Sep 08, 2009 11:49
La serata è stata del tutto identica ad altre centinaia di serate in famiglia - cena tutti assieme, trasferimento in massa con dislocazione omogenea fra divano e poltrone, davanti alla tv, distribuzione di birra e patatine e, se proprio si ha ancora fame, schifezze varie ed eventuali tirate fuori dallo stipetto apposito, che Charlie sembra conoscere con la stessa precisione e devozione che riserva ai suoi calcoli - e perciò Don non si sente disorientato, quando apre gli occhi sullo schermo spento del televisore, la stanza immersa nel silenzio, e l’unico suono che scuote l’aria è quello della penna di Charlie che scivola veloce sulla carta di uno dei suoi taccuini.
- Ti sei svegliato. - constata suo fratello con un mezzo sorriso imbarazzato nella voce, - Non ti ho svegliato io, vero?
- No. - risponde Don, mettendosi seduto e sbadigliando sonoramente, - Come diavolo avresti potuto? Sei più silenzioso di un gatto.
- E tu hai il sonno più pesante di quello di un orso in letargo. - ridacchia Charlie, stiracchiandosi sulla poltrona, - Te l’ha mai detto nessuno?
- Sì. - ride Don, - Sì, qualcuno. Che ore sono? - chiede, notando l’assenza di papà in salotto.
- Uh. - borbotta Charlie, allungando il collo alla ricerca dell’orologio a muro, - Le- oh. Le tre. - sussurra un po’ incerto, tornando a cercare gli occhi di suo fratello, come a volersi scusare, - Mi dispiace, non mi sono reso conto… intendo, e poi dormivi, credevo che-
- Ehi, ehi, ehi… - lo ferma lui, mettendo una mano avanti mentre con la mano libera massaggia la nuca e il collo indolenziti dalla posizione scomoda che aveva assunto durante il sonno sul divano. - Non è colpa tua, okay? Niente scuse. E comunque non è un problema, su, ormai è tardi per tornare a casa, prendo una coperta e un cuscino e-
- Oh! - annuisce Charlie, scattando in piedi e mettendosi immediatamente in movimento senza il minimo problema, come se il suo fisico non risentisse minimamente della lunga immobilità, - Certo, certo! Coperta, cuscino. - elenca sbrigativamente, - Già mezz’ora fa, circa, ci avevo pensato. - spiega, allungandosi a recuperare, appunto, una coperta e un cuscino dalla poltrona lasciata libera da suo padre, - Solo che poi ho avuto paura di disturbarti, intendo, dormivi così serenamente, e visto tutto quello che è successo oggi io ho pensato che-
- Sì, ma Charlie. - sospira pesantemente Don, stendendo il braccio sano per farsi porgere il cuscino, - Piantala di fare così. Davvero, questa cosa ti ha agitato troppo.
Charlie abbassa lo sguardo, sorpassando Don per sistemare il lenzuolo sul divano.
- Io non… - cerca di spiegarsi, muovendosi nervosamente per appuntare il lenzuolo sotto i cuscini, - Io non avevo mai pensato a quanto potesse essere pericoloso. - deglutisce faticosamente, - Tu, capisci, tu sei sempre stato molto sereno, e-
- E lo sono ancora.
- Ma io no! - si ferma all’improvviso Charlie, sollevando lo sguardo su di lui e lasciando ricadere il lenzuolo a metà fra divano e pavimento, respirando un po’ a fatica. - Io no. - ribadisce, tornando ad abbassare lo sguardo. - Quando sono arrivato alla banca c’era quell’agente morto a terra e tutto quel sangue, e tu non c’eri, ed io ho pensato… ho pensato…
- Charlie. - lo interrompe Don, poggiandogli una mano sulla spalle ed abbassandosi appena, per catturare i suoi occhi e riportarli nei propri, - Charlie, ascoltami. È il mio lavoro, questo. La mia vita è a rischio ogni giorno, è per questo che cerco di essere un agente responsabile, per evitare che capitino cose spiacevoli.
- E lo sei! - insiste Charlie, agitato, - Lo sei, sei molto responsabile, incredibilmente responsabile, ma io- - e nel muoversi, nel gesticolare animatamente per cercare di spiegare a suo fratello qual è il punto della situazione, e cioè che è preoccupato a morte, che il vederlo ferito l’ha turbato molto più di quanto non riesca ad ammettere nemmeno con se stesso, che il solo pensiero di trovare lui chiuso in un sacchetto di plastica e pronto per l’obitorio lo manda al manicomio, nel cercare di spiegare ad alta voce tutto questo, di esprimerlo con un senso, così che Don possa capirlo senza fraintendimenti, si agita troppo e colpisce il suo braccio sinistro.
- Ah- Attento, ehi, la ferita si sta ancora rimarginando. - gli fa notare Don, e il suo tono è pacato e tranquillo, ma questo a Charlie non basta.
- Oddio. - mormora dispiaciuto, - Oddio, scusa, non volevo. - balbetta, sfiorando appena la ferita da sopra la camicia, - Ti ho fatto molto male?
- No, non- Charlie, seriamente. - lo ferma ancora, fissandolo negli occhi con decisione, - Devi calmarti. Saperti così agitato non mi aiuta e certamente agitarti non fa per niente bene neanche a te, d’accordo? Perciò ora prendi un bel respiro… - e si ferma finché non lo osserva respirare profondamente, - e dimmi cosa posso fare per tranquillizzarti un po’.
Charlie si inumidisce le labbra, gli occhi scuri resi un po’ opachi dalla preoccupazione, ed inspira ancora.
- La ferita… in che condizioni è esattamente? - chiede infine, tornando a guardarlo con un’aria un po’ persa che gli ricorda com’era quando era un bambino.
- Sta guarendo rapidamente. - sorride Don, soddisfatto, - Vuoi vederla? Questo ti aiuterebbe?
- Non lo so. - risponde sinceramente Charlie, gli occhi che vagano svelti su qualsiasi punto della stanza che non coinvolga la presenza di Don, - Non ne ho idea, però… forse sì.
Don annuisce pratico, e comincia a spogliarsi. Le dita non esitano neanche un attimo, mentre scivolano veloci lungo i bottoni della camicia, aprendoli uno dopo l’altro. Charlie osserva il tessuto bianco scivolare lungo le spalle di suo fratello, e poi guarda l’enorme fasciatura che copre la ferita fin sotto il gomito, e deglutisce.
- Coraggio. - lo esorta Don, calmissimo, - Scioglila.
Charlie solleva lo sguardo, incerto.
- Io? - chiede, indicandosi esitante.
- Sì, tu. - sorride Don, vagamente divertito, - Andiamo. Poi la rimetti anche a posto.
- Non so se sarò-
- Lo sarai. - lo interrompe suo fratello, guardandolo dritto negli occhi. - Forza.
Charlie annuisce mestamente, individuando il punto in cui la fasciatura è stata fissata e cominciando a svolgerla con la stessa meticolosa cura che riserverebbe ad un’equazione. Senza affrettare i passaggi, muovendosi piano da uno strato all’altro, cercando di mantenere il bendaggio già sciolto il più ordinato possibile, senza creare caos. Sbagliare potrebbe portarlo a tirare troppo forte, a muoversi in maniera goffa, a far male a Don. Don non ha bisogno che anche suo fratello gli faccia male, e perciò Charlie sta bene attento a non combinare disastri.
Quando la ferita viene alla luce, Don soffia un po’ per il fastidio che prova nel sentirla esposta all’aria aperta nonostante non sia ancora del tutto rimarginata, e Charlie mormora un “mi dispiace” che si perde in un balbettio confuso quando solleva una mano e la lascia scorrere per tutta la lunghezza del suo braccio in una carezza impalpabile, che non lo sfiora mai, nemmeno una volta.
- Forse è meglio se non la tocchi. - suggerisce Don, guardandolo con una certa curiosità. La mano di Charlie resta lì a mezz’aria, non si avvicina ma nemmeno si allontana, sembra davvero che abbia l’intenzione di accarezzarlo così, sulla breve distanza, ad un paio di centimetri da lui. Qualcosa di molto simile a una scossa elettrica sembra partire dalle dita un po’ tremolanti di Charlie e condensarsi lungo tutta la superficie del corpo di Don, infastidendolo un po’. Ma non chiede a suo fratello di allontanarsi, e resta a guardarlo anche quando si china sul suo braccio e lascia un bacio asciuttissimo e appena percettibile un paio di centimetri sopra la sua ferita.
- …okay. - ridacchia Don, imbarazzato, incerto fra la possibilità di spostarsi qualche centimetro e quella di rimanere lì immobile dov’è (e quella di chiedere a Charlie di farlo di nuovo, perché nel momento esatto in cui le sue labbra l’hanno sfiorato tutta l’elettricità statica che s’era accumulata sulla sua pelle s’è condensata ed è esplosa in una scossa che gli ha fatto male almeno quanto l’ha fatto stare bene), - Questo è stato strano.
- Mi dispiace. - sussurra ancora Charlie, rimettendosi dritto e perdendosi nuovamente nei suoi occhi, - Mi… - ma non conclude la frase, perché si sporge in avanti e lo stesso identico bacio che ha riservato al suo braccio, pochi secondi prima, finisce adesso sulle sue labbra. Ugualmente asciutto, ugualmente tenero, e la scossa esplode di nuovo, e Don credeva di non averne altra, di elettricità accumulata, ma invece evidentemente non era così.
Charlie si allontana da lui e lo guarda implorante, come fosse in cerca di una risposta. Don vorrebbe ricordargli che lui ne ha sempre avute poche, lui è quello delle domande, le risposte non sono la sua materia, non dovrebbe cercarle nei suoi occhi, ma dentro di sé. E invece non riesce a fare altro che schiudere le labbra e boccheggiare senza un senso, e quando Charlie abbassa gli occhi, si morde un labbro e mormora “suppongo che questo sia ancora più strano”, Don scatta in avanti e lo afferra per le spalle, e stringe, stringe, stringe, anche se la ferita fa male, sperando non si apra, sperando di non macchiare niente, stringe e stringe e se lo tira contro, e nel momento in cui lo bacia, il suo bacio è molto diverso da quello che Charlie gli ha dato poco prima, è umido e aperto e caotico e violento, è molto più da lui, e Charlie lo lascia fare, aggrappandosi alle sue spalle per paura di cadere, chinando il capo per agevolarlo nei movimenti, stringendosi a lui e mugolando appena quando le sue mani scendono all’altezza dei suoi fianchi e li stringono fra le dita con la forza di una tenaglia, in una richiesta muta che più che chiedere ordina.
Il divano li accoglie entrambi con un mugolio sinistro, Don si separa da Charlie il tempo necessario per mordersi un labbro e soffocare con un dolore più recente e controllato il dolore che gli ha investito tutto il braccio in seguito allo strattone deciso che Charlie gli ha rifilato inciampando, cadendo fra i cuscini e trascinandolo con sé.
- Mi di- - prova ad accennare Charlie, e Don lo bacia ancora, con forza.
- Basta dispiacerti. - ansima sulle sue labbra, intrufolandosi fra le sue gambe ed accogliendo in punta di lingua il suo mugolio spaventato e confuso, - Basta sentirti in colpa. Basta scuse. - e lo guarda attentamente, prima di baciarlo ancora.
Charlie si perde del tutto, chiude gli occhi ed allaccia le gambe attorno ai suoi fianchi, intrecciandole dietro la sua schiena e strusciandosi lentamente contro di lui, la forma chiara e turgida dell’erezione di Don che si preme contro la sua attraverso i jeans, e i vestiti non sono abbastanza per impedire ad entrambi di sentire quanto si vogliono, ma l’imbarazzo li frena dallo spingersi più avanti di così - l’imbarazzo ed il fatto che sì, questo è ancora più strano di un bacio sul braccio, ma è più strano anche di un bacio sulla bocca - perciò tutto ciò che riescono a fare è continuare a strofinarsi l’uno contro l’altro, al punto che sembra si stiano solo accarezzando, ma non è così, perché Charlie mugola e Don ringhia e tutti questi piccoli suoni finiscono catturati dalle loro labbra, Don intrappola la voce di Charlie nella sua gola seguendo in una scia umida la linea del suo collo, Charlie interrompe i ringhi di Don a metà stringendosi convulsamente contro di lui e muovendosi più veloce, più veloce, più veloce, finché i confini delle cose si sfumano e diventano impalpabili, e perfino i confini fra i loro corpi si annullano del tutto, e non esistono più.
Il lenzuolo s’è staccato dagli angoli dei cuscini ai quali Charlie l’aveva sommariamente appuntato, e a causa del loro movimenti frenetici è scivolato quasi tutto per terra, così che adesso quel po’ dei loro corpi che è riuscito a sfuggire dai vestiti - le braccia di Don, libere dalla camicia, la schiena di Charlie, scoperta dalla maglietta che s’è arrotolata tutta fin quasi alle scapole - si appiccica fastidiosamente al tessuto del divano, lasciando aloni d’umido che scompaiono subito ma dei quali Charlie non è certo che non rimarrà traccia l’indomani. Forse ci sarà da lavare la tappezzeria - e di sicuro ci sarà da avviare la lavatrice, visto il disastro che c’è nei suoi pantaloni e che dovrebbe rispecchiare in pieno il disastro che c’è nei pantaloni di Don.
Don che si rifiuta di guardarlo e tiene gli occhi chiusi, la fronte appoggiata alla sua e il respiro pesante.
- Posso scusarmi, adesso? - chiede Charlie, timoroso, - Per… questo, e per tutto il resto.
Don apre gli occhi, finalmente, e lo scruta a lungo, senza una parola. Poi lo bacia ancora, lievissimo, all’angolo della bocca.
- No. - risponde semplicemente. E, quando si rialza in piedi, la prima cosa che fa è tendere a Charlie la mano del braccio sano, per aiutarlo ad alzarsi a propria volta.
*
Note. Secondo timido tentativo Eppescest - per quanto mi renda conto che alla gente nomale potrebbe sembrare non ci sia nulla di timido nel prendere due fratelli e metterli a strusciarsi l’uno contro l’altro su un divano. Uuuh. Credetemi, rispetto a ciò che scrivo in genere, è timido *annuisce*
Il titolo non mi piace, ma non sono riuscita a pensare a niente di meglio e If You Had My Love che ho su winamp adesso non sta aiutando X’D Perciò ve lo tenete =P
autore: lisachan,
fanfiction,
numb3rs