Titolo: Secret chord
Fandom: Sherlock Holmes
Pairing: Holmes/Watson
Rating: PG-13
Conteggio parole: 3751 (W)
Scritta per:
May Challenge @
holmes_ita (The Adventure of Charles Augustus Milverton)
Note: Più riscrittura che missing moment di CHAS. (Per carità, leggete il racconto originale prima.) Le parti originali sono tradotte da me, quindi non c'è un'edizione italiana di riferimento.
Riassunto: Lady Eva non è la sola vittima di Milverton.
Sono passati anni da quando l’incidente di cui parlo ha avuto luogo, e qualcuno di meno da quando ho preso la penna per tracciare un racconto che, pur con la massima discrezione e reticenza, ne ricordasse i fatti più importanti. Il racconto, così come ancora lo si legge, è profondamente insincero-tanto più insincero perché incompleto. E tuttavia è solo per una memoria privata che ho deciso di rimediare all’errore, anche oggi che nessuna legge umana avrebbe più il desiderio o il coraggio di alzare la mano contro il protagonista di quella vicenda.
A dispetto del gelo, quel pomeriggio del ‘99 Holmes ed io avevamo passato alcune ore piacevoli in giro per Londra, ed erano quasi le sei quando facemmo ritorno a Baker Street. Il biglietto da visita di Charles Augustus Milverton riposava sul tavolo, ed è con aria di profondo disgusto che Holmes mi spiegò chi fosse - giacché il nome non mi diceva nulla - e mi raccontò la storia della sfortunata Lady Eva Blackwell. Avevo notato un certo nervosismo in Holmes per tutto il giorno, ma avevo mancato di trarne alcuna deduzione. In quel momento niente avrebbe potuto prepararmi per la bufera che stava per venire, e perciò fu con mente stupidamente serena che mi disposi a fare la conoscenza dell’uomo più abietto di Londra.
Milverton mise piede nel nostro salotto a Baker Street come se si trovasse in visita di cortesia, guardandosi attorno con l’aria pacificamente interessata dell’ospite. Holmes lo guardò freddamente mentre quello prendeva posto in una sedia.
“Questo signore?” disse Milverton, con un gesto nella mia direzione. “Le sembra prudente? Le sembra il caso?”
Holmes rispose lentamente e con fermezza. “Il dottor Watson è il mio amico e socio.”
Posso giurare che l’espressione di Milverton cambiò repentinamente in una del più completo interesse, ma perché questo dovesse accadere mi era del tutto ignoto. Milverton mi guardò per un lungo istante come a imprimersi nella memoria ogni dettaglio della mia persona, poi fece schioccare la lingua contro il palato e si rilassò contro lo schienale. “Molto bene, Mr. Holmes. Ho protestato solo nell’interesse della sua cliente. La faccenda è talmente delicata...”
“Il dottore sa già tutto.”
Il sorriso immobile di Milverton tremolò agli angoli per un istante di divertimento genuino. “Non ne dubito. Allora possiamo passare a parlare d’affari. Lei dice di agire per conto di Lady Eva. Le ha dato facoltà di accettare le mie condizioni?”
Settemila sterline, pensai, erano più denaro di quanto ne avessi mai visto in tutta la mia vita. Tuttavia non riuscii a seguire la conversazione con tutta l’attenzione che avrei voluto. Mi disturbava lo sguardo del nostro ospite indesiderato che muoveva in continui scatti da Holmes alla mia direzione, benché io non avessi ancora detto una sola parola.
Anche Holmes se ne accorse. Il suo sguardo seguì quello di Milverton nel momento in cui io mi volgevo perplesso dalla sua parte, e poi entrambi guardammo l’uomo, che scoppiò in un’improvvisa risata piena di affettazione.
“Perdonatemi, signori. Sono certo che l’ironia della situazione è tutta dalla mia parte. Ma, Mr. Holmes, mi era parso di capire che il dottor Watson fosse al corrente di tutto. Mi sembra invece che non sappia niente. Voglio dire,” si corresse, “dell’altra questione che necessita di essere discussa questa sera.”
Stavolta Holmes evitò il mio sguardo e non rispose. Confuso ma fermo, risposi: “Sono certo che la mia parte nella faccenda è unicamente quella di fungere da testimone, e pertanto qualunque lacuna da parte mia è ininfluente”.
“Al contrario, dottore,” ribatté Milverton. “La sua parte è essenziale. Dopotutto questa storia la riguarda quasi altrettanto che il suo principale fautore. Ora, Mr. Holmes,” proseguì con dolcezza, “non credo sia necessario ricordarle che, a differenza della vicenda della povera Lady Eva, uno scandalo in questo caso distruggerebbe due vite e non una sola.”
Holmes mi lanciò uno sguardo con la coda dell’occhio. “Mi permetto di dissentire. Il dottore è al di sopra di ogni sospetto, un veterano, un rispettabile professionista, e un vedovo.”
“Ah, ma certo, Mr. Holmes, lei ricorderà il caso di un altro personaggio più che rispettabile, sposato con due figli, che a un attento scrutinio da parte delle autorità si è dimostrato molto meno egregio di quanto le apparenze non volessero farci credere. Se abbiamo imparato qualcosa da quel triste caso, Mr. Holmes, è che nessuno è al di sopra di ogni sospetto.”
“Finiamola con questi discorsi. Quanto?” chiese Holmes all’improvviso, protendendosi dalla sua poltrona.
Ma Milverton pareva godersi immensamente il momento. Trasse con estrema lentezza dal taschino del panciotto un portasigarette d’oro con uno smeraldo incastonato sul coperchio, e domandò se poteva fumare. Non ricevendo risposta, si accese comunque una sigaretta.
“Io la ammiro, Mr. Holmes,” disse infine. “Un altro avrebbe tentato di nascondere in tutti i modi la faccenda al suo amico e socio. Ammiro molto la sua onestà-per quanto sia certamente un po’ tardiva.”
“Quanto?” ripeté Holmes, quasi in un ringhio. “Non lo chiederò una terza volta.”
“Diecimila,” rispose Milverton, con agio, come se non fosse una cifra spropositata, abnorme...
“Assurdo,” disse Holmes. “Sappiamo entrambi che non ho diecimila sterline e non le avrò mai.”
“Questo non è del tutto corretto,” ribatté l’altro. “So da fonti degne di fiducia che il dottore ha venduto il suo studio non molto tempo fa per una somma non inferiore alle cinquemila sterline. Di certo un personaggio dotato della sua reputazione, Mr. Holmes, non farà alcuna fatica a mettere insieme il resto. Dopotutto, il mese di tempo che le ho dato mi sembra più che sufficiente per...”
“Il conto in banca del dottore e il mio sono due cose distinte e separate,” disse Holmes, freddamente. “Lei presume troppo.”
Milverton guardò dalla mia parte con un’espressione significativa. Non avevo idea di cosa Holmes si aspettasse che facessi, tanto più che da quando la conversazione aveva preso questa piega rifiutava di incontrare il mio sguardo, e perciò dissi l’unica cosa che mi parve sensata: “Se è in mio potere salvare un amico da un lurido ricatto, naturalmente metterò a disposizione tutto ciò che possiedo”.
Milverton sorrise. “Suvvia, dottore. Che pessima scelta di parole.”
“No,” disse Holmes. “Non lo farai.”
“Holmes...”
“Non dopo aver saputo di cosa si tratta.”
“Non c’è nulla al mondo che potrebbe farmi cambiare idea,” proclamai di cuore.
Seguì un silenzio denso e viscido come l’olio, che Milverton ruppe riprendendo in tono soave: “Quello che il suo amico non ha il coraggio di dirle, dottore - e mi perdoni se me ne assumo il compito per abbreviare il processo - è che Mr. Holmes si è lasciato andare a certe… indiscrezioni, chiamiamole così, con un gentiluomo una decina di anni or sono, e purtroppo esistono delle prove incontrovertibili a testimoniarlo.”
Impallidii, e per quanto mi sforzassi di nascondere ogni reazione, tutto l’orrore che provavo dovette apparire perfettamente leggibile sul mio volto. Milverton parve compiaciuto. Holmes si passò le mani tra i capelli, senza parlare.
“Che prove?” gracchiai, quando recuperai l’uso della parola.
“Tre lettere-della prosa più squisita, gliel’assicuro. Da scrittore, so che sarà impaziente di procurarsele per apprezzarne la finezza.”
“A chi…”
Holmes saltò dalla sua poltrona.
“Mettiti alle sue spalle, Watson! Non lasciarlo uscire! Ora, signore, vediamo il contenuto di quel quaderno.”
Rapido come un ratto, Milverton era corso da un lato della stanza e ora stava con le spalle alla parete, stringendo al petto il suo grosso taccuino.
“Mr. Holmes, Mr. Holmes,” disse, voltando il davanti del suo cappotto e mostrando il calcio di un grosso revolver che usciva a mezzo dalla tasca interna. “Da lei mi ero aspettato qualcosa di originale. Questo l’hanno già fatto in tanti, e che ne è mai venuto di buono? Le assicuro che sono armato fino ai denti, e perfettamente preparato a usare le mie armi, sapendo che la legge è dalla mia parte. Senza contare che la sua supposizione che abbia portato le lettere con me in un quaderno è completamente errata. Non farei mai una cosa così stupida. E ora, signori, ho un altro appuntamento o due questa sera, e la strada è lunga fino a Hampstead.”
A un cenno di Holmes lo lasciai andare senza tentare una mossa. Dopo che il rumore dei passi e quello della carrozza si furono spenti in fondo alla via, restammo soli.
Holmes stette seduto vicino al fuoco, immobile, le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni, per un attimo o due; poi d’improvviso l’aria imbarazzata e indecisa che aveva affettato con Milverton scomparve del tutto, lasciando il posto a una piena di energia.
“Tre,” ricordò, come parlando a se stesso. “Bene. Il numero preciso è fondamentale.”
“Holmes, ti dispiacerebbe spiegarmi…?”
“No,” rispose, prendendomi la mano. “Voglio dire, no, non mi dispiacerebbe. Ti chiedo perdono, Watson. Non potevo dirtelo a nessun costo. Avrebbe completamente rovinato l’effetto.”
“L’effetto…?”
Holmes mi strinse la mano affettuosamente. “Siedi con me e chiedimi tutto quello che vuoi.”
“Holmes,” feci quando ci fummo sistemati sul divano, “c’è una cosa che devo assolutamente… Dieci anni fa, io…”
“Te ne sei andato da questa casa per sposarti,” completò per me.
“Sì,” mormorai. “E ti prego di non credere che ci sia la più piccola traccia di rimprovero da parte mia, ma tu hai scritto delle lettere - lettere di cui non ho mai saputo nulla - e ora io devo sapere a chi.”
Holmes si protese dalla mia parte, appoggiando un braccio sullo schienale del divano e passando l’altro comodamente intorno alla mia spalla. Mi baciò con un improvviso quanto gradito trasporto, e non trovai di meglio che rispondere, abbandonandomi a lui per qualche lungo secondo.
“Holmes,” gli ricordai tuttavia non appena ci separammo.
Mi guardò calmo, senza scomporre la posizione. “Era fondamentale che quel verme non avesse il minimo sospetto sull’identità del destinatario. Le lettere”, corrugò la fronte, “non contengono alcun nome, né alcun riferimento che possa condurre all’altra persona, salvo per alcuni dettagli piuttosto intimi, che solo l’interessato potrebbe conoscere.”
Serrai la mascella, ma Holmes continuò, duramente: “Avresti ragione a chiamarmi un perfetto asino per averle scritte, Watson, ma anche nell’idiozia ho conservato un po’ di ragione. Con quello che ha in mano, Milverton può minacciare me e me solo. E tuttavia mi è parso subito ovvio che, se avesse potuto scoprire l’identità dell’altra persona, non avrebbe esitato a far leva su entrambi per ottenere un doppio riscatto. E chi un candidato migliore di te? Dopotutto, scrivi elegie alla mia persona da quindici anni.”
“Ma…”
“Solo un istante. Dunque era necessario che Milverton si convincesse che tu eri completamente all’oscuro della faccenda, cosa peraltro vera. Il completo sconvolgimento e la repulsione sulla tua faccia hanno fatto il resto. Parola mia, Watson, se non ti conoscessi avrei detto che avessi già pronta una torcia per appiccare il fuoco al mio rogo.”
“Lo sconvolgimento, sì,” ammisi. “Ma la repulsione era tutta per quel criminale. Holmes, certamente non credi che io… dopo tutti questi anni… che potrei giudicarti per…”
“No,” mormorò, sfiorandomi lo zigomo col dorso delle dita. “Ma l’importante è che lo creda lui. Quella bestia disgustosa dovrà sentirsi molto compiaciuta, in questo momento, all’idea di aver rovinato per sempre la nostra amicizia. Bene, che si compiaccia. Non durerà a lungo.”
“Holmes, non capisco,” dissi con impazienza. “Se Milverton crede che la nostra amicizia sia rotta, come può aspettarsi che ti presti metà del denaro? La sua richiesta è assurda. E tu non hai diecimila sterline e Milverton lo sa.”
“È molto semplice, e sottile al tempo stesso. La tua reputazione non sopravvivrebbe alla rovina della mia. I nostri nomi sono così strettamente legati agli occhi di tutti - ah, questa è opera tua - che nessuno crederà che tu abbia convissuto per vent’anni gomito a gomito con un depravato senza saperlo. E naturalmente, se lo sapevi e hai continuato…”
Scossi la testa. L’intera vicenda iniziava a nausearmi. “Parlami delle lettere.”
Vidi l’espressione di Holmes mutare, farsi più pacata e tetra, e vi scorsi anche dell’imbarazzo. Per qualche istante non parlò, e allora gli presi la mano e me la portai alle labbra. “Giuro che non sarò adirato,” dissi.
Holmes sollevò un angolo della bocca, senza allegria. “Lo sarai. Incredibilmente.”
“Allora giuro che ti offrirò ogni possibilità per farti perdonare.”
“È una cosa di cui mi vergogno profondamente,” disse Holmes, senza liberare la mano dalla mia. “Averle scritte sarebbe già una vergogna sufficiente, senza aggiungere il fatto di averle conservate.”
“Ma di certo è stata l’altra persona a conservarle,” osservai, confuso, “se gliele hai inviate.”
“Non le ho mai inviate.”
Questo, lo ammetto, mi procurò un dolore immediato e pungente. Potevo immaginare - con grandissimo sforzo - che Holmes prendesse la penna per rovesciare un fiume di romanticherie e oscenità in egual misura rivolte alla passione del momento, e subito se ne pentisse non appena il sentimento si era dileguato. Era improbabile, ma potevo concepirlo. Ma non riuscivo a riconciliarmi con l’idea che Holmes avesse conservato per mesi, forse anni, il ricordo tangibile di quella passione. Forse le aveva portate con sé a Reichenbach. Forse, anche dopo il suo ritorno… anche dopo che ci eravamo ricongiunti…
“Non pensare nulla del genere,” disse Holmes, bruscamente. “Le ho chiuse in un cassetto e mai più guardate, e all’epoca dell’incidente con Moriarty me n’ero completamente dimenticato. Non c’erano nomi, ricordalo, e così com’erano non avrebbero potuto nuocere ad altri che a me stesso, e di questo non mi importava più nulla.”
“Holmes…”
“Dopo Reichenbach, la cosa ha smesso d’essere importante. Tuttavia, Moran ha pensato di mandare alcuni suoi uomini a frugare nelle nostre stanze alla ricerca di materiale compromettente. È stato la notte in cui hanno appiccato il fuoco. Non hanno trovato nulla, giacché tu avevi portato via tutti i documenti utili per le tue, chiamiamole così, indagini personali, ma hanno trovato le lettere. Eppure Dio sa che erano ben nascoste. Per tutto questo tempo ho creduto che fossero andate distrutte nell’incendio.”
“A chi,” mormorai. “A chi le hai scritte.”
“Non ha più alcuna importanza.”
“Ne ha per me.”
“Perché? Sono passati dieci anni. Nessuno di noi è più la stessa persona di allora. Lascia che…”
“Avevi ragione, Holmes. Sono incredibilmente adirato con te. Così adirato, infatti, che medito di lasciare questa stanza all’istante se non mi darai la risposta che cerco inutilmente di estorcerti da mezz’ora.”
Invece di accontentarmi, Holmes mi stordì con un altro bacio, afferrando una manciata dei miei capelli nel pugno perché non gli potessi sfuggire. Quando credevo che la mia irritazione avesse raggiunto il picco massimo e che l’avrei allontanato anche a costo di affondargli un pugno nello stomaco, Holmes si tirò indietro, il naso contro la mia guancia, la bocca ancora sulla mia.
“Ero tremendamente innamorato. Delirante. Se avessi riflettuto, se avessi… Ma so che non è una giustificazione. Proprio io, tra tutti gli uomini… Dio, me ne vergogno come un cane.”
“Holmes,” mormorai, toccandogli i capelli. La rivelazione mi aveva devastato, e non cercavo più di nasconderlo. “Ti prego. Il suo nome.”
Si tirò bruscamente indietro, allontanandomi da sé. “È davvero così difficile, Watson? O vuoi soltanto sentirmelo dire?”
“Holmes, non so di cosa tu stia parlando, e se credi che lo trovi divertente…”
“Ma sicuramente anche un ispettore di Scotland Yard a questo punto ci sarebbe arrivato. Dannazione, Watson. Erano per te. Non è ovvio? Per chi altro mai farei una cosa così stupida?”
Fui senza parole per un tempo eccezionalmente lungo, o così mi parve, durante il quale Holmes si alzò nervosamente e andò ad accendersi una sigaretta vicino al camino. Poi scoppiai a ridere. L’assurdità della situazione lo esigeva. Era un’assurdità dolceamara, come il retrogusto che mi lasciava sempre ripensare a quegli anni. Non avevo mai creduto di avere nelle mie mani il potere di far compiere a Sherlock Holmes una sciocchezza come questa - l’aveva detto: proprio lui che parlava con tanto disprezzo degli smidollati che vomitavano il loro cuore in lettere compromettenti! - e come era già accaduto in passato, dalla mia ignoranza erano derivate le conseguenze peggiori.
Holmes si unì a me sul finire, con l’aria di ridere amaramente di se stesso, e tornò sul divano. Lo abbracciai, sentendomi d’improvviso straordinariamente leggero, come se non ci fosse una tremenda spada di Damocle in procinto di cadere sulle nostre teste. Holmes appoggiò la guancia sulla mia spalla, riposando una mano sulla mia schiena e continuando a reggere la sigaretta con l’altra.
“Non potrò mai più rimproverarti i tuoi ridicoli afflati romantici,” borbottò, dandomi un bacio rapido sul collo.
“Grazie a Dio. Holmes, che facciamo? Non solo per questa storia delle mie lettere…”
“Mie, certamente,” ribatté.
“No, mio caro, mie in quanto destinate a me. Se perfino quell’animale privo di umanità ha saputo riconoscer loro qualche merito poetico, è di primaria importanza che io le legga.”
“Ti prego di desistere, a meno che tu non voglia perdere ogni barlume di stima che ancora nutri nei miei confronti.”
“Questo è impossibile e mi ritengo molto offeso che tu suggerisca una simile eresia, anche se è solo per assicurarti l’ultima parola. Cosa che, peraltro, non ti riuscirà. Ma ti chiedevo cosa proponi di fare. Non solo in merito alle mie lettere, ma anche a quelle della povera Lady Eva.”
Holmes si districò dal mio abbraccio, ma non si allontanò molto, traendo una boccata pensosa dalla sua sigaretta. “Ho qualcosa in mente, ma va ancora raffinato. Te ne parlerò non appena avrà preso forma. Nel frattempo, quello di stasera è stato un incontro moderatamente proficuo. Non mi capita tutti i giorni di riuscire a convincere un avversario di quel calibro di avere di fronte non uno, ma ben due completi idioti.”
Sorrisi senza offendermi. “Sono certo che il mio contributo sia stato decisivo.”
“Essenziale,” confermò, gli occhi scintillanti. Vedevo bene che ogni traccia di malumore si era dileguata, ora, sostituita solo dal fermento della sua mente al lavoro. Si alzò, gettando la sigaretta nel camino, e per mezz’ora rimase fermo con lo sguardo fisso nelle braci sfavillanti, il mento piegato sul petto. Poi, col gesto di un uomo che ha preso la sua decisione, si spostò nella sua camera da letto. Poco dopo un giovane operaio dall’aria dissoluta, col pizzetto e la camminata spavalda, accese la sua pipa di argilla alla luce della lampada prima di scendere in strada.
“Non so quando tornerò,” annunciò, chinandosi su di me per un lungo bacio che, tra la sensazione non familiare del pizzetto e il lieve aroma di colla fresca, si rivelò stranamente stimolante. Holmes dovette condividere il pensiero, perché si staccò con un’aria di rimpianto. “Appena possibile,” aggiunse, imprimendomi un secondo bacio sulle labbra, e sparì nella notte.
Ho già documentato con sufficiente sincerità - in alcuni punti è anzi forse eccessiva - quello che accadde a casa di Charles Augustus Milverton, come Holmes ed io sperimentammo che la pratica del crimine richiede altrettanta competenza di quella della giustizia, e come coprimmo la fuga di una giovane donna animata dal coraggio della disperazione. Naturalmente, insieme al resto del contenuto della cassaforte, Holmes trovò e bruciò anche le sue tre lettere - cosa per la quale ancora oggi provo un dispiacere senza fine, non avendo potuto posarvi un dito.
Qualche giorno dopo, avevamo già fatto colazione e stavamo fumando la prima pipa della giornata quando l’ispettore Lestrade di Scotland Yard ci fece visita nel nostro salotto, apparentemente intenzionato a chiedere l’aiuto di Holmes per investigare sul brutale omicidio di Milverton.
Lo facemmo sedere, gli offrimmo una tazza di tè e da fumare, e Holmes finse di considerare seriamente la richiesta mentre Lestrade ci raccontava i dettagli.
“È probabile che i criminali fossero uomini con una buona posizione, che volevano solo evitare lo scandalo.”
“Criminali?” disse Holmes. “Plurale?”
“Sì, erano due.” Lestrade guardò Holmes e poi me con espressione assolutamente pacifica, e tuttavia il suo sguardo esitò su di noi per un attimo o due più di quanto fosse strettamente necessario. “Il primo era un po’ troppo attivo, ma l’aiuto giardiniere è riuscito ad afferrare il secondo, che ci ha messo un po’ a liberarsi. Un uomo di altezza media, costituzione massiccia - mascella quadrata, collo robusto, baffi, e una maschera sugli occhi.”
Avvertii un brivido interiore, ma nondimeno risi, come se fosse una battuta. “È piuttosto vago,” disse Sherlock Holmes. “Insomma, potrebbe essere una descrizione di Watson!”
“È vero,” disse l’ispettore, divertito. “Potrebbe essere una descrizione di Watson.”
Calò un silenzio imbarazzato. Holmes pareva perfettamente a suo agio, ma conoscendolo come lo conoscevo non era difficile cogliere una leggera rigidità nella sua posa.
“Bene, sono spiacente ma non posso aiutarla, Lestrade,” disse alla fine. “Il punto è che conoscevo questo Milverton, che lo consideravo uno degli uomini più pericolosi di Londra, e che…”
“Sa, Mr. Holmes, non tutte le carte di Milverton sono andate distrutte,” lo interruppe Lestrade.
La faccia di Holmes divenne una maschera di granito.
“È stato trovato un taccuino nella sua camera da letto. In effetti, riteniamo che fosse la lista di tutti quelli che ricattava. Un elenco molto dettagliato, con tutti i nomi, le somme e il tipo di materiale in suo possesso. Bisogna riconoscergli che era un uomo ordinato, il nostro Milverton.”
Avevo cessato di respirare. Lestrade fece un sorrisetto che, onesto com’è, non si dimostrò altro che quello che sembrava, senza ulteriori significati o motivazioni: un sorrisetto di soddisfazione per aver messo nel sacco Sherlock Holmes.
“Signori, non vi nascondo di aver sempre creduto che ci siano crimini che la legge - contrariamente alle nostre migliori intenzioni - non può toccare, e che quindi, entro certi limiti, giustificano la vendetta privata. Che resti tra noi, la mia simpatia va ai criminali piuttosto che alla vittima. Ad ogni modo, il lavoro è lavoro e vedremo di arrivare alla fine di questo caso anche senza il suo aiuto, Mr. Holmes.”
Holmes rigirò la pipa tra le dita per un secondo, poi si schiarì la gola. Era molto pallido. “Non ho dubbi che assicurerete i responsabili alla giustizia quanto prima,” disse senza espressione.
Lestrade si alzò. “Abbiamo le loro impronte e la descrizione: dieci a uno che li prenderemo. Il taccuino, d’altra parte…”
“Sì?”
Lestrade atteggiò il viso a un’espressione di modestia e imbarazzo, ma non gli riuscì troppo bene. Con tutte le sue buone qualità, l’uomo non è un attore. “Non creda che non mi pesi confessarglielo, Mr. Holmes, ma da ieri non ne abbiamo più trovato traccia. Naturalmente ho ordinato l’apertura di un’inchiesta interna per negligenza.”
“Naturalmente,” disse Holmes, con vivacità, e si alzò a sua volta.
Lestrade gli strinse la mano. Mi alzai per stringerla anch’io. “Signori, vi saluto. Grazie per il tè. Non vi alzate; conosco la strada, grazie.”
E in un attimo era andato; ne sentimmo il passo energico marciare giù per le scale.