Titolo: Se ti raffreddi non potrai nuotare...
Fandom: Free! - Iwatobi swim club
Rating: verde
Personaggi: Matsuoka Rin, Nanase Haruka, comparse: Makoto, Nagisa, Rei.
Pairings: Rin/Haruka
Riassunto: "Perché sì, Haru era pacificamente addormentato e con suo grande sconcerto, orrore e un variegato misto di emozioni che non avrebbe saputo catalogare, Rin si rese conto che erano anche praticamente abbracciati. O meglio, tecnicamente il braccio di Haru era sulla sua schiena mentre il proprio sui fianchi dell’altro. Una situazione che stava facendo crescere il lui la voglia di saltare giù dal letto con un ringhio come se il materasso fosse stato imbottito di spine e solo dopo un istante si rese conto che probabilmente non si sarebbe ripresentata mai più in tutta la sua vita."
Disclaimer: Free! e tutti i suoi personaggi appartengono alla Kyoto Animation.
Note: Post regionali.
Beta:
Word count: 2672 (fdp)
Ogni volta era la stessa storia: quando c’era da organizzare un incontro, una festa o un semplice ritrovo finiva sempre che ci si incontrava tutti a casa di Haru. Le scuse erano più o meno sempre le stesse: è vicina a scuola, la sala è grande, i genitori non ci sono. Al diretto interessato la cosa non andava particolarmente a genio, specialmente quando Nagisa portava degli alcolici e il tutto degenerava nel modo peggiore. Ecco, in quelle occasioni Haruka aveva solo voglia di chiudersi in bagno e immergersi nella vasca, l’abbraccio dell’acqua era l’unico che riusciva a rilassarlo e ad allontanare tutto il caos provocato da quelle invasioni.
Quella sera però c’era qualcosa di diverso. No, non si trattava di Nagisa che aveva lanciato la folle idea della festa per celebrare la vittoria (in una gara in cui, tra l’altro, erano stati squalificati), non era nemmeno Rei che borbottava che tutto quell’alcool avrebbe fatto male ai loro fisici da atleti, e neanche Makoto che aveva obiettato quanto potesse essere sconveniente trascinare ad un simile incontro qualcuno che avrebbe dovuto rendere conto della propria assenza da altri luoghi. Niente di tutto questo. La nota discordante era proprio quel qualcuno in questione: Rin.
Nagisa aveva insistito per invitarlo anche se non rientrare al dormitorio entro una certa ora presupponeva che non vi rientrasse affatto. Nessuno si era posto il problema di dove avrebbe passato la notte, nemmeno lo stesso Rin, quindi Haruka non vedeva il motivo di preoccuparsene a sua volta. In ogni caso Rin era lì, a casa sua, dopo anni di distacco e incomprensioni, a fare baldoria per una vittoria di cui non importava niente a nessuno al di fuori di quella stanza e sembrava anche divertirsi. Esattamente come previsto, avevano esagerato tutti nel bere, incentivati dall’entusiasmo di Nagisa, e uno dopo l’altro erano miseramente crollati sia per la stanchezza che per lo stordimento. Rei era stato il primo ad addormentarsi steso sul pavimento, improponibilmente avvinghiato al biondo, il quale non sembrava porsi il minimo problema, anzi si divertiva a stuzzicarlo. Rin era stato il successivo ad appisolarsi, ancora con il bicchiere in mano e con la schiena appoggiata alla parete. Era stato semplicemente un caso che quando Haru aveva sentito le palpebre farsi pesanti si fosse trovato seduto accanto a lui ed era sempre stato un caso che la sua testa fosse finita sulla spalla dell’amico: era stanco, aveva bevuto e certo non aveva badato a dove si stava appoggiando, voleva solo dormire in santa pace.
La mano che lo scosse quelli che gli erano sembrati solo pochi minuti dopo, lo infastidì al punto che tentò di scacciarla.
«Haru… È tardi. »
La voce inconfondibile di Makoto lo indusse a desistere dal tentativo.
«Accompagno a casa Nagisa e Rei. » continuò il ragazzo. «Non mi fido a lasciarli andare da soli. Tu riesci ad alzarti? Se vuoi ti aiuto a portare a letto Rin. »
Haruka mugugnò qualcosa d’intellegibile in risposta, prima che il suo cervello elaborasse l’ultima parte della frase: perché avrebbero dovuto portare a letto Rin? Gli occorse ancora un istante per capire com’era stato subdolamente incastrato: chiaro, se non voleva che Rin dormisse per strada avrebbe dovuto ospitarlo.
«Ce la faccio. » rispose senza specificare a quale delle due domande si riferisse.
Makoto si alzò dalla posizione chinata che aveva assunto per parlargli e sorrise pacatamente.
«D’accordo, però se hai bisogno di qualcosa chiamami pure a qualunque ora. Terrò il cellulare sul comodino. »
Mentre lo vedeva avvicinarsi a Rei e Nagisa nel tentativo di farli alzare, Haruka si chiese se fosse il caso di ringraziare per quella sollecitudine o trovarla vagamente fastidiosa. Alla fine si limitò ad annuire e a sperare che i tre se ne andassero in fretta, se non altro per tornare a dormire. Solo quando finalmente la porta d’ingresso si chiuse e la casa ripiombò nel silenzio realizzò che, in effetti, forse non era il caso di continuare a dormire sul pavimento. La spalla di Rin era comoda, ma il muro iniziava a fargli venire mal di schiena e uno sgradevole freddo umido gli si stava insinuando nelle ossa attraverso la maglietta leggera. Sospirando, si tirò in piedi, quasi infastidito dal dover interrompere il contatto con il corpo caldo del rosso: doveva essere tutto l’alcool ingerito a farlo reagire in quel modo. Senza dire una parola, tentò quindi di sollevarlo tirandolo per un braccio, ma l’altro non reagì minimamente. Di portalo in spalla non se ne parlava proprio, quindi l’unica soluzione era tentare di farlo riavere almeno un minimo.
«Ehi, svegliati. » tentò di chiamarlo scuotendolo leggermente.
Non ottenendo risposte ma solo uno sbuffo, Haruka si risolse a passare alle maniere forti.
«Se non ti alzi giuro che ti lascio qui, così ti raffredderai e non potrai nuotare per il tutto il prossimo mese! »
Davanti a quelle parole ebbe almeno la soddisfazione di vedere un occhio dell’altro aprirsi e mostrare l’iride scarlatta lucida per la sbornia.
«Haru-chan…»
«Non chiamarmi in quel modo! E adesso alzati! »
Lo prese di nuovo per un braccio, se lo passò attorno alle spalle e sollevò l’altro quasi di peso, visto che le gambe non sembravano avere molta intenzione di collaborare. Trascinarlo fino alla camera da letto fu una mezza impresa e quando la raggiunsero Haru valutò seriamente l’idea di lasciarlo lì sul pavimento, prendere un futon e andare a dormire in cucina, o ancora meglio in bagno. Purtroppo aveva troppo sonno per tutte quelle complicate operazioni, quindi lasciò perdere ancora prima di cominciare e portò Rin fino al letto convincendolo a sdraiarvisi mentre quello gli si era letteralmente aggrappato alla maglia.
«Haru-chan…» mormorò di nuovo, e aveva un’espressione talmente diversa da quella bellicosa che era solito mostrare, talmente indifesa con le guance rosse e le ciglia che tremavano nel tentativo di aprire gli occhi, che Haruka desistette dall’intenzione di sgridarlo di nuovo.
Quelli erano i momenti in cui era grato che Rin fosse tornato nella sua vita, anche se questo aveva significato sconvolgerla per la seconda volta, gli attimi in cui, al di sotto della maschera di adolescente spaccone, rivedeva il ragazzino esuberante che lo aveva trascinato nella sua prima avventura di nuoto di squadra durante l’infanzia. All’epoca lo aveva considerato la creatura più irritante mai incontrata, eppure ora si scopriva ad avere nostalgia di quei momenti spensierati. Probabilmente fu per quello sprazzo di sentimentalismo, o per il sakè di Nagisa, o forse ancora per il sonno che lo portava a compiere azioni di cui non era pienamente consapevole, fatto sta che mentre accompagnava Rin ad appoggiare la testa sul cuscino, lo seguì a sua volta posando le labbra sulle sue. Fu un contatto estremamente breve, dal quale Haruka si staccò quasi subito, ma solo per sdraiarsi al suo fianco. Del resto quello era il suo letto e non esisteva proprio che rinunciasse alla possibilità di dormirvi.
A svegliare Rin fu senza dubbio la troppa luce della stanza, cosa estremamente seccante se si considerava che sentiva il corpo e la testa pesanti come se fossero macigni. Se così non fosse stato, non avrebbe esitato a ringhiare contro Nitori di abbassare la tapparella o per lo meno chiudere le tende. Senza contare che era davvero strano che tanto chiarore arrivasse fino a lui che occupava la parte bassa del letto a castello, di solito il suo posto era molto più riparato. E poi aveva caldo, come se avesse dormito con una coperta di troppo.
Profondamente infastidito da tutti questi fattori discordanti che disturbavano il suo risveglio, aprì un occhio con tutte le intenzioni di cantarne quattro al suo coinquilino distratto, ma subito lo richiuse non appena realizzò cos’aveva visto. No, era impossibile, di certo stava ancora sognando, ora avrebbe aperto gli occhi di nuovo e si sarebbe trovato nel dormitorio della Samezuka con Nitori che russava nel letto sopra il suo. Tuttavia il secondo tentativo non ebbe esiti molto diversi e servì solo a confermargli che il volto a pochi centimetri dal suo era effettivamente quello di Haruka, lo stesso Haruka per cui aveva avuto una fissa per anni, che era stato il suo unico e vero rivale sportivo, per il quale aveva da sempre una cotta stratosferica e che la sera prima, se non andava errato, aveva accettato di ospitare una sorta di rimpatriata a casa sua. Tutto questo però non spiegava perché stesse dormendo con lui. Perché sì, Haru era pacificamente addormentato e con suo grande sconcerto, orrore e un variegato misto di emozioni che non avrebbe saputo catalogare, Rin si rese conto che erano anche praticamente abbracciati. O meglio, tecnicamente il braccio di Haru era sulla sua schiena mentre il proprio sui fianchi dell’altro. Una situazione che stava facendo crescere il lui la voglia di saltare giù dal letto con un ringhio come se il materasso fosse stato imbottito di spine e solo dopo un istante si rese conto che probabilmente non si sarebbe ripresentata mai più in tutta la sua vita. Era assolutamente incredibile avere Haru così vicino, con quell’aria così indifesa, le ciglia scure abbassate e le labbra rosa appena dischiuse nel leggero respiro del sonno. Probabilmente, anzi, sicuramente, non avevano mai avuto quel genere di contatto nemmeno prima che lui partisse per l’Australia e il loro rapporto andasse a farsi benedire. E lo amava, diamine quanto lo amava e quanto avrebbe voluto baciarlo in quel momento!
Non appena lo realizzò, capì anche che doveva andarsene subito, prima di commettere qualche gesto inconsulto con cui si sarebbe giocato definitivamente la poca stima che gli amici, che Haruka, aveva ancora per lui. Per questo scivolò fuori dal letto tentando di essere il più delicato possibile per non svegliare l’altro, cosa assai difficile per uno come lui, che non aveva mai prestato più di tanto attenzione all’effetto dei suoi movimenti sugli altri. Fortunatamente non gli fu complicato ritrovare la propria felpa, posata sulla sedia accanto alla scrivania, anche se il solo pensare che Haru l’avesse ripiegata con cura invece di lasciarla appallottolata in qualche angolo gli trasmetteva una strana sensazione. Doveva muoversi. Lanciò un’ultima occhiata al ragazzo addormentato, mordendosi il labbro inferiore per reprimere qualunque istinto gli suggerisse di fare una qualsiasi altra cosa, e uscì dalla stanza.
Nel corridoio faceva freddo, evidentemente qualcuno aveva dimenticato una finestra aperta da qualche parte, e dall’esterno proveniva l’inconfondibile scrosciare della pioggia. Prima, stupito com’era di trovarsi in quella situazione bizzarra e imbarazzante, non vi aveva fatto caso. Quasi per lo stesso motivo, ripensando alle braccia che fino a poco prima lo stavano stringendo, si ritrovò ad arrossire come non gli era mai capitato. Per questo, al culmine dell’imbarazzo, irruppe nella sala dove avevano festeggiato la sera prima, senza preoccuparsi troppo del rumore che poteva fare la porta scorrevole, preso solo dalla fretta di allontanarsi. Lo spettacolo che gli si presentò davanti lo fece inorridire e lo stato in cui si trovava il locale avrebbe fatto accapponare la pelle al suo già parecchio disordinato coinquilino. Rin, a dispetto delle apparenze, era un tipo metodico che detestava il caos, quindi la stanza che appariva reduce da un uragano gli fu difficile da ignorare e contribuì solo ad accrescere la sua fretta di andarsene. Non si fermò nemmeno a cercare un ombrello, semplicemente attraversò l’ingresso e uscì sotto la pioggia battente. In un attimo i vestiti leggeri s’inzupparono d’acqua e i ciuffi rossi s’incollarono al viso.
Quella situazione gli trasmetteva una sensazione di malinconia, un sentimento che lo colpì all’improvviso e che gli impedì di allontanarsi di corsa come aveva preventivato. Per questo rimase lì, con lo sguardo rivolto a terra, la frangia gocciolante che gli copriva gli occhi e mille pensieri che gli affollavano la mente. Ogni volta che si soffermava a riflettere su come si era comportato nel recente passato, provava un acuto senso di perdita, come se il suo ostinato impuntarsi non avesse fatto altro che allontanarlo sempre di più da quello che era il suo reale obiettivo, ed erano servite a poco le scuse e le presupposte riconciliazioni. Se si guardava alle spalle vedeva solo del gran tempo sprecato e un rapporto che non sarebbe mai più tornato ad essere quello di prima, ma che nemmeno si sarebbe evoluto in qualcosa di meglio. Per colpa del suo orgoglio aveva mandato all’aria ogni possibile avvicinamento ad Haruka e non poteva prendersela con nessuno, la responsabilità era solo ed esclusivamente sua. Che idiota! Se avesse avuto il coraggio di ammettere prima che quello che più gl’importava non era una stupida competizione, ma il fatto che quegli occhi azzurri come l’oceano più profondo fossero fissi su di lui, probabilmente ora non si sarebbe trovato senza via d’uscita. Anche se era riuscito a rimettere a posto le cose con gli altri, con Haruka aveva l’impressione di non avere più carte da giocare e questo lo gettava in uno stato di scoraggiamento da cui non aveva idea di come uscire.
«Te ne vai di nuovo? »
La voce alle sue spalle, unita all’improvvisa mancanza della pioggia che gli scrosciava addosso, lo stupì e lo portò a voltarsi lentamente. Haru era dietro di lui, con un ombrello in mano a riparare entrambi: era assurdo che non l’avesse nemmeno sentito arrivare.
«Dovresti fare qualcosa per questa brutta abitudine. »
Era forse la frase più lunga che gli aveva sentito pronunciare da quando si erano ritrovati: anche alle sue provocazioni Haru non aveva mai risposto, se non con sguardi affranti. Questa volta invece era Rin a non trovare le parole per rispondere, a rimanere a fissarlo con gli occhi inaspettatamente lucidi. Haruka era l’unica persona sulla faccia della terra capace di scatenare in lui una reazione simile.
«Non vuoi che me ne vada? » trovò la forza di dire dopo un attimo.
«No. »
Beh, era già qualcosa. Anzi, era qualcosa di incredibile.
«Vuoi davvero che resti qui? »
«Puoi fare quello che vuoi. » continuò Haruka senza cambiare espressione. «Ma se rimaniamo sotto la pioggia ci raffredderemo entrambi e non potremo nuotare…»
La parola “insieme” aleggiò tra loro come se fosse stata davvero pronunciata, o almeno quella era l’impressione di Rin, l’unico motivo per cui mise da parte quel poco di orgoglio che gli era rimasto e che finora lo aveva frenato: con un solo passo avanti, circondò le spalle di Haru e lo strinse a sé in un abbraccio un po’ disperato. Questa volta non erano a bordo piscina, non c’era l’euforia della vittoria a giustificare il gesto, aveva semplicemente sentito l’impulso di farlo e l’aveva fatto. Quando sentì le mani di Haru posarsi sulla sua schiena, prima esitanti, poi più decise nel ricambiare la stretta, quasi non osò pensare che si trattasse di qualcosa di diverso da un sogno, anche se la pioggia fredda che scorreva su di loro, non più fermata dall’ombrello finito chissà dove, gli confermava che non era così.
«Allora credo proprio che mi fermerò ancora un po’, almeno finché non smette di piovere. » riuscì infine a dire.
Era tutto estremamente fastidioso: la pioggia, il freddo dopo essersi appena svegliato, il leggero mal di testa che gli era rimasto dalla sera prima e il fatto che Rin fosse stato di nuovo sul punto di andarsene senza avvertirlo. Ecco, quella era la cosa peggiore, che faceva salire in Haruka una gran voglia di urlargli contro, anche se sapeva benissimo che sarebbe servito solo a sollevare altre questioni su cui non aveva nessuna intenzione di mettersi a discutere. Tutto quello che gli importava in quel momento era essere riuscito a fermarlo e allo stesso tempo anche a cancellare ogni brutta sensazione. Perché sì, gli abbracci di Rin erano in grado di azzerare ogni altra sensazione che non comprendesse il contatto con il corpo dell’altro. Era stato così il giorno della gara, in cui si era scordato per un attimo del motivo per cui la gente attorno a loro stava urlando, ed era così anche adesso. Non aveva più importanza se stava piovendo o se si stavano bagnando, Rin lo stava abbracciando dicendo che non se ne sarebbe andato ed era sufficiente, anche senza discorsi e spiegazioni.
«Rientriamo. » disse, anche se restio a sciogliere il contatto. «Preparo la colazione. È rimasto dello sgombro all’ananas. »
Rin sarebbe rimasto con lui e il fatto che adesso stesse ridendo rendeva tutto un po’ più bello.