Akai Ito: Capitolo 24

May 12, 2011 20:35




DATI
Titolo: Akai Ito 
Capitolo: 24 (capitoli precedenti nel Fanfiction Masterpost)
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale
Pairing: Sakurai ShoxOC / Masaki AibaxOC / Matsumoto JunxOC
Rating: PG
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Trama: Un filo ci lega alla persona cui siamo destinati: non importa il tempo che dovrà passare o le distanze che ci separano. Ma se questa persona fosse proprio davanti a noi e non riuscissimo a riconoscerla? Se la considerassimo antipatica tanto da non degnarla neanche di uno sguardo? E se l'avessimo trovata e noi stessimo vacillando nei dubbi? E ancora, cosa dice che non l'abbiamo già persa?

NOTE
Capitolo scritto di 5 minuti in 5 minuti, tra uno studio e l'altro (accendevo il pc, scrivevo 5 minuti, spegnevo, studiavo, accendevo, scrivevo e via dicendo). Eppure non è stato un problema spezzettare così la stesura.
Come pensavo, per me scrivere di Junnie è straordinariamente semplice, o perlomeno scrivere del Matsujun che ho costruito io e che spero sembri verosimile (ohddio, qui ancora non si è visto molto, ma chi ha letto Kaze può essersi fatto un'idea). Quando devo scrivere di Junnie comincio a pigiare sui tasti e non mi fermo più (la verità è che inizialmente questo capitolo era lungo il doppio, ma non andava bene così XD ho tagliato cose belle ma superflue e ho tenuto un po' l'essenziale).
Un po' perchè io l'ho scritto in diversi momenti, ma anche questo capitolo ha parti che si svolgono in giorni diversi, cosa che praticamente in questa ff non capita mai O_O un capitolo, un momento, o comunque un giorno solo. Ahahahah!! Vabbè basta farmi seghe mentali: da stanotte penserò al prossimo capitolo (avevo già cominciato ieri, ma continuavo a tornare con la testa al cinese e alla fine ho dormito di merda facendo solo incubi... me lo sento, quest'anno non lo passo ._. ok, hem... la smetto che non gliene frega niente a nessuno °.°)

Con il capitolo di Junnie, la "crisi" tra la coppia di chibi e (quello che sembrerebbe) l'avvicinamento tra Erina e Shoccino ci avviciniamo a quasi (e forse) la metà della ff. Siamo in zona calda... uuuuh. *passa le patate al cartoccio*

24. The Correct Handwriting for "Happiness"

I close both locks below the window
I close both blinds and turn away

«E.... stop!»
«Andava bene così. Per oggi abbiamo finito in esterni» annunciò il regista «Otsukaresama deshita!». Si sollevò un coro di risposte: «Otsukaresama deshita!» «Otsukare~» «Due ore di pausa, ci si vede agli studi!» «Otsukaresama deshita».
L'assistente gli portò l'asciugamano e una bottiglietta di te verde freddo. «Grazie» mormorò con un sorriso gentile prima di cominciare a bere
«Otsukaresama deshita» gli disse Yuko, avvicinandosi a lui con un sorriso
«Takeuchi san, Otsukaresama deshita» rispose facendo un profondo inchino. Lei scoppiò a ridere «Ti sembra ancora il caso di essere così formale?» domandò divertita «Ormai sono mesi che giriamo insieme, non hai più bisogno di essere così cerimonioso»
«Mi spiace» rispose imbarazzato, stringendosi nelle spalle
«Si, si... rispondi sempre in questo modo» scosse il capo la donna «Hai fatto uno splendido lavoro oggi. L'ultima scena è venuta bene, non trovi?»
«Sì, spero sia venuta come voleva il regista» annuì prima di passarsi l'asciugamano sul viso, a togliere il sudore che gli bagnava la pelle. Girare in estate aveva quell'inconveniente: sudavano sempre tutti tantissimo e la regia pretendeva che i personaggi sullo schermo fossero sempre asciutti, il che richiedeva di asciugarsi ogni volta che si faceva uno stacco e poi risistemare il trucco, i vestiti o le acconciature. «Jun kun!! Jun kun!!» si sentì chiamare tra la folla di tecnici che smontavano gli attrezzi e ritiravano le telecamere per riportare tutto sui camion. Girare in esterni richiedeva sempre molto lavoro. «Jun kun!» una bambina spuntò tra le gambe delle persone
«Sei chan!» esclamò il ragazzo, stupito. Si piegò sulle ginocchia mettendosi l'asciugamano sulle spalle «Come mai sei qui? Non devi girare gli interni oggi?»
«Jun kun, otsukaresama deshita!» pronunciò la bambina, calcando l'accento sull'ultima sillaba prima di inchinarsi impacciatamente
«Nh, grazie» annuì sorridendole debolmente
«Volevo salutare Jun kun e ho chiesto alla mia manager di passare dal set prima di andare agli studi» spiegò la bambina «Perchè non ci vedremo molto nei prossimi giorni»
«Seiran chan sa che sarai molto occupato con il concerto e che le prossime riprese che farai insieme a lei saranno tra una settimana» annuì divertita Yuko «Sei stata carina a passare a salutare Matsumoto san»
«E' perchè Jun kun è un bravo senpai e mi aiuta sempre» annuì la piccola «Mi raccomando, metticela tutta al concerto» fece ancora verso il ragazzo
«Nh, farò del mio meglio» rispose lui con un cenno di assenso «Grazie Sei chan. Buon lavoro anche a te». Subito dopo spuntò la manager che la cercava disperatamente e si salutarono. L'assistente del ragazzo, nel frattempo, aveva recuperato le sue cose e le aveva sistemate e raggruppate da una parte. «Seiran chan è una bambina molto brava» osservò Yuko «Sono sicura che diventerà una bellissima ragazza e una brava attrice se continuerà»
«E' pazzesco, ha veramente detto che la aiuto?» scosse il capo incredulo
«Beh, è vero no? Ogni tanto vi ho visti che la aiutavi a ripassare le battute prima delle registrazioni» osservò la collega
«L'ho solo ascoltata, non ha mai avuto bisogno di indicazioni di interpretazione» scosse il capo il giovane «Dovrei essere io a ringraziarla. Ho imparato tantissimo da lei. E sono quasi certo che abbia ancora qualcosa da insegnarmi prima della fine»
«Dovremmo ringraziarla tutti, se ti ho visto sorridere fuori dal set era solo quando eri con lei» scosse il capo quella. Jun non disse niente, in un primo momento. "E' proprio così?" si domandò colpito: era la prima volta che gli facevano notare una cosa simile. «Mi dispiace» disse poi con un inchino
«Lascia stare, lascia stare» scosse il capo Yuko «Era completamente fuori luogo, scusami tu. Devi lavorare questa sera vero?» domandò per cambiare discorso, accompagnandolo verso la strada principale
«Sì, dobbiamo registrare la puntata di Shiyagare. Grazie» fece poi verso il ragazzo che lavorava al suo fianco «Allora ci vediamo Lunedì»
«Sì, sarà l'unico giorno della settimana» annuì quello «Ho già avvisato il regista che devi finire prima di cena per poter andare alle prove del concerto»quindi gli lasciò la borsa con le sue cose
«Va bene, ti ringrazio moltissimo» rispose Matsujun inchinandosi «Otsukaresama deshita»
«Otsukaresama deshita. A Lunedì» si inchinò anche alla donna prima di allontanarsi. «Devi provare ancora?» domandò lei
«Sì, dobbiamo ri-testare tutti gli impianti, quindi la prossima sarà ancora una settimana di prove: soundcheck, tempistiche, balli e via discorrendo. Credo finiremo oltre la mezzanotte ogni giorno, come al solito» spiegò lui alzando un braccio per chiamare un taxi
«Non finirò mai di stupirmi tutte le volte che mi rendo conto di quanto lavoro facciate» ridacchiò nervosamente quella «Beh... buona registrazione stasera»
«Grazie» rispose aprendo la portiera del taxi e posando la borsa sul sedile «E' stato bello lavorare insieme anche oggi con te, Takeuchi san. Otsukaresama deshita» fece inchinandosi
«Otsukaresama deshita» rispose a sua volta, poi rimase sul marciapiede ad osservare il giovane idol che entrava in macchina e richiudeva la portiera.

Sometimes solutions aren't so simple
Sometimes good bye's the only way

Erano passati quasi due mesi da che era cominciato quel periodo. Era molto tempo che non aveva così tanto lavoro da svolgere, si era riempito l'agenda con precisione: attento che gli impegni movimentassero più giornate possibili, ma che non arrivassero a distruggerlo fisicamente. Certo, era sempre stanco, era sempre in giro a fare qualcosa, dormiva solo quattro o cinque ore a notte e si sentiva sempre sul punto di non farcela più. Ma andava avanti, perché tutto era calcolato con precisione, con un'attenzione quasi morbosa: si teneva in costante tensione, ma sapeva di aver calcolato tutto perchè lo sforzo non fosse mai eccessivo. Così Erano quasi due mesi che Matsumoto Jun correva disperatamente lungo il ciglio di un burrone immaginario: un solo passo falso e sarebbe caduto nel buio più nero, ma aveva calcolato ogni suo passo in quel percorso perchè i suoi piedi posassero esattamente pochi millimetri prima dello strapiombo. Così doveva fare per tenersi sempre all'erta, per avere i sensi svegli e impegnati, per non avere alcuna chance di distrazione, alcun momento di pausa e relax, altrimenti avrebbe rallentato. Si sarebbe messo a camminare e avrebbe avuto l'occasione di guardare nel buio aldilà dello strapiombo. L'occasione di pensare ad altro che non fosse il suo lavoro. Nella sua minuziosa tabella di marcia però non aveva trovato modo di evitare i momenti morti in cui non c'era nulla a tenerlo occupato. E così in quei lassi di tempo si metteva a camminare lentamente sul sicuro sentiero a fianco del burrone e poteva alzare lo sguardo e contemplare con angoscia crescente l'oscurità profonda. Non aveva trovato modo di evitarli, accadeva quando doveva andare da una parte all'altra, il viaggio da uno studio ad un altro, i minuti prima di prendere sonno o nelle pause pranzo.
Però ultimamente qualcosa era cambiato: aveva ripreso a mangiare regolarmente colazione, pranzo e cena, mentre il mese precedente aveva sbocconcellato qualcosa solo quando i crampi di fame diventavano più insistenti. Aveva ripreso dalla settimana delle prove e poi la notte della domenica del concerto si era spazzolato due scodelle intere di ramen (se sceglieva Aiba dove mangiare erano quasi sempre ramen): aveva sudato tantissimo, ma era uscito soddisfatto ed era andato a dormire sprofondando in un sonno senza sogni. Aveva ritrovato l'appetito ed aveva scoperto che mangiare in compagnia lo aiutava a riempire un vuoto. A distogliere lo sguardo dal buio anche in quei momenti. Così lungo la strada chiese al tassista di fermarsi davanti ad un Lawson*. Inforcò gli occhiali da sole e il cappellino per entrare rapidamente a prendere un paio di tramezzini, pagare e tornare in macchina.
Osservò le strade di Tokyo masticando piano i suoi tramezzini di tonno e uovo. Erano veramente soffici. Mentre guardava fuori dal finestrino si fece scuro in viso: era la cosa peggiore, quando il momento del cibo si mischiava al momento dello spostamento. Non aveva trovato modo di riempire il tempo vuoto dei viaggi. Socchiuse gli occhi, stava per rimettersi a pensare. Stava per alzare ancora lo sguardo al nero pesto della solitudine che circondava la sua anima in corsa. «Scusi» accennò d'improvviso il tassista. Jun sobbalzò e girò il capo per guardare gli occhi dell'altro riflessi nello specchietto retrovisore «Si?» domandò abbassando gli occhiali con l'indice della mano destra
«Immagino che le capiterà spesso, mi perdoni. Ma posso chiederle se lei è... chi penso che sia?» fece impacciato l'uomo
«Oh... sì. Cioè, "sì" può chiedere, ma non so chi pensa lei» rispose sbattendo le palpebre. In realtà non accadeva così spesso che i tassisti gli chiedessero chi fosse. Erano sempre molto riservati, eppure i modi di fare di quella persona non erano invadenti. Aveva chiesto qualcosa che solitamente non gli chiedevano, ma non era stato indiscreto. «Mi perdoni, forse mi sbaglio, ma sarei pronto a giurare di star portando sul mio taxi Matsumoto Jun san, degli Arashi» rispose per poi scuotere il capo «Ma sicuramente mi sbaglio»
«No, ha ragione. Sono solo stupito che un uomo della sua età mi riconosca» rispose il giovane che era rimasto in silenzio qualche secondo dopo la congettura dell'autista. Questi non era molto giovane, anzi, non si poteva nemmeno dire che fosse un uomo di mezza età. Doveva essere quasi prossimo alla pensione. «Oh, è che sono iscritto al vostro fan club» rispose quello, fermandosi ad un semaforo
«Come? Lei?» domandò stupito
«E' strano vero?» rise sommessamente «Ho una figlia che è della vostra stessa generazione. Vi segue da tantissimi anni e dopo un po', siccome era difficile avere un biglietto per i vostri concerti, ha chiesto a me e a mia moglie di iscriverci per avere più possibilità» spiegò ripartendo
«Capisco. Non pensavo ci fossero situazioni come questa» annuì addentando di nuovo il suo tramezzino «Mi spiace, così sembra che infastidiamo la sua famiglia più del dovuto» riflettè
«Ma si figuri!» rise di gusto quello «Quando faccio le guide di notte sono contento perchè so che mia moglie è a casa che può guardare i vostri programmi alla televisione. Si diverte sempre tantissimo»
«Sul serio?» domandò incuriosito «Lavora spesso fino a tardi?»
«A volte capita sì, i giovani hanno voglia di divertirsi quando è buio e così rimangono a lavorare per la città soprattutto i più anziani di noi» annuì «Ultimamente faccio spesso i fine settimana, mi pagano di più» spiegò con pazienza «E mia moglie si può guardare in pace il vostro programma. Come si chiama? Quello nuovo...»
«Shiyagare. Arashi ni Shiyagare» rispose con un sorriso, non è che si potesse più definire "nuovo" quel programma**
«Quello, esatto! E' sempre così felice quando può guardare quello che le piace in televisione. Se ci sono io si lamenta che guardo solo telegiornali!». Jun rimase in silenzio "Cosa dovrei fare? Ho appena finito una mattinata che è cominciata addirittura alle sei, ho lavorato per quasi sette ore, e mi attende un pomeriggio intero di registrazioni che, bene che andrà, finirà all'ora di pranzo. Dove la trovo la forza di farlo smettere?" si domandò mentre ascoltava l'autista chiacchierone. «E poi se guarda la televisione non si lamenta che lavoro troppo e che non sto con lei» continuava a parlare della sua famiglia. "Ma magari la verità è che non voglio che smetta" ammise con se stesso. Inaspettatamente aveva trovato un compagno per il pranzo, per quel viaggio. Inaspettatamente quel pericoloso momento di vuoto era stato riempito dalle modeste chiacchiere del tassista e lui stava scampando miracolosamente al rischio di avere tempo per pensare. Non voleva che smettesse. «Insomma ci fa piacere essere iscritti, è grazie a voi che si sente meno sola» annuì con decisione il tassista svoltando a destra «Anche se ultimamente è difficile. Anche il nostro settore ha problemi e rischiamo di essere licenziati da un giorno all'altro... noi vecchi dico. Se succedesse sarei veramente nei guai» sorrise appena «Ma non ci va di togliere l'iscrizione, infondo non è tanto, eh. Quindi va bene così» aggiunse subito dopo
«Grazie. Veramente non so cosa dire» disse ripiegando la plastica che conteneva i tramezzini ormai finiti «Sembra sia un periodo difficile per lei, eppure in qualche modo continua ad appoggiarci. Lei mi sembra felice nonostante tutto»
«Come? Felice?» domandò sollevando le sopracciglia «Oh beh si... in un certo senso sì»
«E' ammirevole, eppure non mi sembra che le stia accadendo niente di bello ultimamente» riflettè Jun. L'attimo dopo si pentì di quella frase, per certi versi suonava troppo sfacciato e impiccione, per altri si rendeva conto che con quelle parole, anche se avrebbe potuto distrarsi con i discorsi dello sconosciuto, era come se stesse pilotando la discussione verso temi sensibili che non avrebbe voluto toccare.
«Ma dipende» rispose quello facendo spallucce «Cosa si intende per "felicità"? Io penso che la vita sia fatta di piccole felicità insignificanti. Non solo di grandi cose, come lo studio, l'amore, i matrimoni, i funerali, come pensano in tanti. Una giovane donna che ride con un'amica al cellulare, un ragazzo che sfoglia i progetti da presentare in ufficio, qualcuno che torna a casa dopo una giornata di duro lavoro: ogni giorno succedono talmente tante piccole cose e chi lo sa meglio di me, che vedo il mondo passare su quel sedile?»
«Lei chiamerebbe "felicità" ognuno di quei momenti?» domandò lui, scettico
«Sì e no. Come dire... ci sono tanti piccoli momenti nelle nostre vite e tra di essi si nascondono granelli di una felicità che così, presa singolarmente, è appena percepibile. Ma sono talmente tante da non riuscire a tenerle a mente né a contarle. E allora, se le mettiamo tutte insieme, ogni piccolo attimo, non possiamo chiamare "felicità" quell'insieme?» domandò guardandolo nello specchietto retrovisore «Non capisco, sarà che sono vecchio ormai, ma sembra che per le persone debba essere per forza una sola la felicità. Una sola e molto grande, ma dura così poco... allora cosa fanno? Stanno tristi tutto il resto del tempo?»
«Ma non credo. Saremmo circondati da persone tristi allora, non pensa?» riflettè il ragazzo
«Esattamente!» esclamò quello ridendo «Esattamente. E non è così, no? Le persone ridono spesso. Allora ho ragione io no? La felicità non è una sola cosa, ma è un insieme di tante, sparpagliate nella nostra vita» concluse, soddisfatto di aver centrato l'obiettivo e di aver dimostrato di aver ragione. Jun non rispose niente, rimase in silenzio con la mente svuotata di ogni pensiero. «Oh accidenti, devi scusarmi. Come siamo finiti a fare questi discorsi?» rise quello di gusto per poi fermarsi davanti ai cancelli degli studi.

And the sun will set for you
The sun will set for you
And the shadow of the day
Will embrace the world in grey
And the sun will set for you

Gli cadde il copione di mano. «Cosa?» domandò allibito
«Oh ti supplico, ti prego, ti scongiuro!» fece Sho, si era addirittura inginocchiato sulla sedia di fianco alla sua e aveva unito le mani davanti al viso. «Non dirmi di no, in cambio farò tutto quel che vuoi!». Jun sbattè le palpebre un paio di volte e si chinò a raccogliere il fogli che aveva lasciato cadere. «Posso sapere perché hai tirato in mezzo me?» domandò tranquillo riappiattendo le pagine sul tavolo. Come spesso succedeva, lui e Sho erano i primi ad arrivare agli studi di registrazione. «Non è che ci sia un vero perchè» farfugliò abbassando lo sguardo «E' stato un attimo, non mi sono nemmeno reso conto di quel che stavo per fare se non dopo averlo fatto. L'ho invitata ad uscire con me di slancio, poi mi son fatto prendere dal panico»
«E mi hai usato come scusa?»
«No! Cioè... beh si» rispose imbarazzato
«Scusa se mi permetto Sho kun. Sei un bel ragazzo, sei spigliato, aperto, abituato a trattare con le persone -fan, responsabili severi o personaggi famosi che siano: mi spieghi perchè davanti ad una singola ragazza non riesci a fare altrettanto?» domandò con un mezzo sorrisino. Era incredibile, conosceva Sho da undici anni. Undici anni fianco a fianco quasi tutti i giorni e non l'aveva mai visto tentennare a quel modo davanti ad una ragazza. E si che qualcuna c'era stata: un paio di modelle, un'attrice; roba di poco conto alla fine, ma non aveva mai avuto alcun problema ad avvicinarle. Da quel che sentiva in quel momento invece sembrava quasi che trovasse difficile avere il coraggio di parlare sinceramente con quella nuova fiamma. «E' diverso» rispose Sho «Questo non è lavoro. E' una cosa importante e...» si bloccò mettendosi a sedere normalmente «Sai, ci sono quelle volte in cui tieni ad una cosa talmente tanto, ma talmente tanto, che hai il terrore di fare qualsiasi cosa per averla. Perchè è talmente bella e importante che quasi preferisci vivere nel tepore del suo sogno, nell'illusione che non facendo nulla tutto andrà avanti e si sistemerà da solo. E hai paura a rischiare per ottenerla perchè potresti farcela, certo, ma potresti anche non farcel. E' quello. Io cerco il coraggio di rischiare, ma ogni volta che faccio cinque passi avanti ne faccio anche tre indietro» gli spiegò l'amico, evidentemente confuso. Jun smise di fissare le pagine, senza nemmeno leggerle seriamente, e richiude il copione. «Va bene, verrò con te» annuì «A patto che farai del tuo meglio per fare cinque passi avanti e solo due indietro» gli intimò guardandolo in viso. Lo vide sorridere felice e annuire ubbidiente «Sì, lo prometto! Farò del mio meglio! Lo prometto!» esclamò
«Però aspetta... potrei finire a fare il terzo incomodo?» si domandò portandosi un dito sulle labbra, aggrottando le sopracciglia
«Oh no! Non devi preoccuparti, porterà un'amica con sè» spiegò Sho
«Chi?» domandò, improvvisamente agitato
«Non lo so, ma le ho raccomandato di trovare qualcuno che non impazzisca ad uscire con noi due» spiegò l'amico annuendo «Mi domando se ce la farà...»
«Hai chiesto ad una ragazza qualsiasi di portarsi dietro un amica che non si faccia venire una crisi isterica all'uscire con due personaggi famosi?» domandò allibito «Facevi prima a chiederle di andare fino a Shanghai a nuoto» scosse il capo
«Effettivamente... beh ma son certo che ce la farà» sembrava veramente convinto
«E sentiamo, quando sarebbe questa uscita?» domandò con un sospiro «Spero non stasera, dato che abbiamo la diretta»
«Ma no che dici? Ok, sembro un po' confuso ultimamente, ma lo so che di sabato sera lavoriamo» spiegò piccato Sho «Fra tre giorni e... buongiorno Nino kun!»
«Ohi...» salutò quello che era appena entrato in camerino togliendosi le cuffiette del lettore mp3 dalle orecchie
«Martedì...? Ma abbiamo le riprese di Himitsu il pomeriggio» gli fece notare Jun, mentre alzava una mano a salutare l'amico arrivato in quel momento
«Meglio, no? Andiamo insieme, non ti pare?» domandò l'altro, serafico. "Stronzo" sospirò il ragazzo sconfitto "Sa perfettamente che non voglio uscire e mi fa quelle espressioni lì" sbuffò accigliandosi "Se lo facesse per costringermi ad uscire non userebbe simili mezzucci. Significa veramente che le ha chiesto di uscire perchè voleva farlo e mi ha tirato in mezzo per caso" storse il naso. «Bene, ti scrivo qui dove ci troviamo» disse Sho mentre si piegava sul suo copione a scribacchiargli un indirizzo
«Aspetta, non ti ho mica detto che vengo! E poi non hai appena detto che andiamo insieme?» chiese stupito
«Non ti riconosco più Jun kun... lo sai che può succedere qualsiasi cosa con il nostro lavoro» rispose strabuzzando gli occhi «Per ogni evenienza...»
«Vai ad un appuntamento?» domandò Nino sbirciando cos'aveva scritto Sho sul copione di Jun «Oh... sarà la ragazza che abbiamo conosciuto alle registrazioni?» ridacchiò
«Ma và! Nino fatti i fatti tuoi» esclamò lui arrossendo e cercando di allontanare l'amico mettendogli una mano sullo stomaco «Cambiati, forza... non hai da fare?»
«Oh, eh? Ti vergogni Sho kun?» domandò quello con un ghigno «Beh, se ti vergogni allora è importante» ridacchiò
«Cosa dici? E' una scemenza! Non posso uscire con una ragazza senza che sia qualcosa di serio?»
«E allora perchè fai il misterioso? Dai, vengo io se Jun non vuole»
«Ho detto "no", vai a cambiarti» si lagnò
«No, vado con Sho» dichiarò quindi Matsujun
«Accetti?» fece Sho sorridendo raggiante e completò di scrivergli le informazioni quando l'amico annuì
«Eeeh? No dai, allora invita anche me» insisteva Nino, in vena di molestare Sho dopo aver scoperto quel suo punto debole. Il riccio guardò l'indirizzo e l'orario scritti nell'angolo in alto di pagina tre del suo copione di quella sera. "E' un appuntamento all'ora di cena, non sappiamo se finiremo presto di girare: come può aver dato un appuntamento in un giorno simile? Deve veramente essersi fatto avanti con uno slancio di coraggio" riflettè appoggiando il mento alla mano sinistra "E' giusto... vero? Dopo tutto quello che ha fatto per me in questi mesi dovrei ringraziarlo per settimane. E non mi ha mai forzato, per non farmi sentire in colpa ogni volta che gli ricevo di no. Se viene da me adesso significa che ha veramente bisogno di una mano". Si passò una mano tra i capelli con un sospiro "E non posso rimanere sempre così, giusto? Bisogna che io ritrovi il vecchio Jun, in qualche modo". «Ehi voi due, la smettete di bisticciare?» sospirò guardandoli con apprensione «Andiamo a prepararci su» li incitò.

In cards and flowers on your window
Your friends all plead for you to stay

I ragazzi stavano tutti seduti al tavolo fuori da un bar. «E' molto che aspettate?» chiese sedendosi con loro
«Mmmh» mugugnarono, tutti presi a bere qualcosa «Tranquillo, anche se si raffredda, il te possiamo riscaldarlo di nuovo» precisò Aiba. Jun in un primo momento sorrise, poi si sentì il cuore in fiamme, colmo di un affetto e insieme di una tristezza infinita. "L'ho già sentita... chi l'ha già detto? Non riesco a ricordarlo, eppure..." pensò tra sè, ma stava già piangendo
«Non essere così melodrammatico» rise Nino girando il cucchiaino nel bicchiere, divertito «Abbiamo tutto il tempo del mondo»
«Andiamo al museo?» chiese passandosi le mani sugli occhi. Cercava di asciugarsi le lacrime, ma non si fermavano, aveva la vista appannata e non riusciva a guardare la guida che aveva tra le mani. «Oh! Andiamo al museo?» domandò Satoshi, sorridente «Allora voglio vedere i dipinti d'epoca!»
«Sì, il museo... era oggi» annuì lui cercando di fare un sorriso, una piccola smorfia da dietro le lacrime «Era una promessa, no?»
«Promessa? Di cosa stai parlando?» chiese Sho finendo il suo te e mettendo da parte la tazza «Non abbiamo mai parlato di musei»
«E' vero, non ricordo niente nemmeno io» annuì Nino
«No... io... l'ho promesso» farfugliò Jun, sempre più confuso. "Sono sicuro. Andremo al museo allora, così ho detto. Andremo appena hai finito, ho aggiunto. Con chi...? Con chi stavo parlando?" si chiese cominciando a singhiozzare. «Andiamo al mare allora!» propose Aiba «Voglio fare un bagno»
«A te non importa Matsujun?» chiesero i ragazzi «Puoi andare un'altra volta al museo»
«No, io... voglio andare. Io voglio andarci con te» ripetè urlando «Perchè non sei qui?»
«Che stai dicendo? Non ti senti bene?» domandarono gli altri
«Andate via! Andatevene!» strillò isterico «Shiori! Shiori, voglio andare con te! Perchè non riesco? Perchè non ci riesco mai a sognarti?» continuò a piangere, come disperato. «Okyaku sama» si sentì chiamare «Okyaku sama!».
Jun sobbalzò e aprì gli occhi. «Mi scusi, siamo arrivati» spiegò il tassista. Il ragazzo si guardò intorno spaesato e ci mise qualche secondo a far mente locale di dove si trovasse. «Mi perdoni, mi ero addormentato» farfugliò tirando fuori i soldi dal portafoglio.
In zona doveva esserci l'ultimo matsuri estivo. Le ragazze in yukata erano tantissime e anche molti ragazzi. Il fiume più vicino era a due fermate di treno da lì quindi molti passavano davanti alla stazione molto in fretta per arrivare in tempo prima dell'inizio dei fuochi. Era una fortuna per lui, nessuno gli badava. Aveva messo un borsalino scuro e si era tolto le lenti, che aveva su da quella mattina, così indossava anche gli occhiali dalla montatura nera, abbastanza spessa. mancavano cinque minuti all'ora dell'appuntamento e Sho ancora non si era visto. Avevano finito preso le riprese quel giorno: dalle due alle sei di sera. Con l'appuntamento alle otto aveva avuto due ore per tornare alla JH farsi una doccia e cambiarsi. Sho però non era andato con lui, lo avevano bloccato agli studi per parlargli quindi Jun non l'aveva aspettato. Con un sospiro tirò fuori un pacchetto di Mild Seven*** e si avviò alla smoking area vicina alla stazione****. Si sedette all'alta aiuola in cemento che circondava ogni albero piantato davanti all'ingresso e si mise a frugare nella borsa, alla ricerca dell'accendino, tenendo la sigaretta tra le labbra. Era un po' nervoso. I discorsi del tassista di quel pomeriggio erano stati strani, quell'uscita era strana. Erano due mesi che non usciva con qualcuno. Agli altri aveva raccontato che ogni tanto era andato a mangiare fuori con amici, ma non era vero: aveva sempre mentito perchè loro si preoccupavano per lui e perchè sperava che, sapendo che con qualcuno comunque usciva, smettessero di chiedergli di farlo con loro. Aveva apprezzato molto i loro tentativi in quel periodo, ma non se l'era mai sentita. Chissa perchè, invece, quella volta sì. "Prima riprendo a mangiare, ora accetto di uscire. Sarà il tempo che passa... magari tra un mese riprendo anche a sorridere con sincerità" sorrise amaramente, poi sbuffò «Accendino...» borbottò senza trovarlo «Aaah» non c'era, questo lo innervosiva ancora di più
«Prego» sentì dire. Quando si girò, vide una ragazza che gli tendeva il suo accendino. «Ah, grazie» rispose chinando il capo e prendendolo per accendersi la sigaretta. «Grazie mille» fece restituendoglielo
«E di che» rispose quella stringendosi nelle spalle.

Sometimes beginnings aren't so simple
Sometimes good bye's the only way

Jun fece un lungo tiro guardando la via affollata davanti a sè. Gli yukata delle ragazze erano tutti diversi, sgargianti nei loro colori accesi. A gruppetti si incontravano e, chiassose, entravano in stazione. Una banda di universitari ne stava seguendo cinque, offrendosi di tenere loro compagnia. Due bambine gli corsero davanti mentre si richiamavano tra di loro e incitavano la madre a seguirli più velocemente, ma lei faceva fatica a camminare con i geta ai piedi*****. Un uomo usciva dal ristorante di soba portandosi dietro un carretto: probabilmente avrebbe cercato di vendere qualche porzione in confezioni da asporto, ma doveva sbrigarsi o le persone avrebbero già trovato da mangiare prima del suo arrivo. «Aspetti qualcuno?» sentì chiedere. Era di nuovo la ragazza che gli aveva prestato l'accendino. Si girò a guardarla. Anche lei indossava lo yukata ed era seduta sul muretto dell'aiuola, come lui solo un po' più distante. Jun annuì e in quel momento si sentì un forte sibilo e uno scoppio. Alzarono entrambi gli occhi al cielo, ma era buio. «Devono essere dall'altra parte» osservò quella
«Se non ti sbrighi te li perderai» osservò il ragazzo. Non aveva molta voglia di parlare: quel giorno sembrava che tutti gli sconosciuti volessero attaccare bottone proprio con lui e quella coincidenza gli faceva perdere la voglia. «Sto ancora aspettando la mia amica» spiegò quella, poi caddero di nuovo nel silenzio. Seguirono altri scoppi, la luce di alcuni dei fuochi più alti arrivò a proiettare dei flash colorati anche fino alla loro piazza antistante la stazione.
Prese ancora un tiro e guardò il cellulare: era l'ora dell'appuntamento e ancora nessuna notizia. Avrebbe riconosciuto la responsabile delle spese del concerto tra la folla, ma ormai lì non c'era quasi più nessuno e quindi non era difficile constatare che nè lei nè lui erano arrivati ancora. Guardò distrattamente la brace della sigaretta, arancione acceso, poi sbirciò la giovane poco più in là. Indossava uno yukata blu dai grossi fuori bianchi e un'obi bordeaux dalle sfumature rosse e bianche. Aveva i capelli neri e lisci, raccolti in una cipolla alta sulla testa. Alcune ciocche più corte erano sfuggite all'acconciatura e le accarezzavano le guance. Rimase incantato a fissarla per qualche secondo, osservandone il profilo tipicamente giapponese, l'aria pensierosa, il collo lungo e sottile. "Quando indossava uno yukata anche lei doveva essere così" si ritrovò a pensare "Ma avrebbe scelto una stoffa di colore chiaro e delle decorazioni meno appariscenti. Forse anche sui geta camminava con la sua solita eleganza". La giovane si voltò verso di lui, sentendosi osservata, e Jun ebbe l'impressione si averla fatta preoccupare con quelle occhiate insistenti. «Ehm.... che sigarette sono quelle che fumi?» domandò Jun notando che quella tra le dita della ragazza era nera
«Sono Sobraine Black Russian******» rispose allungando la mano verso di lui «Me le faccio mandare apposta ogni tanto»
«Buone?»
«Non saprei: non mi piace fumare, per me sono tutte cattive allo stesso modo. Di solito fumo le Silk Cut perchè sono leggere» spiegò alzandosi in piedi e passandogli davanti per raggiungere il posacenere e spegnere la sigaretta. «Se non piacciono perchè lo fai?» domandò colpito Jun
«Le Black Russian hanno un bel packing, è elegante» fece frugando nella propria borsa. Doveva essere alta pressapoco quando lui, infatti lo yukata le andava corto e non le stava molto bene. «Poi come dire... a volte si fanno cose stupide per il semplice gusto di farle» spiegò stringendosi nelle spalle mentre tirava fuori un pacchetto di salviettine profumate «Come se ci si volesse autopunire. Sembra scemo, ma c'è parecchia gente che lo fa»
«No, posso capire» "Anzi, capisco fin troppo bene" «Tanto se è destino che moriremo allora sarà così, giusto?» domandò soffiando il fumo sulla punta della sigaretta accesa
«Che pensiero negativo» osservò lei passandosi le mani in una delle salviette che aveva tirato fuori «Devi punirti anche tu per qualcosa?». Il giovane idol fece un ultimo tiro. "Lei non avrebbe mai fatto una cosa così poco elegante come fumare" si diceva "Non c'è alcun fascino nelle donne che fumano". Fece una smorfia «No, per la verità no» rispose scuotendo il capo «A me fumare piace»
«Oh beh, allora tanto meglio» concluse lei con un sorriso «Scusami» lo salutò con un breve inchino quando le squillò il cellulare. Jun si alzò e spense la sigaretta a sua volta. Erano dieci minuti che era lì, quindi erano tutti in ritardo di cinque minuti. "Che sia successo qualcosa? Magari hanno problemi le linee dei treni" riflettè mettendosi a camminare per la piazza deserta. «Senti, piccola rompiscatole, hai idea di quanto mi sia costato venire qui oggi?» sentì dire ad alta voce. Si voltò e vide che la ragazza dal kimono blu stava parlando al cellulare «Perchè ti devi fare tutti questi viaggi mentali? Non è che puoi stare tutta la vita a farti mille domande, accidenti! Agisci ogni tanto! Mi fai venire i nervi!». Si scambiarono un'occhiata e lei abbassò subito la voce. Il ragazzo trattenne a stento una risata: quel modo brusco di imporsi gli ricordava tantissimo lei.
Era un maledetto e inaspettato momento di vuoto. Ormai l'aveva capito e aveva rinunciato a combatterlo. Si mise in piedi in mezzo allo spiazzo e guardò i fuochi che arrivavano sopra il tetto della stazione, tanto alti che poteva vederli anche lui da lì. Quel ritardo gli stava dando la possibilità di pensare e infatti aveva già cominciato a richiamare alla mente un sacco di ricordi. "Non ci riesco ancora, vero?" sospirò mettendosi le mani in tasca "Non riesco a sognarla., a vedere il suo viso almeno quando dormo. Sogno altro e non c'è mai traccia del suo passaggio. Sono solo io che ho ricordi di lei, io che so che lei c'è stata" tirò su con il naso "Ma cosa sto facendo? Farei meglio a tornarmene alla mia stanza". Sbuffò e strinse le dita tra loro, dentro le tasche, deglutendo nel tentativo di scogliere quel groppo che sentiva in gola e che non gli permetteva di respirare normalmente. «Ehi scusa» lo richiamò la sconosciuta «Posso chiederti una sigaretta?» domandò aggrottando le sopracciglia, come infastidita dal dovergli chiedere quel favore
«Le hai finite?»
«Sono forti, non posso fumarne due a così poca distanza»
«Non so quanta differenza ci sia tra i due tipi ma... tieni» rispose tirandone fuori una dal suo pacchetto. Lei ringraziò e tornò vicina all'albero per fumare. Stavolta però rimase in piedi per poter guardare anche lei i fuochi. «Devi autopunirti per molte cose?» domandò Jun, incuriosito dal fatto che ne stesse fumando una a così breve tempo dalla precedente. «Non è qualcosa che possa quantificare. Comunque questa è solo una sigaretta di nervoso»
«Va a finire che il tuo nervosismo accelererà la tua fine di questo passo». Avrebbe voluto dire quella frase con la giusta amarezza con la quale l'aveva pensata, ma con una sconosciuta non sarebbe stato cortese usare quel tono e aveva cercato un modo per mitigarlo, simulando una risata strozzata. «Ridi?» domandò lei prendendo un primo tiro
«Scusa» ammise abbassando lo sguardo. Era confuso dal suo stesso comportamento. «Nessun problema. Se la pensassi come te riderei anche io» annuì tranquilla, non sembrava offesa
«Come me?»
«Beh sì. Hai detto che prima o poi moriremo tutti, giusto? Allora che io fumi di più o fumi di meno è indifferente: sono comunque destinata a morire, tanto vale fumare tutte le volte che voglio finchè posso» fece spallucce «Dato che non condivido, non riderò. Però mi viene da chiederti cosa ci sia di divertente: se vivi guardando il mondo che ti scorre davanti, aspettando solo il giorno della fine, perchè tanto è il destino di tutti... beh, bella schifezza»
«Scusa» riuscì solo a rispondere.
«Ah, lascia stare» scosse il capo lei «E' stata una giornataccia. Perchè mi sono messa a parlare con te? Che giornata da schifo, veramente. Cioè, non per colpa tua» si corresse «Bene. Prima di sparare altre idiozie tornerò a casa. Scusami per questo discorso assurdo». Jun osservò il sorriso stanco della sconosciuta: chissà che giornata aveva avuto per finire a parlare con uno depresso come lui. «Va bene, non importa» scosse il capo
«Seriamente però: mi sembra ci sia qualcosa che ti tormenta, hai pensieri molto cupi. Cerca di farti forza» concluse prima di fargli un inchino per salutarlo e allontanarsi. Il ragazzo la guardò stranito "Ce n'è di gente strana" sorrise tra sè. In un primo momento si stranì, perchè il suo era un sorriso divertito, sinceramente divertito. Quant'era che non gli capitava?

And the sun will set for you
The sun will set for you
And the shadow of the day
Will embrace the world in grey
And the sun will set for you

Guardò l'orario sul cellulare e scoprì che era arrivato un messaggio⎨LE COSE AGLI STUDI VANNO PER LE LUNGHE, HO GIA' AVVISATO ERINA SAN. SALTA TUTTO: PERDONAMIIII~⎬storse il naso. "Non riesco nemmeno ad arrabbiarmi" sorrise leggermente "Tutto questo è assurdo". Richiamò un taxi e diede l'indirizzo della JH.
⎨NON CAPISCO, SAI? FINO A POCO FA MI SEMBRAVA DI NON AVERE NIENTE DI IMPORTANTE, NULLA DI CUI SORRIDERE PIU': VOLEVO DORMIRE SOTTO LE STELLE E VOLEVO SVEGLIARMI NELLA LUCE DEL MATTINO. A PARTE QUESTE DUE COSE, IL RESTO MI ERA DIVENTATO QUASI INDIFFERENTE. ANDAVO AVANTI PER INERZIA, SENZA TENERE CONTO DI VOI, DEI VOSTRI SENTIMENTI, DI QUANTO ABBIATE FATTO PER ME. NON CAPISCO: COME HO POTUTO? SONO STATO EGOISTA. STAVO SBAGLIANDO VERO?
FAMMI SAPERE QUANTO DECIDI DI USCIRE DI NUOVO CON ERINA SAN, VERRO' CON TE⎬
Guardando le strade scure della città sentì che stava per riaddormentarsi, preda di una stanchezza infinita dopo giorni di lavoro "Ah! Mi viene in mente ora... come diceva quel romanzo? Voglio assolutamente continuare a sentire che un giorno morirò. Altrimenti non mi accorgo che vivo".

Sometimes beginnings aren't so simple

*Catena di conbini (convenience store aperto 24h) molto famosi in Giappone
**Arashi ni Shiyagare è cominciato nell'Aprile del 2010, ossia 5 mesi prima del giorno in cui si svolge questo capitolo
***La Mild Seven è una delle marche di sigarette più vendute al mondo, è prodotta dalla Japan Tobacco
****In giappone è vietato fumare per strada. Esistono appositi punti di fumo che possono essere una piccola area segnalata con dei cartelli all'interno di un parco di un tempio, oppure uno spazio vicino a dei posaceneri, delle panchine e ai cartelli che lo segnalano o ancora, delle vere e proprie camere di vetro in cui entrare a fumare (come quella presente a Shibuya, vicino ad Hachiko)
*****lo Yukata è il kimono estivo, in cotone, i geta sono i sandali alti tradizionali, in legno.
******Altra marca di sigarette

La frase finale citata da Jun è presa da "Kitchen", di Banana Yoshimoto.
Il testo della canzone è "Shadow of the day" dei Linking Park.

main:sho, main:aiba, artist: arashi, main:jun, ff:[language]italiano, ff:[type]long fic

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