Akai Ito: Capitolo 19

Mar 03, 2011 13:01




DATI
Titolo: Akai Ito
Capitolo: 19
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale
Pairing: Sakurai Sho x OC / Masaki Aiba x OC
Rating: PG
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Trama: Un filo ci lega alla persona cui siamo destinati: non importa il tempo che dovrà passare o le distanze che ci separano. Ma se questa persona fosse proprio davanti a noi e non riuscissimo a riconoscerla? Se la considerassimo antipatica tanto da non degnarla neanche di uno sguardo? E se l'avessimo trovata e noi stessimo vacillando nei dubbi? E ancora, cosa dice che non l'abbiamo già persa?

NOTE
Fuochi d'artificio!!
Amo questo capitolo! (miracolo!) Immagino si intuisca la mia smodata passione per quel live di Løve Rainbow. Già la canzone è splendida, ma quella performance è semplicemente divina: il loro sorrisi sono meravigliosi, ogni mossa è perfetta, sembrano veramente essere avvolti da un'aura di luce.. tutto sembra possibile! Dato che anche un altro paio di live di questa stessa canzone sono meravigliosi, ho pensato che ci stesse bene l'ipotesi che il gruppo legasse quel pezzo a delle sensazioni particolari.
Comunque... non commenterò altro, uhuhuhuh!! Il capitolo si commenta da solo direi!
Vorrei solo scusarmi per le tante note °.° lo sapete che sono una fissata e ficco roba della tradizione/società giapponese un po' ovunque! Eppure lo so che sono dettagli! Ma... non riesco a non metterli. Ah... sono una malata dei dettagli, ricoveratemi!

19. I see your true colours

Continuava ad esserci un tempo variabile in quei giorni. La sera prima aveva piovuto incessantemente, mentre quella mattina il sole splendeva senza che nessuna nuvola infastidisse i suoi caldissimi raggi. Le gocce sulle foglie verdi degli alberi risplendevano come piccoli diamanti ed era proprio una di queste gocce che Aiba continuava a fissare, immerso nei suoi pensieri. Ad onor del vero era una goccia d'acqua spruzzata da qualcuno dello staff sul mazzo di fiori che avevano ricevuto al loro arrivo agli studi, per festeggiare il loro nuovo singolo. Aiba teneva il mento appoggiato alle nocche delle mani, aperte sul tavolo del camerino vicino allo studio di Music Station.
«Aiba chan» sentì richiamare. Era Ōno che si sedeva a cavalcioni della sedia di fianco a lui e si appoggiava allo schienale con il petto. «Mi dai una mano? Non riesco ad annodarla bene» spiegò mostrandogli la cravatta
«Uhn» annuì con un mezzo sorriso, girandosi verso di lui per aiutarlo.
Alle loro spalle gli altri tre continuavano a provare un passo che a Shō non riusciva. «Heart beat... ho problemi a questo punto» spiegava cantando il pezzo
«Guarda, dal centro del palco fai questi passi: uno, due...» cercava di mostrargli Jun
«Avremmo dovuto provarlo di più. È perchè non lo balliamo al concerto e allora non lo facciamo abbastanza spesso» si lagnava Nino tenendo il tempo per gli altri con le dita sul tavolo
«C'è qualcosa che non va?» gli chiese Ōno a bassa voce, mentre Aiba lo aiutava
«Mh?» domandò lui mentre intrecciava il tessuto
«So, anzi, sappiamo che se succede qualcosa vieni a dircelo, ma ultimamente abbiamo cominciato a preoccuparci seriamente» spiegò stringendosi nelle spalle
«Si capiva, eh?» domandò chinando il capo
«Sì, si capiva» si limitò a rispondergli. «Negli ultimi tempi qualcosa non quadra. Jun è sempre Jun, ma passa un brutto periodo, Shō è di cattivo umore da due o tre giorni e tu invece sei triste, è evidente»
«Capisco» annuì stringendo il nodo. «Sono innamorato» ammise infine. Dopo mesi di silenzio in cui non aveva detto niente a nessuno di loro non aveva intenzione di spifferare tutto subito e a quel modo, ma riconosceva che era venuto il momento di scoprire qualche carta. «Però la situazione è sempre stata complessa. Ci ho messo tanto a rendermi conto di questi sentimenti e quando ce l'ho fatta ho rischiato che fosse troppo tardi, ma sono rapido a correre io» spiegò dicendo ad alta voce quell'osservazione che certo Satoshi non poteva capire. «Pensavo fosse tutto chiaro quindi e invece adesso non lo è più. Non so cosa fare, non sono stato capito e lei non vuole vedermi. Però lo sai, io non voglio forzare nessuno».
Ōno era stato tranquillo ad ascoltarlo straparlare per qualche secondo, poi sembrò lasciare apposta un po' di silenzio tra loro prima di aprir bocca. «Ma se ci tieni, non credi di dover insistere? Non sei uno che scoccia le persone, ma a volte è bene trovare il coraggio di farlo» spiegò lisciando la cravatta che Masaki gli aveva annodato
«E se questo la allontanasse ancora di più? Non voglio» sembrò piagnucolare, sistemandosi la manica destra
«Allora mettiamola così: se non facessi nulla e lasciassi decidere a lei, pensi che rimarrebbe?» domandò piegando il colletto della camicia
«Sì» rispose in un primo momento. «No» ammise poi. Aveva risposto spinto dall'orgoglio e dalla voglia di avere ragione, ma se non avesse insistito, Kokoro sarebbe scomparsa dalla sua vita perchè era arrabbiata ed era rimasta ferita al punto che Aiba aveva temuto di vedere la sua figura sbriciolarsi tra le sue dita quando l'aveva bloccata fuori dalla porta di casa. Come poteva insistere se reagiva a quel modo? «Andrebbe via in ogni caso» concluse, angosciato
«Bene, questo significa che si allontanerà se non dici niente ma anche se dici qualcosa» fece tranquillo Satoshi. «Quindi vale la pena insistere. "Io ho fatto tutto quello che potevo" potrai dire senza avere rimpianti» concluse per poi chinare il capo con un mezzo sorrisino. «Grazie dell'aiuto» gli disse sereno, quindi si alzò e raggiunse gli altri per provare i passi un'ultima volta.
Masaki rimase sulla sua sedia, con un gomito appoggiato al tavolo. Aveva ragione Ōno: se non faceva qualcosa non avrebbe mai saputo come avrebbe potuto finire. Sospirò alzando gli occhi al soffitto, pensieroso, ma in quel momento arrivò una mail al suo cellulare.

2010/08/13 12:54 p.m.
Da: Erichan
Titolo: Prima di confermare…
Abbiamo stabilito i termini di collaborazione con il "Wagashi" (^^) Sono veramente affidabili, avevi ragione. Ma tu sei sicuro che vada bene così? Sembra che Hanayaka san non ne sia molto entusiasta.

Era Erina.
«Ti sbrighi? Proviamo un ultima volta prima di andare: il Minisute¹ sarà tra poco!» lo richiamò Nino
«Eccomi, prontissimo!» esclamò con un sorriso raggiante sulle labbra dopo aver mandato la risposta.

2010/08/13 12:55 p.m.
A: Erichan
Titolo: Re: Prima di confermare…
Non è una cosa di cui tu ti debba preoccupare. Lascia fare a me e vedrai che entro stasera tutto sarà sistemato.

Erano pronti per quella puntata: vestiti indossati impeccabilmente, capelli ben acconciati e sorrisi smaglianti. Tutto doveva essere perfetto.
Avrebbero portato sugli schermi la coreografia di Moving on e Troublemaker. Quest'ultima era una canzone che li divertiva molto, ma non l'avevano mai fatta live tutti insieme. Yun-seo li aveva aiutati a rivedere i passi nei giorni precedenti e ora erano pronti per fare scintille, o almeno quella era l'intenzione di quattro di loro: Jun attraversava un periodo difficile e gli altri non perdevano occasione per trasmettergli il loro appoggio e per fargli capire che erano tutti lì per lui se aveva bisogno. Quella performance doveva essere elettrizzante perché avevano decretato che sarebbe stato un piccolo regalo per lui, ogni sorriso sarebbe stato per il loro compagno.
E ci riuscirono, a fine puntata ricevettero mille complimenti, fecero vedere loro la ripresa della performance e rimasero a bocca aperta. Tutti i loro sorrisi, sinceri e preziosi, erano stati ripresi al meglio e avevano trasmesso la gioia che avevano voluto esprimere. I movimenti erano stati quasi impeccabili e ogni loro gesto sembrava veramente lasciarsi dietro una scia di luccicante energia. Si erano divertiti talmente tanto che Jun aveva giocato con loro sul palco e Ōno e Shō si erano sbellicati dalle risate.
Aiba si sentì prendere per mano mentre guardavano il video rapiti. Era Nino che intanto stringeva le labbra in un'espressione che diceva: "Ce l'abbiamo fatta!". Gliela strinse a sua volta e prese quella di Ōno con l'altra, in un silenzioso messaggio a catena.
Stavano finendo di cambiarsi per lasciare gli studi e Masaki, stanco, si era buttato sul divano in un angolo del camerino, fissando intorno a sè. I suoi occhi si posarono su Shō, che si stava allacciando i jeans consumati intorno alla vita magra. Non chiacchieravano tra loro da un po' di tempo. Non che loro due di solito si mettessero seduti da qualche parte a confessarsi, ma succedeva spesso di trovarsi negli stessi bar o ristoranti quando non erano con il gruppo e allora condividevano un tavolo per chiacchierare. Ma in quel periodo Shō era occupato col lavoro e quando era libero probabilmente andava nella camera alla JH o a casa sua a riposarsi. Masaki continuò a fissarlo mentre questi rispondeva al cellulare. «Kimura san? Sì, capisco. Buongiorno» improvvisamente il suo viso si fece serio. Finì di allacciare la cintura tenendo il cellulare tra l'orecchio e la spalla. «Perchè me lo chiedi? Lo sai che ho la riunione nel pomeriggio. Sì, va bene. Ti ascolto, ok?» suonava scocciato. Era inusuale vedere Shō con un simile atteggiamento: anche se in quei giorni era di cattivo umore, era pur sempre un professionista e non scaricava su nessuno i suoi problemi personali. Quel fare brusco non era da lui e Aiba rimase sorpreso.
«Ti spicci?» domandò Nino in quel momento, dandogli una pacca sulla spalla. Masaki si spaventò e annuì silenzioso. Si alzò dal divano e recuperò la maglietta che doveva rimettersi, tenendosi non troppo distante da Shō: non era educato origliare la sua conversazione, ma non poteva farne a meno tanto era incuriosito.
«Sì, lo sono. Va bene. Lo sai anche tu che non abbiamo impegni o no? Siamo liberi per quello! Sì, va bene» sembrava veramente speranzoso di metter giù il più rapidamente possibile. «Ok, ci sentiamo» finalmente ci riuscì. Lo sentì richiudere il cellulare che rimbalzò sul tavolo, buttato lì in malo modo.
Ōno alzò lo sguardo dalle scarpe che si stava allacciando, osservò Shō con gli occhi sgranati e poi spostò l'attenzione su Aiba, guardandolo con aria perplessa, ma lui fece spallucce: non sapeva cosa stesse succedendo, nè se ci fosse da preoccuparsi.
«Io sono pronto, vi prendo qualcosa da bere prima di andare via?» domandò Satoshi rompendo il silenzio che aveva raggelato l'atmosfera della stanza
«Pocari» fece Nino prima di entrare in bagno e aprire il rubinetto
«Per me ocha» rispose Jun alzando la mano mentre si sistemava la felpa sulle spalle, guardando allo specchio i capelli che si erano scompigliati nello svestirsi
«Vado a mangiare tra poco» scosse il capo Aiba, mentre Shō mugugnò qualcosa in risposta e si sistemò la Tshirt.
A Masaki non piaceva quell'atmosfera, quindi prese un profondo respiro e, finito di sistemarsi per bene i vestiti andò dritto verso l'amico. «Vieni a mangiare con me?» gli propose
«No, grazie» rispose prontamente
«Hai da fare?» domandò abbassando il tono di voce
«Buon appetito» sospirò l'altro, senza effettivamente rispondere alla domanda
«Era una chiamata dall'ufficio vero? C'è qualche problema? Io non lavoro fino a stanotte, se vuoi posso darti una mano: non sono bravissimo, ma se posso aiutarti lo faccio volentieri»
«No, non c'è nessun problema» scosse il capo il moro. «Piuttosto, dato che la senti così spesso, dì ad Erina san di non rompermi le scatole su cose che mi ha già detto mille volte, usando la scusa che sono altri a dirle di ricordarmelo. È patetica» spiegò seccato calcandosi il cappellino con la visiera sulla testa e pulendo gli occhiali da sole con il bordo della maglietta.
«Avete litigato?» domandò, sbalordito
«Ma cosa te lo dico a fare?» domandò quindi Shō, inforcando gli occhiali e volgendosi verso di lui. «Prenderesti le sue difese no? Siete così simili, tu sì che la capisci! Tutti prendono le sue difese, anche in ufficio!» scosse il capo e si mise lo zaino sulle spalle. «Devo cambiarmi per andare alla riunione di NEWS ZERO, ci vediamo domani sera» salutò sbuffando
«Ci sei a cena?» domandò Nino spuntando dal bagno, mentre ancora si stava togliendo alcuni residui di trucco
«Non lo so» rispose prima di uscire.
Nel silenzio, i tre rimasti si scambiarono uno sguardo allibito. «Mi aspettavo sbattesse la porta, ad esser sincero»
«Non siamo tutti teatrali come te, Nino» replicò Jun ridacchiando. «Ha problemi in ufficio? Forse dovrei parlare con loro» riflettè
«Aiba chan, ne sai qualcosa?»
«Veramente sono sorpreso quanto voi» scosse il capo Masaki
«Perchè non glielo chiedi? Sei quello con cui parla di più, o no?» propose Nino. «Sicuramente aspetta solo che qualcuno si preoccupi per lui e gli faccia sputare il rospo»
«Forse sarebbe meglio se riprendessi in mano il lavoro per il concerto» intervenne Jun, perso nelle sue riflessioni: sicuramente stava già cominciando a pensare ad un modo per incastrare tutti i suoi lavori con quello. Nino spalancò gli occhi, preoccupato, e guardò Aiba passandosi l'indice davanti alla gola mentre scuoteva il capo, segno che doveva farlo smettere immediatamente di accarezzare quell'ipotesi o gliel'avrebbe fatta pagare cara.
«Ma no!» esclamò quindi Masaki, incerto su cosa dire. «Adesso adesso vado a parlargli, vedrai che non è niente di grave!» spiegò prendendo le sue cose alla rinfusa. Jun lo osservava, dubbioso. «Eri chan è una ragazza adorabile, sicuramente c'è stata un'incomprensione» gli spiegò ancora, avviandosi verso la porta mentre saltellava su un piede per infilarsi la scarpa. «Adesso vado, lascia fare a me eh? Non pensarci proprio!» gli intimò a caso, puntandogli addosso il dito prima di catapultarsi fuori dalla stanza.
Saltellò nel corridoio mentre si infilava la seconda scarpa e ridacchiò da solo quando pensò che con quel gruppo di cinque membri, ognuno coi suoi problemi, non c'era mai da annoiarsi. Una truccatrice che gli passava di fianco in quel momento lo osservò perplessa. «Otsukare» farfugliò lui arrossendo e allontanandosi rapidamente, non poteva fare a meno di ridere anche di se stesso.
Si diresse rapidamente verso l'uscita sperando di fermare Shō sulle scale prima che se ne andasse, ma la voce del Rīdā lo fece rallentare. «.. già detto no?»
«Ah sì?» sentì Shō rispondere. Erano una ventina di metri più avanti e non l'avevano notato.
«Non importa» scosse il capo il più grande. «Sai che apprezzo il lavoro che fai. Ti siamo tutti riconoscenti»
«Sì» annuì l'altro
«Ma non è eccessivo prendersela con Aiba chan?» e il ragazzo in questione deglutì: se parlavano di lui non poteva comparire dal nulla. Sospirò e con uno scatto si nascose dietro una pianta, a lato del corridoio. Aveva già origliato una conversazione quel giorno, ma ormai era più forte di lui: si accovacciò a terra con la schiena contro il muro.
«Sì, lo è» annuì Shō. «Ma non ce la faccio più!» sbottò infine, con un sospiro, appoggiando lo zaino a terra con un gesto secco. «È colpa di quella ragazza, lei mi farà diventare pazzo!»
«Chi?» sgranò gli occhi Ōno. Anche Masaki rimase sbalordito, ma lui sapeva perfettamente di chi stesse parlando Shō, mentre Satoshi non era in camerino quando lui aveva fatto la sua breve scenata su Erina. Non sapeva nemmeno dei precedenti tra loro! Con emozione staccò una foglia dalla pianta davanti a sè, stropicciandola tra le dita: era sicuro di stare per scoprire qualcosa di interessante.
«Lei. Erina san» ammise infine Shō, rendendosi conto di essersi lasciato sfuggire qualche parola di troppo
«La ragazza della divisione economica per l'organizzazione del concerto?» domandò Satoshi, con un tono che sembrava dire: "Quella tizia insignificante dell'altro giorno?".
«Già» annuì Shō recuperando lo zaino. «Non riusciamo ad andare d'accordo» farfugliò a denti stretti
«Chiedi una mano ad Aiba, loro sembrano intendersela» gli suggerì ridacchiando divertito, ma smise subito, probabilmente notando come l'umore di Shō fosse ulteriormente peggiorato a quella frase. «Non sarà che è proprio per quello che non gli stai parlando da qualche giorno?» gli domandò. Masaki capì al volo ciò che stava insinuando Satoshi. «Ti piace?» fece Ōno
«Gli piace ancora» bisbigliò all'unisono Aiba, tra sè. Non riusciva a capire come fosse possibile, dato che il giorno prima nemmeno si erano parlati, ma poi ricordò che anche ai tempi dell'università era stato così: Shō faceva finta di niente e nascondeva i suoi sentimenti a chiunque anche allora.
«Forse» rispose a denti stretti
«Ah sì?» e ci fu ancora una pausa. «Sono certo che conosci perfettamente qual è il confine tra vita e lavoro, però parla con Aiba, altrimenti lo sai che si intristisce e piagnucola con noi tutto il tempo in cui non ci sei»
«Sì, lascia fare a me» annuì l’altro. «Ci vediamo». Si salutarono entrambi con un gesto della mano ed ognuno andò nella sua direzione.
Il Rīdā era il migliore, come sempre: rimproverare apertamente Shō per il suo atteggiamento scostante lo avrebbe fatto innervosire ancora di più, invece lui aveva trovato le parole giuste per dirgli le stesse cose senza che si arrabbiasse. Satoshi gli passò davanti con tre lattine tra le braccia. «Ti stimo» gli disse Masaki commosso e quello per poco non fece cadere tutto per terra per lo spavento
«Ma che cosa stai facendo?» riuscì solo a domandargli, sconcertato al vederlo dietro una pianta circondato da foglioline stropicciate.

Era passata l'ora di cena. Era già buio e le nuvole erano tornate a coprire il cielo. Moltissime persone a quell'ora erano già ritornate a casa e avevano già cenato, Aiba invece no e sentiva i morsi della fame mentre camminava rapidamente per le viuzze di Chiba. Si era fatto lasciare ad un incrocio qualsiasi dal taxi che aveva chiamato dagli studi. Sarebbe volentieri passato a casa, non solo per mangiare ma anche per salutare la famiglia, però mancava ancora qualche ora alla chiusura del ristorante, quindi suo padre e Yūsuke dovevano essere ancora al lavoro. Le luci della casa celeste sul fiume erano quasi tutte accese, così si limitò ad entrare dal cancello e a sporgersi per vedere le finestre sul lato sinistro: l'appartamento che cercava era illuminato. Entrò dal portone e camminò lungo il corridoio del piano terra fino alla seconda porta sulla sinistra. Da dietro il legno poteva sentire il ronzio pacato e continuo di un vecchio forno elettrico e altri rumori di stoviglie. Rimase impalato a guardare le venature scure della porta, ascoltando quel sottofondo: quei suoni così privati e casalinghi gli ricordavano quelli della cucina di casa sua, quando sua nonna e sua madre cucinavano qualcosa. Era un rumore che sentiva fin da quando era piccolo e gli faceva riprovare la sicurezza di casa, il calore della famiglia e la luminosità del suo piccolo mondo privato.
Dopo qualche minuto, finalmente, si decise a suonare il campanello. «Arrivo!» sentì rispondere prontamente dall'interno dell'appartamento.
La catena della porta venne tolta, altri meccanismi girarono e finalmente vide comparire la minuta figura di Kokoro, nel quadro dell'ingresso. Indossava un grembiule da cucina, che si stava levando nel frattempo, e aveva i capelli raccolti in due trecce. Non si aspettava di trovarlo lì e Masaki contava proprio sull'effetto sorpresa. «Buona sera» azzardò sollevando una mano a salutarla. La risposta fu il secco suono della porta che si richiudeva. Aiba rimase a guardare il legno con ancora un mezzo sorrisino sulla faccia: non si aspettava certo di vederla felice, ma nemmeno una reazione simile.
«Vattene» sentì dire a mezza voce. Doveva essere ancora davanti alla porta perchè l'aveva sentita bene.
«Non lo farò finchè non mi avrai ascoltato» pronunciò dopo aver raccolto tutto il coraggio possibile. Fece un profondo respiro, come preparandosi ad un tuffo. «Mi ascolterai?»
«No» rispose lei. «Non voglio ascoltare le tue scuse»
«Non sono venuto qui a scusarmi» disse aggrottando le sopracciglia
«Allora non voglio proprio stare a sentire qualsiasi altra cosa tu abbia da dirmi: ho già compreso tutto e tratto le mie conclusioni»
«È per quello che sono qui»
«Zitto. Te la puoi risparmiare. Per favore, sparisci» intuiva dalla voce, sempre più debole, che Kokoro stava per mettersi a piangere, se non aveva già cominciato, ed era assurdo: stava piangendo per un motivo che non esisteva!
«Non ti chiedo molto, ti prego. Due minuti, due di numero. Puoi cronometrarmi se vuoi, poi girerò sui tacchi e me ne andrò. Per sempre, se vorrai» provò a supplicarla ancora
«No, vai via ora!» esclamò, per poi aggiungere a voce più bassa. «Non farmi urlare, non voglio che i vicini sentano. Chiudiamola in maniera pacifica»
«Non mi importa dei vicini!» esclamò a sua volta Aiba, battendo il pugno contro la porta. «NonècomecredituiononstoconErinasan» disse quella frase il più velocemente possibile prima che Kokoro lo interrompesse di nuovo.
«Non ho capito nulla» sentì dire dall'interno dell'appartamento
«Non sto con Erina san» provò a dire più lentamente. «Siamo amici e basta. Siccome c'è molta sintonia, gli altri ci stavano prendendo in giro, ma sono solo degli imbecilli» cominciò a dire, sentendo che lo stava lasciando parlare
«Da che pulpito» fece quell'altra con cattiveria
«Sì, lo sai che sono il più scemo: sono il re del regno degli scemi, Aiba Masaki III di Scemolandia. Ho un sedano al posto dello scettro e in testa porto la tavoletta del cesso come corona» disse disperato. «Ma ti giuro che quello che dico è la verità. Abbiamo un amico in comune e lui è innamorato di lei» tentò di spiegare senza scendere nei dettagli
«Lei non ha negato davanti a quelle insinuazioni, magari le piaci» lo accusò Kokoro
«E questo dovrebbe importarmi? Cioè sì, mi importa perchè a quel punto sarei d'ostacolo al mio amico, ma non sono qui per parlare dei sentimenti degli altri, ma dei miei: io so cosa provo» si bloccò pensando di non volerle fare una nuova dichiarazione: non lì e non parlando alla porta. «Quello che voglio dire» cercò di riordinare i pensieri. «Ecco, voglio dire che da quando sei partita non ho toccato dolci. L'ultimo è stata la caramella che mi hai dato in aeroporto. Ma io sto morendo dalla voglia di mangiarmi una torta, dei bignè o dei biscotti. Se non mi importasse più nulla di te avrei preso il primo budino alla vaniglia che attraversava il mio cammino, giusto?».
In quel momento la porta si aprì leggermente, uno spiraglio che gli fece intravedere metà del viso della ragazza. «Perchè avresti fatto una cosa così stupida?» domandò piano
«Perchè Chibi Aiba vuole mangiare solo i dolci di Chibi Kokoro! O quelli o niente!».
Pronunciò quella frase, stupidissima, con tutta la serietà del mondo. Kokoro lo guardò negli occhi e scosse il capo. «Pensi che basti una frase carina? Non hai idea di come mi sia sentita» ribattè guardandolo arrabbiata, il viso rabbuiato da un'espressione accigliata. «Non ho fatto altro che pensare a te mentre ero via e tu non hai mai scritto una mail, nè un messaggio. Che razza di fidanzato è uno che non si fa sentire per venti giorni? Di sicuro non è il tipo di ragazzo che voglio io» e Masaki non potè trattenersi dal deglutire: non aveva scusanti. «Sei sparito. A me non sta bene così e ammetterai anche tu che se sparisci e poi ti vedo con un'altra al mio ritorno, non ci vuole un laureato in ingegneria delle comunicazioni per capire cos'è successo»
«Ingegneria di invasioni?» domandò Aiba confuso
«Comunicazioni, scemo!»² ribattè piccata quella. «Se ti è tutto chiaro ora sparisci» concluse. Il ragazzo si accorse allora che Kokoro stava per richiudere la porta, quindi mise la mano sullo stipite facendosi schiacciare le dita pur di bloccarla.
Soffocò un mugolio disperato sentendo il dolore attanagliargli le dita e le ossa. La sentì esclamare di sorpresa prima di riaprire immediatamente l'ingresso. Sicuramente stava dicendogli qualcosa sul re degli scemi, ma non riuscì a prestarle attenzione: provava troppo dolore. Strinse le labbra tra loro e con i denti serrati si decise a dirle un'ultima frase. «Sei stata l'unica a pensare al tradimento, io non ho mai nemmeno sfiorato l'idea». Con un lamento fece per lasciarsi scivolare a terra, ma la ragazza lo afferrò per le spalle e lo tirò in casa. Incespicò sui suoi stessi piedi, trascinato nell'ingresso. Sentì la porta richiudersi alle sue spalle e vide Kokoro lasciarlo lì prima di andare in cucina e aprire il frigorifero. Sbattè le palpebre un paio di volte guardandosi intorno: il dolore diminutiva molto lentamente, ma dopo i primi secondi di quella lancinante sensazione era riuscito almeno a recuperare la lucidità per ragionare su ciò che gli stava succedendo.
«Togliti le scarpe e vieni qui, adesso metto il ghiaccio in un panno» gli disse la giovane mentre faceva uscire dei cubetti da un portaghiaccio e li metteva dentro un fazzoletto di stoffa. Per effetto del dolore Masaki sembrava incapace di fare per bene qualsiasi movimento, ma riuscì a sfilarsi le scarpe, mettendo in disordine quelle ben allineate nell'ingresso. Si avvicinò lentamente, poi Kokoro lo prese per il polso costringendolo ad allargare le dita. «Presto, prima che ti rimanga il segno» lo incitò mettendogli il fagotto di stoffa gelata sulle nocche
«Posso sedermi?» pigolò quando il freddo sembrò fargli più male della botta presa.
Kokoro gli indicò la sedia che aveva dietro di sè e lui ci si lasciò cadere. «Grazie» mugugnò ancora un po' rintronato
«Dammi» sospirò lei sedendoglisi davanti e riprendendo la borsa fredda per tenergliela sulla mano ferita: doveva aver capito che a Masaki bastava congelarsene una, due era un po' troppo, così gli tenne il ghiaccio.
Rimasero in silenzio, con le mani sul tavolo e lo sguardo fisso su di esse, per chissà quanti minuti. Ogni tanto lei scostava il rimedio freddo per dargli un po' di sollievo, poi lo rimetteva sulle nocche precisamente quando ad Aiba sembrava che il dolore stesse per tornare ad essere più forte del suo principio di assideramento. Il ragazzo alzò lo sguardo ed osservò l'ambiente intorno a sè: il forno era acceso e dentro poteva scorgere una teglia ma non cosa vi fosse sopra, da un bollitore saliva del fumo, c'erano un paio di ciotole vuote ma ancora sporche dell'ingrediente che avevano contenuto ed erano state lasciate al centro del tavolo, mentre alcune fruste e altri strumenti spuntavano dal lavello in attesa di essere lavati. «Non è cambiato niente qui» osservò a bassa voce
«È passato un po' di tempo da quando sei entrato l'ultima volta» riflettè Kokoro, imitando il suo pacato tono di voce
«Non c'era il forno acceso» le fece notare
«Gli hanabira mochi non hanno bisogno del forno» gli spiegò
«Noi stavamo litigando prima, vero?» le domandò a bruciapelo.
Kokoro fece una pausa trattenendo il fiato. «Sei rumoroso» si lamentò con poca convinzione.
Masaki avrebbe scommesso che fosse persino arrossita un poco. «Cosa c'è lì dentro?» domandò quindi
«Croissant francesi» rispose alzando di nuovo il giaccio dalla sua mano
«Kuro? Li bruci?»³
«Perchè stasera sembri parlare una lingua diversa?» ribattè lei
«Colpa delle carote» spiegò stringendosi nelle spalle: la cena con Yun-seo gli aveva fatto male. Quando Kokoro gli chiese cosa volesse dire scosse il capo e non disse niente: sembrava aver appena capito la storia di Erina, non era il momento di affrontare anche il discorso di Yun-seo.
«La riesci a muovere?» domandò le ragazza continuando a guardargli la mano. Fece una prova e tutto sommato sembrava che il dolore fosse passato e che non ci fosse niente di rotto. «Teniamo il ghiaccio ancora un po', spero non ti vengano fuori dei lividi» sospirò.
Invece di lasciarle appoggiare nuovamente il ghiaccio sulle sue nocche, Aiba fece scivolare la mano da sotto il fagotto freddo e la appoggiò su quella della ragazza. Kokoro sembrò irrigidirsi e lui staccò la schiena dalla sedia per piegarsi in avanti, verso di lei. «Mi sei mancata» sussurrò guardando il suo profilo e poi passando lo sguardo sulle curve morbide delle ciocche di capelli che erano sfuggite alle trecce. Forse non avrebbe dovuto comportarsi a quel modo dopo un litigio, soprattutto perchè non era chiaro se lei avesse capito il malinteso o meno, ma ora che stava meglio non riusciva più a trattenersi: aveva aspettato il ritorno di quella bellissima ragazza per più di venti giorni e aveva pensato a lei tutto il tempo (il fatto che avesse dimenticato di scriverle era solo dovuto alla sua stupidaggine: proprio non ci aveva pensato, credeva che in Francia non le sarebbe arrivato nessun messaggio) e ora che l'aveva così vicina non sarebbe riuscito a trattenersi un secondo più. Quando fu a poco più di una decina di centimetri dal suo viso respirò profondamente, per assicurarsi che, anche dopo tutto quel tempo, Kokoro profumasse ancora di biscotti e dolci casalinghi.
«Che cosa fai?» mormorò la ragazza facendosi leggermente indietro e girandosi a guardarlo negli occhi
«Non ti lascerò andare via di nuovo. Se sei arrabbiata e vuoi cacciarmi tornerò ancora e ancora» le disse seriamente: era inconcepibile che la lasciasse fuggire ora che aveva assaporato di nuovo la sua presenza e che ricordava com'era parlare con lei e sentirla vicina.
«E io ti denuncio» fu la risposta di Kokoro, ma sulle sue labbra stava chiaramente spuntando un timido sorriso
«E io mi pagherò la cauzione e tornerò» ribattè con decisione, facendosi più avanti
«E io ti denuncerò di nuovo e cambierò casa» gli disse senza cedere
«E io evaderò e verrò a trovarti al lavoro» si avvicinò tanto al suo viso che avrebbero dovuto strabuzzare gli occhi per continuare a guardarsi
«E io mi suiciderò e tu non potrai fare nulla» lo sbeffeggiò prima che il ragazzo coprisse il resto dello spazio che li superava e le chiudesse le labbra con le proprie. Le strinse leggermente la mano ancora posata sul ghiaccio e, quando fu sicuro che non aveva intenzione di evitare quel contatto, le passò l'altra mano sulla vita, accarezzandole i fianchi, finchè non li ebbe abbracciati. La strinse, spingendola verso di sè e Kokoro si ritrovò costretta a scivolargli sulle ginocchia e metterglisi in braccio.
«Non dirlo mai più» la rimproverò seriamente, staccando la bocca da quella della giovane. I suoi pensieri erano volati a Jun e una fitta al cuore gli aveva cambiato l'umore per qualche secondo. Lei lo vide tanto cupo e deciso che annuì timidamente e lasciò il ghiaccio passandogli le braccia intorno al collo. Le strinse la vita con entrambe le braccia, appoggiandole le mani sulla schiena, per spingerla contro di sé. Fu lei a baciarlo a quel punto e non era il bacio a stampo che le aveva dato lui. Mentre le accarezzava la lingua con la propria perse il senso del tempo e una calda sensazione di euforia ed eccitazione gli causò addirittura un capogiro. Si strinse alla ragazza, unico appiglio solido e reale in quel momento di cieca e frastornante ebrezza. La sentiva passagli le dita tra le ciocche dei corti capelli scuri e respirare più profondamente ogni secondo che passava. L'eccitazione era arrivata al tal punto che nemmeno lui riusciva più a stare fermo e dopo averle accarezzato la schiena era riuscito a far passare una mano sotto la Tshirt leggera che Kokoro indossava quella sera. Era arrivato ad accarezzarle la pelle nuda del fianco e con la punta delle lunghe dita aveva quasi l'impressione di cominciare a percepire la temperatura maggiore che doveva scaldarle il petto, ma in quel momento suonò la sveglia del forno.
Entrambi ebbero la sensazione che il cuore fosse schizzato loro in gola per poi tornare a posto una volta che il suono finì e il ronzio del forno diminuì gradualmente. «Ho temuto di morire seriamente stavolta» biascicò Aiba con ancora gli occhi sgranati per lo spavento. In risposta Kokoro si mise a ridere e si piegò su di lui, nascondendo il viso nell'incavo tra la sua spalla e il collo. «Ma cosa ti ridi? Mi sono preso un accidente!» esclamò arricciando il labbro. Le posò sulla schiena nuda la mano ghiacciata, per ripicca, e lei fece uno stillo raddrizzandosi immediatamente.
«Ma sei scemo?» esclamò alzandosi in piedi per scappare dal suo tocco ghiacciato. «Sei freddissimo, stupido!» lo accusò tenendosi le mani sulla schiena
«Sei scema quanto me, sai?»
«Non è vero, sei tu il re di scemolandia: nessuno ti batte!» replicò ripetendo le parole che aveva detto Masaki fuori della porta. Quindi ridacchiò e si avvicinò al forno aprendolo per controllare la teglia.
«Tu sei la regina allora: il tuo scettro è una frusta per dolci e la corona sarà fatta di mochi» replicò Aiba osservandola di spalle: indossava una maglietta di un vecchio cartone animato, Shin chan,⁴ e i pantaloni di una tuta.
«Non è vero, il mio scettro è la spada Kusanagi»⁵ si ribellò la ragazza mentre spostava la teglia calda dal forno al centro del tavolo
«Sei una regina, non una condottiera dell'Impero di Yamato» replicò piccato Aiba alzandosi in piedi a sua volta. Risero entrambi mentre la ragazza si toglieva i guanti che aveva usato per prendere la teglia calda. Quando si voltò per tornare al tavolo si ritrovò Masaki davanti e si spaventò di nuovo. Il giovane la spinse contro la cucina con tutto il corpo e tornò ad avvicinare il proprio viso mentre con una mano le accarezzava i capelli a lato del viso. «Significa che abbiamo fatto pace?» sussurrò guardandole con attenzione le sopracciglia sottili, il naso piccolo e le labbra rosate.
«Sembrerebbe di sì» mugugnò Kokoro, un po' restia ad ammettere la sconfitta
«Credi a quello che ti ho detto?» la domandò piano, baciandole delicatamente una guancia
«Sì» rispose con un filo di voce. «Ti credo»
«Quando si possono mangiare quei croissant?» chiese Masaki, improvvisamente
«Come?» fece lei, stupita da quel repentino cambiamento di discorso. «Devono raffreddarsi, domani mattina li riscaldo una seconda volta» tentò di spiegargli, confusa
«Ci si può mettere dentro qualcosa?» insistè baciandole anche la fronte
«Sì, certo. Ho almeno sei marmellate diverse nella credenza» gli rispose muovendo appena il capo, cercando di seguire i movimenti del ragazzo e i dolci baci che le lasciava sulla pelle, che niente avevano a che vedere con discorso che stavano facendo.
«Volevo assaggiarne uno» concluse in tono vago baciandole anche l’altra guancia
«Ma si mangiano domani mattina» gli fece notare e la risposta di Aiba fu solo un lieve "m-mh" accompagnato dall'annuire del capo. «Vuoi aspettare qui fino a domani mattina?» domandò Kokoro che a quel punto aveva capito dove volesse andare a parare il ragazzo così generoso di effusioni. Quando si sentì fare quella domanda, la guardò negli occhi: non aveva il coraggio di ammettere ciò che gli passava per la mente, ma il suo sguardo intenso valeva più di qualsiasi risposta potesse darle.
L'attimo dopo però Masaki sbattè le palpebre e gli tornò alla mente un pensiero importante. «La trasmissione!» si lagnò
«Come?» domandò Kokoro, spaesata
«Devo registrare il programma radiofonico tra poco più di un'ora e sono ancora qui. Accidenti!» si staccò da lei controvoglia. «Sono già in un ritardo mostruoso» borbottò infastidito
«Allora è meglio se vai» annuì la ragazza
«Ma non sei più arrabbiata vero?» chiese rapidamente.
Lei lo guardò perplessa poi si trattenne appena dal ridere. «No, che non lo sono! E adesso vai!»
«Va bene. Non hai proprio niente da darmi? Non ho nemmeno cenato per venire qui» piagnucolò avviandosi all'ingresso e rimettendosi le scarpe
«Sì, ci sono ancora dei biscotti di ieri» gli rispose aprendo la dispensa e mettendosi a frugare tra varie scatole decorate e disposte negli scaffali in ordine cromatico. Gli lasciò un sacchetto di carta del negozio riempito con quei dolcetti e si salutarono con un bacio rapido prima che lui scappasse fuori dall'edificio con il cellulare all'orecchio per chiamare un altro taxi.

¹ segmento di apertura del programma televisivo Music Station
² tsūshinkō gaku (通信工学) è ingegneria delle comunicazioni, mentre Aiba capisce shinkō gaku ( 侵攻学) che non esiste
³ giapponesizzata, la parola croissant si dice kurowassanクロワッサン e kuro ( 黒) in giapponese significa nero
⁴ l’anime Crayon Shin chan del 1990
⁵ uno dei tre sacri tesori simboli del Giappone

main:sho, main:aiba, artist: arashi, ff:[language]italiano, ff:[type]long fic

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