Titolo: Principi teorici e pratici dell'ereditarietà
Fandom: Jeeves & Wooster
Personaggi: Bertie/Vince (OMC/OMC), Alice Sadler (di anni due)
Rating: PG-13
Conteggio parole: 1049 (FdP)
Scritta per: Seconda settimana (fluff) @
WWF di
fiumidiparole (prompt: domestic!fluff)
Note: Sto lavorando a una timeline per rendere tutto ciò vagamente comprensibile XD Nel frattempo, accontentatevi di questo: nel 1956 il fratello di Vince, Eddie, muore con la moglie in un incidente stradale, lasciando una bimba di pochi mesi.
1958
Bertie era preoccupato che crescere senza madre potesse danneggiare Alice. Sia lui che Vince erano cresciuti senza padre -- Mr. Sadler era morto prestissimo; e il suo non c'era mai stato, neanche prima -- ma non era la stessa cosa. E poi lui, almeno, aveva avuto lo zio Claude e Jeeves. (Lo zio Bertie non contava granché come figura paterna.)
Ma Alice era una bambina, e c'erano cose che solo una madre poteva insegnare a una figlia femmina. E anche se il giorno delle Grandi Lezioni era lontanissimo, nel frattempo c'erano mille piccole lezioni da impartire -- lezioni di cui loro non avevano la minima idea.
Vince sembrava credere che sarebbe bastata l'esperienza sul campo e qualche consiglio dalle persone giuste (Merryweather, il suo socio, aveva una moglie e due figli e un altro in arrivo), ma Bertie era dubbioso. Così aveva fatto quello che faceva sempre nel dubbio: aveva cercato libri.
All'aprirsi della porta non alzò gli occhi; si limitò a ritirare la gamba con la quale aveva invaso l'altra metà del letto per fare posto.
Vince armeggiò un po' per la stanza, tirò gli scuri, accese la lampada dal suo lato, si infilò la casacca del pigiama, e fece un'altra serie di cose che Bertie registrò con la coda dell'occhio mentre non staccava lo sguardo dal suo libro. Infine lo raggiunse. Il materasso si piegò e cigolò sotto il suo peso e Bertie si sentì tirare le lenzuola da sotto la schiena. Automaticamente alzò i fianchi e poi le gambe per lasciare che Vince sistemasse il tutto e si infilò sotto le coperte.
Vince si rilassò sul cuscino, poi si irrigidì, ricordando qualcosa. "Gliel'hai dato il bacio alla bambina?"
"Sì" rispose Bertie. "Prima."
Vince si sporse dal suo lato, sbirciando; la guancia strofinò contro la sua spalla. Bertie sentì odore di dentifricio alla menta.
"Che leggi?"
"Mmm. Per la bambina."
Sarà stata una suggestione dal libro, ma Bertie cominciava a chiedersi per quanto ancora l'avrebbero potuta chiamare "la bambina". A dar retta all'autore, le femmine crescevano in un batter d'occhio. Non avevi il tempo di smaltire gli ultimi pannolini che già le trovavi a nascondere assorbenti nelle tasche delle borsette.
"Bertie," fece Vince, occhieggiando il nome del capitolo, "Alice non ce le ha le sue cose."
"Ho finito la parte sull'infanzia e sono andato avanti" rispose, senza smettere di leggere.
"E non è presto?"
"Mmm. Non mi piace lasciare le cose a metà."
Vince imitò il suo "mmm", infilando la testa nella curva del suo gomito e sbucandone all'interno. Gli passò un braccio intorno alla vita, appoggiandogli la guancia sul petto. Imperturbabile, Bertie sollevò il libro per continuare a leggere.
"Ti preoccupi troppo" disse Vince, sbadigliando.
"E tu la fai troppo facile" ribatté.
"Non la faccio facile, ma c'è tempo."
Bertie girò una pagina e sospirò. "No che non c'è. Non voglio che cresca come un maschiaccio."
"Che problema c'è? A me piacciono le donne senza tante fisime."
Bertie chiuse il libro di scatto e lo posò sul comodino. "Non so perché, ma ho l'impressione che tu mi stia prendendo in giro."
"Ehi, mi piacciono davvero."
"Va bene, continua. Fai come ti pare" borbottò Bertie. "Quando Alice tornerà a casa piangendo perché suo padre non la sa pettinare in maniera decente..."
"C'è scritto anche come si pettinano le bambine?" replicò Vince.
"Da qualche parte, sì" rispose Bertie, piccato. "Sto cercando."
Vince alzò la testa e sorrise, appoggiandogli un bacio all'angolo della bocca. Bertie rispose con riluttanza, già meno seccato, ma un po' seccato di essere meno seccato.
"Senti, tu fai quello che vuoi, leggiti tutti i libri che ti pare. Puoi pure diventare parrucchiere se ti va. Ma se mi diventi come quelle mamme fuori di testa che combinano le figlie come bamboline ti prendo e ti spacco la faccia." La minaccia era stata proferita in un tono amorevole che non la rese meno seria, solo più concreta. "Meglio un maschiaccio che una signorina scopa-in-culo come la moglie di..."
"Non ricominciare con Charlotte" lo avvisò Bertie.
Vince esitò, poi spianò le rughe di corruccio dalla fronte. "Ci siamo capiti."
Le dita di Vince avevano preso a tormentare i suoi bottoni, un po' meno baldanzose del solito ma sempre eloquenti. Ritenendo chiuso il discorso, Vince fece per tornare a baciarlo.
"Voglio solo che cresca come una persona normale" mormorò Bertie, dribblando il tentativo. "Voglio essere preparato."
"E io voglio che cresce tranquilla. Al resto ci pensiamo poi."
"E se nessuno vuole sposarla perché non è abbastanza femminile?"
"Bertie..." sospirò Vince.
"Poi sarebbe colpa nostra. E lei ci odierebbe perché non siamo stati attenti."
Questo, se non altro, colpì Vince. Bertie si sentì guardare d'un tratto con estrema serietà.
"È colpa nostra" ribattè, lentamente, "se tiriamo su una mocciosa viziata che domani ci rinfaccia che nessuno di noi due aveva una fica. Ma noi non la cresciamo così. Noi la cresciamo come una ragazza con tutte le cose a posto, una che quando siamo vecchi e non ci possiamo muovere ci viene a trovare coi suoi figli e non ci lascia morire da soli." Gli accarezzò la guancia con un debole sorriso, e Bertie non poté fare a meno di immaginare la scena. "Va bene?" mormorò Vince.
"Va bene" rispose, passandogli le braccia intorno alle spalle.
Ci stava ancora pensando un paio d'ore più tardi, mentre Vince recuperava un asciugamano dal bagno, e la luce giallina della lampada sopra lo specchio invadeva la camera da letto dalla porta socchiusa.
"Meno male che domani non si lavora" borbottò Vince, ricomponendo con qualche difficoltà le lenzuola strapazzate. "Ah, no, c'è tuo zio a pranzo. Dannazione."
"Metti che Alice si sposasse con Eustace" disse Bertie, seguendo il filo dei propri pensieri. "I bambini assomiglierebbero a tutti e due. Voglio dire, a me e a te."
"Sul mio cadavere" ribatté Vince, come previsto. "Lei coi tuoi non ci deve avere niente a che fare."
Bertie rise, agguantandolo alla vita. "Sarebbero belli" mormorò, tirandolo sul suo cuscino. "Charlotte dice che Eustace è identico a Rupert."
"Non lo voglio un nipote con la sua faccia. Che diavolo, non voglio un genero con la sua faccia."
"Che è uguale alla mia."
"Ancora? Non vi assomigliate neanche."
"Da piccoli solo papà ci distingueva."
"Forse era l'unico che guardava."
Bertie meditò sul pensiero per qualche tempo; ci meditò così tanto che il respiro di Vince si fece lento e regolare e la sua mano sulla vita di Bertie si rilassò e scivolò sul materasso.
Prima di chiudere gli occhi e mettersi a dormire a sua volta, prese la nota mentale di cercarsi un libro sui principi dell'ereditarietà.