Titolo: I held the beast in but now it seems you set it running
Fandom: Sherlock BBC
Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Rating: G
Avvertimenti: Soprannaturale, Nonsense, AU, Werewolf!John, Food!Sherlock, ooc
Conteggio Parole: 1418
Riassunto: John fiuta Sherlock tra i vicoli di Londra. E una volta che il Lupo lo sente, non può fare niente per fermarlo.
Note: Oneshot che nella mia testa aveva un senso, ma che poi è uscita così delirante perché, probabilmente, ho letto davvero troppi libri di Stephen King. Maneggiare con cautela (?) e sì, fa schifo /o\. Ambientata in mezzo ai vicoli di Londra, di notte, mentre Sherlock insegue qualche criminale.
Scritto con il prompt "You are the moon that breaks the night for which I have to howl (Florence + The Machine, Howl)" @
sherlockfest_it per
l'Horror festDisclaimer: No, Sherlock, John e i lupi mannari non mi appartengono. Tutti i crediti a Sir Doyle e la BBC e Moffat e Gatiss, che secondo me si divertono come matti a scrivere questa serie.
John l'ha fiutato. Si insinua sotto la pelle, formicolando come se volesse staccarla via gradualmente. È come un intruso. Un intruso fastidioso e rumoroso che non si può scacciare. E una volta che l'ha fiutato tutto prude finché non si bracca e cattura l'odore; fino a quando non lo si sente tra i denti e non ha più nessun profumo se non quello del sangue.
Il problema è quello, quando fiuti qualcosa. Diventa un ossessione. John lo sa bene. E se provi ad opporti è peggio, molto peggio.
Il formicolio aumenta. Svolta un angolo, annaspando. Un altro e non sa più dov'è. Segue l'odore, solo quello. Non può farne a meno.
Gonfia il petto e barcolla e il cuore inizia a pulsare più velocemente (nelle arterie, nella testa, nelle ossa). All'inizio è come se ti tirassero un calcio nello stomaco; è un'esplosione di dolore, dolore fulmineo che azzera tutto il resto. Poi si diffonde, si distribuisce nel corpo e tutto si flette. Le ossa, i muscoli. La mente. La mente si flette. È come. Come. Come essere (John deglutisce. Ha uno spasmo al viso. Ringhia) spezzati, spezzati dall'interno (La mascella scricchiola. Il cuore fugge e brucia, brucia tutto) ed è devastante, ogni volta. Ma ormai l'ha fiutato; e odora di cibo.
Il lupo è diverso da John. Quando c'è, il mondo è netto, cristallino, come durante i momenti di adrenalina, dove ogni cosa ha un contorno più marcato. Per il lupo, il mondo è anche più facile. È carne, cibo e dolore. È odore di buono e odore di cattivo. E per il lupo, il dolore (emotivo) non esiste. È astratto, inavvicinabile. Questo è ciò che gli piace del lupo. Anche se procura altro dolore (fisico), così le ossa si rompono e ricompongono e la mente brucia e John cade e si accascia a terra e urla; ma è un urlo soffocato, che si distorce in un latrato.
Non c'è la luna piena, quella notte.
Eppure il lupo arriva ed è strano, perché un lupo che si aggira per Londra non l'ha mai visto nessuno. E il Lupo, a sua volta, non ha mai annusato l'aria di Londra. Troppe tracce, troppi odori. Ma, aspetta, è questo quello giusto. Questo, sì. Cibo.
Il lupo lo trova. Si ritrova faccia a faccia con lo sconosciuto, e lo sconosciuto lo guarda con interesse. Ha un cellulare tra le mani (ora tremano) e deglutisce. Il lupo lo sente. Lo sa. È di questo che si nutre. Più aumenta la paura - la sorpresa, la rabbia, il panico - più il cibo odora di cibo. Il lupo ringhia, negli occhi ha solo un riflesso di umanità. Qualcosa che ricorda la ferocia che John deve aver avuto in guerra.
È un flash, sì, quella è la parola giusta. Un attimo prima il Lupo è davanti a lui, con il pelo biondo e gli occhi feroci; quello dopo gli è addosso, con le fauci spalancate. Cozza all'indietro nell'istante stesso in cui il Lupo salta su di lui. Sbatte la testa. È come quando ha subito il suo primo k.o. a pugilato. Sherlock sente il cervello diventare liquido, e ha il tempo di trovare l'esperienza interessante. È come se venisse scollegato perché sì, c'è un lupo, un lupo grosso e feroce nel centro di Londra che ti aggredisce, e tutto quello che pensi è scappare, eppure non scappi, rimani a fissare il lupo finché non ti attacca.
Sherlock vorrebbe essere armato. Avere con sé qualcosa, qualunque cosa più delle sue braccia. Invece ha solo delle gambe che non si muovono e una testa che non può niente contro il Lupo.
Sente gli artigli della bestia premere sul suo ventre. Lacerano il cappotto, si conficcano nella carne. È un dolore acuto. Tutto è un dolore acuto. Cerca di alzarsi ma non ci riesce; il lupo apre e chiude le fauci e emettono un rumore che assomiglia a uno schiocco. Rotola, allora, e raschia sul terreno finendo appallottolato contro un muro. Allunga le mani su questo, prova ad alzarsi. Si ferma, e il lupo lo sta ancora fissando. Si è ritirato quando ha rotolato, ma è rimasto vigile. Sta aspettando qualcosa, ma non sa cosa. Sherlock non sa leggere gli animali; è bravo solo con gli uomini, anche se gli animali sono più razionali e attaccano solo quando c'è bisogno di attaccare. Quando hanno fame.
E allora capisce e si da dello stupido e il suo cervello non c'è più e lascia spazio solo al male. Ha una fitta alla testa. Il lupo ha fame e attacca di nuovo. Lo schiaccia contro la parete, lo tende a metà, e Sherlock sente i lombi cedere e le ossa incrinarsi. Tenta di mordere e, se avesse dato retta alla sua mente razionale, l'avrebbe schivato. Ma la sua mente razionale non c'è. È da qualche parte, la sente come un eco. La sua bellissima mente, ridotta a un sussurro da una bestia.
Questa volta è il Lupo che sente John e non John a sentire il lupo. Lo avverte da qualche parte; lo avverte, mentre prova dominarlo come non ha mai fatto perché, sì, uccidere animali va bene, ma uomini no. Ma gli uomini non sono animali? E ha un odore così buono, John.
Il lupo ringhia, di nuovo. Sherlock non capisce. È un po' come osservare un uomo che parla da solo.
John non vuole ucciderlo, ma il Lupo ha ragione. E pensa, cibo. Strofina il muso sulla preda. Lo senti, John? Cibo. La preda si irrigidisce. Era rigida anche prima. È stato facile prenderlo. Un lupo è più forte di un umano. Il lupo sovrasta l'umano.
Sherlock spalanca gli occhi. Non può lottare. Qualcosa lo paralizza ma sa che non può lottare. Ha la gola secca e può vederlo; può vedere il lupo fare a pezzi la sua carne. Può sentirlo. Spappolargli la clavicola, addentare il collo. Fa male? Quanto può far male? Ed è il dolore fisico, per la prima volta, a paralizzarlo. Anche se non sopravvivrebbe a un morso del genere. No, morirebbe subito. Questo non lo calma.
John fissa il lupo. Dall'interno. Gli ringhia contro. Il lupo dilata le narici, e l'odore della preda è sempre più buono. (Smettila, gli dice John.) Abbaia. (Smettila, smettila, smettila.). Il lupo indietreggia, sbattuto all'indietro. Il lupo sente qualcosa nella sua testa, ma non riesce a concepirla. La sfiora e basta, però fa male anche se è un lupo. Gli rimane appena sulla gola. Il lupo si agita. Scuote il muso, apre la bocca. Il lupo nasconde il muso tra le zampe e guaisce.
John non sa controllare il lupo. (Smettila) Non dall'Afghanistan. (Dolore fisico, sì, emotivo). Non da quando ha capito che il sangue gli piace. E quello della preda; dello sconosciuto, odora di buono.
Qualcosa nel Lupo si risveglia dal torpore. John annaspa. Le fauci del lupo ora sono su di lui. Non respira.
Sherlock lo vede. Lo vede, sì, davvero, vede il lupo scomporsi. Vede le ossa tremare e i muscoli venir presi da spasmi e contrarsi e uscire. Vede le ossa e il sangue e la carne. E poi non capisce. Non capisce se sia umano o se sia una bestia. Puzza, però, qualsiasi cosa sia. Puzza di morte e di pioggia, e Sherlock ha sentito così tante volte quei due odori insieme, ma mai come questa volta. Il lupo urla, e le urla sono umane.
John apre gli occhi in un vicolo di Londra. È nudo e sudato e c'è uno sconosciuto accalcato contro una parete, coperto di sangue. Lo sconosciuto puzza, ecco cosa pensa John. Puzza di cane.
Sbatte le palpebre, e come prova a muoversi ha un crampo così forte al polpaccio da strappargli l'aria dai polmoni e ricacciare indietro ogni tentativo di movimento. È disteso a terra su qualcosa di appiccicoso. Alza la testa. Lo sconosciuto lo fissa, con gli occhi sgranati e, oh, quello e sangue e quei tagli sono... artigli. John capisce, forse; cerca di capire, ma non ricorda. Dice solo un “Ecco, io” e poi riprende con un “Mi dispiace”.
E c'è silenzio.
“Ti ho morso?”
Lo sconosciuto scuote la testa. È pallido. “Allora non dovrei...” John tossisce “Dovresti disinfettarti quei tagli” conclude, ma da terra non si muove.
“John Watson” aggiunge poi “È il mio nome”
“Sherlock Holmes” lo sconosciuto appoggia pigramente la testa contro la parete. Ha del sangue raggrumato nella fronte e tra i capelli. Sherlock sente ancora il cuore martellargli nelle orecchie “E tu sei il primo lupo mannaro che incontro”