[FIC] Akai Ito: Capitolo 32

Sep 16, 2011 21:02





DATI
Titolo: Akai Ito
Capitolo: Capitolo 32 ( Fanfiction Masterpost)
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale
Pairing: Sakurai ShoxOC / Masaki AibaxOC / Matsumoto JunxOC
Rating: PG
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Trama: Un filo ci lega alla persona cui siamo destinati: non importa il tempo che dovrà passare o le distanze che ci separano. Ma se questa persona fosse proprio davanti a noi e non riuscissimo a riconoscerla? Se la considerassimo antipatica tanto da non degnarla neanche di uno sguardo? E se l'avessimo trovata e noi stessimo vacillando nei dubbi? E ancora, cosa dice che non l'abbiamo già persa?

NOTE
Questo capitolo mi è costato molti sforzi. Sforzi per finire il lavoro prima, sforzi per studiare prima, sforzi per fare quel che devo fare (dato che mia madre sta male e non è in grado di portare avanti la casa, mentre mio padre è tutto il giorno al lavoro) e avere finalmente un'oretta da dedicare alla scrittura.
Per fare questo ho dovuto anche fermare le traduzioni: o traduco o scrivo, e dato che lavoro e studio mi succhiano via le energie non avevo testa di mettermi a tradurre. Questo era più semplice.
Il tutto per dire che scrivere questo capitolo mi è costato talmente tanta fatica che quando l'ho riletto un'ultima volta prima di pubblicarlo ho pianto un po', non solo perchè finalmente ero riuscita a concluderlo, ma anche per il suo contenuto.
Chi ha letto "Kaze" sa. Capirà cosa lo ha spinto a fare questo discorso, a dire queste parole. Chi non ha letto Kaze si goda semplicemente la stessa tristezza e confusione che prova Tomomi in questo momento: un po' alla volta tutto sarà chiarito.
Ora devo fermarmi un attimo con le long fic (questa e Neko) perchè prima ho due one shot da scrivere: quella per il compleanno di Jun e quella per l'anniversario; e sono già terribilmente in ritardo.
Spero di passare questo difficile esame e poi...

32. Honesty is honestly the hardest thing

Jun spinse le pesanti porte della palestra con un misto di divertimento e curiosità. Era vero che quella mattina si era alzato con l'umore peggiore che avesse mai avuto, ma ora gli era passata, non era stato contento di doversi svegliare presto di domenica, ma gli era passata. Sho era uno che ascoltava e dava consigli, raramente uno che si confidava e infatti non aveva parlato a nessuno di quella situazione con Erina (anche se avrebbe scommesso che qualcosa il Riida lo sapeva: con lui si confidavano anche i sassi!). Aiba gli aveva accennato qualcosa perchè conosceva la ragazza da tempo: non gliel'aveva detto chiaramente, ma a Jun era sembrato lampante fin dal primo momento che quel sentimento che aveva scoperto in Sho solo ultimamente doveva essere invece una cosa covata per anni. Non l'aveva mai visto così attento e in apprensione per cose che non riguardassero gli Arashi e il lavoro o la sua famiglia. Insomma era curioso vedere come un tipo così sicuro di sè e sempre con i piedi ben piantati a terra si rivelasse un completo imbranato davanti ad un paio di begli occhi castani e riccioli rossi. Solo per quello si era convinto ad accompagnarlo quella mattina: per divertirsi alle sue spalle.
Il palazzetto dello sport era pieno di rumore, ma gli spalti non erano gremiti. «Oh beh, te l'avevano detto che è solo una delle prime partite della serie... cos'è? B1?» domandò Jun guardandosi in giro per cercare due seggiolini liberi nella prima fila in basso: voleva vedere bene il campo e quella mattina si era tenuto su gli occhiali, quindi avrebbe dovuto sforzare troppo gli occhi se si tenevano lontani. «Non... non me lo ricordo» rispose l'amico, la tensione perfettamente percepibile nella sua voce
«Vabbè, non importa» sospirò cominciando a scendere le scale «Spicciati o non vedremo niente della partita. Mi sa che stanno per finire il secondo set» lo richiamò quando si accorse che lo stava seguendo molto lentamente come se stesse perdendo la voglia di essere lì. Non gli avrebbe mai permesso di tornare a casa arrivati a quel punto.
Finalmente si accomodarono in prima fila, sovrastando il campo dal lato sinistro. Bastò un'occhiata per individuare i capelli rosso fuoco di Erina, mentre ci mise un po' di più a capire quale fosse la sua amica, Tomomi, conosciuta un paio di settimane prima. «E' il numero sette?» domandò socchiudendo gli occhi
«No, il tredici» rispose Sho
«Non parlo di Erina san, ma della sua amica»
«Ah... dunque... sì, sì è lei» annuì quello. "Che brutto essere miopi" sospirò tra sè, quindi incrociò le braccia sul tubo metallico che faceva da parapetto davanti alla prima fila degli spalti e appoggiò il mento nell'incavo del braccio mettendosi a fissare la partita apparentemente concentrato, ma lasciando vagare i propri pensieri. "Non fosse per Sho me ne starei a letto ora, ma è meglio così. Mi costa molto, ma sto cercando di uscire di più ultimamente. Devo ammettere che sto facendo del mio meglio: bravo Jun, proprio bravo. Eppure sembra ancora troppo presto per vedere gli effetti di questi sforzi. Sì, non devo avere fretta: tempo al tempo". Rifletteva così tra sè seguendo la palla quando la squadra di Erina, in maglia azzurra, chiese un time out. Seguì il numero sette, scritto in bianco e bello grosso sulla schiena di Tomomi e si accorse solo allora che la loro panchina era poco distante da loro. Riconobbe con quella sua altezza incredibile (con i tacchi di quella sera arrivava ad essere alta quanto lui e aveva notato che aveva messo tacchi tanto modesti da essere appena degni di esser chiamati tali) e i capelli lunghi, liscissimi, raccolti in una coda alta sulla nuca. "Probabilmente riscuote molto successo sul posto del lavoro. Non ha una bellezza sfacciata, ma non passa inosservata. O forse no... chissà. Mi è sembrata una persona particolarmente schietta, alla gente non piace l'eccessiva sincerità. Già... le persone sono false, anche lei faceva del suo meglio per esserlo tanto quanto loro pur di essere appezzata. Quanto è stato difficile convincerla che anche la verità conquista le persone, spesso le migliori anche se poche". Stava rientrando in uno di quei suoi momenti in cui pensava troppo, in cui si abbandonava ai ricordi e alla tristezza, ma ci pensò Tomomi a non fargli imboccare quella strada, alzando lo sguardo stanco verso gli spalti e fissandolo corrucciata. O almeno così se la immaginò, non vedeva così bene da poter indovinare anche la sua espressione, comunque guardava da quella parte e non stava salutando. Forse non l'aveva ancora riconosciuto. Fece un sorriso e alzò una mano per muoverla leggermente, con discrezione. La vide rispondere alzando il braccio a sua volta, con molta calma. Folgorato da un'idea e non sentendo Sho parlare, continuò a guardare verso la ragazza e si mise un dito sulle labbra facendole segno di non dire nulla. «Vado un attimo in bagno mentre fanno una pausa» disse poi alzandosi in piedi
«Uhm.. eh? Ah sì, ok» annuì distratto
«Ma stai bene?» sospirò
«Sì, sì... mi sto solo figurando il discorso da fare nella testa. Se non lo faccio poi mi dimentico le cose e poi quella scema è capace di interrompermi e farmi perdere il filo» spiegò Sho con l'aria concentrata. Jun trattenne a stento una risata divertita, scosse il capo e risalì le scale a grandi falcate. Una volta lasciati gli spalti si affrettò a tornare a piano terra. Mentre si dirigeva verso i corridoi per gli spogliatoi tirò fuori entrambi i due cellulari che aveva con sè e chiamò uno con l'altro. Rispose e lasciando aperta la linea si nascose il primo in tasca. «Scusi» disse ad un ragazzo dello staff del torneo che controllava gli accessi al campo «Scusi, sono un conoscente di una giocatrice. La stanno chiamando dall'ospedale urgentemente. E' un medico che lavora lì quindi immagino sia importante» quello lo osservò impassibile «Sì, so che non posso andare, ma può portarle lei il cellulare? Rimarrò qui per riprenderlo, non mi muovo, lo giuro» concluse con aria innocente, porgendogli il cellulare. Questi gentilmente chiese il nome della giocatrice, prese l'apparecchio e si allontanò rapidamente. «Boccalone» sospirò Jun allontanandosi per appoggiarsi al muro e tirar fuori il cellulare rimastogli.
⎨Parla Nomura⎬
«Nomura san?» chiese divertito «Scusa se ti ho spaventato, non era l'ospedale: sono Matsumoto Jun»
⎨Matsumoto san? Allora eri proprio tu sugli spalti?⎬
«Ma come, mi hai pure salutato!»
⎨Sì, cioè... è vero, ma non credevo fosse possibile. C'è anche Sakurai san con te vero?⎬
«Erina san non ci ha visti vero?»
⎨No è troppo presa dalla partita e poi se vedesse Sakurai san farebbe finta di nulla. E' infuriata⎬
«Posso capire. Siamo qui apposta, Sho kun vuole spiegarsi, ma immaginavo che invece lei non volesse vederlo. Puoi aiutarmi?»
⎨Cosa stai tramando?⎬
«Quanto avete di pausa tra il secondo e il terzo set?»
⎨Venti minuti⎬
«Benissimo. Dimmi dove possiamo incontrarci e ritroviamoci lì tutti e quattro. Poi li lasceremo da soli a chiarirsi: dobbiamo incastrarli senza che possano sfuggire alla situazione»
⎨Matsumoto san...⎬sembrò titubante per qualche secondo⎨Cosa ti fa pensare che io stia dalla tua parte invece che da quella di una mia amica?⎬
«Mi sei sembrata troppo intelligente per non capire che Sho kun non ne combina una giusta, ma ricambia a pieno i sentimenti di Erina san. E poi sono certo che, anche sembri severa con lei...» sorrise leggermente «... le auguri solo il meglio» gli sembrava di descrivere uno di loro e per questo parlò divertito, dimentico dei pensieri angoscianti di pochi minuti prima sugli spalti.⎨Chi mi assicura che il tuo amico sia "il meglio"?⎬domandò incredula
«Io» ridacchiò
⎨Alla faccia della garanzia!⎬rimase in silenzio qualche secondo mentre le compagne di squadra la chiamavano per rientrare in campo⎨Quando finisce il set può darsi che le guardie lascino scoperto il corridoio per qualche minuto. Entrare nei corridoi degli spogliatoi: terza porta a destra, aspettate lì⎬
«Che scusa mi invento per portarlo lì»
⎨Che ne so io? Qui sei tu la mentre criminale, non io!⎬sospirò Tomomi prima di chiudere la comunicazione.
"Mi spalleggerà veramente?" si domandò Jun mentre osservava il proprio cellulare, aspettando l'omino della sicurezza che avrebbe dovuto riportargli l'altro "Forse sì... ma non sembrava convintissima, non so". «Mi scusi e grazie mille per quello che ha fatto» pronunciò cortesemente quando gli venne ridato l'apparecchio. Se ne tornò rapidamente sugli spalti, preoccupato di ciò che avrebbe potuto pensare Sho di quella sua lunga assenza. "Non importa, se non mi aiuterà avrà le sue buone ragioni, così come io avrò le mie per andare anche negli spogliatoi della squadra e prendere Erina san di peso". «Ci ho messo un po' scusa... chissà come mai c'era fila alla toilette maschile!» si scusò rimettendosi al suo posto di fianco all'amico
«Mh?» fece quello sbattendo le palpebre e fissandolo confuso «Oh cavoli... mi ero dimenticato che eri andato via. Dov'è che sei stato?»
«Uff... Sho» mugugnò indispettito: tanta preoccupazione per nulla. «Lascia perdere, dai che sta per finire il secondo set».

«Così non va proprio sai? Ti spiego io cos'è successo!». Erina, in preda all'ansia, era l'unica di tutta la squadra a parlare. In parte perchè le altre che stavano in campo con lei erano a corto di fiato, in parte perchè chi era in panchina era tanto teso e preoccupato per la partita da non riuscire ad aprire bocca. «Ci hanno sottovalutate, mentre noi ci siamo impegnate e il primo set l'abbiamo vinto facilmente. Nel secondo invece le nostre avversarie hanno capito di aver sbagliato e hanno alzato la guardia, ma di più! Ci hanno dato dentro e noi siamo rimaste travolte. Ecco perchè questo set è stato una schifezza»
«Eri chan, smettila, non è il caso» mugugnò Ying facendosi portavoce delle altre. Tomomi non rispondeva nonostante fosse al suo fianco mentre si avviavano verso lo spogliatoio dopo la fine del secondo set. Uno a uno. Il terzo era quello decisivo. Ma non era la partita il suo pensiero principale. "Che faccio? Lasciamo da parte il fatto che aver rivisto Matsumoto san così presto e senza troppe macchinazioni sia stato fantastico. Lasciamo da parte il fatto che quella conversazione tanto segreta al cellulare e quel momento di complicità siano stati esaltanti... sì, a parte questo: che faccio? In un certo senso mi sento come se avessi il futuro di Erina nelle mie mani". «Se non vinciamo il prossimo set siamo fuori, capito? Out! Ciao, ciao al campionato invernale! Non possiamo permettercelo» continuava imperterrita la rossa. "Non è per Sakurai san, non dubito di lui: anni fa lei gli piaceva, ora gli piace ancora, è coerente, è tenace. Un pasticcione, certo, e messo in coppia con quest'altra rincitrullita non se ne ricava altro che complicazioni, vero anche questo... ma è sincero. Per me, che lo vedo dall'esterno, il suo affetto per Erina è un sentimento talmente chiaro e genuino da farmi venire voglia solo di aiutarlo. Il problema invece è lei. E' certa di essere innamorata, ma è tanto insicura di se stessa che senza prove evidenti dell'essere ricambiata rimane in bilico e non prova a pieno il sentimento che invece Sakurai san meriterebbe" si sedette sulla panchina degli spogliatoi con un sospiro e si sciolse la coda, scompigliandosi i lunghi capelli neri. «Dobbiamo coglierle di sorpresa. Lo so che non siamo una squadra di serie A, ma.. diamine, se vogliamo possiamo batterle no? Allora buttiamoci, corriamo dietro a tutte le palle, sfruttiamo ogni buco della loro difesa, tartassiamole fine a farle tremare sulle gambe. Dobbiamo vincere! Voglio vincere accidenti! Non voglio uscire dal campionato dopo la prima partita un'altra volta!» stava ancora dicendo l'amica
«Kōmō, siamo tutte spompate. Dove lo nascondi il tuo terzo polmone per stare qui a fare il sermone come se fossi il coach?» domandò una compagna di gioco. "Balle... la verità è che se non la porto in quello spogliatoio rimarrà arrabbiata con Sakurai san, Fujimiya san tornerà a farle la corte e l'anno prossimo potrebbero già essere sposati e vivere in una casina tutta loro. Lei farà il suo lavoro, uscirà con noi a bere, verrà ancora a giocare e si strafogherà di budini e hamburger ogni volta che perderemo una partita. Se invece ce la porto parlerà con lui, capirà tutto e una volta realizzato di essere ricambiata sarà capace di dare a quel ragazzo ben più dell'affetto dolce e gentile che si aspetterebbe da una donna. Se si metterà con lui nessuno sa cosa potrebbe succedere di qui ad un mese, perchè lui stesso è un partner dalla vita imprevedibile ed io... io potrei non avere più la mia amica come invece ce l'ho ora". La mora alzò lo sguardo a fissare Erina che continuava a parlare e gesticolava furiosamente: quando era su di giri sembrava proprio una straniera, non aveva alcun autocontrollo. «Basta Kōmō, hai rotto!» esclamò incrociando le braccia
«Scusa?» domandò la rossa, bloccandosi
«Ho detto che non ne posso più, piantala di parlare» ripetè alzandosi in piedi «Sei una piattola, sei asfissiante, sei peggio di una sciarpa di lana in pieno agosto o di una gomma masticata tra i capelli»
«Una go...» fece balbettante, ma gli morirono le parole in gola, troppo allibita per dire altro. «Oh brava, sta zitta» sbottò prendendola per l'avambraccio «Ora lascia respirare le altre e vieni con me a bere una cosa fresca per calmarti. Ti odio quando sei isterica» concluse trascinandola via.
Lo spogliatoio maschile era sull'altro lato del corridoio, qualche porta più avanti rispetto a quella da cui uscirono loro. "Ce l'avrà fatta a passare?" si domandò tra sè, realizzando che se fosse entrata e non avesse trovato nessuno avrebbe fatto la figura della scema. «Sei stata scortese» diceva Erina mentre si lasciava trascinare docilmente. La conosceva, quel suo parlare a macchinetta era un modo per mantenere l'adrenalina in circolo e rimanere pronta per il nuovo set, ma non poteva stressare anche il resto della squadra dato che in campo non giocava da sola. Comunque Tomomi non le rispose nemmeno, spalancò la porta e trascinò l'amica dentro allo spogliatoio. «Ehi! Qui non possiamo entrare!» esclamò prima di accorgersi delle due presenze dentro la stanza
«Bene, io e Matsumoto san abbiamo qualcosa di cui parlare» pronunciò di getto la mora, senza nemmeno salutare Sho "Sì, intanto tu vai, parla, realizza che Sakurai san è l'amore della tua vita e sparisci dalla mia esistenza". «Quindi voi due rimanete qui e fate la guardia!» comandò imperiosa, ricominciando a sudare come se fosse stata ancora in campo. Gli altri tre la fissarono «La guardia a cosa?» ebbe la forza di chiedere Sho, staccando lo sguardo stupefatto dalla figura di Erina
«A... a...» balbettò guardando Jun in cerca di un aiuto «Alla Hoshi no Tama, come due Kitsune*. Ecco sì. Andiamo?» domandò nel panico. Il ragazzo ridacchiò divertito e si mise dalla sua parte passandole un braccio sulle spalle, molto delicatamente. «Ragazzi, avete circa venti minuti quindi, vi supplico, sfruttateli» pronunciò con calma agli altri due, prima di spingere Tomomi verso la porta «Noi non ve ne ruberemo altri» concluse prima di uscire. La ragazza riuscì a lanciare un'ultima occhiata pensierosa alla propria amica, poi, trascinata fuori, vide la porta dello spogliatoio chiudersi e si sentì in pensiero, ma sollevata. «Tu non sei brava a mentire» asserì Jun appena fuori
«Mi dispiace, ho veramente detto un'idiozia, ma non sapevo che pesci prendere» mugugnò vergognandosi di ciò che aveva detto nella stanza «Sarà colpa di K... Eri chan e delle sue scemenze: finisco con il dirle anche io se non mi concentro»
«In realtà credo che sia stata colpa del fatto che non eri convinta di volerlo fare» asserì il ragazzo, sorridendole gentilmente «Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Non è giusto avere il potere di decidere del destino di altri» spiegò stringendosi nelle spalle «Comunque vada è bene che ognuno possa scegliere da sè cosa fare della propria vita e dei propri sentimenti. Ho solo rimesso nelle mani di Erina una decisione che spettava a lei soltanto». Il giovane la osservò pensieroso, probabilmente assorto in quelle parole appena dette da lei: sembrava proprio lo stessero facendo riflettere molto, perchè era immobile e silenzioso mentre fissava il suo viso. Andò bene per i primi secondi, poi la cosa diventò imbarazzante e Tomomi distolse lo sguardo. «Rimarremo ad aspettare qui fuori tutto il tempo?» domandò per cercare di distrarlo
«Oh no, certo che no. Se rimanessi qui fuori Sho kun potrebbe farsi prendere dal panico in qualsiasi momento e usarmi come scusa per uscire da questa stanza e scappare da Erina san. No» scosse il capo guardando lungo il corridoio «Prendiamo una boccata d'aria? Anche tu dovrai riposarti». La donna annuì e gli fece cenno di seguirla avviandosi verso l'uscita di sicurezza infondo: dava su uno spazio stretto dove, tra l'uscita della palestra e la recinzione esterna del campo sportivo, c'era solo un sentierino di pietra e degli alberi piantati nelle loro aiuole dal bordo in pietra levigata.

«Perchè lo fai?» domandò Tomomi senza troppi preamboli. "Già, perchè lo faccio?" penso lì per lì Jun. Quel suo comportamento non era normale. «Ho forzato la mano, vero?»
«Un po'... e mi hai chiesto di fare altrettanto. Io te l'ho detto perchè mi sono convinta, ma tu? Non avresti dovuto fare una cosa simile, voglio dire...» si corresse rapidamente «Sakurai san era qui apposta perchè voleva chiarire, non dovevi forzarlo a fare niente»
«Sì, è vero» annuì piano.
Aveva tenuto un comportamento non consono. Lui e gli altri membri ormai si conoscevano da anni ed era normale che ci si confidasse, si chiedesse consiglio. Ma non era mai più di questo. Nessuno forzava gli altri a fare qualcosa. Potevano esserci raccomandazioni, commenti severi, approvazione o sostegno. Una spalla, anzi quattro, a cui appoggiarsi ogni volta che si voleva. Ma costringere uno dei membri, forzarlo in una data direzione: quello no. Certo c'erano state rarissime eccezioni in cui era capitato e una di quelle più vecchie riguardava proprio lui e Sho, ma alla fine aveva concluso che la scelta ostinatamente caldeggiata dall'amico a quell'epoca si era rivelata quella giusta, quindi gli aveva fatto solo un favore. Allora in quel caso era come se Jun gli stesse restituendo quel favore? «Conosco Sho kun. Ho passato con lui metà della mia vita fino ad oggi e anche se non mi aveva mai parlato di Erina san, lo conosco abbastanza per poter dire che se scappasse ora con la questione irrisolta ne soffrirebbe» tentò di spiegarsi sedendosi sulla pietra delle aiuole degli alberi
«Si chiama "rimpianto" sai?» fece Tomomi sedendosi accanto a lui il momento dopo
«Rimpianto, sì» annuì. Aveva evitato apposta quella parola perchè gli faceva male pronunciarla: sentiva una morsa al petto e un lieve ronzio nelle orecchie, come se qualcuno gli sussurrasse costantemente quelle sillabe. Rimpianto. «Non voglio che i miei amici abbiano dei rimpianti. Per quanto mi sarà possibile farò tutto ciò che potrò perchè non accada» pronunciò piano, ma con decisione, più a se stesso che alla donna al suo fianco. «Capisco» sospirò quella
«Capisci?»
«C'è qualcosa che ti tormenta, non è vero?» chiese con tranquillità. Sembrava sapere già la risposta quindi il ragazzo non disse nulla. «L'ho capito dalle tue parole amare la prima sera che ci siamo incontrati. L'ho visto in alcuni sguardi particolari quando siamo andati in quel locale settimane fa»
«Sei una specie di veggente? Molti colleghi sul lavoro non hanno percepito nulla eppure mi hanno visto e mi conoscono molto più di te» ammise Jun aggrottando le sopracciglia e guardando a terra «Oppure sono meno bravo a fingere di quanto io non creda? E la gente è solo sensibile e non mi dice niente?»
«Non lo so» rispose lei stringendosi nelle spalle «Non ne ho idea, è una mia impressione. Comunque... sappi che sorridi molto. E scherzi» specificò piegando il capo di lato. Il ragazzo le fissò i lunghi capelli lisci, nerissimi, che le ricadevano disordinati sulle spalle. Ricordava che i primi momenti in cui l'aveva vista con lo yukata gli aveva ricordato quella persona che ormai non poteva più vedere e che da mesi cercava di incontrare almeno nei sogni, senza alcun successo. Ora la conosceva almeno un po', a sufficienza per rendersi conto che erano due persone totalmente diverse, ma entrambe avevano qualcosa nell'aspetto che lui non sapeva descrivere in alto modo se non come "tipicamente giapponese". "Erano ricci i suoi però. Si ostinava ad arricciarli ogni mattina, dicendo che si piaceva di più con i capelli mossi... ma era bella sempre" sospirò per poi scuotere il capo cercando di riprendersi "Non ora, non adesso che non sono da solo!". «Allora, toglimi una curiosità: chi è il tizio che è venuto a prendervi l'altra sera? Il tuo ragazzo?» domandò cambiando discorso e alzando gli occhi verso l'alto. Non c'era bel tempo, il cielo era grigio chiaro, coperto da una cappa di nuvole, e la temperatura da qualche giorno si era nuovamente alzata. Ancora però non pioveva. Le foglie degli alberi sui rami al sopra delle loro teste erano immobili nell'aria leggermente afosa. «Che?» a quella domanda Tomomi sgranò gli occhi e lo fissò incredula «Vorrai scherzare spero! Uuuuh... fossi matta! Fujimiya san è il classico tipo asfissiante, non lo sopporterei. Sono troppo abituata a stare per conto mio ormai, non sopporterei di dover sempre rendere conto a qualcuno di ogni minima cosa. E poi è un tipo che chiama spesso al cellulare: cosa stai facendo? Dove sei? Brucerei il contratto telefonico per disperazione dopo la prima settimana» tacque per due secondi «A voler essere ottimisti». Jun rise di gusto «Beh si direbbe proprio che tu lo conosca bene in ogni caso!»
«Oh beh lui era... stava con una persona che conosciamo e poi è un collega dello studio di Eri chan» spiegò la donna, titubante
«Capisco. Sembra proprio io abbia sbagliato: non solo non sta con te, ma non è nemmeno il tuo tipo» continuò a ridere «Ma alle ragazze piace quando il fidanzato si fa sentire e chiama, o no? Sembri una dai gusti difficili»
«No, non credo» mormorò arrossendo e abbassando lo sguardo sulle proprie scarpe da gioco
«No? Allora sentiamo, Qual è il tuo tipo?» domandò a bruciapelo. Come la volta precedente si rese conto che parlare con una persona che ancora non conosceva, fare domande, interessarsi e scoprirla, era un buon modo -per non dire ottimo- per distrarsi dai suoi pensieri tristi. Osservò Tomomi continuare a fissarsi la punta delle scarpe, seriamente, poi alzare lo sguardo, pensierosa, e infine fissarlo negli occhi. «Un uomo serio e intelligente, ma che sappia anche ridere e divertirsi. Sul lavoro conosco tanti che sono seri, ma una volta fuori dall'ambito lavorativo si rivelano degli imbecilli, oppure uomini simpatici e spiritosi che però sono incapaci di fare un discorso serio e dimostrare impegno e dedizione per ciò che fanno» spiegò assorta, concentrata nella descrizione che stava dando
«E deve essere ricco?» domandò Jun curioso, stava ricevendo una risposta inaspettatamente seria e precisa ad una domanda fatta solamente per portare avanti una discussione leggera che facesse passare quei venti minuti. «Uhm... no, non importa» scosse il capo «Mi basta che sia una persona fondamentalmente forte e che abbia delle certezze salde nella vita. Non riuscirei a stare con qualcuno che non sa cosa fare della propria esistenza o che continua a cambiare idea saltando da un progetto all'altro senza combinare nulla. Sarà che io ho sempre avuto chiaro cosa avrei fatto nella vita, fin da ragazzina»
«Sapevi di voler fare il medico?» fece lui sorpreso
«Sì, lo sapevo. Da che ricordo ho sempre voluto fare quel lavoro nella vita, non ho mai avuto altri obiettivi» annuì «Dovevo essere una strana bambina dagli orizzonti ristretti, no? Così li ho ristretti anche in fatto di uomini e sono finita con l'avere degli standard troppo alti» aggiunse poco dopo, leggermente imbarazzata tornando a guardare altrove
«Non sei strana. Io sono uguale!» esclamò Jun indicandosi «Ho sempre voluto fare il lavoro che faccio ora. Da quando sono entrato in agenzia che ero un ragazzino ho sempre fatto del mio meglio per migliorare. Con gli altri al mio fianco è stato anche più bello anche se, per certi versi, ancora più difficile, ma è bello impegnarsi per realizzare un obiettivo comune»
«Mi sa che eravamo gli unici bambini in Giappone ad avere le idee chiare» rise divertita Tomomi
«Siamo strani in due allora» annuì con sicurezza il ragazzo «E comunque... non hai standard alti. Cioè... penso che da qualche parte ci sia qualcuno di serio, ma anche divertente, che sappia ridere ma con intelligenza»
«Ah, non dimentichiamo che dev'essere bello, sensibile e deve avere delle belle mani» aggiunse lei
«Le mani? Perchè?» fece stupito
«Non so... forse perchè ad operare la gente vedo soprattutto le mani? No, abbiamo i guanti... non so, davvero. Sarò una feticista delle mani?»
«Pauraaaa...» sospirò spostandosi a sedere un po' più lontano
«Ehi! Dai, prometto che non te le guarderò» si scusò alzando in aria le proprie, un gesto per sottolineare che non avrebbe fatto nulla di male. «Scherzavo, scherzavo» ridacchiò Jun tornando seduto vicino
«E tu, Matsumoto san? Qual è il tuo tipo di donna?» chiese lei rigirandogli la domanda. Non rispose subito, non per imbarazzo come sembrava essere successo a lei, ma perchè se doveva essere lui a spiegarsi, quel discorso non era più leggero e piacevole come in partenza. Aveva la risposta, anche la sua era chiara e nitida nella sua mente, ma non sapeva se dirla o no, non sapeva se sarebbe riuscito a trattenersi una volta che avesse cominciato ad elencare tutte quelle qualità e quei difetti che avevano rapito il suo cuore tempo prima. «Non saprei... non ci ho mai pensato» mentì abbozzando un sorriso forzato «Ma credo dovrebbe piacerle la cucina straniera. Ogni tanto mi diverto a preparare dei piatti italiani»
«Non ci hai mai pensato? Sei ben strano anche tu, ormai dovresti pensarci o no?» fece lei incredula
«Forse hai ragione» ridacchiò a fatica «Magari comincerò a pensarci su da ora in poi» annuì.
Cadde il silenzio. Persino alle sue orecchie non era suonato per niente convincente, eppure più di così non riusciva a fare. Era la prima volta che parlava di ragazze e amore da molti mesi, non sapeva cosa si sarebbe agitato nel suo cuore o come nasconderlo. «Capisco che questo è un argomento delicato» mormorò Tomomi «Probabilmente, dato che qualcosa ti tormenta, questi discorsi leggeri sono l'ultima delle tue preoccupazioni, ma qualsiasi siano i tuoi problemi, Matsumoto san, sono certa che saprai come andare avanti. Magari hai solo bisogno di tempo»
«Sì, forse» annuì distrattamente
«Solitamente mi occupo di sanare le ferite fisiche del cuore delle persone, ma paradossalmente mi capita di aver a che fare anche con molte emozioni che hanno a che vedere con il "cuore" inteso in maniera più astratta. Non posso dire di essere brava nel trattare quel genere ferite, come invece lo sono con le altre, ma ho... dimestichezza? Diciamo così» si strinse nelle spalle «Quello che voglio dire è che puoi contare su di me... se ti va... anche se ci conosciamo poco». La guardò in faccia e vide che anche lei stava scrutando il suo sguardo, in cerca della sua reazione in quelle parole. Improvvisamente Jun si sentì confuso. «Perchè?» domandò «Faresti questo per me, ma noi non ci conosciamo affatto. Perchè lo faresti?» fece sbattendo le palpebre
«Perche sei interessante Matsumoto san» rispose senza indugio «Perchè sei intelligente e serio, ma so che sai anche ridere e divertirti» aggiunse. Quelle parole bastarono a far diradare un po' della nebbia che aveva nella testa. C'era dell'altro dietro quelle frasi, dietro quella proposta: qualcosa che stava prendendo forma tra loro due man mano che continuavano a parlare e senza che riuscisse a capire come fosse possibile. Assisteva stupefatto allo svolgersi di quella discussione già sapendo, in un angolo della sua mente, come si sarebbe conclusa. «Non sono particolarmente ricco» disse piano
«Te l'ho detto che non importa. E' chiaro l'impegno che metti in ciò che fai, la serietà con cui tratti ogni tuo progetto e responsabilità. E nonostante molte cose dipendano da te sei ancora in grado di scherzare con i tuoi amici, di parlare con molta semplicità a degli estranei, senza darti arie... e, beh, sul "bello e sensibile" non penso ci sia nulla da dimostrare arrivati a questi punto»
«E avrei delle belle mani?»
«Ho promesso di non guardartele, ricordi?» sorrise lievemente. Jun sorrise a sua volta, più che altro di riflesso, e non seppe che cosa dire. «Mi piaci, Matsumoto san».

Deglutì a fatica.
"L'ho detto? Già, l'ho detto. Oh al diavolo, cosa importa?!" pensava mentre si ravviava i capelli con una mano e sospirava guardandosi intorno cercando di ostentare tranquillità "Cosa ho da perdere? Viviamo in due mondi differenti, ci siamo incontrati per caso, pure se dovesse dirmi di no è probabile che non lo rivedrò o comunque non tanto presto, quindi avrei tutto il tempo per farmela passare. Senza contare che è solo un sentimento agli inizi, probabilmente posso stroncarlo sul nascere".
«Ah... tu...» cercò di articolare Jun «Scusa, mi hai colto di sorpresa» pronunciò passandosi una mano sulla fronte
«Sì, veramente mi sono sorpresa da sola» ragionò seriamente Tomomi, cercando così di darsi un'aria tranquilla. Rimasero in silenzio un'altra volta e lo osservò, con la coda dell'occhio, mentre abbassava lo sguardo pensieroso e respirava lentamente. «Sei stata inaspettatamente sincera» disse dopo un po' «O meglio, ho già capito che sei una senza peli sulla lingua, ma non mi aspettavo ciò che mi hai detto. Se l'avessi immaginato allora mi sarei aspettato queste parole, ma... beh. Non ero proprio pronto»
«Non c'è bisogno che dici altro sai?» fece Tomomi alzandosi in piedi, nervosamente, ma stiracchiandosi, come se non le importasse affatto la risposta che Jun avrebbe potuto darle «Capisco bene che è un po' improvvisa come cosa. Non c'è fretta»
«No, no, voglio dire che mi è dispiaciuto il silenzio che è seguito, ma non c'è bisogno di farti penare. Sul serio» rispose prontamente il ragazzo. La donna si voltò a guardarlo: era il suo turno di sorprendere lei, aveva già una risposta? «Ecco... se fosse una situazione normale potrei anche pensarci. Voglio dire che hai una personalità interessante e sei... beh sei carina. Alta forse, ma sono alto anche io» parlò tranquillamente intrecciando le dita tra di loro «E credo che normalmente avrei anche detto "proviamo ad uscire", ma, mi dispiace, non è il caso» scosse il capo «Non posso ricambiare i tuoi sentimenti, perchè sto ancora pensando ad un'altra persona».
Per quanto si dimostrasse forte e menefreghista, rimaneva pur sempre una ragazza. Anche se si atteggiava a cinica donna votata al lavoro quella non era la verità, anzi era pienamente capace di provare dei sentimenti profondi. Non che quello per Matsumoto Jun fosse già da catalogare come "profondo", ma era comunque un sentimento delicato trattandosi di amore, e per quanto appena sbocciato si sentì ferita al sentire quelle parole. «Scusami» fece il giovane alzandosi in piedi e inchinandosi
«Non stare a scusarti» scosse il capo lei, parlando lentamente «E' la persona per cui sei tanto in pensiero?» domandò incuriosita e forse preda di una momentanea gelosia
«Sì, è lei» annuì Jun
«Ho capito. Adesso andiamo, manca poco alla fine della pausa» lo incitò. Preferiva non indugiare oltre in quel momento imbarazzante, scaricare un po' di frustrazione nella partita era la cosa che le ci voleva in quel momento. «Aspetta» la richiamò facendosi avanti per mettersi tra lei e la porta «Scusami, sei stata molto sincera con me ed io vorrei esserlo con te» ammise «O forse è solo che la tua disponibilità mi ha fatto venir voglia di parlare. Sarei un insensibile se ti chiedessi di ascoltarmi? Di sentire le mie ragioni?»
«Per la verità...» fece per dire. Effettivamente non è che le andasse a genio stare ad ascoltare la sua storia con un'altra: in un alto momento magari sì, ma non in quello successivo al suo rifiuto. Lo guardò davanti a sè, sinceramente costernato, fissarla con quello sguardo cupo che già gli aveva visto la prima sera, tutte le volte che non rideva con Sho, tutte le volte che era solo con i suoi pensieri e tormenti. «Vabbè, parla» sospirò. Dopotutto era abituata ad ascoltare le persone anche in momenti obiettivamente peggiori di quello e poi proprio non le riusciva di dire di no quando le si chiedeva un aiuto e un sostegno. «Ammiro il tuo coraggio Nomura san, mi hai mostrato quella coerenza, quella calma e quella serietà che da qualche tempo sembra mi abbia abbandonato. Dici che non devo scusarmi, ma io penso che ora, più che in qualsiasi altro momento, le scuse siano esattamente ciò che ti spettano, perchè io potrei anche dirti di sì, ma semplicemente non voglio. E non è colpa tua, sono io» tentò di spiegarsi «Sono io che sono egoista. Terribilmente egoista, perchè ormai non ho nessun motivo per rimanere legato a questa persona e lei sembra avermi completamente abbandonato: non la vedo più, non riesco a vederla più nemmeno nei miei sogni. Non c'è più nessuna traccia del suo passaggio, niente ci lega ormai, eppure io so che c'è stata nella mia vita, è solo che ne è uscita rapidamente ed era ancora così poco che ci conoscevamo da non essere riuscita a lasciare alcun traccia chiara e visibile nel mio mondo». Il ragazzo sospirò abbassando lo sguardo. C'era una punta di ansia appena udibile nel timbro profondo e morbido della sua voce, era l'unica nota stonata nel ritmo calmo con cui le raccontava infine ciò che più lo angustiava. Non indugiava mai sulle parole, era come se quel discorso se lo fosse ripetuto mille volte nella propria testa, il che significava, probabilmente, che quella era la prima volta che si decideva a pronunciarlo. «E' come se non ci fosse mai stata, perchè nessuno degli altri l'ha mai conosciuta, perchè lei stessa aveva pochi amici e moltissimi di loro non li conosco affatto. Non ho che una persona con cui ricordare il suo passaggio, ma anche per lui è doloroso e dato che gli voglio bene non ho cuore di affrontare l'argomento. Rimango solo io» disse tristemente tornando a guardare Tomomi «Solo io posso ricordarla, solo io ho dei ricordi da mantenere vividi, ma con il tempo sbiadiscono e nemmeno quando dormo riesco a recuperarli dalla mia memoria. Sta svanendo... ed io non voglio. Anche se non ho più motivo per rimanere attaccato a ricordi che vogliono scivolarmi via dalla mente, io non riesco ad abbandonare questa lotta. E lo faccio solo per me, solo e unicamente per me. Così la risposta che ti ho dato è frutto di questo mio egoismo ed io non posso far altro che dirti "mi dispiace". Mi dispiace, ma non riesco a fare quello sforzo per staccarmi da gli ultimi frammenti di lei e guardare avanti». Aveva parlato con moderata lentezza, a mezza voce, come raccontasse una favola. La sua era una storia strana però, non aveva un inizio nè una fine precisi: era più la storia di un sentimento sofferto che andava lentamente spegnendosi contro la sua volontà. C'era qualcosa di commovente in quella favola dalle tinte tristi.
"Chi può conquistare così tanto i sentimenti di qualcuno e poi devastarli a tal punto?" si domandava lei mentre ascoltava quella spiegazione. Oppure si chiedeva "Che tipo di persone catturano il cuore di un idol famoso? Chi ha la forza di sostenere persone dalla vita tanto straordinaria? E' evidente che probabilmente io non sono quel tipo di persona". Scosse il capo «Va bene così, sul serio» sospirò facendogli un mezzo sorriso «Certe persone sono difficili da cancellare anche dopo molto tempo, anche quando i nostri ricordi di loro sbiadiscono con il tempo. Sarebbe sbagliato forzarsi a riempire di altri ricordi il vuoto lasciato da loro» lo rassicurò era chiaro che gli era costato molto farle quel discorso, ma era anche evidente che non le stava dicendo tutto. «Ora andiamo, mi sa che ci stanno già cercando» annuì e aprì la porta. Infondo al corridoio poteva già vedere la figura di Sho, da solo. «Però sai... quando prima ho detto che è sbagliato che gli altri abbiano potere sul nostro destino, che la cosa più giusta è avere ognuno potere sulle proprie scelte» disse mentre si avviavano
«Sì, me lo ricordo» annuì Jun
«Vale anche per te. Lo dico senza alcun risentimento per ciò che mi hai detto, sia chiaro» precisò alzando un dito in aria «Chiunque sia questa persona, per quanto importante, non può avere il potere di legare a sé le tue decisioni e la tua vita. Dovresti essere in grado di riprendere nelle tue mani il tuo futuro, non può essere in quelle di nessun altro» scosse il capo, quindi una compagna di squadra si affacciò al corridoio, furibonda. «Nomura saaaaan!! Stiamo aspettando tutte teeee!!!»
«Eccomi, eccomi!!» disse di rimando, alzando il braccio «Ehi voi due» disse prima di rientrare nello spogliatoio, rivolgendosi anche a Sho che avevano appena raggiunto «Rimanete a guardare anche l'ultimo set vero? Perchè vinceremo, per la miseria!» esclamò con decisione, prima di chiudersi la porta alle spalle. Si scusò con le campagne mille volte e rimise a posto le ginocchiere. Lanciò un'occhiata verso Erina, ma aveva uno sguardo indecifrabile: non riusciva proprio a capire come fosse andata.
Forse lei aveva la stessa espressione, perchè era stata rifiutata, ma aveva anche ricevuto un'importante confidenza, delle parole preziose. Ne era certa. Ma il fatto che entrambi fossero stati sinceri non le era di alcun conforto in quel momento.

*Le Hoshi no Tama (Sfera della Stella) sono sfere custodite dalle Kitsune, sono spiriti volpe della mitologia giapponese. Si crede le proteggano perchè sono deposito di parte della loro magia, quindi chi si impossessa della sfera può comandare lo spirito a suo piacimento.

artist: arashi, main:jun, ff:[language]italiano, ff:[type]long fic

Previous post Next post
Up