Beta:
yoruko89Raccolta: You can learn to love uncertainty
Fandom: Glee
Personaggi: Finn Hudson, Will Schuester
Rating: PG-15
Avvisi: preslash, onesided non-troppo-angst, SPOILER (ed assoluta non-considerazione dell’ultima scena) dell’episodio 1x13
Conteggio parole: 298 + 276 + 314 + 314 (W)
Challenge: special#6 @
it100Prompt: (nell’ordine) I lost my faith in the summertime (Oasis), When there’s no one watching (Animal Collective), You're sad but you smile (The Strokes), You can learn to love uncertainty (Julian Plenti)
Disclaimer: al solito, nulla di mio, just havin’ fun & no profit.
Note: ~ è stata un’agonia scrivere “signor Schue” al posto di “mister Schue”, spero che comprenderete il mio dolore.
~ io non sono contro il Will/Emma, sia chiaro. Solo che qua proprio non funzionava. *làlàlà*
~ il titolo è uno dei prompt perché è troppo bello, ma non s’intende che abbia ispirato la raccolta intera. Ovviamente, tutta la mia ammirazione a
cialy-girl per le scelte ♥
~ d’oh, terzo banner, sei mio!
Uno.
Si siede stancamente sulla panchina in legno in mezzo agli spogliatoi. Non c’è nessuno: si è allenato fuori orario, da solo, come non gli capitava più da un sacco di tempo (per la precisione, raramente da quando il signor Schuester l’ha ricattato per entrare nel Glee Club e definitivamente più da che Quinn gli ha dato la notizia).
Ha dovuto allenarsi, sentiva che era l’unico modo per logorare il corpo tanto quanto lo è la sua mente, così forse riuscirà a dormire. Ma non c’è verso, non riesce a spegnere il cervello.
Non capisce bene quando, esattamente, la sua vita sia diventata lo schifo che è ora. Insomma, fino a poche settimane prima era il ragazzo più invidiato della scuola, giusto? La punta di diamante della squadra di football. Si chiede se esista una sorta di Karma divino e se questo gli si sia rivoltato contro, ma come pensiero è troppo stupido persino per lui.
Si chiede come possa essere possibile che Quinn lo ami e gli abbia fatto questo. Sono cose che si escludono a vicenda, l’amore dovrebbe-
La mente corre al signor Schue, che forse sta soffrendo anche più di lui perché a mentirgli è stata sua moglie e lui forse il bambino l’avrebbe voluto anche se fosse stato figlio di un altro, perché il signor Schue è davvero buono, ma quel bambino non è mai esistito. Chissà come ha reagito, lui, si chiede, lui che non ha nemmeno avuto un Puck da odiare e picchiare.
Si chiede se perdonerà mai sua moglie. È gentile, il signor Schue, ma Finn crede che ci siano determinate cose che non possono essere perdonate, c’è fiducia che va persa per sempre. E poi se n’è andato di casa: trova questo pensiero, in un certo modo malato, confortante.
Due.
Torna a casa a passo lento. Quinn sta ancora da lui - come può, Finn, dire a sua madre che ha un figlio tanto scemo da farsi ingannare su una cosa simile? E comunque Quinn non saprebbe dove andare e la bambina non ha colpe, non deve soffrirne - ma fortunatamente già dorme. Si chiude nella sua stanza e si rifugia nel letto, implorando il sonno di arrivare presto.
Ovviamente, si ritrova a fissare il soffitto. L’allenamento lo ha sfinito e probabilmente il suo cervello esploderà presto, come un motore privo di sistema di ventilazione, ma nulla. Chiude con forza gli occhi e sente salire lacrime di rabbia e frustrazione.
Lasciami dormire, supplica, per favore, per favore!
A forza di rigirarsi tra le lenzuola, finisce per accendere l’abat-jour e fissare senza scopo la scrivania disordinata. Gli cade lo sguardo su alcuni spartiti del Glee Club: il signor Schue glieli ha dati qualcosa come un paio d’ore prima che tutto andasse a puttane.
La calligrafia del signor Schue è nitida e precisa. Non è uno che se ne frega, il signor Schue: qua e là ci sono brevi appunti e precisazioni, perché conosce i punti deboli di Finn, ed in coda non ha dimenticato un paio di frasi d’incoraggiamento.
Dev’essere bello essere la persona amata da William Schuester, pensa improvvisamente, arrossendo subito dopo. Cerca di scuotere via il pensiero, getta i fogli a terra e spegne la luce, ma quello è ormai ancorato nella sua mente e sembra schiacciare e scacciare via tutto il resto. Oh be’, si dice, se può servire.
Si masturba velocemente, con disperazione, immaginando le lunghe dita dell’uomo su di lui; e finalmente s’addormenta.
Tre.
Si sveglia con una fastidiosa sensazione all’altezza del bacino e ricorda tutto in un unico, violento flash. Arrossisce fino alla punta dei capelli e si guarda furtivamente attorno come per assicurarsi che nessuno sia stato lì a spiare. Lentamente diventa consapevole che la casa è troppo silenziosa e getta una distratta occhiata alla sveglia: è tardi.
Un biglietto di sua madre lo attende sul tavolo della cucina - ha subodorato che qualcosa non andava e gli ha permesso un’entrata in ritardo -, lo legge a ripetizione mentre fa colazione, sentendosi genuinamente grato. Non è il disastro completo che lui pensava, annuisce tra sé e sé, anche se la ferita brucia ancora; deve solo stare lontano da Quinn e da Puck e dagli altri: ma la bambina? Scuote la testa.
Evita di pensare anche al signor Schuester, o almeno ci prova finché non se lo trova di fronte nel corridoio, vuoto, di fronte alla segreteria.
«Finn» inizia l’uomo, cautamente. «Come stai?»
«Meglio, signor Schue» risponde, stupendosi nel realizzare che non sta mentendo.
Il professore gli regala un sorriso di affettuoso orgoglio, uno di quei suoi sorrisi in cui lo vedi che tu per lui conti davvero - Finn li ha sempre accolti con noncuranza, come se in un certo senso gli fossero dovuti, mentre ora gli si illumina un po’ il cuore - e gli stringe la spalla. Si ritrova a sorridergli a sua volta, timidamente. Esita, prima di fissarlo negli occhi (ha un po’ paura che lui legga troppo a fondo, sa di essere una persona trasparente e quello che è successo la notte scorsa non dovrà mai, mai più ripetersi), tuttavia vuole confermargli che non sta fingendo.
La mano del signor Schue scivola lieve verso il suo cuore, in una carezza di sollevata approvazione. Porta ancora la fede.
Forse, riflette, l’amore è una cosa molto più complicata ed incerta di quanto lui si ostini a credere.
Quattro.
Hanno vinto. Ha mostrato il trofeo al signor Schue con un misto di fierezza e affetto e qualcos’altro che non ha saputo catalogare - non ci ha fatto granché caso, sul momento: s’è perso nella generale confusione della sua testa. Il signor Schue è la figura più vicina ad un padre che lui abbia mai avuto (o un fratello maggiore, forse, non sa bene), ma non ci si masturba pensando al proprio padre (di questo è quasi sicuro). Non l’ha più fatto - toccarsi, s’intende - per paura di risentire quelle mani sul suo corpo.
Entra nel Glee Club, ora, con circospezione. Incrociare gli sguardi imploranti che Quinn non smette di lanciargli e vedere i sempre più esitanti tentativi di Puck, regolarmente respinti, di starle vicino fa male, ma non è la tortura che si immaginava. Forse ha imparato qualcosa, da questa storia.
Il signor Schuester è di nuovo il loro relatore ufficiale, quindi non si sente in colpa a disturbarlo ogni volta che inizia a sentirsi un po’ troppo solo e i cattivi pensieri sembrano avere il sopravvento; un pomeriggio lo accompagna a casa in auto. Finn gli osserva le mani, che reggono il volante, come ipnotizzato dalla fede d’oro.
«Non l’ha tolta» azzarda, qualche tempo dopo.
«No» conferma lui, con uno sguardo più scuro del solito. «Ho lasciato Terry, ma non riesco a- Scusa, non era mia intenzione parlarne.»
Finn si morde l’interno della guancia per non perdersi in una patetica sequela di Ci sono io per lei! e Tua moglie non ti merita, Will. - da quando lui è Will, nei suoi pensieri? - perché è dolorosamente consapevole che il signor Schue non lo prenderebbe sul serio.
Tuttavia non può vietargli di amarlo in silenzio. Forse, amare senza certezze lo spingerà ad essere una persona migliore, e allora lui non lo vedrà più come un semplice studente.
In ogni caso, sorride, ne sarà valsa la pena.