Akai Ito: Capitolo 18

Feb 26, 2011 00:31




DATI
Titolo: Akai Ito
Capitolo: 18 ( masterpost)
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale
Pairing: Sakurai Sho x OC / Masaki Aiba x OC
Rating: PG
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Trama: Un filo ci lega alla persona cui siamo destinati: non importa il tempo che dovrà passare o le distanze che ci separano. Ma se questa persona fosse proprio davanti a noi e non riuscissimo a riconoscerla? Se la considerassimo antipatica tanto da non degnarla neanche di uno sguardo? E se l'avessimo trovata e noi stessimo vacillando nei dubbi? E ancora, cosa dice che non l'abbiamo già persa?

NOTE
E questo capitolo mi piace? Ahahah domanda legittima dopo le mie lamentele (su me stessa) degli ultimi capitoli. Credo di sì. Una parte di me mi rimprovera per aver fatto un altro capitolo statico (ohddio in realtà ci sono 2 colpi di scena: statico sto par di palle... cos'è un capitolo non statico per me allora? Uno in cui corrono tutti? O_o non mi capisco!), ma buona parte di me apprezza questa parte. Kokoro... è la prima volta che scrivo qualcosa dal punto di vista di questa ragazza, che è la coprotagonista di "Ame", ma quella ff è raccontata solo dal POV di Aiba e di lei non si sa niente, niente, niente... se non quello che dice e i gesti che fa, ma sempre visti e interpretati dagli occhi di Aiba.
Agli occhi di chi ci ama siamo quasi perfetti all'inizio, ma Kokoro è sì una brava e bella ragazza, ma molto meno perfetta di quanto non pensi Aiba, di quanto ci sia sembrata in Ame. Non mi piacciono i personaggi perfetti, per quanto io li ami cerco sempre di dare loro dei difetti più o meno gravi perchè, se amo il realismo nell'ambientazione, mi applico anche per rendere tali i personaggi: perfetti non sono reali, particolareggiati con luci e ombre vanno già meglio. Esempi? Venero Aiba, ma lo ritraggo anche capriccioso, uno che si impone sulle persone anche se in maniera molto "dolce", uno che a volte riflette troppo, o troppo poco, o che non sembra sufficientemente deciso in ciò che dice o fa. Amo Sho, ma sotto la sua sicurezza sul lavoro c'è molta insicurezza personale, è un po' vanitoso con se stesso e spesso si fa dominare dalle emozioni senza ragionare molto (in realtà è il suo carattere principale per me, da quando ho pensato al personaggio "sho" in Zakuro: emozioni, passione).
Ma se è un lavoro complesso dare difetti ai propri bieniamini quando può essere complesso darli a persone inesistenti? Personaggi da immaginare da zero. Solitamente cerco di pensarli a tutto tondo, magari comincio a pensare alla storia come la voglio iniziare e quindi come mi serva si comporti il personaggio, ma poi lo penso tutto: nome, nascita, carattere, tic, caratteristiche; non lascio niente al caso. E allora Erina ha dei complessi personali sul proprio aspetto che si ripercuotono in lei causandole spesso poca fiducia in sè, rassegnazione nel proprio atteggiamento, e.. beh ha anche il difetto di essere distratta, dimenticare, fermarsi troppo, combinarne sempre qualcuna sbagliata.
Oh cacchio.. scusate... tutta sta pappardella (aaargh) per dire che Kokoro era sembrata troppo perfetta in Ame forse, e "distruggere" la sua immagine qui non è stato facile. No "distruggere" non va bene... cambiare nemmeno... forse è meglio dire: darle spessore, darle una prospettiva, una profondità.
Avrete notato che i miei OC femminili sono spesso donne molto forti, con problemi e difetti, ma si base coraggiose e forti. Non mi piacciono i personaggi piagnucoloni, viziati o troppo insicuri, mi fanno saltare i nervi e dire "e allora fanculo! Piangiti addosso e che me ne frega a me? ". Ma non posso nemmeno fare tutti personaggi uguali, allora Kokoro è forte perchè ha una passione, lavora e studia il suo lavoro con sicurezza nel suo sogno, vive sola, si è trasferita lontana dalla famiglia con coraggio, ma... lei è una persona delicata. Non di quel delicato che mi dà sui nervi o non mi piacerebbe, ma l'immagine della "ragazza della porta accanto" stava bene con un'idea di delicatezza. E così ne è uscita una ragazza che aveva preso il coraggio a due mani accettando una relazione difficile, ma che, davanti all'immediato e completo fallimento, invece di reagire, scappa. Delicata, fragile, è terrorizzata di stare troppo male, quindi vuole solo tagliare fuori Aiba dalla sua vita per non doverci pensare più: occhio non vede...
Sono la prima a dire "che cazzo fai? In realtà lui non ti ha tradito e tu non lo sai.. ma se sei sicura che l'abbia fatto invece di scappare dagli un calcio nei coglioni e digli che è uno stronzo", ma Kokoro non è così: è un mochi che se lo schiacci tra due dita si deforma e perde la sua bellezza. Una reazione del genere è più da Yun-seo no? XD
Ah la pianto... sto facendo un analisi inutile che nemmeno ve ne frega niente... forse avevo semplicemente bisogno di mettere per iscritto tutto quello che ho dovuto rimuginare per scrivere questo capitolo. Ah no! Ecco perché l'avevo fatto *ritrova il filo del discorso* per spiegar(vi)mi perché i piace il capitolo anche se non c'è gente che corre(?)! XD Perchè c'è stato tutto questo dietro, perchè è l'affermazione di un personaggio-Kokoro più tondo, più profondo e sviluppato. oh yeah...
Dopo questo trip scrivo che ieri mattina ho cominciato a pensare alla storia dopo il capitolo 20 (come qualcuno ricorderà, ho pensato i capitoli con precisione fino al 20 e con quello si chiuderà, idealmente, una prima parte della storia) quindi sono lieta di assicurarvi che... ancora non vedo la fine di questa ff °.° (e tutte si disperarono!)
Byez!


18. Sugarless Girl

Kokoro aprì lo sportello del forno e si scostò da una parte per evitare la ventata calda che l'avrebbe altrimenti investita in pieno. La cucina si riempì dell'odore dei croissant appena fatti che invase anche il salotto dato che tra le due stanze c'era solo una parete di bambù intrecciato. Erano le sette del mattino e il sole faceva fatica a fare luce da dietro le grandi nuvole sparse per il cielo, ma quando si diradavano per qualche minuto, i raggi caldi passavano attraverso la finestra e illuminavano i tatami del salotto e il tavolino basso. L'atmosfera era tranquilla, da fuori si sentiva solo qualche macchina silenziosa passare ogni tanto, ma per il resto i rumori erano tutti di sveglie lontane e di discorsi sommessi, quelli tipici della mattina appena alzati.
Infilò i guanti per prendere la teglia e spostarla con attenzione sul tavolo della cucina. Osservò i dolci dorati e sorrise tra sè mettendo le mani sui fianchi mentre li rimirava. Venne distratta dal rumore di passi e urletti che attraversarono improvvisamente il corridoio fuori dalla porta di casa. «Neesan!!»
«Kokoro neesan!!» dei bambini chiamavano a gran voce bussando sulla porta dell'appartamento
«Eccomi, eccomi!» esclamò togliendosi i guanti e raggiungendo l'entrata. «Buongiorno Akito chan! Buongiorno Ryo chan!»
«Buongiorno!» sorrisero i due maschietti di 5 e 8 anni. «Senti che odorino!» esclamò il primo
«Cos'hai fatto?» domandò l'amico facendosi avanti e sbirciando oltre l'ingresso
«Croissant, sono dolci francesi che ho imparato mentre ero via» spiegò la giovane ragazza. «Quale tipo di marmellata ci volete dentro?»
«Albicocche!» rispose Akito senza pensarci su e l'amico, dopo qualche secondo, annuì
«Va bene, datemi due minuti» annuì lei con un ampio sorriso sul viso e lasciò aperta la porta tornando nella cucina che si affacciava sull'entrata. Mentre chiedeva ai bambini cos'avrebbero fatto quel giorno a scuola, farcì due dolci, prese dei tovaglioli in carta di riso colorata e ce li avvolse per poi consegnarglieli. «Attenti a non farli cadere lungo la strada e mangiate piano che sono ancora caldi»
«Grazie neesan!» esclamarono loro in coro. Presero ognuno il proprio dolce e si avviarono verso la scuola.
La giovane rimase sulla porta e li osservò: non appena questi non la guardarono più sul suo viso tornò un'espressione seria e infondo agli occhi brillava un po' di tristezza. «Se un giorno te ne andrai come faranno?» si sentì domandare da una voce alle sue spalle. Un ragazzo con la tipica divisa scura delle scuole medie stava camminando verso di lei.
«Insegnerò le ricette alle mamme» rispose indossando ancora una maschera d’allegria. «Però una parte di me vorrebbe che non mangiassero mai più dolci, per lasciarli legati al mio ricordo. Sono egoista vero?» domandò scuotendo il capo. «Ne vuoi uno anche tu?»
«Servirebbe dirti di no? Hai sempre fatto una porzione anche per me» pronunciò quello seccato
«Ti sei tagliato i capelli di recente? Ti stanno bene» fece la giovane allungando una mano per toccare le ciocche corte del ragazzino
«Non toccarli!» esclamò lui scostandosi. «Ci ho messo ore a sistemarli con il gel»
«Ma senti, Makoto kun sta crescendo!» esclamò ridendo, per niente offesa da quel fare scostante, poi rientrò in casa. «Arancia, vero?» domandò già aprendo il barattolo di marmellata
«Ma si possono mangiare quei cosi? Non mi fido della cucina tedesca» rispose lui, leggermente acido
«È francese, scemotto» lo corresse sistemando la nuova porzione di croissant. «Tua sorella dov'è?»
«Marika si è presa il raffreddore» rispose lui appoggiandosi allo stipite della porta d'entrata. «È proprio vero che solo gli scemi si ammalano in estate»
«Ecco qui» annunciò porgendogli il suo dolce. «Adesso ne preparo due e glieli porto su. Tu fai il bravo a scuola»
«Quando la smetterai di trattarmi come un poppante? Ti comporti con me come una vecchia zitella senza figli o nipoti»
«Makoto kun» sospirò lei. «Lo farò quando imparerai a comportarti da ragazzo maturo invece che da bambino maleducato. Fai attenzione a quel che dici, un giorno potrei offendermi» gli spiegò con un sorriso, meno allegro, ma più pacato. Il ragazzino non rispose nulla, arrossì e borbottò qualcosa girando sui tacchi per andarsene.
Kokoro si appoggiò a sua volta contro lo stipite della porta e incrociò le braccia guardandolo mentre si avviava con quel passo svogliato che faceva parte della sua nuova immagine di uomo duro. Aveva quell'atteggiamento strano solo con lei? Si era sempre comportata amichevolmente nei suoi confronti, ma ormai era uno studente di terza media e un uomo in formazione, forse avrebbe dovuto mettere più distanza tra loro, perchè sapeva che Makoto era infatuato di lei. Pensava a lui come ad un fratello minore e anche se era quello con meno anni di differenza rispetto agli altri bambini del condominio, erano pur sempre tredici!
Sospirò passandosi le mani sul grembiule, quindi scosse il capo e si staccò dalla porta per rientrare in casa: doveva cambiare il suo atteggiamento, senza dubbio. La sera prima, ad esempio, lui l'aveva vista piangere e Kokoro, invece di comportarsi da adulta e tacere, gli aveva raccontato tutto di Aiba. Pessimo errore.
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto dalla figura di Makoto che rientrava correndo. «Ho appena visto quello là scendere da un auto» le disse sgranando gli occhi. In mano aveva ancora metà della brioche fumante.
«Chi?» domandò spaesata Kokoro
«Il tuo fidanzato!» spiegò lui storcendo il naso. Un movimento alle spalle di Makoto attirò la sua attenzione: un bel ragazzo dal viso sorridente oltrepassava in quel momento il cancello del giardino: era proprio Aiba.
«Accidenti» imprecò lei a denti stretti. «Digli che non sono in casa!» spiegò allo scolaro, poi si fiondò nell'appartamento e chiuse la porta a doppia mandata. In quei secondi il suo cuore aveva cominciato a battere all'impazzata, non per la paura, ma proprio perché vedere quel ragazzo la emozionava.
Kokoro aveva conosciuto Aiba Masaki per puro caso, perchè l’anno prima si era trasferita nello stesso quartiere della casa della sua famiglia e lui, un giorno, era stato mandato dalla madre a comprare dei dolci al negozio dove lavorava lei: in un primo momento non l'aveva riconosciuto, poi la padrona del negozio le aveva svelato chi fosse. Kokoro non aveva una televisione e non ascoltava nemmeno tanta musica quindi non aveva riconosciuto Aiba Masaki, del famoso gruppo pop Arashi. Dopo quel primo incontro si erano incrociati più volte nel quartiere e avevano chiacchierato molto. Lui era stato il primo a baciarla, ma quando lei aveva preso a sua volta l'iniziativa, era scomparso. Forse era fuggito, ma Kokoro ormai si era innamorata di lui: del Masaki dolce, generoso e gentile che aveva incontrato di persona, non del ragazzo nello schermo televisivo o sulle riviste. Per mesi ci fu solo silenzio tra loro a cui era seguita la sua dichiarazione fallimentare, ma in qualche modo tutto si era sistemato e lui l’aveva accettata: Kokoro era partita per qualche settimana l'estero, ma era diventata la fidanzata di Aiba Masaki. Cos'era successo dopo? Lui aveva detto di voler far chiarezza dentro di sé, ma mentre lei era in Francia non si era fatto sentire nè per messaggio, nè per mail e non aveva fatto nessuna chiamata. Kokoro era stata molto occupata con il corso di pasticceria, ma tornata in Giappone era convinta di voler mettere in chiaro il loro rapporto, parlando con calma, eppure le sue speranze si erano infrante nel giro di pochi secondi: mesi di fantasie, giorni di pazienza e speranza di rivederlo presto, distrutti da poche semplici parole.
Nel corridoio non ci furono rumori e pensò che Makoto si fosse avviato, così che lei non avrebbe sentito nessun discorso, invece il ragazzo stava solo aspettando che il nuovo arrivato lo raggiungesse. «Buongiorno!» sentì salutare da Masaki, quando varcò il portone del condominio
«Ciao» rispose Makoto, un po' svogliato
«Ti ricordi me?» domandò l'altro. «Mesi fa sono venuto ad aiutarvi»
«Mi ricordo di te: Aiba Masaki. Difficile dimenticarsi, non credi?» lo interruppe
«Ho fatto così tanti disastri?» ridacchiò. «Mi spiace molto, però è stato divertente e la casa è ancora bella come appena dipinta!».
Kokoro, dietro la porta, alzò gli occhi al cielo: non capiva l'ostilità di Makoto o se la faceva scivolare addosso facendo finta di nulla? «Se cerchi Kokoro chan non c'è» lo interruppe il ragazzo. «È uscita poco fa per andare al lavoro, non ha tempo da buttare come te».
Aiba rimase in silenzio per qualche secondo. «È arrabbiata eh?» domandò il giovane idol
«Tu che dici?» rispose duro l'altro. «Credo sarebbe più felice se non ti facessi più vedere. Faresti un favore a tutti»
«Capisco. Anzi, no, in realtà non capisco molto, ma preferirei fosse lei a dirmelo» riflettè Masaki. «Troverò un modo per aver tempo di tornare qui quando lei è in casa. Grazie mille» disse pacato e lo sentì fare qualche passo, forse per allontanarsi, ma venne bloccato dalla successiva esclamazione del giovane vicino di casa
«Non tornare. È meglio» pronunciò in tono duro
«Sono parole di Kokoro o sono le tue speranze?» domandò quindi Aiba, fortunatamente il suo tono continuava a suonare tranquillo
«Che importanza ha?»
«Lo ha, Su...» barbettò. «Scusa, non ricordo come ti chiami» ammise imbarazzato
«Takahashi Makoto» rispose il ragazzino. «Ma non importa, non mi aspettavo che lo ricordassi»
«Makoto kun»
«Non chiamarmi per nome!» esclamò quello
«Takahashi san, allora. Io spero che qualsiasi cosa accada tra me e Kokoro avrai rispetto dei suoi sentimenti e del mio lavoro»
«Cosa intendi? Che non devo andare in giro a dire che stavi con lei? Che non dovrei dirle che mi piace?» chiese infastidito. «Stai tranquillo, non dirò che hai fatto innamorare una ragazza e poi l'hai tradita. I miei sentimenti però non ti riguardano. Ora sparisci, non è casa tua questa» concluse Makoto, poi non si sentì altro dal corridoio: se si fossero detti qualcosa in giardino lei non l'avrebbe udito.
Kokoro rimase appoggiata alla porta di casa, arricciò il labbro e strinse le palpebre sentendo le lacrime affacciarsi ai suoi occhi. Scosse il capo e, per non cadere preda del pianto, si dedicò ai croissant per Marika chan. Non poteva far a meno di chiedersi se era giusto comportarsi in quel modo, però Aiba l'aveva tradita in quei venti giorni di lontananza quindi era giusto essere arrabbiata. Fin dall'inizio aveva immaginato che la loro storia sarebbe stata troppo bella per essere vera e infatti sembrava si fosse preso solo una cotta, era bastato un periodo di lontananza e ne aveva trovata già un'altra. Kokoro aveva vissuto un'illusione meravigliosa, ma non era la realtà. Sospirò alzando lo sguardo dai dolci e tirando su con il naso. Non voleva più vederlo e voleva solo che sparisse dalla sua vita. Si sentiva un'idiota a pensare di aver creduto alle parole di Aiba e aver sperato di poter veramente avere una storia con lui. Si sentiva una stupida e si vergognava di quanto fosse stata sprovveduta: aveva persino perso tempo a riflettere su quella situazione! Poteva innamorarsi di un uomo che era circondato da donne più belle e che lo vedevano più spesso di lei? Un uomo simile era giusto per lei? Si era sempre risposta "sì".
Quando ricordò il dolcissimo discorso sul Chibi Masaki e la Chibi Kokoro che si erano fatti all'aeroporto, non riuscì più a trattenersi e pianse in maniera più pacata e silenziosa rispetto alla sera prima: si sentiva come un cane che si leccava le ferite. In una parola, patetica. Kokoro si passò il dorso della mano sugli occhi e scosse il capo, cercando di riprendersi. Si vestì rapidamente per andare al lavoro e quando uscì dall'appartamento erano ormai passati trenta minuti da quando non sentiva più alcun rumore nel corridoio, quindi era sicura che non ci fosse più nessuno. Il suo vicino uscì nel suo stesso momento, si salutarono con un sorriso e si augurarono buona giornata. Dal suo sguardo non aveva captato nessuna occhiata strana, quindi era probabile che i suoi occhi non si fossero arrossati. Salì al primo piano a portare i dolci per la bambina malata e salutò per avviarsi anche lei al lavoro, scacciando dalla sua mente tutti i pensieri tristi su quel tradimento.
Con un respiro profondo oltrepassò la soglia del portone del condominio color celeste e cercò di farsi forza mentalmente, per prepararsi al primo giorno di lavoro dopo il viaggio, per essere forte, per sopportare il dolore almeno finchè era fuori casa. «Ci avrei scommesso!» esclamò qualcuno al suo fianco, non appena fu uscita di casa. Kokoro girò lo sguardo notando solo in quel momento una figura appoggiata al muro dell'edificio: Masaki non era andato via.
Rimase pietrificata: tutto il coraggio che aveva appena cominciato a raccogliere si dissolse come neve al sole. La figura del giovane immerso nella luce del sole mattutino era tanto bella da toglierle il fiato. Stava per rimettersi a piangere, quindi girò la testa di scatto e decise di fuggire scendendo rapidamente i gradini per allontanarsi. Si continuava a ripetere di non poter rimanere davanti a lui un solo secondo e teneva gli occhi spalancati dal terrore davanti alle emozioni intense che la stavano travolgendo: meraviglia, amore per quel dolcissimo ragazzo, odio per quel che aveva fatto.
«Non puoi andartene così» ribattè quello seguendola, prendendola per il braccio e avvicinandola a sè.
Spaventata che volesse abbracciarla mise subito le mani avanti per tenerlo lontano. «Ti prego, lasciami» riuscì a pigolare debolmente
«Non voglio farti niente, Hanayaka san» spiegò quello, sorpreso
«Lasciami» ripetè girando gli occhi sul cortile per evitare di guardarlo e solo quando si sentì libera dalla sua presa fece dei passi all'indietro. «Scusa, non voglio più vederti. Non tornare più qui» concluse. Impaurita all'idea di una sua qualsiasi risposta, si allontanò tanto rapidamente che quasi si mise a correre, come nelle scene dei peggior film romantici.

Dalla fine di Luglio fino a quel giorno, il negozio di dolci tradizionali "Wagashi"¹ di Chiba era rimasto chiuso per ristrutturazioni. Dopo anni che non vi faceva lavori, la padrona si era finalmente decisa a sistemare tutti i piccoli problemi dell'edificio per rimodernare anche la cucina e curare gli interni del negozio che era un ambiente in stile tradizionale e richiedeva quindi molta manutenzione. Approfittando di quell'interruzione temporanea del lavoro, Kokoro era partita per un corso di cucina all'estero, ma una volta tornata aveva temuto che la cucina, il suo ambiente fosse cambiata totalmente dopo i lavori, tanto da non ritrovarcisi più. Fortunatamente non fu così: il forno era nuovo e migliore, le pareti ridipinte avevano alcune nuove mensole e mobili per utensili e ingredienti, ma il grosso tavolo di legno centrale non era cambiato, il ripiano vicino al forno era lo stesso bancone di pietra intagliata che aveva trovato lì fin dal primo giorno. Era ancora il suo habitat, solo tirato a lucido. Le modifiche maggiori avevano riguardato il negozio, la parte "pubblica": il legno del bancone e del parquet erano nuovi e le travi massicce e scure del soffitto ancora odoravano della foresta da cui venivano, inoltre l'ambiente si era rimpicciolito un po' per far spazio ad una piccola saletta da tè. La padrona le aveva accennato di quel progetto prima dell'inizio dei lavori, voleva lasciare a lei la gestione del negozio e dedicarsi di più ai clienti, soprattutto dopo che negli ultimi tre anni quel piccolo angolo di tradizione si era fatto un nome in città, nelle pagine locali dei giornali di Tōkyō e nell'ambiente dolciario stesso. Coloro che sarebbero andati a gustare tè e dolci in quel piccolo angolo non sarebbero stati solo clienti affezionati, ma anche intenditori del settore e giornalisti. Poteva essere un angolo elegante per qualsiasi piccolo momento particolare di privati o gruppi che volessero organizzare qualcosa. E poi la padrona amava avere a che fare con le persone: era affabile, simpatica e sfacciata quanto la sua età le concedeva, mentre Kokoro in negozio era una facciata giovane e fresca, un buon primo impatto per chiunque, inesperto del settore dolciario, vi si affacciasse per la prima volta.
Oltrepassata la soglia, la giovane entrò subito di quell'ambiente così familiare, ma insieme nuovo e diverso. Senza pensarci troppo accese il forno, sistemò alcuni ingredienti sul tavolo, tirò fuori gli utensili necessari, accese i fuochi dei fornelli mettendoci sopra alcune pentole e solo allora si fermò. Face qualche passo indietro e osservò la scena: il calore del forno, il rumore delicato dei fuochi accesi, la farina che imbiancava il tavolo e gli ingredienti aperti; era la sua dimensione, era il suo piccolo, meraviglioso e prezioso mondo. Strinse le labbra in un sorriso sottile e si sarebbe rimessa a piangere, questa volta per la felicità e la commozione: aveva provato tanta nostalgia di quel posto. La familiarità e il gradevole tepore della cucina erano il suo conforto. Come era già successo in passato, anche in quel momento la sua ferita sarebbe guarita più in fretta se i dolci l'avessero aiutata a non focalizzarcisi troppo.
«Cosa fai lì impalata?» domandò la padrona entrando nella cucina e trovandola ferma vicina alla porta che dava sul retro, per contemplare meglio lo spazio in cui lavorava. «Quando chiudiamo per pranzo mi insegni ad usare i nuovi fuochi? Il tecnico ci ha provato, ma parlava in maniera troppo difficile e una vecchia come me ha bisogno di spiegazioni semplici» ridacchiò scuotendo il capo
«Sì, lo farò» rispose Kokoro, inchinandosi leggermente. «C'è già qualcuno!» esclamò quindi, sentendo il furin² appeso alla porta che tintinnava
«Vai allora, su!» la incitò l'anziana donna sorridendole come avrebbe fatto una nonna con la nipote
«Posso davvero?» domandò sgranando gli occhi. «Sono i primi clienti da quando abbiamo chiuso per lavori»
«Il negozio è una tua responsabilità ora, quindi a te l'onore» sottolineò avvicinandosi alle pentole, segno che avrebbe tenuto d'occhio lei la preparazione. La giovane passò le mani sul grembiule, poi se lo tolse rapidamente, prese la giacca della divisa del negozio e la indossò sopra la leggera maglia di lino che indossava per cucinare. Anche la divisa del negozio era cambiata: indossava sempre una gonna stretta intorno alle gambe, lunga fino al ginocchio, ma la giacca ora riprendeva il modello del kimono giapponese: collo a V, maniche lunghe e si chiudeva tramite una cintura sottile che doveva ricordare un semplice obi. «Benvenuti!» salutò cortesemente, con un sorriso sul viso
«Buongiorno» salutò la cliente da davanti al bancone, alzando gli occhi dalla vetrinetta con alcuni dolci in esposizione. «Tu?» domandò questa quando la vide.
Kokoro rimase pietrificata riconoscendo nella cliente la giovane dai capelli rossi che era andata a prenderla all'aeroporto. La stessa con cui Aiba l'aveva tradita. Cercando di mantenere il sangue freddo, si inchinò con educazione.
«Salve» salutò una seconda ragazza che fino a quel momento era rimasta rannicchiata a terra per guardare i dolci posti più in basso nella vetrina del bancone. Dall'aspetto era più asiatica della prima, ma aveva l’accento straniero.
«Cosa posso servirvi?» domandò Kokoro, rimanendo dietro il bancone
«Questo posto è tuo?» domandò sorpresa Erina
«No, anche se ho molte responsabilità» rispose scuotendo il capo. Era stranita e nel panico, ma era abituata a mostrare una facciata di cortesia ai clienti. «Devo chiamarvi la padrona?» domandò
«Sì grazie, non per essere sgarbata, ma siamo qui per parlare di lavoro» spiegò la rossa mentre la sua compare puntava il dito sul vetro
«Eri, voglio quello» le disse
«Va bene, allora ce lo facciamo preparare prima di andarcene» rispose abbassando lo sguardo sul dolce indicato. «Ying! Ma il più costoso dovevi scegliere?» si lagnò
«Volevi farti perdonare?» chiese incrociando le braccia l'altra. «Allora voglio quello»
«Arrivo subito» disse Kokoro prima di inchinarsi e tornare in cucina. Richiamò la padrona spiegandole chi ci fosse nel negozio e prese l'occorrente per incartare il dolce scelto dalla ragazza sconosciuta. Quando ritornò nel negozio per preparare la confezione ascoltò il discorso che stava facendo. «Sì, certo che so chi sono» diceva l'anziana emozionata. «È un onore, cosa posso fare per voi?»
«Vede, stiamo organizzando un incontro con varie figure importanti per la buona riuscita del progetto e ci è stato consigliato da qualcuno di rivolgerci a voi per il rinfresco. Cercando delle informazioni però non ho capito se fate servizio cathering»
«Immagino sia stato il figlio degli Aiba» annuì piano quella. «Anche crescendo è rimasto un bravo bambino» e Kokoro avrebbe avuto qualcosa da ridire su quel punto, ma tacque e continuò il suo lavoro mettendo il dolce su un vassoietto.
«Precisamente lui» annuì Erina. «Pensa sia fattibile? Mi rendo conto che ha dato il vostro nome sulla fiducia ed è stato un bel gesto, ma il servizio richiesto è serio e se non potete offrircelo dovremo chiedere altrove»
«Possiamo farlo» rispose senza pensarci troppo la padrona. Kokoro la vide abbassare lo sguardo su di lei, rapidamente, ma non ricambiò, continuando a piegare il cartoncino per creare una rudimentale gabbia intorno al dolce, prima di impacchettarlo, di modo che la carta della confezione non rovinasse la decorazione.
«Non facciamo cathering, ma ho conoscenze nell'ambiente. Forniremo il materiale e loro si occuperanno di gestire il tutto. A voi sta bene?» domandò l'anziana
«Certo» annuì con decisione la rossa. «Le lascio i fogli con la descrizione del lavoro, se vuole le mando anche una copia elettronica» spiegò lasciandole una cartelletta intestata dell'agenzia con dentro gli incartamenti della proposta
«Te ne occupi tu?» domandò la padrona alla sua giovane assistente che ripiegava ad arte la carta per fare un pacchetto. «Bene» annunciò allora, vedendola annuire in silenzio. «Darò un'occhiata a questi fogli. Ci troverò anche i contatti immagino»
«C'è tutto, non esiti a chiamarci» annuì cortese Erina. La giovane commessa sbirciò il suo volto. Che fosse stato il suo fascino esotico ad attirare Aiba? Era impossibile non notarla con quei capelli.
Tornò a guardare il pacchetto quando l'altra si accorse del suo sguardo e lo ricambiò. Le aveva sorriso, tranquilla, e continuava a trattarla normalmente. Probabilmente non sapeva niente di quello che c'era stato tra lei e Masaki: quella ragazza l'aveva portata in giro in macchina e aveva scherzato senza dare il minimo segno di disagio al parlare con lei, che avrebbe dovuto essere la fidanzata di Aiba, quindi era plausibile che il ragazzo non le avesse mai accennato dell'impegno tra loro.
La padrona ringraziò mille volte per averle prese in considerazione e propose di regalare loro il dolce che avevano chiesto, ma Erina aveva insistito per pagare, sembrava una cosa tra lei e l'amica che l'accompagnava. Poi l'anziana si ritirò con i fogli; Kokoro avrebbe scommesso che la signora fosse al settimo cielo: amava quel tipo di attività, andava in solluchero tutte le volte che poteva portare alla ribalta la pasticceria tradizionale e, soprattutto, quando poteva farlo entrando in contatto con tante persone come ad un rinfresco.
Completò il pacchetto, fece lo scontrino e comunicò il prezzo alla rossa. «Sei fortunata» le disse Erina mentre le porgeva i soldi. «La persona per cui lavori sembra veramente simpatica, è un bel vantaggio»
«Grazie mille» rispose inchinandosi mentre le dava il resto. Non le era ben chiaro se la stesse ringraziando per l'acquisto o per i complimenti fatti alla sua superiore.
«Sono rimasta sorpresa» aggiunse l'altra, che non sembrava affatto scoraggiata dalla sua cortese freddezza. «È stato Aiba chan a suggerirci questo posto, ma non pensavo ci lavorassi tu. Vi conoscete meglio di quanto non mi avessi lasciato intendere il primo giorno!». Kokoro non sapeva se era più forte la sua voglia di strozzarla o lo stupore totale che provava di fronte a quelle frasi provocatorie dette con un candore tale da lasciare poco spazio ai dubbi: quella donna non sapeva niente di lei e Masaki. Lui aeva mandato Erina a prenderla all'aeroporto sperando che Kokoro si rendesse conto da sola che era finita e che lei era quella nuova? Le aveva scritto dei messaggi convincendola ad andare agli studi così da mostrarle il loro rapporto? Ma per quale motivo ora avrebbe proposto un lavoro che li avrebbe fatti rincontrare ancora una volta?
«Stanno lavorando, lo sai? Lasciamoli fare» si intromise la giovane sconosciuta che accompagnava Erina, dopo che Kokoro era rimasta muta prolungando un imbarazzante silenzio
«Giusto, scusami, mi metto sempre a parlare a caso!» ridacchiò la rossa passandosi una mano dietro la nuca. «Allora aspetterò vostre notizie: buon lavoro» la salutò con un chino
«Buona giornata» si unì l'altra, con in mano il dolce che aveva chiesto
«Grazie di tutto» rispose Kokoro inchinandosi a sua volta. Le osservò che uscivano parlottando allegramente tra loro, entrambe fasciate in due tailleur dai colori chiari, probabilmente dirette ai propri uffici. Con amarezza le venne da pensare che se l'orientale dai capelli corti lavorava con Masaki avrebbe potuto essere la prossima.
«Hanayaka san?» si sentì richiamare. Si girò, quasi spaventata, e vide la piccola sagoma della proprietaria sulla soglia che dalla cucina dava sullo spazio dietro al bancone. «Qualcosa non va?» domandò con aria preoccupata. «Non ti piace il nuovo negozio oppure sei ancora con la testa in Francia?» le domandò. Nella sua voce c'era divertimento, dato che era una sostenitrice dei dolci tradizionali l'aveva presa in giro più volte per l'idea di quel viaggio in Europa, ma era chiaro che aveva notato qualcosa di strano in lei.
«No, è tutto bellissimo qui e sono felice di essere tornata» nonostante le brutte notizie quella non era una bugia
«Allora cosa c'è? Non ti piace la proposta che ci hanno fatto?» insisté quella
«No. Non è quello» scosse il capo, ma non era una brava bugiarda, non con la padrona
«Se preferisci posso declinare» pronunciò quella con sicurezza e per Kokoro fu una forte tentazione. Quasi sicuramente avrebbe dovuto presenziale al rinfresco, ci sarebbe stato anche Masaki ed era ingenuo sperare che sarebbe stato tanto occupato da non trovare modo di avvicinarsi e dirle mezza frase. Non voleva più avere niente a che fare con lui, ma la signora ci teneva ed era una bella notizia per ricominciare con una marcia in più l'attività dopo la ristrutturazione.
Kokoro fece un sospiro e preparò il suo miglior sorriso. «Pensavo solo che mi sentivo più alta delle clienti. Abbiamo alzato il pavimento o sono cresciuta io?» domandò camminando sul nuovo parquet dietro il bancone
«È più alto!» rispose ridacchiando l'altra. «Ormai sei troppo grande per crescere ancora, Hanayaka san»
«Il riso per i mochi!» esclamò Kokoro ricordandosi di una delle pentole sul fuoco. «Non cominciamo a bruciare qualcosa fin dal primo giorno» rise superando la signora e tornando in cucina
«È impossibile con te, sei troppo scrupolosa» ribattè la padrona, prima che la campanella del negozio suonasse di nuovo e un cliente la salutasse.

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