L'ennesima opera magna (Capitolo VI)

Aug 18, 2007 22:16

Un brevissimo post prima di partire....
Un baciotto!
Haruka-san

Titolo:Diario di un segreto
capitolo: VI
Fandom: X
Personaggi: Fuma Monou,Kamui Shiro, Kanoe, Hinoto
Rating: PG
Riassunto: Io, Shiro Kamui, ronin della disciolta milizia Shinsengumi, essendomi miracolosamente salvato al massacro dei miei compagni nella battaglia di Hakodate, ho raggiunto l’età senile e, temendo che tutti gli avvenimenti ammirevoli conservati nella mia memoria perissero con me, ho deciso di redigere un diario per fissare sulla carta quei lontani giorni felici.
Quando gli occhi che hanno visto non vedranno più e le orecchie che hanno udito non udiranno più, queste parole resteranno ai posteri che, leggendo le gesta di quei valorosi uomini di cui narrerò, scalderanno con il loro ardore i nostri spiriti gelati nell’oltretomba.
Note: Fanfiction storica ambientata nel Giappone dei samurai, nel 1865. Alcuni personaggi incarnano figure realmente esistite, altri sono mie invenzioni. Per scrivere questo breve romanzo ho usato come fonte alcuni libri, film storici e fonti enciclopediche, sempre cercando di romanzare la Storia e non di usare fandom di opere storiche.

Capitolo VI
Il mattino seguente, di buon’ora, i due viaggiatori lasciarono la locanda e si avviarono al tempio per onorare le tombe degli Eroi. Kamui gettò una moneta d’oro sull’altare delle offerte e suonò tre volte la pesante campana, tirando con ambo le braccia il cordone rosso che sosteneva il batacchio. Fuma accese gli incensi e, come prescritto dal rito, ne inalò il fumo, portandolo alle narici, ripetendo tre volte lo stesso gesto deciso e secco del polso. Poi restarono a mirare il panorama invernale che dalla collina scendeva fin verso il mare; lì tra quelle curve e quei rilievi innevati, svettava il Fujihama, la montagna più alta dell’isola: era lì che erano diretti, verso la città di Edo, nel cui porto, dodici anni prima, le navi nere (17) avevano attraccato imponendo a suon dei loro terribili cannoni scambi commerciali con il Mikado e dando così nuovo impulso alla centenaria guerra tra Shogun ed Imperatore. La Shinsengumi serviva e proteggeva lo Shogun nella città imperiale ed aveva una milizia sorella nella città portuale, ma non era alla caserma che il capitano e il suo scudiero erano diretti: ufficialmente era un viaggio di piacere, eppure Fuma non si stupì di vedere spie imperiali che lo tenevano sott’occhio. Così non attese l’inizio delle litanie a favore dei defunti e partì alla volta della città: era sua intenzione far perdere le sue tracce nei vicoli tortuosi dello Yoshiwara.
- Dovremo rimandare la visita alla casa di mio padre- disse sottovoce, mentre calzava il capello di paglia a falda larga - Sembra che il mio arrivo sia stato annunciato!-
Kamui si guardò attorno e senza dover aggiungere altro capì che sarebbe stato un viaggio tutt’altro che semplice.
- Siete un po’ troppo noto, capitano!- scherzò montando in sella.
Fuma gli si accostò, fingendo di controllare gli zoccoli del cavallo e bisbigliò- Da adesso in poi, niente formalità e titoli onorifici, per te sono Fuma!-
Kamui annuì e si chinò per accarezzare il collo del cavallo così da poter parlare senza essere udito- Dove siamo diretti di preciso?-
- Te lo dico strada facendo- rispose l’altro scompigliandogli i capelli. Era la prima volta che il capitano lo sfiorava in qualche modo, e, anche se non avrebbe voluto ammetterlo, lo stomaco gli balzò in gola.
Cavalcarono a ritmo serrato per stradine di campagna isolate che Monou sembrava conoscere a mena dito e, proprio quando i primi tetti della città apparivano all’orizzonte, questi cambiò direzione e puntò verso nord, attraversando un fitto bosco. Lì deviarono ancora verso sud e arrivarono in città da una strada che Kamui non avrebbe saputo rifare al contrario neanche se avesse avuto il tempo di disegnarla. Al limitare del porto, in un quartiere di manovali e marinai, Fuma smontò davanti ad una casupola e bussò con un segnale convenuto: una bambina di una decina d’anni venne ad aprire e gli sorrise, si guardò intorno, poi tolse il catenaccio alla porta e li lasciò entrare.
Nonostante la casa fosse semplice e povera dall’esterno, all’interno era arredata con gusto: a terra c’erano tatami quasi nuovi, al centro il braciere era pulito e le scodelle, impilate sopra una mensola, erano di ceramica costosa e decorata. A destra c’era un mobile di legno rosso laccato, esattamente come negli appartamenti degli ufficiali della Shinsengumi. La bambina, che aveva loro aperto, era minuta e dalla faccia seria: indossava un kimono sulla tonalità del rosa, con ampie maniche che toccavano quasi terra; tra i capelli finissimi un fermaglio di osso e seta tratteneva alcune ciocche sulla sommità del capo, lasciandone però sfuggire altre ad incorniciare il viso tondo. Non era la casa di una famiglia povera, sembrava più un nascondiglio, tanto più che il capitano Monou si muoveva in quel ambiente perfettamente a suo agio.
- Hinoto-chan ti vedo cresciuta!- esclamò Fuma togliendosi il cappello e riavviando la folta pettinatura con la mano libera- Tua sorella è sveglia? So che a quest’ora dimora con le ancelle della bella Kaguya-hime (18), ma ho proprio bisogno di lei!-
- Credo che per il nostro caro Fu-chan si alzerà da letto, quella pelandrona!- scoppiò a ridere la bambina, prendendo il mantello e il capello che il capitano le porgeva- Chi è il vostro amico?-
- Kamui-kun, anche lui della Shinsengumi, Seishiro-san me lo ha messo alle calcagna! Ha paura che combini qualche disastro!-
- Non dovrebbe forse?- una splendida dama, la più bella che Shiro avesse mai visto, fece il suo ingresso nella stanza e fu come se il sole fosse sorto solo in quel momento. Indossava uno yutaka nero, trattenuto appena da un obi allacciato alla bene e meglio, una profonda scollatura lasciava intravedere il seno prosperoso, contenuto a stento in una fasciatura di seta rossa; i capelli neri come la pece e lucenti come seta ricadevano a coprire il fisico statuario, il viso era un ovale perfetto, senza alcuna alterazione del trucco, la bocca carnosa lasciava vedere una dentatura bianca come perla e perfettamente sana- Dopo la bravata dell’ultima volta! Ti ha raccontato, novizio, di come ha sbaragliato cinque uomini del clan Choshu solo perché questi non li hanno lasciato il passo per strada? E tutto da solo, vero Fu-chan?-
Kamui rimase basito dal tono colloquiale con cui la donna si rivolse al suo signore: nessuno, neppure Yuto-san, si era mai rivolto al capitano chiamandolo con quel nomignolo.
- Kanoe-mama, non sai quanto sono contento di rivederti!- rispose il ragazzo, prostrandosi ossequiosamente. A dispetto di quanto si sarebbe atteso Kamui, Fuma non sembrava né offeso né turbato dall’informalità con cui era ricevuto, segno che tra i due c’era un legame di profondo e antico affetto.
- Bambino caro, il piacere è solo mio! Sembri in buona salute e sei anche più alto dell’ultima volta… è passato già un anno e tu ti fai sempre più bello! Seishiro-san ti dovrà tenere chiuso al tempio Nishiongen per evitare agli dei di portarti via!- (19)
Fuma storse il naso al nome del comandante e si sedé accentando il tè che la piccola Hinoto gli porgeva
- Yuto-san ti manda questo!- estrasse dallo scollo del kimono una piccola scatola di legno intarsiato, conteneva alcune lettere- Come al solito brucia tutto, dopo averle lette-
La donna allungò il braccio con un gesto terribilmente sensuale, la manica dello yutaka scivolò quel tanto da lasciare nudo il polso bianco come neve, e, dopo un’esitazione di pochi secondi, afferrò le carte e portò il plico al petto, baciandolo soavemente. Fuma le sorrise complice, poi indicò Kamui e lo pregò di sedersi.
- Lui è Shiro Kamui, è il mio scudiero, da più o meno ventiquattro ore!-
- No!- esclamò la donna stupita.
- Volere del grande capo!- rispose con un’alzata di spalle il ragazzo.
- E’ un piacere conoscerti, ragazzo mio, il mio nome è Nitta Kanoe (20), ma anche tu puoi chiamarmi Kanoe-mama, come fa il tuo signore. Mi raccomando prenditi cura del nostro Eroe!-
- Kanoe-mama, so badare a me stesso!- protestò Fuma, lievemente rosso in volto.
- Vedi, Kamui-kun? Si agita per un nonnulla il nostro giovane Musashi! Ma non è proprio per questo che gli siamo così affezionate, Hinoto-chan?- la bambina ridacchiò e si accoccolò accanto al capitano, che prese ad accarezzarle i capelli, giocando con le ciocche più ribelli sfuggite al fermaglio.
- Ti ho portato un dono, Hinoto-chan- Fuma estrasse un talismano dalla manica e lo consegnò alla piccola: portava impresso il simbolo del santuario di Sengaku (21) e Kamui si chiese quando il capitano avesse avuto il tempo di acquistarlo- Ti porterà tanta fortuna!-
- Che bello! Che bel colore!- esclamò la bambina battendo le mani per la contentezza. Kanoe si limitò ad un cortese cenno di ringraziamento con il capo.
- Dunque, saprai che la situazione non è delle migliori- Fuma cambiò espressione tutto ad un tratto, diventando estremamente serio e abbassando la voce- Non credo che riuscirò a soggiornare da mio padre, questa volta, ho le spie imperiali addosso già da Sengaku. Quindi mi serve un tuo piccolo aiuto-
- Non c’è problema, Fu-chan, la mia casa è la tua casa- poi si rivolse a Kamui- Devi sapere che questo bel giovanotto è il mio salvatore. Dì come mi hai difeso quella volta a Gion!- esclamò la donna tornando a rivolgersi al capitano.
- Oh, Kanoe-mama è stato una vita fa!-
- No, io gli sarò debitrice in eterno, vero Hinoto-chan? All’epoca, più o meno cinque anni fa, lavoravo ancora per la mia okasan (22): una sera intrattenevo un vassallo dei Togukawa (23) quando tre ninja entrarono da non so dove e lo uccisero e avrebbero ucciso anche me se Fu-chan non fosse entrato di corsa e li avesse fermati-
- Ero di guardia! Yuto-san mi avrebbe fatto a pezzi se solo avessi tardato un altro secondo- si schernì Fuma.
- A proposito, come sta il nostro demone rosso?-
- Sta bene, si è divertito a fare il buono e cattivo tempo, finché Kusanagi-san è stato via… ma adesso ci stiamo preparando alla guerra… saranno giorni duri anche per te, Kanoe-mama, non sarebbe il caso se pregassi il tuo damna (24) di portarti con lui nei suoi possedimenti fuori Edo?-
La donna annuì ma non rispose.
- E’ tempo di andare- disse infine Fuma, appoggiando la tazza sulla stuoia e dando un bacio sulla fronte della piccola Hinoto.
- Fatti trovare alla casa dei glicini, nella zona est dell’hamanachi (25), ti presenterò come il figlio di un mercante in viaggio di studi nel paese… se solo tu volessi farmi il favore di tagliare quei capelli, sarebbe più semplice farti passare per un mercante o un ricco possidente. Perfino il tuo scudiero è costretto ad andare in giro come se fosse ancora un adolescente per non far sfigurare te! Hai già vent’anni, Fuma-kun!- era un rimprovero, Kamui lo intuì dal modo in cui la donna alzò le spalle e dall’uso del suffisso, che metteva come un muro tra i due contendenti, eppure la voce non cambiò modulazione né il viso si increspò minimamente.
- Non se ne parla e sai anche il perché!-
- Oh, sì, Seishiro-san si dispera per i tuoi bei capelli al vento… Fu-chan tu lo sai che ormai per lui c’è solo un certo bonzo di nostra conoscenza?-
- Sta zitta!- tuonò il capitano afferrando cappello e mantello, per la prima volta rivolgendosi a quella splendida dama con la stessa freddezza con cui aveva trattato la serva della locanda, la sera prima. Lei si limitò a scuotere la nera chioma con vigore e poi s’inchinò per salutare con impeccabile grazia.
Kamui si dispiacque all’idea che la conversazione finisse a quel modo, aveva intuito che quella donna era teneramente affezionata al giovane capitano, forse più di chiunque altro alla Shinsengumi, e non voleva perdere l’occasione di parlarle di nuovo: così, temendo che Monou scegliesse una diversa soluzione come nascondiglio, osò intervenire.
- Signore, io credo che Kanoe-san parli solo per il vostro bene, non dovete adirarvi così!-
Fuma si voltò verso di lui con l’aria di chi è pronto ad uccidere, ma si limitò ad un sorrisetto malevolo e girò i tacchi- Muoviti, chiacchierone!- disse una volta varcata al soglia. Kamui, impacciato, accennò un breve inchino e lasciò la casupola.
Kanoe restò di stucco. Quel ragazzo aveva osato controbattere il capitano su un tema così scottante e Fuma non aveva fatto altro che guardarlo di traverso e passarci sopra? Solo un anno prima, aveva cavato un occhio ad un samurai della terza divisione che aveva osato fargli notare la stessa cosa. Non poteva credere ai suoi occhi e alle sue orecchie, gli dei avevano forse ascoltato le sue preghiere?

I cavalli furono venduti ad un mercante di bestie del porto e a piedi i due si recarono nei quartieri a sud della città, dove, tra una serie di case di legno e stradine strette, sorgeva Togagure: il tempio della spada.
- Qui abita mio padre- disse Fuma fermandosi a rimirare il tori rosso da cui pendeva il cartello su cui un’elegante mano aveva vergato il nome del santuario. Era un piccolo tempio metropolitano, circondato da alberi di pesco, ormai spogli. Un uomo, nel tradizionale abito nero dei monaci zen, spazzava il viottolo d’ingresso accantonando la neve ai margini. Era un uomo sulla quarantina, dai tratti severi e un po’ affaticati, statura possente e capelli mossi: somigliava al figlio, ma non quanto Kamui si sarebbe aspettato. Fuma aveva ereditato il sorriso di sua madre, come avrebbe appreso solo pochi minuti dopo, entrando nel salone della casa, dove sorgeva il piccolo altare con il ritratto di una dama minuta e bellissima, dal sorriso incantevole, che un abile pittore di corte aveva saputo immortalare. Padre e figlio si sederono sui cuscini posti dinnanzi ed accesero l’incenso. Era una stanza pulita ed ordinata, ma povera di arredo, a parte il sontuoso tabernacolo in legno di mogano. Una vecchia serva accese i carboni sotto il kotatsu e portò il pranzo: zuppa di legumi e verdure al vapore. Non era gente ricca la famiglia Monou, o almeno non lo era più, perché qui è là si notavano i segni di un antico splendore, come le porcellane finemente decorate, ma in parte sbrecciate, gli shoji ingialliti su telai di fine legno di ciliegio o il kimono della vecchia, ormai consunto ma di ottima stoffa. Il padre di Fuma era un uomo schivo e silenzioso, non disse che poche parole durante tutto il pasto e si rivolse solo di rado all’ospite.
- Padre, non posso restare qui- disse ad un tratto Fuma.
- Lo so, già dalle prime luci dell’alba erano di ronda intorno alla casa. Credi che ti cercheranno di arrestarti?-
- No, arrestare un capitano della Shinsengumi senza un valido motivo è un suicidio, anche se siamo ad Edo. Stanno annusando l’aria, però-
- Ti vedo pallido, figlio, devo credere alla lettera che mi giunse dopo l’agguanto d’Ikedaya?-
- Temo di sì, padre- rispose mesto Fuma- Ma vi prego di bruciare ogni lettera con l’emblema della nostra milizia e di non far parola della mia reale condizione di salute con nessuno, se il nemico sapesse…-
- Non tuo padre tradirà la causa!-
- Preferisco non restare qui a recarvi danni, se ci sarà bisogno di usare le armi, sarà meglio che accada dove possiamo batterci meglio… se dovessero dar fuoco alla casa, sarebbe un problema per voi, padre. Resterò ad Edo in un posto tranquillo… avete abiti civili da prestarci?-
- Prendi ciò di cui hai bisogno. È abile con la spada, il ragazzo?- chiese infine, con una vena di preoccupazione nella voce, fissando il giovanotto e cercando di indovinare quanti anni potesse mai avere.
- Il migliore della Shinsengumi, dopo di me, s’intende!-
Kamui si voltò di scatto verso Fuma sgranando gli occhi: era la prima volta che gli faceva un complimento del genere!
Kyugo Monou annuì piano e tirò fuori il suo rosario che prese a sgranare salmodiando, quando ebbe finito, il figlio si congedò e Kamui lo seguì.

Al primo piano c’erano le camere da letto, tenute chiuse da tempo, segno che il quella casa ormai viveva solo il monaco con l’anziana servitrice.
- Quando mia madre morì, mio padre abbandonò la spada e chiese al suo signore il permesso di ritirarsi in monastero; io mi trasferii a Kyoto presso Seishiro-san e mia sorella fu data in moglie ad un mercante di pellami. La casa restò chiusa per anni, poi la primavera scorsa mio padre tornò in città e fece costruire il piccolo tempio nel giardino e prese ad occuparsi dei poveri e degli indigenti del quartiere, intanto tiene d’occhio quel che succede… il palazzo del damnyo Choshu dista solo due isolati da qui. Quel dannato non muove un dito senza che mio padre lo sappia, è gli occhi e le orecchie di Seishiro-san qui ad Edo-
- Perciò “Togagure” si riferisce alla spada che vostro padre ha appeso al chiodo?-
- Più o meno- rise Fuma, intanto che apriva i bauli ed estraeva stoffe preziose e kimoni sgargianti- Mia madre era molto corteggiata, te lo dissi tempo fa, seppe far fruttare le sue doti e accumulò una piccola fortuna. Prendi ciò che preferisci e sii pronto a diventare uno studente in vena di spendere una fortuna con donne e giochi. Tu sei poco conosciuto, qui in città, perciò la farsa sarà credibile- aggiunse poi il capitano vedendo l’occhiata scettica che Kamui gli aveva lanciato- Alla casa dei glicini attenderemo gli ordini da Kyoto-
Poco dopo, il capitano e il suo scudiero erano di nuovo in strada, dopo un veloce saluto al monaco. Decisero di far disperdere le loro tracce in una serie infinita di vicoli e poi si cambiarono in un bagno pubblico, togliendo le semplici vesti di viaggiatori: Kamui indossò un elegante kimono di cotone verde con un obi di pura seta, così da passare per un ricco figlio di papà. Fuma rimase pensieroso con il wakizashi tra le mani.
- Credo che Kanoe-mama abbia ragione, è tempo di tagliare i capelli- disse con un sospiro.
- No, capitano, non potete tagliare i vostri capelli!- lo implorò Kamui sfilandogli il pugnale di mano.
- E perché no?- chiese Fuma quasi sconvolto dalla reazione esagerata dello scudiero.
- Perché… perché..- balbettò Kamui in cerca di una risposta razionale- Vi prego di non farlo, darete un dispiacere a molte persone-
- A chi? A Yuto-san che mi implora di tagliarli da quando avevo la tua età o a Seishiro-san che sta sempre a lamentarsi di quanto poco autoritario io appaia agli occhi dei miei uomini!-
- Fatelo per me, capitano, non tagliate i vostri splendidi capelli!-
>Cosa?< fu la prima risposta che venne alla mente di Fuma, ma per un qualche motivo non disse nulla e lasciò che Kamui deponesse nella sacca il suo coltello.
- Il mio aspetto è troppo conosciuto, vorrà dire che userò il vecchio trucco del bonzo, speriamo ci caschino ancora una volta- sospirò e mise un vecchio saio del padre e il capello di paglia, per fingersi un monaco.

Note:
(17) Navi nere: termine usato dai giapponesi per indicare le navi americane.
(18) Kaguya-hime: la principessa della luna.
(19) Kanoe si riferisce alla credenza, presso il popolo, che un’eccessiva bellezza di una persona fosse motivo di invidia da parte degli dei, i quali avrebbero potuto rapire il giovane o la dama di turno per farli unire alla loro corte.
(20) Nitta Kanoe: nel manga “X” le Clamp non rivelano il cognome delle due sorelle Kanoe ed Hinoto, così per esigenza di copione ne ho attribuito loro uno di mia scelta, prendendolo in prestito dal libro di Arthur Golden “Memorie di una geisha” (la protagonista si chiama infatti Nitta Sayuri) che mi è servito come ispirazione e fonte storica per il personaggio di Kanoe-geisha.
(21) Sengaku: il santuario dove sono custodite le spoglie dei Quarantasette Ronin di En-ya
(22) Okasan: letteralmente “mamma”, ma nel mondo delle geisha indica la padrona della okiya, la casa delle geisha, dove queste vivono, essa è un’imprenditrice: sceglie le fanciulle da educare, paga loro vitto, alloggio e studi e queste la devono ripagare con il loro lavoro di geisha fino all’estinzione del debito.
(23) Tokugawa: la dinastia di Shogun che dominò il paese dal 1603 fino al 1868.
(24) Damna: il protettore e mecenate di una geisha, di solito un uomo molto ricco che si accolla le spese per le esibizioni e la sponsorizzazione della sua protetta. È legato alla geisha da un legame simile a quello matrimoniale ma non prevedeva, necessariamente, prestazioni sessuali in cambio dell’apporto finanziario elargito dal damna. Una geisha poteva sposarsi davvero solo una volta ritiratasi dalla professione.
(25) Hamanachi: il quartiere delle geishe dove sorgono le case da tè (okaya) e le dimore vere e proprie dove vivono le donne (okiya), bel distinto dai quartieri delle prostitute dove sorgevano gli jorouya, cioè i bordelli. Il termine hamanachi (si legge “amanci”) significa città dei fiori.

big damn table, x, tabù

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