Ritorno dal passato

Oct 01, 2011 23:09

Titolo: Ritorno dal passato
Rating: Giallo
Genere: Romantico, Sentimentale
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Francis Bonnefoy (Francia)
Wordcount: 2553 (fiumidiparole)
Prompt: 11. Cinnamon Apple Spice @ 12_teas
Note: AU, Crossdressing, Lime, Yaoi
Quando Inghilterra arrivò davanti al locale si fermò, incerto se entrare o meno.
Era la terza volta nell’arco di un mese - circa una volta la settimana - che si presentava alla porta di quel bar e, nonostante non fosse la prima occasione in cui ci andava, ancora ne aveva un po’ paura.
Eppure era ben consapevole del fatto che solo lì dentro nessuno avrebbe detto una sola parola contro di lui e le sue tendenze amorose prettamente omosessuali. Al di fuori di quelle quattro mura aveva il terrore che qualcuno lo potesse scoprire e che in seguito non lo trattasse più come prima.
L’inglese inspirò profondamente e spinse la porta, entrando.

Quando Inghilterra arrivò davanti al locale si fermò, incerto se entrare o meno.
Era la terza volta nell’arco di un mese - circa una volta la settimana - che si presentava alla porta di quel bar e, nonostante non fosse la prima occasione in cui ci andava, ancora ne aveva un po’ paura.
Eppure era ben consapevole del fatto che solo lì dentro nessuno avrebbe detto una sola parola contro di lui e le sue tendenze amorose prettamente omosessuali. Al di fuori di quelle quattro mura aveva il terrore che qualcuno lo potesse scoprire e che in seguito non lo trattasse più come prima.
L’inglese inspirò profondamente e spinse la porta, entrando.
L’interno era identico all’ultima volta che c’era stato: le pareti erano rivestite con pannelli di legno scuro ed il pavimento era ricoperto con una moquette rossa che acquisiva un colore particolare grazie alle lampade dalla luce soffusa fissate ad intervalli regolari alle pareti.
I tavoli erano piccoli e numerosi, quadrati ed anch’essi di legno scuro, attorniati ciascuno da quattro sedie imbottite e foderate con stoffa rossa.
Entrare lì era come cambiare dimensione.
Effettivamente, un locale per soli gay era, agli occhi di Arthur, una dimensione completamente a sé stante da quella “di tutti i giorni”.
Gli avventori erano pochi nonostante il crepuscolo inoltrato ed erano sparsi in diversi tavoli.
Arthur si fece avanti e si sedette un po’ in disparte, ad un tavolo lungo la parete, proprio sotto ad una lampada, lanciando occhiate di sottecchi agli altri clienti e all’unico cameriere che era in servizio.
Non l’aveva mai visto prima di allora, altrimenti se ne sarebbe ricordato: dalla sua postazione illuminata riusciva a scorgere più o meno distintamente l’abito da cameriera rosa pallido che indossava, con tanto di grembiulino bianco con un gran fiocco ad abbellirgli la schiena.
«Una versione in rosa del vestitino di Alice Liddell» fu il primo, sarcastico paragone che gli venne in mente.
Era girato di spalle e piegato in avanti, verso l’uomo seduto al tavolo innanzi, che dall’espressione pareva stesse godendo particolarmente.
Kirkland si affrettò a spostare lo sguardo, arrossendo appena: in quel bar i camerieri erano come delle prostitute, che offrivano i loro “servizi parziali” ai tavoli. Per qualcosa di completo, il proprietario - che a quanto pareva lavorava in cucina - aveva messo a disposizione delle camere da letto al piano superiore.
Arthur non negava di non averne approfittato un po’ anche lui, ma solamente la prima volta che c’era stato: c’era venuto a notte fonda di sabato sera e, dopo una sbronza colossale, aveva chiesto ad uno dei camerieri di turno di avere un servizio completo. Era stato così che era venuto a conoscenza delle camere al piano superiore.
Purtroppo non ricordava niente dell’esperienza a causa della sbronza - che il giorno dopo lo costrinse a rimanersene tutta la mattina a letto con un’emicrania lancinante ed una costante voglia di vomitare - ma a giudicare dal dolore al fondoschiena che l’aveva perseguitato per due lunghissimi giorni doveva essere stato un rapporto parecchio spinto.
Ad Arthur giunse qualche sporadico gemito da parte del cliente di prima che dovette sforzarsi per ignorare.
Appuntò con decisione gli occhi sulla parete, cominciando ad analizzarne tutti i particolari, anche i più insignificanti, finché non sentì una voce alle sue spalle richiamarlo.
«Cosa desidera, monsieur?».
Un marcato accento francese.
Inghilterra trasalì e si volse di scatto, ma il cameriere si era voltato verso un altro tavolo, dal quale un giovanotto sui venticinque anni lo stava chiamando.
Tutto ciò che l’inglese vide fu una chioma di capelli biondi e lisci che gli arrivava appena sopra le spalle.
In qualche modo gli erano familiari.
Prima che il ragazzo si voltasse di nuovo verso di lui, Kirkland si affrettò a rispondere alla domanda che gli aveva precedentemente posto: «Vorrei del thé, grazie».
Per sua fortuna, il biondo in veste di cameriera non si girò: Arthur lo vide appuntarsi qualcosa - probabilmente aveva un blocchetto ed una matita in mano - e poi fare un passo in direzione opposta alla sua.
«Arriva subito» rispose, chiaramente rivolto a lui.
Inghilterra lo seguì con lo sguardo: quei capelli e quell’accento francese gli erano più familiari di quanto volesse.
Non era ancora passato un mese dalla fine della sua prima relazione omosessuale e ancora non si era del tutto ripreso, né si era dimenticato.
Francis Bonnefoy, si chiamava così.
Francese e di bell’aspetto, tutto sommato. Si erano incontrati per caso nell’ufficio dove Arthur era impiegato ed era stato come un colpo di fulmine.
Avevano fatto l’amore praticamente fin da subito ed era stato un rapporto decisamente corporale. Troppo.
Per questo Arthur aveva deciso di farla finita.
«L’amore non è solo sesso» gli aveva detto - lo ricordava ancora, parola per parola, come se l’avesse affermato appena il giorno prima.
Da allora non si era messo con nessun altro, né aveva cercato inutili sostituti delle pressanti attenzioni di Francia.
La voce del cameriere gli ricordava proprio la sua.
«Non è possibile che sia lui. Sarà solamente un caso, sì dev’essere così. Con tutte le persone che ci sono...! Oppure è paranoia, ma non può essere proprio lui, non ci posso credere!».
Eppure, più continuava a rifletterci e dirsi che non poteva essere, più si convinceva che invece fosse.
Pochi minuti dopo, ecco il fantomatico cameriere di ritorno con un vassoio con una tazzina di porcellana dalla quale si levava un fragrante odore di thé.
Il britannico aveva deciso di non alzare il viso per evitare di avere conferma dei suoi timori, ma al sentir l’aroma della bevanda lo fece spontaneamente, senza neppure pensarci.
«Questo è Cinnamon Apple Spice» disse, sicuro e sorpreso al tempo stesso: il profumo della cannella era delizioso e deciso.
Era un tipo di thé che aveva assaggiato solamente una volta: era estremamente difficile trovarlo e lo stupore di vederselo servito in un locale del genere era più simile ad uno shock che altro.
«Sì, monsieur. È molto preg...» iniziò il cameriere, ma quando incrociò lo sguardo del cliente si bloccò, rimanendo a bocca aperta per lo stupore.
Anche l’altro rimase scioccato a fissarlo.
«Inghilterra...?!» esclamò il francese.
Si diede mentalmente dell’idiota: avrebbe dovuto capirlo subito. L’accento inglese ed una conoscenza così dettagliata e precisa di un thé simile, che riconosceva solo dall’aroma.
Non poteva essere che lui.
Arthur deglutì a vuoto mentre i suoi occhi gli davano conferma delle sue paure: quello che aveva davanti, vestito “alla Alice Liddell” altro non era che Francia.
Cadde uno strano silenzio tra loro, che si addensò a tal punto che Kirkland desiderò sprofondarci dentro fino a sparire.
Poi, finalmente, Bonnefoy prese la parola.
«Che ci fai qui?» chiese, abbassando la voce per non farsi sentire.
«Non sono affari tuoi» disse l’altro, guardando altrove, lontano dal suo viso.
Maledisse tra sé e sé quel thé che aveva attirato la sua attenzione: se non avesse alzato gli occhi, probabilmente l’altro non l’avrebbe riconosciuto e tutto ciò si sarebbe potuto evitare.
Non riusciva a stare lì un momento di più: averlo di nuovo così vicino era troppo per lui.
Voleva dimenticarlo.
«Scusa, ma devo andare» esclamò Inghilterra all’improvviso, alzandosi.
Francia l’afferrò per un polso prontamente, fermandolo.
«No, aspetta. Dove vai?» disse.
Arthur cercò di divincolarsi, ma Francis rinsaldò la presa e lo attirò a sé.
«C-che cosa vuoi fare? Lasciami andare!» protestò l’inglese.
«Voglio... parlare» replicò Bonnefoy a mezza voce, sottolineando col tono l’ultima parola «Prendo una pausa. Tu aspettami qui».
Detto ciò, lo lasciò e si allontanò, diretto verso una porta incassata nell’angolo opposto della sala, dove probabilmente era la cucina.
Inghilterra rimase fermo dove l’altro l’aveva lasciato. Nemmeno lui avrebbe saputo dire perché, ma le sue gambe si rifiutarono categoricamente di muovere un passo da dov’erano.
«Ma cosa sto facendo? Perché gli do ascolto? Non devo. Ormai è finita» si disse, eppure rimase lì, in attesa.
Dopo qualche minuto, la porta si aprì e Francia fece il suo “ritorno trionfale” senza l’abitino da cameriera, bensì con un completo maschile che - Arthur dovette ammetterlo benché gli rodesse - non gli stava affatto male.
Indossava una camicia bianca molto semplice, con le maniche larghe e i polsini stretti ed un papillon nero faceva la sua bella figura da sotto il colletto. Sopra portava un gilet nero chiuso sul ventre da tre bottoni, munito di due piccole tasche ai lati.
I pantaloni erano lunghi, neri e dritti, sebbene evidenziassero ciò che c’era al cavallo - sia davanti che dietro. Le scarpe erano nere e laccate.
I capelli biondi non gli cadevano più attorno al viso, per cui Arthur ipotizzò che li avesse legati dietro la nuca, probabilmente con un nastrino - gliel’aveva visto fare diverse volte.
Mentre camminava fra i tavoli, diversi clienti si girarono ad osservarlo, lanciando occhiate assai eloquenti al suo fondoschiena. L’inglese non poteva ribattere: dopotutto, gli avventori di quel locale erano quasi tutti omosessuali in cerca di un partner per una relazione sessuale.
Certi atteggiamenti decisamente sconvenienti fuori dalla porta di quella sala all’interno erano perfettamente normali e non ci faceva caso nessuno; infatti, Francia camminò dritto fino ad Inghilterra senza preoccuparsi minimamente degli sguardi ricevuti.
Mentre il francese gli si fermava davanti, l’inglese scorse un altro ragazzo uscire in veste di cameriera dalla cucina e dirigersi verso il giovanotto che prima aveva cercato di richiamare su di sé le attenzioni di Francia.
«Allora? Di che vuoi parlare?» domandò bruscamente Inghilterra, guardandolo di sbieco.
«No, non qui» gli rispose Francia in tono criptico, prendendolo a sorpresa per la mano e conducendolo via.
La sua stretta era forte ed in essa Kirkland percepì il desiderio di non essere piantato in asso, il bisogno che rimanesse lì con lui. Sembrava volergli impedire disperatamente di fuggire.
Contrariamente a quanto si aspettava - e cioè di essere condotto al piano superiore, in una delle camere da letto - Inghilterra fu guidato con passo sicuro e rapido nel bagno.
All’interno l’unica fonte luminosa era una sottile e lunga lampada al neon appesa sopra gli specchi alla sinistra della porta che gettava una luce biancastra tendente al blu stranamente inquietante nella stanza.
I lavandini risplendevano d’un biancore pallido che somigliava a quello lunare, al contrario dei cubicoli dall’altro lato della stanza, avvolti in una penombra piuttosto sinistra.
Francia lasciò andare Inghilterra e si richiuse la porta alle spalle mentre Kirkland si avvicinava al primo lavandino, appoggiandosi con la schiena alla parete accanto ad esso.
«Perché mi hai portato qui?» domandò, incrociando le braccia sul petto «Perché non di sopra? Anzi, perché non mi hai lasciato stare?».
Si stava innervosendo e stava perdendo la pazienza. Combatté contro l’istinto di cominciare a fare avanti e indietro nel passaggio tra i lavandini e i cubicoli per sfogare almeno in parte il nervosismo e rimase dov’era, a guardare con rabbia il francese.
Quest’ultimo lo fissò di rimando senza riuscire a dir niente.
Non riusciva a parlare, nonostante sapesse perfettamente cosa dire: ancora gli riecheggiavano nella memoria le sue ultime parole.
«L’amore non è solo sesso» gli aveva detto, arrabbiato, prima di andarsene, sparire per sempre.
Lui l’aveva aspettato per più di una settimana, convinto che tornasse, ma niente.
Si era chiesto perché, ci era stato male addirittura per notti intere, giungendo infine alla conclusione che Arthur aveva ragione: lui l’aveva presa come una questione di solo sesso, dando al linguaggio corporale un’importanza che non aveva; proprio lui, che fino a quando s’illudeva ancora di essere eterosessuale professava l’amore come un sentimento sacro ed intoccabile, diviso dal sesso puro e semplice.
E per aver tralasciato le emozioni e l’amore puramente sentimentale aveva perso Inghilterra.
Aveva dovuto abituarsi all’idea che con lui non aveva funzionato e proprio quando sembrava aver superato la cosa, lasciandosi tutto alle spalle, ecco che il Destino li aveva fatti incontrare un’altra volta.
L’inglese era sempre lì, in attesa.
Bonnefoy chiuse gli occhi, deglutì e finalmente trovò la voce e la forza per dirgli: «Mi dispiace».
Un momento di silenzio, che contribuì a rafforzare l’affermazione.
Inghilterra lo fissò: aveva un atteggiamento differente da quello che aveva tenuto con lui. Ricordava bene i suoi continui doppi sensi, i suoi tentativi espliciti di palparlo e - soprattutto - il suo essere estremamente vanitoso.
Qualche volta avevano anche bisticciato per quello, ma erano stati litigi effimeri.
Tuttavia, in quel frangente, del perché si comportasse in modo così insolito, non gliene importava proprio niente.
Quel momento fu però spezzato nel giro di pochissimo dalla replica sprezzante del britannico.
«Ah, ti dispiace! Adesso ti dispiace per avermi trattato come un giocattolo sessuale?».
Si sentiva ferito, ma in fondo sentiva che era giusto così, che diceva la verità.
«Non avevo mai avuto una relazione con un uomo prima» cercò di spiegare Francia, abbassando gli occhi «E ho creduto che andasse bene fare semplicemente sesso».
Nella sua voce c’era traccia di rimorso e anche di vergogna, seppur più soffusa.
«E invece no» lo corresse Arthur con fare scocciato «Anche se è una cosa tra due... maschi» esitò un momento, riuscendogli ancora bizzarra come situazione «... non significa che comporti solo sesso».
«Ora l’ho capito» disse Francis risoluto, alzando gli occhi azzurri, specchiandosi in quelli verdi del britannico.
«Per questo voglio un’altra possibilità».
Adesso il suo tono era un po’ più deciso e striato di una lieve nota d’arroganza, come se si fosse improvvisamente ripreso o avesse superato un momento difficile.
«Un’altra possibilità?» ripeté Inghilterra, poi rise.
«Ah! Ne hai già avuta una!».
Bonnefoy parve irritarsi.
«Non commetterò più lo stesso errore!» esclamò e, preso il viso di Kirkland tra le dita, lo attirò a sé deciso, staccandolo dalla parete.
Le sue labbra incontrarono quelle dell’inglese all’improvviso, facendo sobbalzare quest’ultimo, ma non ricercarono le sue con la foga che Arthur ricordava: la bocca ricercava la sua con morbidezza e moti languidi.
Inghilterra sentì riesplodergli potente nel petto quel sentimento ardente che aveva provato nei primi giorni della loro relazione e, portato da esso, intensificò il contatto, cercandolo con più desiderio.
Le mani di Francis gli scivolarono lungo la schiena fino al sedere, sul quale si soffermò, accarezzando e toccando come se fosse sua esclusiva proprietà.
Inghilterra avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma non riusciva a mettere insieme i pensieri né tantomeno le parole per farlo.
Si stava eccitando - come gli stava facendo presente una ben visibile parte del suo corpo che si stava pericolosamente drizzando - e non era un bene.
Sentì l’inguine di Francia aderire contro il suo parzialmente eretto e per un momento temette che Bonnefoy volesse spogliarlo per fare sesso lì, in piedi nel bagno, voltandosi e facendosi penetrare come aveva fatto tante volte per farsi portare all’orgasmo gridando e sospirando di piacere.
Il francese lo costrinse ad allargare le gambe, infilandocisi nel mezzo.
Arthur sentiva il cuore battergli ad un ritmo forsennato nel petto, quasi volesse uscire.
Poi, all’improvviso, Francis interruppe il bacio e lo fissò con un sorrisetto sghembo sulle labbra.
«Eri già pronto a farlo, mh?» commentò sarcastico, riferendosi in modo evidente all’erezione che faceva prepotentemente mostra di sé dall’interno dei pantaloni dell’inglese e che pareva essere aumentata parecchio in quell’esiguo arco di tempo.
Adesso era di nuovo il francese che aveva conosciuto.
Inghilterra arrossì violentemente.
«È colpa tua!» sbottò irritato «E perché ti sei infilato tra le mie gambe?»
«Volevo sentire quanto ti eri eccitato» fu l’eloquente risposta che ricevette, accompagnata da un occhiolino alquanto provocante che lo fece arrossire ancor di più.
Fece per replicare, ma Francia lo precedette: «Allora... torniamo insieme?».
Inghilterra lo guardò storto per qualche momento, infastidito dal repentino ritorno al suo carattere originario, poi rispose: «Okay... ma basta con il sesso a tutte le ore del giorno!».
«Trés bien» rispose Bonnefoy, voltandosi e precedendolo fuori.
«Allora, chi mi vuole?» esclamò ammiccando, rivolgendosi ai clienti - che nel frattempo erano aumentati.
In risposta gli giunsero dei fischi d’approvazione e delle grida.
Arthur lo superò, imbarazzato dal suo comportamento così libertino, e si avviò verso il suo tavolo, sul quale era rimasto il suo Cinnamon Apple Spice ormai freddo, che bevve comunque volentieri.
In fondo, se non voleva che Francia lo usasse per soddisfare ogni suo sfizio sessuale, doveva pur permettergli di sfogarsi su qualcun altro.

rating: safe, pairing: francia/inghilterra, fandom: axis powers hetalia

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