We dream in prison like fools (1)

Nov 24, 2009 14:14

Salve a tutti! Altra storia, dopo tanto tempo, meravigliosamente partecipante a Big Bang Italia, correte a dare un'occhiata!
Titolo: We dream in prison like fools.
Fandm: Merlin.
Rating:Nc-17
Pairing : Arthur/Merlin
Warnings: Slash, un po' di violenza, morte di un personaggio principale (né Arthur né Merlin), Au.
Conteggio parole: 23400 circa
Sommario: Merlin è fin troppo felice a Camelot. Basta una piccola distrazione, e tutto quello che ha costruito crolla: Arthur scopre la sua magia e, distrutto dal tradimento, lo fa imprigionare, In una cella buia e fredda, senza poter ricevere le visite di Gaius e vedendo solo saltuariamente Gwen, costretto a sopportare un Arthur dolorosamente furioso e i sogni pieni di un bambino dagli occhi blu, Merlin troverà l'unico conforto in uno strano compagno di cella, un cavaliere con un misterioso amore passato. Ma mentre lui è in prigione, per Camelot i tempi sono bui. Anche Morgana riceve le visite notturne del bambino, che le parla di un futuro ben diverso dal regno di Uther...
Note: Qualcosina random: non ho visto la seconda serie, nemmeno una puntata, quindi di sicuro non ci saranno spoiler e non ne gradirei nemmeno nei commenti^^. La storia è ambientata nella prima serie, in una realtà alternativa (scordatevi della morte del padre di Gwen, tra le altre cose, e dell'Excalibur creata dal Drago). C'è una citazioncina di Prevert, cento punti a chi la trova.
Grazie immenso, totale a mystofthestars, beta straordinaria e velocissima. Altro grazie a skyearth85 per la bellissima cover.
Fanart: http://pics.livejournal.com/skyearth85/pic/0000c3ez/g8 di skyearth85



“E’ rimasta incastrata?”
Arthur scoccò uno sguardo di puro odio in direzione di Merlin. Merlin alzò velocemente le mani.
“Non guardarlo così.” Intervenne subito Morgana “Ti è anche troppo leale.”
Merlin era stato davvero molto leale, in effetti, e non solo perché temeva qualche ripercussione. Non aveva detto niente a nessuno (nemmeno a Gwen, che adesso lo guardava con un sopracciglio alzato) perché Arthur quando si metteva in ridicolo difficilmente riusciva a riderci sopra. Il più delle volte ne rimaneva atterrito o lasciava che la rabbia prendesse il sopravvento, e per una cosa così stupida come quella spada Merlin non aveva voglia di fargli male.
“Non è stato lui a dirmelo. L’ho vista, Arthur. E’ un po’ difficile non notarla.”
“Lo so.” Rispose secco Arthur.
Morgana si appoggiò pensosamente al tavolo, prima di ritirarsi inorridita. “C’è qualcosa di appiccicoso qui!”
“Stavo mangiando.” Sbuffò Arthur, e Merlin fu assolutamente d’accordo con lui. Avrebbe pulito se ne avesse avuto il tempo, ma Morgana e Gwen erano entrate senza bussare come al solito, cogliendoli entrambi totalmente impreparati.
“Mh. D’accordo. Senti, cos’hai intenzione di fare? Perché non è propriamente nascosta.”
“E’ abbastanza in vista, in effetti.” Commentò Merlin, cercando di aiutare “Per domani l’avranno vista tutti.”
“Mio padre mi ha già chiesto cos’è.” Arrischiò Gwen “Se potessi parlargliene e chiedergli - ”
“No.” Sibilò Arthur, senza alzarsi dalla sua sedia.
Era strano, pensò Merlin, come riuscisse a dominare una stanza pur essendo l’unico seduto. Anche se nella stanza c’era anche Morgana.
La stessa Morgana che, pulendosi con forza davvero eccessiva la mano al vestito, scosse la testa con commiserazione.
“Vorrei che tu non fossi così idiota.”
“Grazie, Morgana. Sei sempre particolarmente d’aiuto.”
Rimasero tutti in silenzio qualche secondo, cercando qualcosa da dire che non fosse un insulto e che potesse essere anche solo leggermente d’incoraggiamento in quella situazione.
Merlin si ritrovò di nuovo ad osservare Arthur. Il principe sedeva abbandonato allo schienale, lo sguardo ostinatamente fisso verso destra, il più possibile lontano dalla figura elegante di Morgana. Se in quello sguardo l’ostinazione fosse riuscita a coprire la rabbia (Arthur era furioso con se stesso per aver permesso accadesse una cosa così stupida) e l’inadeguatezza, Merlin avrebbe riso. E tanto.
Quando aveva realizzato che Excalibur era rimasta davvero incastrata, non era riuscito a trattenere una risata. Era comica l’immagine di Arthur che sbuffava lottando contro il fango. Era stata comica anche quando aveva cominciato a piovere e il fango aveva ricoperto gli stivali che Merlin avrebbe dovuto ripulire dopo, e i capelli biondi di Arthur gli si erano attaccati alla fronte per la pioggia e il sudore mentre continuava a tirare imprecando. Era diventato tutto molto meno divertente quando Arthur si era girato e lo aveva guardato con rabbia.
“Ti diverti?” Aveva urlato sotto lo scroscio dell’acqua, riuscendo a sembrare addirittura tradito.
Merlin si era affrettato a scuotere la testa “Vuoi una mano?”
“Pensi di fare meglio di me?” Aveva urlato di nuovo Arthur “Accomodati!”
Merlin aveva osservato la situazione con occhio critico, lievemente appannato dall’acqua che ormai gli penetrava anche sotto i vestiti.
Dopo un allenamento con Merlin, Arthur aveva spinto la spada di suo padre, che aveva solo ‘preso in prestito’ dopo che aveva rotto la sua, nella terra molle tra due sassi biancastri, giù fino a quattro dita sotto l’elsa. E lì la spada era rimasta. Forse la terra era di qualche tipo particolare, morbida nell’accogliere le spade e subito pronta ad indurirsi.
Merlin aveva fatto un tentativo con tutta la forza che aveva, e avrebbe provato anche ad aiutarsi un po’, se Arthur non lo avesse controllato come un falco da sopra la sua spalla.
E così Excalibur era rimasta nella roccia.

“Potrei dare la colpa a Merlin.” Disse Arthur cupamente.
“Ehi!” Disse Merlin.
“Oh sì, Arthur. Ottima idea, fai frustare a morte il tuo servo, è il modo più veloce per risolvere tutti i tuoi problemi. “
Arthur sbuffò, ma rivolse un breve cenno verso Merlin, che venne interpretato come una sorta di scusa.
Non che Merlin avesse pensato anche solo mezzo secondo che l’altro lo avrebbe fatto.
Sapeva che Arthur stava in pratica agonizzando ogni secondo che Morgana passava in quella stanza, cercando di aiutarlo a rimediare ad un errore tanto stupido quanto ridicolo. Il fatto che fosse così ridicolo era un problema insormontabile dal punto di vista di Arthur.
Se si fosse macchiato di omicidio, probabilmente avrebbe confessato tutto senza neppure sbattere le palpebre, accettando con la risoluta stupidità di un martire qualunque punizione suo padre avesse deciso per lui. Ma il ridicolo, il risultare così ridicolo davanti ad Uther lo faceva rigirare nel sonno.
“Potremmo romperla.” Propose Merlin.
Gwen scosse tristemente la testa “Non si può rompere così, come fosse creta. Potremmo chiedere a mio padre di fonderla, almeno la toglieremmo di lì in mezzo.”
“Noi - ” Disse Arthur con voce bassa e cupa “Noi non faremo proprio niente. E non. Una. Parola. Con. Nessuno. E’ chiaro?”
“Arthur.” Chiamò Morgana dolcemente. Arthur, diffidente, prestò subito più attenzione. “Ci sono praticamente inciampata sopra, e ho riconosciuto subito la spada di Uther. Quanto pensi ci metterà uno qualsiasi dei cavalieri a fare altrettanto? E non è che tu abbia commesso chissà quale colpa, per amor del cielo! Ti si è solo incastrata una stupida spada.”
Gli occhi di Arthur dardeggiarono.
“Sarebbe potuto succedere a chiunque.” Aggiunse Gwen con un sorriso dolce.
“Tra qualche giorno non se ne ricorderà più nessuno.” Finì Merlin.

Alla fine, Arthur aveva deciso che il giorno dopo sarebbe andato a confessare tutto a suo padre, e Morgana aveva promesso di non assistere e accettato di andarsene.
Merlin e Arthur erano rimasti soli nella stanza improvvisamente molto silenziosa e Arthur si era passato nervosamente le mani sul viso.
“Quanto è stupido tutto questo, da uno a dieci?”
Merlin azzardò un sorriso, prese uno straccio e cominciò a strofinare il tavolo. “Un otto se lo merita tutto.”
Arthur gli afferrò il polso, senza la minima forza. “Sei congelato.”
Merlin sbuffò.
Erano entrambi abbastanza stanchi a quel punto della giornata, dopo essere stati qualcosa come tre ore fuori sotto le piogge torrenziali di ottobre per cercare di togliere la spada dalla roccia, e l’umido e il freddo erano penetrati fino alle ossa di Merlin.
Le dita di Arthur disegnarono piccoli cerchi imprecisi sopra il polso di Merlin, finché lui non si decise ad abbandonare lo strofinaccio e allungò la mano. Arthur la strinse nella sua. “Avresti dovuto cambiarti.”
“E’ esattamente quello che intendevo fare, prima che Morgana e Gwen irrompessero qui.”
“Pensa lo scandalo.” Sorrise Arthur, un po’ fiaccamente. “Tu, nudo, nel mio letto, e Morgana che - ”
“Per quale motivo avrei dovuto essere nel tuo letto per cambiarmi?”
Arthur storse la bocca, come faceva sempre quando si accorgeva di essere andato un po’ oltre e di aver perso la consueta superiorità che aveva su Merlin (anche quando andavano a letto insieme). Gli afferrò l’avambraccio, costringendolo a chinarsi verso di lui. “Ti ci avrei gettato.”
“E’ il tuo modo di dirmi quanto mi vuoi?”
Nessuno dei due aveva in realtà le forze per i soliti giochi, così fu come sempre Merlin a cedere per primo. Si sporse appena un po’ di più, e premette un bacio a schiocco sulle labbra screpolate dell’altro.
Arthur lo trovava degradante.
“Fai schifo.”
“Era solo…” Cercò di protestare Merlin, ma sorrideva.
“Vieni qui.”
Merlin si allontanò obbedientemente dal tavolo, e invece di avvicinarsi ad Arthur andò a stendersi sul letto. Arthur lo guardò con una traccia di divertimento nell’espressione stanca. “Hai deciso di saltare tutti i preliminari?”
“Come se tu sapessi davvero cosa sono. E’ che sono troppo stanco per rimanere in piedi.”
Arthur alzò un sopracciglio, ma si era già alzato per raggiungerlo. “Non saresti rimasto in piedi per molto.”
“Che delicatezza.”
Quando furono entrambi sul letto, Arthur appoggiò la testa al petto di Merlin. “Mh. E’ stata una lunga, lunghissima giornata.”
Merlin passò piano una mano tra i capelli polverosi dell’altro, e sospirò. Era la sua parte preferita della giornata, di qualsiasi giornata, ma non aveva voglia di dirlo davvero.
Lento gli tolse la camicia, facendola passare dalla testa. Arthur alzò pigramente le braccia. Le sue spalle erano così lisce e levigate che Merlin non riuscì a non passarci una mano leggera.
Si spogliarono con svogliata lentezza, rifacendo gesti che ripetevano da solo un mese, ma che avevano sognato e ricordato così tante volte da stamparli nella mente.
Merlin pensava spesso a quando sarebbe finita. Ci pensava sempre. Non faceva altro che aspettare, in qualche modo, che Uther lo scoprisse o che Gwen oltre a guardarli ogni tanto in modo strano lo affrontasse, o che Morgana arrivasse in un momento poco opportuno.
Arthur gli baciò un fianco, stendendolo sul letto, facendo lentamente passare la lingua sulla linea della sua anca.
Merlin non avrebbe mai voluto che Arthur risentisse di tutto questo. Però certe volte, strane, tristi volte, pensava a come sarebbe stato se il mondo lo avesse scoperto e ad Arthur non fosse importato.
Quando Arthur premette con un dito dietro di lui, Merlin mugolò più per abitudine che per altro, perché era troppo presto. Arthur si tirò appena indietro.
“Non fare finta, idiota.”
E poi gli mostrò perché non aveva bisogno di fingere, con le dita, con la lingua, con tutto se stesso.
Dopo si fermarono a riprendere fiato gettati a caso uno sopra l’altro. Merlin ricominciò ad accarezzargli piano i capelli, come se non fosse successo niente. “Un bagno?” Propose.
L’altro si era abbandonato contro lo schienale. “Hai incredibilmente delle buone idee.”
“Certe volte.”
“Poche, fortunate volte.”
Sorrisero entrambi.
“Forse mi converrebbe andare a confessare subito.” Mugugnò Arthur qualche momento dopo.
Merlin scosse la testa sorridendo ancora. Una notte era tutto quello che gli serviva per rimettere le cose apposto: molto buio e nessuno in giro. Togliere una spada dalla roccia sarebbe stata una passeggiata, rispetto alla maggior parte delle cose che aveva fatto ultimamente per Arthur.
“Forse domani mattina le cose si saranno sistemate da sole.” Disse. “Può succedere.” Aggiunse in fretta, perché Arthur aveva cominciato a scrutarlo con particolare attenzione.
“E come potrebbe succedere?”
Merlin non ebbe molta paura, in realtà. Era da quasi un anno al servizio di Arthur, al fianco di Arthur, accanto a lui in ogni passo, e il timore di venire scoperto si era come allontanato, mentre si assestava nella quotidianità di Camelot. Certi giorni praticava la magia senza pensare neppure una volta alle esecuzioni, era così abituato a guardarsi intorno, ad essere circospetto che era come se si fosse dimenticato il perché. In più, era stato sul punto di venire scoperto per più di una volta, e non era mai successo niente. Era difficile credere che potesse accadere davvero.
Sorrise, appena un po’ nervosamente. “Non si sa mai.”

Aveva lasciato le stanze di Arthur verso le dieci, si era riposato qualche ora e quando le sentinelle si erano date il cambio, proprio sotto la sua finestra, era stato pronto a scivolare fuori dal castello.
La luna come sempre rendeva completa giustizia alle pietre di Camelot, dipingendole di ombre e luci e allontanando il buio dalla torre dove il suo re dormiva. Merlin non riusciva a non guardarla ogni volta, perché ne sarebbe sempre rimasto un po’ estraneo, ma così innamorato.
Corse lungo la strada acciottolata proprio sulla destra, superando velocemente le prime case, e poi ancora a destra, fino ad un piccolo spiazzo erboso appena dentro le mura.
Per qualche motivo, lo spiazzo era rimasto inabitato anche se era stato compreso nella cerchia muraria, e non solo, era anche leggermente incolto, con massi bianchi disposti a caso sul terreno e erbacce che spuntavano a ciuffi ruvidi. Tra due pietre biancastre, sotto la luce della luna nuova scintillava l’elsa di Excalibur, immobile da quando Arthur l’aveva spinta dentro.
Merlin si avvicinò di qualche passo.
Era comprensibile che Uther tenesse tanto a quella spada, anche solo l’elsa era splendida, intarsiata con parole che Merlin non capiva e con foglie d’alloro, così finemente lavorata eppure così forte in ogni suo angolo. Merlin non avrebbe saputo cosa farsene, ma gli sarebbe piaciuto molto tenerla, solo per guardarla ogni tanto. Era il tipo di spada con cui immaginava Arthur avrebbe regnato.
Allungò una mano, finché non sentì che la sua magia si spandeva sopra la spada, dentro la spada, e attraverso la spada fino alla terra che la teneva prigioniera. Merlin corrugò le sopracciglia, cercando di fare in modo che il calore e il potere della magia continuasse a scendere, per costringere la terra a rilasciarla.
La spada s’illuminò nella notte, come se avesse del fuoco dentro, e poi fu la terra a risplendere, di un blu brillante. Merlin sorrise. Gli piaceva e lo attraeva il colore della sua magia, quando formicolava sotto le sue mani e andava a posarsi dove lui decideva.
Appena la terra fu pronta, anche Merlin lo fu. Sussurrò poche frasi spezzate, poi trattenne il respiro accogliendo il familiare formicolio che gli prendeva il petto, e in un attimo fu pronto a rilasciarlo. Appena prima di farlo, però, la Spada parlò nella sua testa. Lo fece con voce di donna, quasi cantando.
“Al freddo, all’inverno, l’innamorato colpevole cadrà. Non puoi farci niente, Emrys.”
E poi, anche Arthur parlò dietro di lui.
“Prendetelo.” Disse.

“Arthur.” Aveva detto Merlin, ma era inutile e lo sapeva più che bene.
Era rimasto immobile mentre lo legavano, immobile mentre gli bloccavano le braccia dietro la schiena, ancora immobile quando aveva riconosciuto il terrore puro con cui si avvicinava a lui Eire, con cui aveva scherzato ogni volta che l’altro aveva il turno di guardia e lui tornava dalle stanze di Arthur.
“Eire.” Aveva chiamato piano.
Eire aveva chiuso gli occhi, come se Merlin potesse entrargli nella testa e già lo stesse facendo.
“Lascialo stare!” Aveva urlato l’altra guardia, e Merlin si era ricordato che l’altro ieri gli aveva portato delle erbe per favorire il sonno alla sua bambina nata da poco. Non che importasse.
Gli avevano fatto male ai polsi, ma Merlin non aveva detto niente perché non aveva più niente da dire, e anche perché aveva paura che gli facessero ancora più male. Aveva chiamato Arthur ancora, mentre lo trascinavano dentro, ma solo le due volte in cui era caduto a terra e non riusciva a rialzarsi.
Aveva pensato ‘Come farò a farlo sapere alla mamma?’ e il pensiero aveva minacciato di farlo cadere una terza volta mentre veniva trascinato per dei corridoi estranei, che però sapeva, era sicuro, di avere già percorso più di una volta. Solo che ora non li ricordava.

Non doveva andare così, fu la prima cosa che Merlin pensò quando si svegliò, un’ora o un giorno dopo che lo avevano catturato. La seconda fu ‘Arthur.’
E la terza, ovviamente, fu ‘Scappa’. Ogni vena, ogni muscolo e ogni osso gli urlava di scappare.
Aprì gli occhi sui soffitti a volta dei sotterranei di Camelot, e si accorse che era in una cella che non aveva neppure mai visto, più buia di ogni altra, ma per tre lati chiusa solo da sbarre di ferro. La luce entrava da una finestrella in alto che riusciva a far sembrare viziata anche la poca aria che entrava. Si vedeva appena un cielo rosato, doveva essere l’alba. Una torcia doveva essere accesa nel corridoio fuori dalla sua cella ma non riusciva a vederla.
‘Scappa.’
Era tutto troppo buio. Poteva liquefare le sbarre. Poteva farle scomparire. Poteva far saltare l’intero castello.
Ti hanno catturato, cantò qualcosa dentro di lui, piegando la sua magia e la sua mente, l’hanno fatto. Oh sì, hanno osato farlo. Non importa quello che hai fatto per loro. Non è mai importato. Ti hanno preso. Preso. Preso. Preso. Preso.
‘Scappa.’
Hanno vinto, non è così? La tua magia, la tua immensa magia. Fallo, Emrys, cantò la sua magia con la voce terrorizzata e decisa del bambino druido, fallo.
‘Scappa.’
“Merlin.”
Merlin sbatté gli occhi nel buio, mentre la magia si ritirava sussurrando, e ci mise qualche istante a riconoscere la voce cavernosa del Drago.
“Non farlo, Merlin.”
La testa di Merlin reagì alla voce estranea con un dolore sordo, lancinante. Doveva aver battuto da qualche parte mentre lo trascinavano lì, e gli sembrò che la voce rimbalzasse tra le sue tempie, lasciando scie di dolore. Strinse i denti e lo supplicò di smettere. Avrebbe voluto chiedere delle strane parole che aveva detto la voce di donna dentro la Spada, ma improvvisamente tutto sembrava così poco importante e così lontano.
“La spada ha parlato, Merlin.” Disse il Drago più dolcemente, senza riuscire a fare meno male nella sua testa “L’innamorato colpevole morirà. Non tu. Non ora.”
A Merlin davvero, davvero non importava.
‘Scappa.’
“Ascoltami, Merlin. Non è così che il Fato ha deciso. Non è così che morirai.”
Ma è così che sta accadendo, avrebbe risposto Merlin se non trovasse tutto inutile, se non sentisse di essere troppo stanco anche solo per cominciare a pensare. Il Fato ha sbagliato i calcoli. Non che facesse ridere, perché il Fato gli aveva promesso una casa e gente che gli voleva bene, e Arthur accanto per tutta la vita.
“Se fuggirai, non sarai mai più accolto tra queste mura, e qui invece devi vivere, Merlin. Mostragli che non hanno ragione di temerti. Guadagnati la loro fiducia.”
Era strano perché Merlin pensava di essere già oltre. Di essersi meritato ben più della fiducia. Ma no, fu costretto a fermarsi, perché così si stava facendo male e gli faceva ancora male dappertutto.
“Il giovane Pendragon è legato a te dal filo del Destino. Non abbandonarlo, Merlin. Non lasciare che la sua paura per ciò che non conosce lo privi del suo più grande alleato, e con lui, del suo Destino.”
Merlin smise di ascoltare.

Aveva un dito rotto in una mano, un rigonfiamento dietro l’orecchio destro e un taglio sulla mascella. Chi gli aveva tenuto le gambe doveva essere stato più accorto, perché sotto la cintura non aveva niente che facesse male. Provò piano a muovere le dita dei piedi, poi le caviglie, e si accorse che quella di destra era appena un po’ dolorante. I ginocchi stavano bene, e così tutto il resto.
Poteva ritenersi fortunato, aveva visto come spesso arrivavano davanti al boia gli accusati di praticare la magia. Avevano diritto ad un processo? Non se lo era mai chiesto.
E adesso, scoprì stancamente, non gli importava più. Voleva solo vedere Arthur.

Non dovette aspettare molto. Si svegliò un indeterminato lasso di tempo dopo, e si accorse anche prima di aprire gli occhi che qualcosa era cambiato. Arthur lo guardava, in piedi a qualche passo dalle sbarre. Aveva acceso un’altra torcia, e ora la luce brillava ondeggiando sulla sua giacca rossa, sui suoi capelli biondi e sugli occhi, che Merlin non ricordava così scuri.
“Ho mandato a dire a tua madre che sei partito per un lungo viaggio.”
Merlin inghiottì. “Grazie.” Rispose, ma aveva la voce roca. Non ricordava da quanto non beveva un goccio d’acqua. “Da quant’è che non bevo?”
Arthur non rispose alla domanda. “Sei accusato di praticare la magia dentro i confini di Camelot.” Questa volta Merlin tenne la bocca chiusa con una sorta di disperazione, e la sua magia ebbe un sussulto.
Rimasero in silenzio qualche minuto, poi Merlin fece uno scatto per avvicinarsi alle sbarre, e Arthur arretrò di un passo altrettanto velocemente. Rimasero a guardarsi, immobili, e Merlin sapeva che stavano entrambi cercando di capire perché Arthur sarebbe dovuto scappare all’avvicinarsi di Merlin. Sperò di non essere l’unico a cui il cuore avesse cominciato a battere cupamente nelle orecchie.
“Potresti scappare.” Disse Arthur.
“Devo farlo?” Chiese Merlin, e dentro di lui il bambino druido parlò con la voce di Arthur e ‘Sì, Merlin,’ disse ‘è l’unico modo per metterti in salvo ’. Ma Merlin sapeva, e lo sapeva dall’inizio, che non gli avrebbe mai dato ascolto, perché lui non aveva mai fatto niente per lui, mentre Arthur, Arthur era abituato a salvargli la vita, e Merlin si fidava di lui.
“Potresti farlo.” Ripeté Arthur. Merlin rimase un secondo interdetto. Non gli capitava spesso di non capire cosa l’altro intendesse, ma sembrava che questa giornata non risparmiasse nessun tipo di brutte sorprese. “Se tu volessi, potresti liberarti, non è vero?”
Merlin annuì subito.
“Mi credevi così stupido?”
La verità era che sì, lo aveva creduto stupido tanto da non accorgersi di niente, ma non solo. Lo aveva creduto incapace di affrontare una semplice spada, e ci si era giocato la vita.
“Così incredibilmente stupido da non capire, da non vedere - bravo. Davvero, bravo. Da quant’è che sei a Camelot? Nove, dieci mesi? Il più bravo, di sicuro. Mi rifacevi anche il letto.” Arthur rise in un modo triste, poi fece per voltarsi e andare via.
“Devo scappare?” Chiese Merlin, e si maledì per il tremito che lo aveva tradito all’ultimo. Arthur non lo avrebbe apprezzato.
“No.” Disse Arthur senza guardarlo, la voce più dura che mai “No. Per quanto mi riguarda, devi marcire qui dentro finché mio padre non deciderà cosa fare di te.”
Merlin non disse ‘L’ho fatto per te ’, che era tutto quello che in realtà poteva offrire, tutto quello in cui credeva. Gli si impigliò in gola.

Merlin si addormentò sulle pietre, cercando di non appoggiare né il dito rotto né la parte destra della mascella. Dormì poco, con sogni agitati e confusi che non riuscì a ricordare. Non si impegnò nemmeno troppo.
Quando si svegliò era sera, la luce stava lentamente cambiando nel riquadro che riusciva ad entrare nella cella. Davanti a lui, coperta da un mantello che le nascondeva le forme e le ricadeva morbidamente oltre l’attaccatura dei capelli, Gwen apparve come un angelo. Un angelo che portava luce e due occhi immensi e terrorizzati.
“Gwen.” Riuscì a mormorare Merlin, la voce che grattava nell’uscire.
“Oh,” Disse Gwen, come se fosse rimasta per molto tempo a guardarlo dormire, e ora lui l’avesse sorpresa svegliandosi. “Oh, Merlin.” Ci mise tanta di quella tristezza, di quell’indecisione impaurita e confusa, tanta di quella pena e compassione nel dire il suo nome, che Merlin si ritirò in un angolo della sua cella e scoppiò a piangere, la testa tra le gambe.
Pianse a singhiozzi e lacrime pesanti come piangevano solo i bambini, rumorosamente, senza riuscire a smettere, senza possibile consolazione, e Gwen rimase a guardarlo, allungando la mano a toccare le sbarre.
Quando riuscì a ritrovare un po’ di respiro, Gwen gli porse attraverso le sbarre una borraccia piena d’acqua e Merlin la bevve in due sorsi, senza far caso a quella che cadeva sul colletto e sul fazzoletto che aveva ancora legato al collo.
“Posso… puoi lasciarmela?” La voce gli uscì ancora un po’ senza fiato, scossa.
Gwen annuì “Basta che la nascondi quando arriva qualcuno.”
La torcia che Gwen portava si indebolì e poi tornò a splendere più forte. Merlin si asciugò le lacrime e l’acqua che gli era caduta addosso con la manica, e lui e Gwen si fissarono, increduli e distrutti.
“Il Re ha deciso di non condannarti a morte.”
Merlin non ne fu né deluso né felice. Si sentiva intorpidito, invece, come addormentato. Sentiva di essere entrato sott’acqua da quando lo avevano preso, e aspettava ancora di risalire in superficie per ricominciare a respirare.
“Gaius è stato rimproverato per non essersi accorto di niente, tutto qui, ma è strettamente sorvegliato e gli è proibito venire quaggiù. E Morgana ha avuto un… crollo.” Da come Gwen lo disse, probabilmente era stato molto più doloroso sia per lei sia per Morgana. “Voleva venire a trovarti, ma deve trovare il momento giusto.”
Merlin annuì.
“Sei - ” Gwen inghiottì, fissando il dito di Merlin. “Sei ferito?”
“No. Solo - solo questo. Credo sia rotto.”
Gwen si sporse, avvicinandosi ancora di più alle sbarre, e poi abbassò la voce, come se temesse che qualcuno potesse sentirli “Ma puoi guarirti, non è vero? Puoi farlo.” Sussurrò.
Merlin rimase qualche secondo in silenzio, indeciso se rassicurarla o mentire ancora. “Sì.” Mormorò, infine. “Devo solo scoprire come farlo.”
Gwen si morse il labbro inferiore e guardò dietro di lei un paio di volte “Devo andare. Ma tornerò. D’accordo? Lo giuro, Merlin. Aspettami.” Sorrise e si portò via la luce.
Merlin non trovò la forza di dirle che non avrebbe mai aspettato lei.

La vita che Merlin conosceva e apprezzava, e a modo suo amava, si era disgregata sotto i suoi occhi. Era andata distrutta, caduta in mille pezzi, e qualcuno dei pezzi si era perso, così non avrebbe mai più potuto metterla apposto. Merlin questo lo capiva.
Non aveva la forza di pensare davvero a tutto ciò che aveva perso, quindi per quelle prime confuse ore fece semplicemente finta di niente. Non funzionò particolarmente bene, e continuarono a comparirgli davanti momenti ed espressioni sul viso di quelli che amava che probabilmente non avrebbe mai più visto. In quei momenti ricominciava a sentire la voce del bambino druido dentro di lui, ed era costretto a scuotere forte la testa per mandarla via.
Il fatto era che non voleva nemmeno pensare di andarsene. Non riusciva a rinunciare alla speranza, minuscola e nascosta, che le cose tornassero come erano prima.
“Quando dormi ti lamenti. Mi stai tenendo sveglio da venti ore.”
Merlin sobbalzò alla voce improvvisa, e si alzò goffamente in piedi, assumendo una ridicola posizione di attacco. Era nella sua testa? Stava diventando pazzo al punto di non sapere più distinguere cosa era reale e cosa no?
La voce rise. “Non ti vedo nemmeno io. Quando è buio non si riesce a vedere niente, non è vero?”
“Chi sei?” Chiese Merlin, e per la prima volta da quando era lì la voce gli uscì decisa. O qualcosa di simile.
“E tu? Ho sentito che il Re non ti condannerà a morte. E’ una buona notizia.”
Era la voce di un uomo con forse qualche anno in più di Merlin, aveva ancora una certa limpidezza nel parlare. L’accento era molto simile a quello di Arthur, doveva essere cresciuto a corte.
“Perché sei qui?”
“E tu? Anche se Sua Altezza non è stato particolarmente sottile.” La voce si addolcì, abbassandosi appena “Sei qui da due giorni appena, se te lo stessi chiedendo. All’inizio si perde il senso del tempo.”
“Grazie.” Mormorò Merlin.
“Così, sai… fare cose. Magia. Non un’attività da praticare a cuor leggero, a Camelot. Sei piuttosto fortunato, prima di te ci sono stati altri tre.” L’uomo sembrò teso per la prima volta. “Non sono durati molto.”
“Anche tu... ?”
“No. No, assolutamente. Io… è una storia lunga.”
La voce arrivava dal lato destro della cella. Probabilmente oltre le sbarre c’era un’altra cella, e l’uomo doveva trovarsi qualche passo indietro, verso il muro. Merlin fece un passo avanti, cercando di vedere qualcosa, ma il buio era troppo fitto, e lui troppo stanco, così lasciò perdere. Si lasciò cadere contro il muro.
“Prima o poi te la racconterò.” Disse ancora la voce, e poi ci fu silenzio.

Arthur tornò il giorno seguente. Merlin si era svegliato quella mattina con la speranza (era così strano parlare ancora di speranza) che il tempo fosse bello e la luce che filtrava dalla finestrella abbastanza clemente da permettergli di vedere l’uomo della cella accanto. Invece verso l’alba le nuvole si erano pressate sopra Camelot, rendendo il giorno molto simile alla notte che lo aveva preceduto. Non si era nemmeno sorpreso. Aveva preso il tempo per quello che era: un'altra mossa in un gioco che sapeva di aver perso ormai da molto tempo.
Arthur arrivò, come la volta seguente, appena la cella cominciò a farsi ancora più scura, alle prime ore della sera.
Camminò rigidamente e si fermò vicino alla cella. Questa volta con lui c’era una guardia, che provvide immediatamente a fermare una torcia alla parete, illuminandogli il viso. Aveva ancora la mascella serrata e lo sguardo scuro e sembrava assomigliare di più ad Uther ogni istante che passava.
“La prima volta che ci siamo battuti.” Cominciò “Hai usato - ti sei servito - è per quello che non sono riuscito a colpirti.”
Merlin annuì, strisciando piano verso un lato della cella. Si sentiva stanco, aveva provato tutta la notte a guarirsi il dito.
“Non eri speciale. Non avevi niente di speciale. Stavi solo barando.”
Merlin si accontentò di guardarlo quando ormai già se ne stava andando. Non sembrava stare bene, aveva il capo chino e le spalle abbandonate, rassegnate. Forse si aspettava delle scuse, pensò Merlin.

Merlin si sarebbe scusato, se avesse trovato le parole. Perché voleva scusarsi per le cose giuste. Avrebbe chiesto perdono dieci, cento volte per aver barato quella prima volta e per aver barato ancora, tutti quei mesi senza neppure una parola.
Ma non si voleva scusare per essere stato lì quando c’era bisogno di lui, non poteva.
“Lo conoscevi bene, non è vero?”
La guardia se n’era andata con Arthur, ma aveva lasciato la torcia.
Merlin si girò in fretta. Contro il muro, nell’unica cella confinante con quella di Merlin (l’unica che riuscisse a vedere) un ragazzo sedeva con le braccia appoggiate sopra le ginocchia alzate, e lo guardava.
“Sembri così piccolo. Quanti anni hai?”
Merlin sbatté gli occhi. “Io?”
Il ragazzo rise. Aveva un sorriso gentile, anche se il viso era consumato e pallido, coperto dai capelli troppo lunghi, dello stesso colore castano di quelli di Will. Una fitta di nostalgia inaspettata colpì Merlin, costringendolo a distogliere lo sguardo e chiudere per un secondo gli occhi.
“Ti chiami Merlin, non è vero? Non devi essere a Camelot da molto, non ricordo di averti mai visto, e per le facce in genere ho buona memoria. Quanti anni hai, Merlin?”
“Venti.”
“Mh.” Con un movimento poco fluido, che tradiva però quella che un tempo doveva esser stata la scioltezza di chi è abituato a combattere, il ragazzo si tirò in piedi. Era più alto di Arthur, forse alto come Uther, ma aveva le spalle un po’ più strette. Fece tre passi verso Merlin e lo osservò inclinando il capo. “Cosa ti hanno fatto, Merlin?” Chiese, mostrando per la prima volta una compassione vibrante, intensa. “Sembri così piccolo. Così triste.”
Merlin si sdraiò in terra, voltandosi dall’altra parte, e fece finta di dormire finché la torcia non si fu consumata e tutto tornò buio.

Quella notte Merlin riuscì finalmente a curarsi da solo. Scoprì che era facile: la sua magia non voleva altro che curarlo e bastava che lui la assecondasse. Certo, così anche la voce del bambino diventava più forte, ma almeno ora aveva smesso di parlargli di morte e distruzione per tutta Camelot. C’era solo quel ritornello infinito che continuava (scappa, scappa, scappa, scappascappascappascappa) ma Merlin era sempre più bravo ad ignorarlo. Anche il Drago provò a parlargli di nuovo, ma Merlin si rigirò sulla pietra e il Drago smise di chiamarlo.
Il ragazzo fu silenzioso per tutta la notte, sembrava che non ci fosse più. Merlin passò un tempo infinito con gli occhi spalancati e le orecchie pronte a cogliere qualsiasi rumore, certo che la sua mente stanca si fosse inventata tutto. Poi il ragazzo tossì e Merlin riuscì a prendere sonno.
Quando si svegliò di nuovo, il tempo non era cambiato di molto. Lo svegliò un ticchettio impietoso e per tutta la giornata Merlin poté contare tutte le gocce d’acqua che colpivano la finestrella, ma non riuscì a vedere il ragazzo.
Sentì però, verso la metà della giornata, qualcuno agitarsi alla sua destra e si accorse che stupidamente il pensiero di non essere solo lo rinfrancava.

Arthur tornò ancora quella sera dopo che la pioggia era finita. Aveva gli stivali sporchi di fango e la casacca scura, quindi Merlin intuì che era appena tornato dalla caccia.
Il profumo del bosco dopo la pioggia lo invase all’improvviso, Merlin chiuse gli occhi e per un istante avrebbe dato tutto quello che aveva per una corsa sull’erba bagnata, a piedi nudi, con spazi immensi ovunque guardasse e il vento che gli sferzava il viso, gli entrava nella camicia…
“Sei stato a caccia.” Mormorò.
Quando riaprì gli occhi, capì subito che Arthur era furioso, che lo era in un modo così totale che tutto ciò che sarebbe seguito sarebbe stato orribile e doloroso, e che lui non avrebbe potuto evitarlo.
“MI. CREDEVI. COSI’. STUPIDO?” Urlò Arthur, e le parole rimbombarono intorno a Merlin un paio di volte. “Guardami! Guardami quando ti parlo!”
Merlin guardò, ma era stanco e ferito, e non aveva più la forza di farsi odiare. Quando alzò lo sguardo, vide la casacca che lui stesso aveva rattoppato un paio di volte, vide le spalle che lo avevano sorretto quando stava male, il braccio che gli si era stretto intorno, la bocca così decisa che aveva riso con lui e gli occhi blu che aveva sognato, qualche notte, e qualche altra si erano chiusi sotto di lui. Nella sua mente, l’immagine di Arthur si ricompose e tornò ad essere quello che era sempre stato. Gli era mancato.
“Quante volte - Come hai osato!”
Merlin avrebbe voluto dire qualcosa, ma non era ancora pronto, e adesso cominciava a chiedersi se mai lo sarebbe stato. Forse era destino che finisse così. Merlin era così deluso dal Destino.

“Ti ho visto una delle prime notti. C’era una luce azzurra, come una lucciola, e un vento leggero… Il vento qui sotto è molto diverso, te ne accorgerai. Entra dal muro - la parte superiore da sull’esterno, dietro non c’è niente - e ti fa battere i denti come se fossi in montagna.”
Con solo la luce della luna, il ragazzo non era che un’ombra appena più fitta delle altre, e Merlin era spossato dall’ultimo incontro con Arthur e non aveva alcuna voglia di parlare. Rimase in silenzio, sperando che il ragazzo capisse e lo lasciasse in pace.
“Quella luce… era più un chiarore… era magia, non è vero? Stavi usando la magia.”
Merlin si abbracciò le ginocchia. Era ovvio che l’altro se ne fosse accorto. Chissà che paura doveva aver avuto, solo nel buio con un mago a qualche passo intento a tramare nella notte. Lo doveva aver spaventato a morte. “Mi dispiace.” Mormorò con un filo di voce. Era probabilmente inutile che si mettesse a spiegare che non avrebbe mai fatto male a nessuno, l’altro non gli avrebbe mai creduto.
Ma quando il ragazzo parlò, la sua voce non era impaurita, né guardinga. “Era così chiara… non avevo mai visto niente del genere. Così brillante. A cosa ti serviva? Stai cercando di scappare?”
Merlin sbatté gli occhi un paio di volte nell’oscurità. “No.” Disse.
“Giusto. Perché se volessi, probabilmente ci riusciresti. Non è difficile capirlo.”
Merlin rimase in silenzio, senza sapere bene cosa dire. L’altro voleva che dicesse di sì? Era una trappola? Voleva… voleva chiamare le guardie? Arthur? O voleva che lo aiutasse a scappare?
Visto che fino a quel momento era stato così gentile con lui, Merlin sentì di dover mettere le cose in chiaro, per non creargli false speranze che avrebbero fatto più male che altro. “Mi dispiace.” Disse ancora. “Non posso aiutarti a scappare. Io non ho intenzione di farlo.”
Il ragazzo rise, ma fu una delle risate più tristi che Merlin avesse mai sentito. “Oh, non ti preoccupare. Nemmeno io ho intenzione di scappare. Sono qui per un motivo, sai?”
“Anche io.” Mormorò Merlin.
“Lo so, Merlin.”
Rimasero in un silenzio né teso né davvero rilassato, con la luce della luna che bastava a malapena per illuminare un piccolo quadrato sul pavimento della cella di Merlin.
“Posso chiederti una cosa?”
Merlin annuì, poi si accorse che l’altro non poteva vederlo, e disse di sì.
“Stasera mi sento un po’ triste. Non potresti… fare un po’ di luce? Solo per qualche istante.”
Che male poteva fare? Merlin richiamò alla mente l’aspetto della sua bella magia l’ultima volta che l’aveva usata fuori. Come brillava lungo la spada, così pura. “Che colore vuoi?” Sussurrò al buio.
Il ragazzo non ci mise nemmeno un istante a rispondere. “Blu. Blu come degli occhi che ti guardano. Gli occhi più belli del mondo.”
Merlin chiuse un secondo gli occhi, e l’istante dopo una luce brillava, blu come gli occhi di Arthur.

Merlin riuscì a trovare l’angolo della cella più riparato dal vento che cominciava ad entrare sibilando attraverso le pietre e a trovare un incantesimo che tenesse gli insetti lontani dalle sue due coperte, quindi la parte del giorno in cui dormiva sarebbe riuscita a diventare anche tollerabile, se non fosse stato per i sogni.
Certe volte sognava di fuori. Erano passate solo due settimane, eppure sembrava che si fosse scordato com’era davvero fuori. Il vento riusciva davvero a smuovere così le foglie, a farle volare così in alto? Gli alberi erano davvero così grandi, la loro ombra così fresca? I colori gli davano più problemi di ogni altra cosa. Qualunque cosa cercasse di immaginare i colori erano sempre falsati: o troppo brillanti, come un quadro ad olio, o spenti come se guardasse tutto attraverso un vetro sporco.
Si svegliava sempre frustrato e scopriva di essere in posizioni scomode e contorte, e di aver gridato, perché l’altro ragazzo era sveglio anche se non diceva niente.
Certe volte nel sonno la sua magia gli parlava, con i toni sibilanti e sinuosi di Nimue o con quelli spezzati e decisi del bambino.
Una volta il bambino gli apparve in sogno, lo prese per mano e gli sussurrò cose meravigliose all’orecchio, cose potenti e bellissime, che splendevano come mille fuochi e sarebbero state sue, se solo avesse teso la mano. Il mondo del bambino era un mondo vivo, antico e nuovo come se l’avesse creato Merlin stesso, e lui aveva occhi saggi quando spiegava il tempo e le sue necessità.
Dopo quella volta, Merlin smise di cercare semplicemente di sfuggire alla sua magia che gli urlava ancora di scappare, e cercò invece di calmarla, di farle comprendere il perché lui era quello che era, e cioè una creatura di Arthur. Le voci si attenuarono e così il panico che le accompagnava.
E altre volte Arthur nel sonno gli diceva che sarebbe andato tutto bene, che Merlin non meritava niente di quello che gli stava succedendo, che tutto questo non era che un enorme sbaglio a cui lui avrebbe rimediato. “Per te, Merlin.” Gli mormorava “Solo per te. Perché non sono niente senza di te.”

“Mi hai tradito.” Disse a bassa voce Arthur.
Merlin non chiedeva perché continuasse a venirlo a trovare quando era evidente che non avrebbe ottenuto nulla, e non perché Merlin non fosse disposto a donargli qualunque cosa volesse. Il problema era proprio nel capire cosa Arthur volesse. Ma Merlin non lo chiedeva, perché aveva troppa paura che l’altro smettesse di venire.
“E’ quello che hai fatto dal primo giorno che ti ho visto. Ogni giorno. Mi hai guardato in faccia, e mi hai tradito.”

Quella notte, il ragazzo parlò appena Arthur lasciò i sotterranei. I suoi passi risuonavano ancora, e Merlin avrebbe voluto qualche secondo per ascoltarli in silenzio.
“Non è facile quando ti accusano di aver tradito. Non quando tutto quello che avresti mai voluto è essere fedele, fino alla fine. E invece poi le cose… accadono.”
“Non l’ho tradito.” Disse Merlin con forza. “Non l’ho fatto.”
Il ragazzo si avvicinò alle sbarre che li separavano, fino ad essere a solo un passo da Merlin, gettato in un angolo con le ginocchia strette al petto. “Sembra che lui la pensi così.” Mormorò gentilmente.
“Non può capire.”
“Non è che tu ti sia impegnato più di tanto a spiegargli.”
“Lo so.” Merlin rilasciò un respiro tremante e infinitamente stanco. “Lo so. “
“Capirà.”
Merlin aprì lentamente gli occhi e si accorse che il ragazzo si era seduto anche lui, ma sempre attaccato alle sbarre, il più vicino possibile. Senza senso apparente, Merlin si ritrovò ad allungare una mano fino a sfiorare la manica della sua camicia attraverso le sbarre.
Il ragazzo alzò lo sguardo, sorpreso, e poi accennò un sorriso e gli prese la mano come per stringergliela.
“Ciao, Merlin.”
“Ciao.” Ripeté Merlin stupidamente.
“Piacere di conoscerti.”
“Perché sei qui?”
Il ragazzo si prese qualche secondo per riflettere senza lasciare la mano di Merlin, che si stava piano piano scaldando, e annuì, nonostante lo sguardo gli si fosse scurito, per quello che poteva vedere Merlin. “Ho tradito una persona.” Disse, con più forza di quanto fosse necessario.
Merlin gli strinse la mano più forte.
“E lo rifarei. Altre cento, mille volte.” Era tornato a parlare con la sua voce piana, malinconica e dolce. “C’è una ragazza in un regno ad Ovest, oltre il mare, che ha dei grandissimi occhi blu. Mi dispiace dirtelo, Merlin, ma la tua magia non riuscirà mai nemmeno a sfiorare quel blu.” Sorrise, anche se aveva lo sguardo puntato oltre la testa di Merlin.
Merlin si avvicinò ancora per ascoltare meglio.
“Sono grandi e così tristi, perché vedi, non è felice. Non è mai stata molto felice, anche se meriterebbe di esserlo più di chiunque altro al mondo, tranne per una sola settimana su una nave che salpava dall’Irlanda. Lì era felice, e avresti dovuto vederla, in piedi a guardare il mare, con il vestito bianco bagnato, le gambe nude, oh, era davvero una visione.” Il ragazzo smise di parlare.
“Che è successo poi?”
Il ragazzo scosse la testa, poi forzò un sorriso. “Aveva qualcuno che la aspettava. La nave ha attraccato al porto, questo è successo.”
“E lei non voleva?”
“Non è questione di cosa uno voglia, non è vero? Non è mai stato importante cosa la ragazza volesse.”
“Come aveva i capelli?” Chiese ancora Merlin, ma questa volta lo fece solo perché sembrava una cosa innocua da chiedere, e voleva che l’altro parlasse ancora.
Nel buio di quella cella vuota, Merlin riusciva per la prima volta ad immaginare i colori giusti di un mare sterminato, che aveva visto una volta sola, quando Arthur lo aveva portato lungo la costa.
Arthur aveva riso alla sua eccitazione e il sole era stato così forte che Merlin aveva dovuto socchiudere gli occhi. Ora gli sembrava che se quella volta, sulla spiaggia, fosse riuscito ad aprire gli occhi abbastanza, avrebbe visto una barca e una ragazza in piedi sul ponte che rideva con la testa indietro come aveva fatto Arthur.
“Tutti hanno sempre detto d’oro, ma non è vero. Hai mai visto dell’oro? Non è quello il colore dei suoi capelli. Sono più chiari, come il sole sulle neve, e allo stesso tempo più caldi, come miele nuovo. Glieli legavano sempre, ma quella volta, sulla barca, lei…”
“Lei?”
Il ragazzo scosse la testa, districando con delicatezza la mano dalla presa di Merlin. “Mi dispiace, Merlin. Ci sono cose che non si possono raccontare, e questa è comunque una storia triste. La ragazza non sarà più molto felice, dopo che scenderà da quella barca.”
Merlin annuì.
“Buonanotte, Merlin.”

Quando Arthur tornò di nuovo, la rabbia sembrava aver lasciato il posto ad una tristezza più pacata, ma infinitamente più pericolosa per Merlin, che non voleva nemmeno pensare al momento in cui l’altro si sarebbe stancato e non fosse più tornato.
Improvvisamente, Arthur sembrava l’esatta copia di suo padre. Una sorta di tristezza ferita negli occhi, tenuta faticosamente a bada dalla sua stessa collera fredda, e i movimenti decisi, secchi. Merlin lo scrutò con disperazione, cercando di vedere tutto quello che aveva imparato a riconoscere negli ultimi mesi.
“Non era il tuo amico. Eri tu. Sei sempre stato tu.”
Merlin sapeva che prima o poi sarebbero arrivati a Will, ma non riuscì comunque a non rimanerne sorpreso. Arthur lo aveva visto piangere per la sua morte, lo aveva svegliato dai suoi incubi la notte del ritorno, aveva sperato che non lo avrebbe tirato fuori.
“Sei riuscito a mentire con il corpo del tuo amico che bruciava.” Continuò Arthur, e sembrava sinceramente disgustato.
Merlin sentì che il pane mangiato a metà giornata gli stava tornando su. Cosa ne era stato di ‘Mi dispiace, Merlin’? Di ‘E’ un onore averti vicino’? Di ‘Non aver paura, non permetterò che nessuno ti tocchi.”?
Cosa ne era stato di ‘Non piangere, non è stata in nessun modo colpa tua.”?
“No.” Mormorò.
Arthur sembrò stupirsi di aver avuto risposta, ma non abbandonò la presa. Accennò ad un sorriso sarcastico. “ ‘No’, Merlin? No cosa, esattamente? No, non ti ho mentito? No, non ho lasciato che il mio migliore amico si prendesse la colpa per qualcosa che io ho fatto? No - ”
“Arthur…”
“Non - chiamarmi - Arthur!” Gli occhi di Arthur dardeggiarono “No, non sono un codardo? E’ questo che intendevi? Ho visto che sai parlare, rispondimi, Merlin! Rispondimi!”
Merlin scosse la testa e fu costretto ad appoggiarsi alla parete perché sentiva delle fitte allo stomaco, e la testa gli girava. La voce del bambino era tornata a farsi sentire.
“No, non ti ho tradito dalla prima volta che ti ho visto?”
“Non… non ti ho tradito.”
Anche respirare era diventato difficile. Merlin chiuse un secondo gli occhi, e il bambino gli sorrise dalle sue palpebre chiuse. Merlin non lo ricordava così bello.
La voce di Arthur lo costrinse a riaprire gli occhi. Non ricordava che potesse suonare così crudele. “Sei un codardo.”
“No, io…”
“Un codardo e un traditore. E non c’è niente, niente che mi faccia più schifo.”
La testa gli martellava, Merlin avrebbe voluto spiegare, non voleva che Arthur pensasse… ma tutto faceva così male, e c’era ancora quella voce che parlava… “Basta, Arthur, basta.”
“Basta? Oh, non ho nemmeno iniziato. Mi fidavo di te.”
“Ho detto…”
“Eri mio amico. Eri…”
“HO DETTO BASTA!” Merlin non si accorse di aver urlato finché non si ritrovò in piedi, senza fiato, l’aria che gli vorticava attorno come se fosse nel mezzo di un ciclone, la sua magia che splendeva nella penombra, forte e pericolosa come mai l’aveva sentita.
“Non. Ti. Ho. Tradito.”
Arthur lo guardava immobile, gli occhi spalancati, ma senza fare neppure un passo indietro.
“Non hai capito, non è vero?” Urlò Merlin, sentendo che basta, adesso basta, non meritava tutto questo. “Non hai capito niente!”
I capelli gli solleticavano la nuca, come mossi dal vento, e brividi freddi gli attraversavano la schiena e gli percorrevano le braccia, gli formicolavano sulle mani. Era potente. Era bello.
Una mano di Arthur si era fermata sull’elsa della sua spada. A Merlin venne da ridere. Cosa pensava di fare? Come credeva che una spada potesse spaventarlo? Non sentiva? Non sentiva l’aria, la terra, la sua magia che tremava?
“L’ho fatto per te! Per te, Arthur! Ogni volta. Ogni volta, solo per te.” Urlò ancora, e rise, perché non era come doveva andare e tutto quello che lui poteva offrire era lì, tra loro due, la sua magia che sarebbe dovuta diventare spada e scudo del potere di Arthur.
Arthur lo guardava, ancora immobile, affascinato.
La mano di Merlin si mosse nell’aria e Arthur rabbrividì come se avesse davvero sentito una carezza fredda sulla pelle.
“Solo per te.” Sussurrò Merlin. Sentiva sulla mano la guancia ruvida di Arthur anche se non poteva davvero toccarlo, la pelle calda, la sua magia che si attorcigliava intorno all’altro, ed era inebriato, esaltato.
I capelli di Arthur si mossero accarezzati da mani invisibili e lui sussultò. Aveva la bocca appena aperta e qualcosa la accarezzò, languida, lasciando una scia umida, scivolando più giù.
Le sue labbra si schiusero in un mezzo respiro che Merlin pensava non avrebbe mai più rivisto.
Merlin sorrise all’annaspare di Arthur “La vuoi?”
Alzò anche l’altra mano e chiuse un istante gli occhi, perché improvvisamente era troppo e lui stava bene. Sentiva Arthur, tutto intorno a lui, sentiva com’era caldo e vivo e la sua mente non era mai stata così libera e potente, era la sensazione migliore che avesse mai provato.
Brividi caldi adesso gli circondavano le spalle e le gambe mentre spingeva e accarezzava e toccava con il suo potere tutto ciò a cui arrivava. La sensazione familiare del corpo di Arthur, nudo e caldo, lo circondava.
Quando riaprì gli occhi, Arthur lo stava guardando, stravolto, ancora immobile a qualche passo di distanza. Tremava.
“Guarda.” Disse Merlin, e si accorse che anche la sua voce tremava.
Buttò la testa indietro e alzò le mani, liberando tutto il suo potere, tutta la sua bellissima forza che si spanse come onde blu tutto attorno, cantando, salendo fino al soffitto di pietra, brillando appena si avvicinava ad Arthur e soffiandogli intorno.
“La vuoi? E’ sempre stata tua.”
Arthur smise di fissarlo e per un lunghissimo attimo guardò la magia che si dispiegava ai suoi piedi e la desiderò, Merlin riuscì a vederlo, con tutto se stesso.
“E’ tua. Usala. Prendila.”
Poi l’istante passò.
Arthur rilasciò il respiro in tanti piccoli singhiozzi e Merlin rise ancora, tristemente. “Non può essere che così, non lo senti? Cosa vuoi? Basta chiedere. Ti è sempre e solo bastato chiedere.”
“Bugiardo.” Mormorò Arthur.
Merlin scosse piano la testa. “Non ora. E’ tua.”
“Bugiardo.”
Quando se ne andò, correndo, la magia di Merlin rimase ancora qualche istante nell’aria, spaesata, e poi sembrò montare come una furia, quasi come a seguirlo, come per riprenderselo, per obbligarlo...
Non merito questo!, sembrava gridare, non l’ho mai meritato!
Sono più di te, sono meglio di te, sono più forte e più potente e ti ho offerto ogni cosa, ogni cosa tu possa volere, il mondo il regno il potere la gloria la ricchezza, anche l’amore, Arthur, ogni cosa su un piatto d’argento, e a te comunque non è bastato!
Ti ho offerto me.
Sconvolto da una rabbia improvvisa e fulminante, tremante, Merlin strisciò nel suo solito angolo e si abbracciò le ginocchia. All’improvviso gli faceva freddo e sembrava che sarebbe rimasto buio per sempre. Si sentiva più solo che mai e aveva mostrato il meglio ma non era bastato. Non era bastato!
“Shh, Merlin. Shh.”
Merlin singhiozzò e sentì che le lacrime salate gli invadevano la gola e il naso, lo soffocavano, eppure non sarebbe mai riuscito a smettere.
Lo odiava. Odiava Arthur e la sua capacità di fargli così male, l’abilità di far sparire tutto il dolore dell’essere rinchiuso sottoterra lontano da tutti solo per sostituirlo con un nuovo dolore, più straziante e ferito di ogni altro mai provato. Odiava Arthur perché lo avrebbe perdonato subito e per tutto, e si sarebbe comprato la possibilità di farlo ad ogni prezzo, ma Arthur non voleva neppure concedergli un’ammissione di colpa.
Lo odiava perché c’era molto altro che avrebbe voluto dirgli, cose che non c’entravano niente con la sua magia. Mi dispiace. Ho paura. Mi manchi. Ti prego. Ti prego.
“Non importa.” Disse il ragazzo dietro le sbarre. Merlin lo sentì parlare con la voce di sua mamma, poi di Will, poi il sorriso leggero di Gwen, Gaius, e infine, infine anche Arthur. Gli dicevano tutti la stessa cosa. “Non importa. Sei stato bravo fino ad ora, non importa. Ora riposati, Merlin, non hai fatto niente di sbagliato.”
Merlin fece come gli era stato detto e si accucciò nell’angolo che le sbarre formavano con il muro esterno, in modo che l’altro potesse continuare ad accarezzarlo piano.
Stava andando tutto male, era questa la verità. Non sarebbe mai uscito di lì, e nessuno l’avrebbe mai perdonato, e lui non poteva farci niente e… trattenne il respiro, cercando di farlo uscire ordinatamente, in respiri precisi e non in singhiozzi. Doveva calmarsi. Avanti, Merlin. Avanti.
Strinse i denti e cercò di concentrarsi sulla pressione della mano sulla sua testa, sulle sue parole gentili, ma la paura lo attraversava ad ondate e lui non riusciva - era così stanco.
“Credevano tutti che li avessi traditi.” Disse il ragazzo “Tutti. Nessuno che riuscisse a capire che non avevo tradito loro, ma lei, e che non c’era modo di smettere, perché come potevo? L’ho amata sempre. Sempre. E quando sono stato scoperto, quando mi hanno portato via, sapevo che dovevo pagare e che era giusto, ma tutto quello a cui riuscivo a pensare era che l’avevo tradita: l’avevo lasciata ancora sola.”
Rivoleva Arthur indietro, ma ormai solo il pensiero di guardarlo ancora faceva male.
“Hanno detto che era stata la magia, e io ho detto di sì e ho anche mentito, ma avrei detto qualunque cosa perché lei rimanesse libera. Stupidi. Come se ci fosse bisogno di un filtro magico per amarla, quando è così bella, così infinitamente bella.”
Piano piano le parole riuscivano a farsi strada nella mente paralizzata dall’angoscia di Merlin, ma continuavano a parlare di dolore e perdita.
“Sono stato accusato di tradimento ed ero colpevole. Ho giurato di non averla mai toccata quando non mi sembra di aver fatto altro in tutta la mia vita.”
Il ragazzo si fermò un istante, ma la mano continuò ad accarezzare Merlin. Quando riprese sembrava più calmo, e anche Merlin riuscì a respirare meglio.
“Questa è una storia triste, te l’avevo detto. Mi dispiace, vorrei essere più d’aiuto, ma non riesco a parlare d’altro. Forse alla fine sono davvero diventato pazzo.”
“Raccontami di come l’hai conosciuta.” Mormorò Merlin. “Dovrebbe essere una storia felice.”
Il ragazzo rise “La più felice che conosco.”
Prese un respiro profondo, e poi cominciò a raccontare. Per un po’, nelle due celle si sentì solo la sua voce e Merlin riuscì a chiudere gli occhi e a vedere esattamente ciò che raccontava con tanto amore. “La prima cosa che ricordo di lei è la sua voce che mi dice di stare fermo. Ha un accento strano, parla la nostra lingua arrotondandola, come rigirandosi le parole in bocca. E’ cresciuta parlando le lingue d’Irlanda e ogni tanto si ferma ancora su qualche parola difficile. La seconda è il suo profumo di acqua salata. La terza non la ricordo, perché ho aperto gli occhi e lei era lì.”
“Era molto bella?”
“Hai mai visto donne molto belle?”
Merlin annuì.
“E’ facile dirti che lei è migliore di qualunque altra donna tu possa aver visto. Io ci credo, ma capisco che non ha molto senso messa così. Lei è… bellissima. Non so spiegarti meglio.”
“Come si chiama?”
“Ho promesso di non pronunciarlo più, insieme al mio nome. L’ho macchiato di tradimento, e finché non riuscirò a riabilitarlo lei non avrà nome, e io non sarò niente. E’ terribile di notte, quando l’unica cosa che vorrei è chiamarla. Ma è stata colpa mia.”
Non dissero più niente, non c’erano molte storie felici da raccontare laggiù, e la mancanza riempiva ogni spazio disponibile.

Alla seconda parte

mie storie, merlin

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