[Originale] Paura del buio

Mar 22, 2009 16:40

Titolo: Paura del buio
Fandom: Originale
Rating: G
Conteggio parole: 590 (W)
Scritta per: Scrittura Creativa, Lezione III. Il compito consisteva nel descrivere una scena usando degli oggetti inanimati "umanizzandoli" per rappresentare metaforicamente qualcos'altro.

Da bambina scendevo spesso a giocare coi mostri in cantina. Non appena tutte le luci erano spente, inforcavo la scaletta pericolante col corrimano di legno, una pantofola davanti all’altra sugli scalini sporchi di polvere e calce. Se ci appoggiavi la mano, la ringhiera cigolava con un lamento da moribondo, traballando come un dente che dondola dondola e non cade. Io scendevo le scale sospesa sul pelo delle mie pantofole scucite, senza respirare, contando i gradini per evitare quello marcito. Un passo dopo l’altro nel buio sempre più freddo e denso e profondo era come nuotare senza ossigeno, tra i polmoni che dopo un po’ tiravano come una cicatrice e la paura di andare troppo veloce e consumare subito tutta l’aria.

Riprendere fiato sul fondo della discesa era un’emersione al contrario. Solo allora, quando la sagoma della porta diventava un rettangolo di luce piccolo come una figurina, accendevo il fiammifero (uno solo) e la candela.

Il gioco aveva regole precise e logiche come un’equazione: la candela non andava accesa prima di aver raggiunto la base della scala, perché a vederla scendere dall’alto i mostri si sarebbero spaventati e nascosti; una volta accesa, poi, andava poggiata sull’ultimo gradino e lasciata lì. I mostri non potevano entrare nel cono di luce, perciò era necessario che fosse il giocatore a uscirne.

La parte più bella (e più tremenda) era abbandonare la candela e avventurarsi nel fitto della cantina. Se avessi avuto qualcuno con cui giocare, quello sarebbe stato il momento in cui mi sarei nascosta nel buio e l’avrei lasciato a tremare vicino alla scala, senza rispondere ai suoi richiami, aspettando che il terrore lo spingesse a scappare via. Ma non c’era nessuno.

La luce della candela non stava mai ferma, e le ombre mutavano a ogni tremolio. Era una luce debole e tiepida, sempre sul punto di spegnersi. Avanzavi piano piano nella penombra giallina, sentendo i granelli di terra scricchiolare sotto i piedi, lottando a ogni passo tra la paura e la voglia. E finalmente, quando eri abbastanza lontano dalla luce, i mostri cominciavano a venir fuori.

Il mio preferito era un vecchio manichino di quelli che si usavano per cucirvi sopra i vestiti; una figura umana appena sbozzata in un’intelaiatura di maglie di ferro. Aveva anche la testa, stretta e lunga come un uovo, poggiata in equilibrio precario sul collo; ma doveva aver subito qualche brutto incidente, perché sul lato destro le maglie di ferro erano squarciate, e sopra il mento si erano piegate e storte in una specie di smorfia.

C’era un uccello impagliato grande come una valigia, piazzato su una pila di scatoloni; con l’occhio giallo rotondo scrutava tutto lo spazio sottostante. Dico “l’occhio” perché ne aveva uno solo, sgranato e spento come un grosso uovo al tegamino andato a male. Le penne staccatesi negli anni si erano accumulate ai suoi piedi, e a volte uno spiffero ne faceva volare qualcuna giù sul pavimento. Una notte una mi si era posata sul naso, ma io non mi ero spaventata.

C’erano tanti altri mostri. C’era una sedia con una gamba rotta accasciata da un lato come per un dolore senza speranza. C’era una stufa panciuta e arrugginita con la canna spezzata e lo sportello penzolante. In un angolo sedeva un enorme specchio ossidato, con una lunga crepa diagonale che ne tagliava in due la faccia. In mezzo a loro stavo io, avvolta nella stoffa sfilacciata della camicia da notte, e non avevo paura.

Di solito, a quel punto, un refolo di vento spegneva la candela.

fic, language: italian, scrittura creativa, fic: original

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