere nulla?» domandò lui con un sorrisino appena accennato sulle labbra
«Solo perchè non volevi nascondermi niente» rispose facendo spallucce e assaggiando la torta «Quindi ora, invece di farmi altre domande inutili, puoi dirmi tutto» gli disse fingendo indifferenza. Osservò il liquido chiaro e fumante nella tazza di ceramica e cercò di concentrarsi sulla luce del soffitto riflessa sulla superficie per non incantarsi a fissare il bel ragazzo davanti come già le era capitato mentre erano rimasti in silenzio ad aspettare la cameriera. "Imbecille" si insultò mentalmente concentrandosi sulla bevanda come se ne dipendesse la sua vita "Sembriamo una coppietta che si veste in maniera abbinata... e non dovrei nemmeno pensarlo" si disse mordendosi il labbro inferiore. Non aveva potuto fare a meno di notare che Jun indossava un paio di jeans blu scuro, come lei, e una giacca verde militare con le maniche rimboccate sopra una normalissima maglietta nera senza scritte. Tomomi aveva addosso una polo verde mela, non era la stessa tonalità di Jun, ma comunque verde abbastanza per sembrare che si fossero vestiti apposta in maniera simile. La ciliegina sulla torta erano gli occhiali. A parte le prime due volte in cui si erano incontrati, entrambi vestiti per l'occasione, l'aveva sempre visto con gli occhiali e anche se la maggior parte della gente stava male con montature vistose a lui sembravano donare: era spessa e nera, molto semplice, ma particolarmente visibile sul suo viso chiaro e perfetto. Lei, che sopportava poco le lenti a contatto, passava la maggior parte della sua vita con gli occhiali addosso, ma se per andare in giro ne indossava sempre un paio dalla montatura sottile, costosi e di marca, al lavoro doveva per forza averne un paio buono e non prezioso. Così avevano entrambi lo stesso tipo d'occhiali.
«In realtà ciò che vorrei da te è qualcosa che riguarda il lavoro, ma il tuo» rispose infine Jun dopo qualche secondo di silenziosa riflessione. Frugò nel marsupio che aveva appeso alla sedia quando si era seduto e ne tirò fuori alcuni fogli accuratamente piegati in quattro «Avrei bisogno che guardassi questi e che me li spiegassi. Io non riesco a capirli fino infondo» spiegò stendendoli sul tavolo e girandoli dalla sua parte. Erano dei referti medici di un ospedale che non era il suo, ma riconosceva ogni componente delle schede dato che provenivano da un reparto di cardiologia. «Cos'è che non capisci, Matsumoto san?» domandò guardandolo in viso. La osservava intensamente e si era raddrizzato sulla sedia, come se fosse stato improvvisamente teso o nervoso. «Non lo so... non so, alcune parole sono difficili... intendo, difficili da intendere per me, ma non penso siano i dettagli della malattia quelli che voglio sapere» ammise confuso, scuotendo il capo. Tomomi prese un sorso del milk tea e tornò a leggere i fogli. La prima cosa che aveva fatto era stato leggere il nome del paziente, per abitudine più che per farsi i fatti della persona a cui appartenevano quelle analisi. Il nome scritto in kana diceva "Kumagawa Shiori" e lei sapeva perfettamente chi fosse, così, davanti alla confusione del ragazzo, cominciò a capire in che situazione si trovava. «Perchè lo fai?» gli chiese prendendo un altro pezzetto di torta con la forchetta
«Perchè voglio sapere» le rispose mettendo le mani intorno alla sua tazza, piegandosi in avanti
«Ma non sai nemmeno cosa» gli fece notare, scuotendo il capo «Perchè vuoi sapere? Pensi ti aiuterà?»
«Spero di sì» ammise annuendo e guardando i fogli «Circa una settimana fa ho capito che ho passato mesi a mentire a me stesso. Mi negavo degli svaghi, mi chiudevo in casa e mi comportavo come una persona depressa. Magari pensavo che così si atteggiasse chi soffriva: "Ci si deprime e ci si isola" mi dicevo "Così facendo si dovrebbe vivere il proprio dolore". La verità è che... beh, mi stavo solo atteggiando come qualcuno che soffre, non stavo soffrendo realmente» spiegò stringendosi nelle spalle «Sono stato stupido, in realtà stavo facendo l'esatto opposto: con quell'atteggiamento non affrontavo il problema, fingevo solamente di essere qualcuno che lo stava facendo e intanto fuggivo davanti alle cose importanti, non affrontavo fino infondo il reale significato di questa perdita. Forse è per questo che dormendo non la ricordavo?» domandò, più a se stesso che a lei
«Fingevi quindi» fece semplicemente Tomomi girando un foglio per leggere dietro
«Tu l'avevi capito vero?» sospirò «Devi aver pensato veramente che ero uno stupido»
«Mi sopravvaluti sai?» gli disse alzando lo sguardo per guardarlo in faccia «Ognuno vive il dolore a modo proprio e c'è chi davvero lo vive nel modo in cui hai descritto, altrimenti non avremmo questa idea, giusto? Ma ci sono altri modi per affrontarlo... o per sfuggirne, ognuno di noi è diverso e, per quanto tu possa avere un alta stima di me, non è in mio potere capire sempre chi fugge e chi combatte» abbassò leggermente il capo cercando di entrare nel campo visivo di Jun che ancora osservava i referti sul tavolo «Nè ho la presunzione di giudicare "stupido" o "intelligente" un comportamento piuttosto che un altro davanti alla morte di una persona cara» sottolineò con voce ferma «Davanti al dolore non è sciocco nè urlare e disperarsi davanti alla tragica notizia, nè sorridere e ringraziare i medici dei loro sforzi. Non lo è nemmeno arrabbiarsi e dare a noi la colpa. Matsumoto san, il dolore non è mai stupido» concluse per poi risistemare i fogli che aveva ricevuto senza aggiungere nulla. "Così è questo che ha deciso di fare?" pensò passando la mano aperta sulla carta spiegazzata. Quante volte aveva aperto e chiuso quelle analisi? "Affrontare i suoi ricordi, il significato che ha avuto per lui questa donna, quello che continua ad avere... ha deciso di andare avanti?" si domandò tornando a guardare quegli occhi scuri che non avevano mai smesso di fissarla da quando aveva cercato di attirare la sua attenzione. Non distolse lo sguardo e si lasciò inghiottire da quelle due profondità color del cioccolato sentendo una stretta al cuore: anche se gli aveva detto di dimenticarsi della sua dichiarazione, lei non ci sarebbe mai riuscita perchè sapeva di non essersi dichiarata ad un bell'uomo, ma ad una bella persona, e le belle persone sono eterne e rimangono tali anche quando l'aspetto esteriore sfiorisce. «Te lo chiedo ancora: perchè lo fai?» domandò per riscuotersi da quel lungo momento passato a fissarsi
«Voglio portare a termine tutto ciò che mi sembra di aver lasciato in sospeso in questi mesi di fuga» le rispose con la sicurezza che qualche minuto prima non aveva avuto
«E cos'è che non capisci per cui hai bisogno di me?» chiese una seconda volta. A quel punto la fierezza con cui la fissava si incrinò e Jun prese un sorso dalla sua tazza. Forse si sbagliava, ma le mani sembravano tremargli leggermente. «Matsumoto san, non ti giudicherò se è questo che ti preoccupa»
«Nemmeno se risultassi un assassino?» domandò con un filo di voce il ragazzo
«E' questo che vuoi sapere? Se sei stato tu?» e Jun annuì «Non mi piacciono gli indovinelli, se vuoi qualcosa chiedimelo chiaramente»
«Voglio sapere perchè è morta» rispose infine tornando lentamente a guardarla «Voglio sapere perchè è successo quel giorno. Perchè non prima? Perchè non dopo?». Tomomi gli sorrise quasi divertita «Cosa vuoi che ti dica? Che non è stata colpa tua?» e il ragazzo si fece un po' indietro sulla sedia «Matsumoto san, ci sono cose che, anche se le desideriamo fortemente, non si avverano mai: una persona affetta da una malattia incurabile può desiderare di vivere con tutte le sue forze, ma non guarirà... il nostro corpo è un meccanismo molto sofisticato e se qualcosa di inarrestabile minaccia di guastarlo non c'è forza di volontà o speranza che possa ridarci la salute» spiegò con pazienza «Certo, lo stato psicofisico che abbiamo può influire in parte sul funzionamento del nostro organismo, ma non può sconfiggere una malattia incurabile»
«Non basta dirmi che fosse incurabile per farmi sentire sollevato» ribattè lui in tono aspro
«Credi di aver accelerato la malattia? Di aver in qualche modo alterato il corso del suo malessere abbreviando il tempo che avrebbe altrimenti vissuto?» chiese ancora, ma Jun le diede alcuna risposta, era tornato a fissare la propria tazza. «Questo non è scritto sui fogli» gli spiegò prendendoli in mano e mettendoglieli sotto il naso «Non posso dirtelo e non potrà mai dirtelo nemmeno il medico che l'ha curata» disse continuando a tenere i fogli davanti a lui che non si decideva a prenderli «Matsumoto san, siamo medici, non prevediamo il futuro: non credo si sapesse quando tempo avesse ancora e...»
«Sì, c'era una stima» la corresse prendendola per il polso e togliendosi i fogli da davanti al viso. Tomomi saltò spaventata sulla sedia a quella presa improvvisa e decisa. «Una stima?» domandò spalancando gli occhi «Ma una stima non è una data, è un'ipotesi. Le ipotesi non sono certezze: niente dice che tu abbia fatto sforzare la ragazza al punto da accelerare la sua morte» gli spiegò alzando leggermente la voce e cercando di liberarsi della sua presa, senza successo «Lasciami per favore» si decise a chiedere
«Leggi quei fogli... ti prego. Voglio sapere la verità» le chiese senza liberarle il polso, con voce ferma
«La risposta alla tua domanda non è su queste analisi»
«E dove?»
«Da nessuna parte. Matsumoto san, senza un'idea precisa di quanto le rimanesse non è logico domandarsi se ha vissuto di più o di meno, te ne rendi conto? Niente può dirti che tu hai stressato il suo fisico tanto da accelerare la sua fine» gli disse e la presa sul suo polso divenne più leggera. L'espressione che Jun aveva in quel momento era la stessa che vedeva sui visi di tante persone in ospedale, quando si rendevano conto che la medicina non poteva spiegare tutto o quando si rendevano conto che le certezze di cui avevano bisogno non potevano esistere. Tomomi inspirò profondamente e mise la mano libera su quella del ragazzo che le teneva il braccio «Allo stesso tempo però niente nega che potresti aver allungato la sua vita con la felicità che le avrai sicuramente donato» gli spiegò infine con un sorriso leggero. A quel punto Jun trattenne il fiato e la scrutò in viso, come per cercare la menzogna in ciò che gli aveva appena detto. «Potrei?» chiese piano
«C'è questa possibilità» annuì scivolando via dalla sua presa, ormai non più così forte, e lasciandogli i fogli dalla sua parte del tavolo. Anche se gli aveva sorriso, per un attimo si era spaventata: aveva appena avuto uno scorcio dell'insicurezza e della fragilità che il ragazzo aveva sempre nascosto. «Scusa» farfugliò lui passandosi le mani tra i capelli e appoggiandosi al tavolino con un sospiro quando vide che Tomomi si stava massaggiando il polso «Non volevo farti male»
«Sto bene» annuì mestamente «Avere coraggio non è mai facile». Rimasero in silenzio a lungo mentre finivano entrambi quello che avevano sul tavolo. Jun sembrava avere molto su cui riflettere e Tomomi lo lasciò stare finchè non si alzò e le propose di tornare indietro. Volle offrire lui per il disturbo e la riaccompagnò verso l'ospedale. «Scusa il disturbo» disse con un inchino, quando si fermarono davanti alle porte della grande entrata dell'edificio
«Non importa, mi piace molto la cheesecake di quel posto» rispose stringendosi nelle spalle e il ragazzo la osservò con un sorriso pieno di gratitudine
«Anche il cappuccino non era male» annuì. Si inchinarono ancora poi Tomomi non resistette a chiedere «Perchè sei venuto da me?»
«Perchè?» ripetè lui fissandola «E' chiaro perchè, no?»
«E' chiaro sì. E' chiaro anche che ti ho dato una risposta che non era scritta su quei fogli» gli spiegò incrociando le braccia «Lo sapevi da te che era insensato colpevolizzarti»
«Non ti si può nascondere proprio nulla eh?» domandò con una risata divertita «Forse avevo solo bisogno di sentirmelo dire da qualcun altro. Auto assolversi non è rincuorante»
«Ma non avevi bisogno di me: chiunque dei tuoi amici ti avrebbe detto questo, anche senza saper leggere quelle cartelle» insistette «Quindi perchè io?». Jun mise le mani in tasca e strinse le spalle mentre un venticello fresco gli smuoveva i capelli «Sei l'unica con cui ho parlato di Shiori. Non ho amici con cui ho condiviso molto di questa storia» spiegò mestamente «Per questo a te sembra strano che io sia venuto da te. Non siamo amici, non siamo colleghi, non sono un tuo paziente: hai detto così, ma se agli amici non parlo di questo argomento come potrei parlarne ad una semplice conoscente?»
«Forse perchè è più facile parlarne con chi ti conosce da poco» rispose stringendosi nelle spalle
«Cosa rende "amico" secondo te? Il tempo passato insieme o ciò che si condivide?» le chiese infine, con una semplicità e un sorriso disarmanti. Tomomi trattenne il fiato e lo guardò colpita "Significa che siamo amici?" si domandò. «Questo atteggiamento è molto indelicato da parte mia, perdonami» aggiunse subito dopo Jun, chinando il capo. La donna sentì il cuore fare un tuffo e storse le labbra, infastidita e punta sul vivo «Non dovresti nemmeno pensarlo. Non ti avevo chiesto di dimenticare quel che ti avevo detto?» lo accusò aggrottando le sopracciglia: era vero, sapendo i suoi sentimenti e avendola rifiutata non era delicato rivolgerle belle parole come quelle, ma gli aveva espressamente chiedo di dimenticarsi della sua dichiarazione quindi non avrebbe dovuto scusarsi. «Perdonami» ripetè sempre a testa bassa «Ma non ci riesco. Non penso di riuscire ad ignorare i sentimenti delle persone: quello che proviamo non è sempre importante?»
«Sì ma...» balbettò, presa in contropiede da quella domanda. "Perchè a volte è lui quello da consolare e io quella sicura, ma altre sono io ad essere quella da rassicurare e lui a dire frasi tanto belle?" pensò con una punta di frustrazione. «Ciò che provo io è importante quanto ciò che provi tu, non è corretto dimenticare l'uno per l'altro» scosse il capo Jun «So che mi hai detto di non pensarci perchè eri preoccupata per me, e te ne sono grato, ma lascia che di me stesso mi preoccupi io» le sorrise, un po' più sereno rispetto a poco prima. Tomomi annuì, leggermente imbarazzata "Significa che continuerà a tenere conto del fatto che mi piace?" si domandò "Se mi illudo che lo faccia perchè un giorno potrebbe ritrattare la sua risposta sarei una stupida". Senza aggiungere nulla entrambi si inchinarono per salutarsi e andare ognuno verso i propri doveri: lei aveva una stupida da curare e non poteva fare a meno di chiedersi, vedendo il proprio sorriso speranzoso riflesso sul vetro delle porte d'entrata, se le cure di un'altra stupida come lei fossero efficaci.