Kimono - una sfida per Inghilterra

Jun 29, 2011 09:02

Titolo: Kimono - una sfida per Inghilterra
Rating: Verde
Genere: Generale, Slice of life
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Kiku Honda (Giappone)
Wordcount: 2712 (fiumidiparole)
Prompt: 20 Clothes / 018. Kimono @ casti_puri
Giappone lo scrutava con uno sguardo che lasciava trapelare appena - a differenza del solito - il fatto che fosse sovrappensiero.
Il silenzio perdurò ancora qualche minuto, il tempo che il padrone di casa impiegò a decidere se porre il quesito che gli ronzava in mente da un po' di tempo a questa parte - più o meno da qualche ora prima che il suo ospite arrivasse.
«Inghilterra...» cominciò in tono timido.
«S-sì...?».
«Questa sera c'è una festa al tempio e... pensavo che... sarebbe bello andare» propose.

Da quando si erano conosciuti ed erano diventati amici, Inghilterra e Giappone si frequentavano molto.
Talvolta Kiku si recava a casa di Arthur, ma la maggior parte delle volte era quest'ultimo che andava a trovare l'altro, non tanto perché non gli andava di ospitarlo in casa propria, quanto piuttosto perché il giapponese aveva qualche evidente difficoltà a stare in mezzo agli occidentali, soprattutto quelli che non conosceva.
Come l'inglese non aveva tardato a constatare, era di carattere decisamente chiuso.

Inghilterra si fermò alla fine del vialetto che attraversava il giardino di Giappone, davanti alla porta di casa.
Suonò il campanello, abbassando poi gli occhi per passare in rassegna i suoi abiti: la giacca era senza una grinza, la cravatta annodata alla perfezione, la camicia al suo posto, col colletto ripiegato perfettamente.
Sembrava ordinato ed impeccabile, come sempre.
Quando rialzò lo sguardo si trovò davanti il viso di Kiku, che lo osservava con composto interesse.
Arthur arrossì intorno alle orecchie: colto mentre stava controllando se era a posto. Una delle classiche figurette che si sarebbe volentieri risparmiato.
A ciò si aggiungeva l'espressione del giapponese, talmente penetrante da metterlo in soggezione.
«Ehm... ciao» salutò l'inglese, a disagio.
«Salve» replicò Kiku, facendo un lieve inchino con il capo, spostandosi poi per farlo entrare.
Sulla soglia Arthur si ricordò di togliere le scarpe - non fosse mai che suscitasse qualche reazione sgradita nel padrone di casa.
Giappone lo accompagnò lungo il corridoio, precedendolo in silenzio.
Inghilterra era un po' in difficoltà: il silenzio che regnava attorno a loro era teso e gli riusciva abbastanza ostico, nonostante non sapesse che cosa fare per mutare la situazione. Per quanto si arrovellasse, non riusciva a trovare un qualche argomento con cui "rompere il ghiaccio".
Dopo qualche minuto giunsero finalmente nella stanza adibita a sala da pranzo.
«Ho appena preparato del thé» disse Giappone, mentre Arthur si sedeva al tavolo che occupava il centro della stanza «Ne vuoi un po’?».
Non era come il thé inglese di cui andava tanto matto, ma comunque thé era.
«Sì, grazie volentieri» accettò cortesemente Inghilterra.
Kiku uscì dalla stanza, lasciando il suo ospite da solo.
Inghilterra si guardò intorno, esaminando le pareti e l'arredo, visto che non aveva niente da fare finché Giappone non fosse tornato.
Doveva riuscire a trovare un qualche argomento grazie al quale potessero parlare un po', ma era difficile: non lo conosceva ancora abbastanza da poter discutere di qualsiasi cosa.
«Aaah! Ma che figura ci faccio?! Devo riprendermi!» esclamò tra sé e sé, scuotendo il capo «Sono Inghilterra, ce la posso fare!».
Il moro fece ritorno poco dopo con un vassoio su cui trasportava una teiera e due tazzine in classico stile orientale, molto semplice.
S'inginocchiò al tavolo e versò il thé, porgendo una tazzina al suo ospite, che la prese molto volentieri: aveva bisogno di una scusa concreta e tangibile per giustificare il suo silenzio.
Il thé aveva un sapore diverso da quello cui Arthur era abituato, ma lo trovava comunque delizioso.
Giappone lo scrutava con uno sguardo che lasciava trapelare appena - a differenza del solito - il fatto che fosse sovrappensiero.
Il silenzio perdurò ancora qualche minuto, il tempo che il padrone di casa impiegò a decidere se porre il quesito che gli ronzava in mente da un po' di tempo a questa parte - più o meno da qualche ora prima che il suo ospite arrivasse.
Inghilterra lo vide posare la sua tazzina di thé vuota e puntare i suoi occhi castani su di lui con rinnovata determinazione ed intensità, fatto che gli preannunciò la sua intenzione di discutere di qualcosa che reputava particolarmente importante.
«Inghilterra...» cominciò in tono timido.
«S-sì...?».
Alla fine era stato lui a cominciare un discorso. In fondo, era meglio così: Arthur si sentiva in grado di poter intavolare una discussione con Kiku su qualsiasi argomento.
«Questa sera c'è una festa al tempio e... pensavo che... sarebbe bello andare» propose.
La nota di risoluzione che prima accendeva i suoi occhi c'era ancora, anche se velata da imbarazzo, ma la sensazione che per lui fosse una cosa importante continuava a persistere ai sensi dell'inglese.
Quest'ultimo gli sorrise e annuì, poi guardò l'orologio.
«Certo, va bene. Sarà una bella esperienza...! Però è già pomeriggio inoltrato, per cui è meglio se mi affretto ad andare a casa a cambiarmi. Non posso venire vestit...» esordì, alzandosi.
«Ehm... Inghilterra» lo interruppe Giappone timidamente «Per le feste che si svolgono nel tempio è tradizione indossare un kimono...».
Seguì un silenzio colmo di disagio che si perpetrò nell'arco d'interi minuti, mentre i due si guardavano. Arthur era sempre più imbarazzato e si vedeva dal rossore che dalle orecchie gli si stava diffondendo in tutto il viso.
Aveva appena fatto una clamorosa figuraccia. Avrebbe dovuto aspettare che Giappone gli spiegasse i dettagli, prima di parlare, così da evitare di sottolineare il suo fanatismo per gli abiti eleganti ma secondo i canoni inglesi. Avrebbe potuto anche prevedere una "restrizione" del genere: il Giappone era stato isolato dal resto del mondo fino a poco tempo prima e, di conseguenza, aveva maturato tradizioni che non corrispondevano obbligatoriamente a quelle cui era abituato come occidentale.
Il problema adesso era che doveva mettere un vestito che non era composto del tipico abbinamento "pantaloni-camicia-giacca" che a lui piaceva tanto, ma un kimono, che era un abito di fattura completamente differente.
Non ne aveva mai visto uno vero e proprio prima di allora, ma solamente le stoffe con cui erano preparati, che aveva trovato meravigliose per le fantasie floreali dai colori e le sfumature particolari e curate nei minimi dettagli.
Il fatto che non conoscesse neppure di vista il capo d'abbigliamento giocava senz'altro a suo sfavore, ma confidava nell'aiuto decisivo di Kiku - il quale seguitava a scrutarlo, impassibile, come in attesa di qualcosa.
«O-okay» accettò il britannico, sperando di non fare un'altra figura da stupido - ma temendolo fortemente.
Giappone si alzò a propria volta e disse, accennando un a stento percepibile sorriso: «Vieni».
E condusse il biondo attraverso un altro corridoio, verso una meta ignota all'ospite.
Il silenzio che vigeva in quel momento era di attesa, ma non era più sgradevole: in esso Inghilterra riusciva a percepire una tacita intesa che non gli creava il minimo fastidio.
Giappone si fermò davanti ad una porta scorrevole chiusa che aprì lentamente, dando modo all'inglese di vedere l'interno: gli unici pezzi d'arredo erano il mobile in legno scuro che occupava l'estremo angolo a sinistra della stanza e la coperta che c'era al centro della stanza, ossia il letto.
Le pareti erano tutte spoglie e, ad un'occhiata attenta, Inghilterra notò un'anta scorrevole nell'angolo della parete destra.
Con tutte le probabilità, quella era la sua camera.
Kiku avanzò all'interno, andando ad aprire proprio la piccola anta scorrevole, infilandocisi per metà dentro all'evidente ricerca di qualcosa.
Arthur entrò e si fermò vicino al letto, in attesa - di cosa, nemmeno lui avrebbe saputo dirlo con precisione.
Inghilterra vide il moro spuntare dall'armadio con un lungo abito appoggiato sul braccio. La fantasia floreale era bella ed i colori predominanti erano un verde brillante ed un giallo pastello che si appaiavano alla perfezione, accompagnati da altri colori.
«Bello...» mormorò Arthur, sorpreso.
«Spero di riuscire a farlo bene...» disse Kiku, avvicinandosi a lui. Inghilterra non capì, ma si astenne dal chiedere: voleva evitare altre figuracce.
Si guardarono qualche attimo, poi Giappone deviò lo sguardo.
«Ehm... d-dovresti spogliarti...» continuò, a disagio per la richiesta.
«A-ah...» borbottò il britannico, cominciando a sbottonarsi la camicia.
Il giapponese gli diede le spalle per lasciargli almeno un minimo margine di privacy, cosicché potesse togliersi gli abiti senza vergognarsi.
Inghilterra, appena fu rimasto con nient'altro indosso se non le mutande, ripiegò i vestiti e li appoggiò a terra.
«Puoi girarti...» concesse.
Giappone obbedì e, senza soffermarsi minimamente a contemplare la sua semi nudità, disse: «Ora stai fermo, per favore...».
Giappone srotolò quello che inizialmente Arthur credeva essere un abito e che invece si rivelò essere solamente il tessuto con cui il kimono veniva fatto.
L'inglese sbatté confuso le palpebre, ma fece come richiestogli e rimase immobile. Vide Giappone andare a prendere una scatola da uno dei ripiani più bassi del mobile e poi tornare.
Come Inghilterra non tardò a scoprire, in quella scatolina altro non c'era che spille, ago e filo. Nelle intenzioni di Kiku c'era quella di cucirgli il kimono su misura, sul momento.
Inghilterra si sorprese non poco dell'abilità con cui Giappone riusciva a giostrarsi tra la stoffa e l'occorrente per il cucito: non l'aveva mai visto così attivo ed impegnato. Nei suoi occhi, inoltre, riusciva a leggere una scintilla di determinazione che gli riusciva totalmente nuova. Sembrava che stesse spendendo la sua stessa anima in quel che stava facendo.
Lui continuava a rimanere immobile dove si trovava, intimorito dall'idea di poter essere infilzato per sbaglio da uno spillo.
Il lavoro richiese delle ore, alla fine delle quali Arthur aveva bisogno di sgranchirsi i muscoli delle gambe e non solo quelli.
«Finito?» domandò, vedendo Kiku fare qualche passo indietro e studiarlo con attenzione.
Il moro annuì con un impercettibile cenno del capo, senza perciò distrarsi.
Riusciva a cogliere una sorta di "aura" tradizionale giapponese irradiare dall'abito che aveva appena finito di cucire.
Inghilterra stava con le braccia semi alzate in una posa che gli dava un'aria un po' ingenua.
Spostò le braccia e si guardò, sorprendendosi di come il tessuto gli aderisse perfettamente al torace.
«Err... c'è uno specchio?» domandò. Un fugace rossore gli infiammò le guance nel porre la richiesta.
«Sì, di qua» rispose l'altro, guidandolo fuori della stanza in una poco distante e molto più piccola, anch'essa spoglia di ogni arredo, fatta eccezione per un grosso specchio con tanto d'aste di sostegno posto vicino alla parete opposta alla porta.
Immediatamente Arthur vide riflessa la propria immagine e rimase a contemplare l'operato del giapponese: il verde acceso ricordava il colore della sua solita uniforme e si appaiava al colore dei suoi occhi, mentre il giallo riprendeva il colore dei suoi capelli.
Gli altri colori - più precisamente blu, rosa e arancione brillanti - servivano a dare un tocco d'astrattismo che gli donava particolarmente. Il kimono ricalcava per intero la sua figura e, attorno al ventre, era fasciato da un pezzo di stoffa scuro che teneva insieme l'abito.
L'unica pecca era che non ci si trovava proprio a camminare senza scarpe. Nemmeno a casa sua lo faceva.
«Bellissimo...» commentò, strabiliato: trovava che quel look orientale tutto sommato gli donasse.
«Trovi?» chiese Giappone, sollevato: temeva che avesse fallito nel preparargli il vestito, che non fosse riuscito a soddisfarlo.
«Sì. Fantastico!» esclamò con più forza l'inglese.
«Bene. Vado a prepararmi e poi andiamo. Aspettami nella sala da pranzo»
«Okay».
Arthur tornò nella stanza dove avevano bevuto il thé e attese. Non fu una lunga attesa - o almeno, non lunga quanto lui pensava: dopo solo una quarantina di minuti vide riapparire il moro con indosso un kimono blu a fiori celesti.
«Wow, bello!» commentò, entusiasta.
«Grazie. Tieni» rispose il giapponese, porgendogli un paio di classiche infradito di legno con due striscioline dello stesso materiale posizionate alle due estremità della calzatura, a qualche centimetro dai bordi.
«Ah... grazie» fece il biondo, prendendole ed indossandole. Non erano il massimo della comodità per i suoi standard, ma era convinto che avrebbe potuto adattarsi e resistere per una sera.
«Andiamo?» chiese.
«Mmh» mugolò l'altro, annuendo, ed uscirono, diretti al tempio.
Il britannico aveva qualche problemino a camminare vestito in quel modo, visto che era costretto a procedere a piccoli passi, ma era del tutto certo che col tempo ci si sarebbe abituato.
Partirono di casa che il sole stava tramontando ed arrivarono ai piedi delle scale che conducevano al tempio che nel cielo si accendevano già le prime stelle.
Gruppetti di persone si apprestavano a salire le scale cui le due nazioni si trovavano innanzi - grandi e piccoli, persone di ogni età, tutte rigorosamente in kimono.
Arthur contemplò la scalinata che li aspettava: pareva immensa e senza fine ed era sormontata da archi di legno pitturati di rosso, eppure la trovava meravigliosa per la sua maestosa formalità, nonostante fosse molto semplice nella struttura in sé.
«È altissima...!» commentò, allibito: sperava di farcela a raggiungere la cima.
«Andiamo» lo esortò Giappone in tono incoraggiante, incamminandosi.
E così, salirono.
Come aveva in un certo senso previsto, Arthur trovò una gran difficoltà nel salire i gradini per via dei movimenti limitati dall'abito. Si stancò anche un po', ma la soddisfazione e la bellezza della vista che si godeva dalla cima lo ricompensarono dello sforzo: lanterne di carta colorate e fantasiose pendevano da fili pressoché invisibili sul passaggio creato dalle due file di banchi che correvano a perdita d'occhio. Le luci delle lanterne erano calde ed infondevano un senso di profonda quiete ed un’atmosfera familiare e allegra.
Per ogni dove c'erano persone, chi intento a parlare, chi a mangiare, chi in altro, mentre i bambini correvano e giocavano.
«Wow...» borbottò il britannico, meravigliato.
Era la prima volta che vedeva un posto che sembrava così... magico.
«È stupendo! Non ci sono posti così in Inghilterra!» si complimentò.
«Sono felice che ti piaccia» disse Kiku, stirando le labbra in quello che solo remotamente avrebbe potuto passare per un sorriso «Vieni» aggiunse poi, precedendolo verso le bancarelle.
Inghilterra lo seguì subito, guardandosi intorno con la curiosità e la meraviglia che avrebbe potuto provare un bambino: era tutto così bello...!
Cominciarono a visitare - su insistenza di Inghilterra, che non voleva perdersi niente - ogni stand che incontravano - tutti incredibilmente di giochi, alcuni dei quali interessarono a tal punto l'inglese da convincerlo a provarli anche.
Giappone non aveva niente da dire: era felice che il suo nuovo amico si stesse divertendo e lui lo seguiva ovunque come un'ombra, parlando solo se interpellato.
Lo leggeva negli occhi dell’amico: era semplicemente entusiasta.
«Hai fame?» domandò Giappone dopo un po', guardando il suo ospite - il quale aveva appena concluso l'ennesima sessione di tiro al bersaglio.
Solo allora Arthur si rese conto dell'appetitoso aroma che pervadeva l'aria, realizzando al contempo che sì, effettivamente sentiva un certo languorino.
«A dir la verità, ora che me l'hai chiesto, un po' di fame l'avrei...» ammise il biondo, un poco imbarazzato nel dover rivelare una simile necessità.
«Allora vieni...» lo esortò il moro, conducendolo verso un altro stand, dall'altro lato dell'andito principale.
Attorno ad esso c'era un intenso e delizioso profumo di cibo che alimentò la fame del britannico, che si sporse incuriosito. L'uomo dall'altra parte del banco stava cucinando delle specie di polpette dall'aria decisamente invitante.
Kiku ne comprò due porzioni e ne offrì una all'amico, che accettò di buon grado.
«Grazie» disse, iniziando a mangiare mentre si allontanavano.
Ne assaggiò una ed esclamò un sentito: «È buonissima!».
«Sì» convenne il moro.
E ambedue proseguirono.

«Sono distrutto...» mormorò Inghilterra, sospirando «Però è stato divertente!».
Giappone gli camminava accanto, osservandolo.
«Sono lieto che ti sia piaciuto» disse.
Stavano facendo ritorno alla casa di Giappone, che l'avrebbe ospitato per quella notte. Arthur sentiva le gambe a pezzi, ma più che altro iniziava a stare scomodo nel kimono e a voler indossare di nuovo qualcosa che gli permettesse di muoversi liberamente.
Alla lunga essere costretto nei vestiti lo stancava, ma non voleva che Giappone si accorgesse del suo disagio.
Doveva ammettere, però, che finché non aveva cominciato a stancarsi, l'abito non gli aveva dato poi tanto fastidio. Era solamente questione d'abitudine.
Arrivarono qualche minuto più tardi a destinazione, con sommo piacere degli indolenziti muscoli del britannico.
Appena entrati, Kiku andò a guardare l'ora in sala da pranzo.
«È mezzanotte passata» esclamò, sentendo arrivare nella stanza il suo ospite.
Inghilterra sbadigliò, curandosi di nasconderlo dietro la mano.
«Di già?» domandò «Allora meglio andare a dormire» concluse, riscontrando l'approvazione del giapponese in un suo silente assenso col capo.
Kiku fece strada ad Arthur verso la stanza degli ospiti, che era praticamente diventata la sua stanza, visto che era l'unico ospite frequente che si fermava anche a dormire.
Una volta dentro, l'aiutò a togliersi il kimono, poi uscì augurandogli la buonanotte.
La gioia dell'inglese quando le sue gambe furono svincolate dalla rigidità dell'abito festivo fu immensa e gli permise di rivolgere la sua attenzione a problemi più urgenti, come ad esempio il prepararsi per la notte.
Guardandosi attorno, Inghilterra notò che, accanto ai suoi "abiti da notte" giapponesi - una veste che somigliava al kimono, ma che era decisamente più larga e comoda - c'erano anche, ordinatamente ripiegati ed impilati, gli indumenti con cui si era recato lì quel pomeriggio. Giappone doveva essersi premurato di portarli lì prima di uscire - probabilmente immaginando che quella notte sarebbero rincasati tardi.
Era stato un gesto carino.
L'inglese indossò il "pigiama" quanto più in fretta poté, poi si sedette a terra, sul sottile materasso del suo letto e s'infilò sotto la sua coperta con la bandiera britannica, che in quel momento gli sembrava così allettante e calda.
Si sdraiò su un fianco, rintanandosi ben bene, poi chiuse gli occhi e lasciò che Morfeo lo circondasse con le sue confortevoli braccia, cullandolo e trasportandolo lentamente verso il sonno più profondo... ed il tanto sospirato riposo.

rating: safe, fandom: axis powers hetalia

Previous post Next post
Up