Titolo: "1010" - Capitolo 1
Rating: G
Conteggio parole: 9.941
Lista dei capitoli:
qui Note d'autore: la storia ha una disposizione temporale particolare. L’inizio di questo capitolo - per intenderci la parte in corsivo - così come le brevi introduzioni che apriranno i capitoli successivi sono da collocarsi temporalmente nel dicembre 2002, mentre la narrazione riprende poi esattamente dalla fine del settimo libro, epilogo escluso (quindi, per i poco matematici tipo la Rowling, dal maggio del 1998). So che è poco chiaro, ma abbiate pazienza. Diciamo che, nel complesso, la fic è un enorme flashback.
Non ho visto nessuno
Andare incontro a un calcio in faccia
Con la tua calma
Indifferenza
Sembra quasi che ti piaccia
Lasciarsi un giorno a Roma - Niccolò Fabi
“Mi stavi aspettando?”
Draco scrutò la sala immersa nella semioscurità con aria sarcastica. Potter era seduto sul divano di fronte al caminetto e le fiamme, riflettendosi sulle lenti degli occhiali, gettavano ombre tremolanti sul suo viso immobile. Non mosse un muscolo se non per chiudere gli occhi brevemente, e quando li riaprì riprese a fissare dritto davanti a sè.
“Che scena tragica…” riprese Draco, alzando un sopracciglio. “Non riesco proprio ad immaginare cosa possa aver fatto per meritarmi un simile spettacolo…”
“Non lo sai, eh?” arrivò la fredda risposta di Potter.
Il volto di Malfoy si fece serio all’udire la nota pericolosa nella voce di Harry. Non poteva fare sul serio, pensò, vero?
“Qual è il problema, stavolta?” chiese, nascondendo alla perfezione l’inquietudine dietro l’usuale tono annoiato.
L’unica risposta che ottenne fu un’altra domanda.
“Dove sei stato?”
Draco si tolse il mantello bagnato e lo gettò sullo schienale del divano con un gesto stizzito.
“In giro, dove se no?” rispose frettolosamente, sapendo già dove li avrebbe condotti quella particolare discussione.
“Quello l’avrei potuto dire io stesso,” rispose Potter, la voce ancora notevolmente calma nonostante il suo ovvio tormento interiore. Girò la testa, guardando in faccia Draco per la prima volta da quando era rientrato, e lo fissò dritto negli occhi, furente. “Ciò che intendevo, chiaramente, era a fare cosa… E con chi…”
Le labbra di Draco si serrarono. Respirò a fondo un paio di volte, ricambiando lo sguardo di Harry con altrettanta intensità, poi si voltò verso l’antico tavolo di quercia alla sua destra e vi si avvicinò silenziosamente. Lentamente vi appoggiò la propria borsa e l’aprì, indaffarandosi, in apparenza, con alcuni fogli di pergamena ivi contenuti. Ci fu un lungo minuto di silenzio, poi dal giovane uomo seduto sul divano giunse un ringhio furioso.
“Che stai facendo?”
Non ottenne risposta.
“Malfoy, sto parlando con te!” insistè, alzando la voce.
“Peccato che io non abbia alcuna intenzione di parlarti, Potter,” ribattè Draco, girandosi soltanto per un secondo per scoccargli un sorriso falso e sgradevole.
Ci fu un momento di completa immobilità, poi Harry si alzò e coprì la distanza tra sé e Draco con incredibile velocità, lo afferrò per una spalla e lo obbligò a voltarsi.
“Non mi dare le spalle!” lo minacciò, puntandogli il dito indice in faccia, il suo volto ora palese specchio della sua ira. “Rispondimi.”
“O?” Draco lo sfidò con aria di scherno.
“Non osare usare quel tono con me, stasera,” lo ammonì Harry con un ringhio profondo, “non sto scherzando.”
“Sei paranoico.”
Draco lo spinse via e lo superò, tornando al divano.
“Sei stato con lei.”
Sentendo quelle parole, presagite ma ciononostante inconcepibili, Draco si voltò a guardare Potter con incredulità.
“Di che diavolo…?”
“Ti ho visto,” continuò Harry, acquistando più sicurezza.
“Mi hai visto fare cosa?”
“Parlarle.” Harry sorrise amaramente, fissando il fuoco scoppiettante. “Pensi che sia completamente cieco? Te la stavi praticamente scopando con gli occhi. E la cosa non sembrava dispiacerle…”
“Hai davvero perso le ultime briciole di cervello che ti erano rimaste!” esclamò Draco.
“Allora, ti è piaciuto?” chiese Harry, ignorando le sue parole.
“Ho lavorato come un mulo, brutto stronzo!” urlò Draco, esasperato. “Parlo con centinaia di persone al giorno; cosa dovrei fare, diventare un eremita per farti felice?”
“È lei… Mi avevi promesso che non le avresti più parlato,” insistè Harry, abbassando lo sguardo.
“Tutto questo è ridicolo…” mormorò Draco.
“Non sono ridicolo!” Harry lo interruppe, rialzando gli occhi, nei quali luccicava un’espressione ferita. “Sei tu! E lei, e… Non mi dai alcun motivo per fidarmi di te!”
“Con chi hai vissuto negli ultimi due anni, eh?” chiese Draco disgustato.
“Ti devo ricordare che sei stato tu a lasciarmi dopo due mesi per andare a scoparti il mondo?” lo attaccò Harry.
“Esatto! Ed è stato due anni e mezzo fa! Cos’è, me lo vuoi rinfacciare, tipo, per il resto della mia vita?!”
“Sto solo dicendo che ho delle ottime ragioni per essere geloso di quella troia del Ministero!”
Draco sentì il sangue che gli andava alla testa e cercò di controllarsi.
“Adesso basta, piantala di dare addosso agli altri. È un tuo problema, dovresti risolverlo da te.”
Harry si girò a fissare di nuovo il caminetto. Draco pensò per un momento che il peggio fosse passato e che la conversazione si potesse considerare chiusa. Sfortunatamente, scoprì presto di essersi completamente sbagliato.
“Certo, il piccolo problema che sembri avere a letto con me è un mio problema…” biascicò sottovoce, sapendo perfettamente che Draco l’avrebbe sentito lo stesso.
“Cosa vorresti dire?” chiese infatti il biondo, avvertendo la propria rabbia ribollire nuovamente.
“Niente…” disse Harry, scuotendo la testa con voce sdegnosa.
“No, sentiamo. Sono curioso,” disse Draco, incrociando le braccia.
“Forse non l’hai notato, ma ultimamente non siamo proprio affiatati a letto.”
“Potrei farti notare che tu non ci sei mai,” sottolineò Draco, infastidito dall’attuale argomento di litigio. “ E comunque abbiamo scopato tre giorni fa.”
“Oh, certo, come ho potuto dimenticarmene, è stato così intenso…” commentò Harry in tono ancor più sarcastico.
Draco si infiammò, toccato nel proprio orgoglio di uomo.
“Non sembravi lamentarti. Piuttosto il contrario… Non che la tua partecipazione si sia rivelata essenziale. Da come ti muovevi, avrei potuto scoparmi la testata del letto e trarne più soddisfazione…”
“Non è che le tue prestazioni recenti mi abbiano spinto a chiederne ancora,” replicò Harry, sicuro di colpire un punto dolente.
“Che cazzo vorresti dire?”
“Sono certo che tu abbia rimosso lo spiacevole avvenimento dalla tua mente, ma io ricordo perfettamente l’ultima volta che l’abbiamo fatto, tre giorni fa.”
Le guance di Draco si colorarono di rosa e strinse i denti mentre Harry continuava.
“Lascia che ti rinfreschi la memoria. Quanto è durato? Quattro minuti in tutto, forse?”
“Erano passati dieci giorni dall’ultima volta!”
“Per entrambi, dolcezza…”
“Sì, ed è per questo che tu sei durato esattamente trenta secondi più di me.”
“Che motivo avevo di trattenermi? Tu avevi già finito…”
“Dovresti ringraziarmi, invece. Se non fosse per me che almeno cerco di metterti le mani addosso passeremmo le serate a dormire come due vecchi di settant’anni.”
“Sai che tragedia...”
Draco urlò di rabbia per evitare di esplodere.
“Che stai cercando di dimostrare?” chiese, avvicinandosi a lui di due passi.
“Io?” rispose Harry con aria innocente.
“Sì, tu, piccolo bastardo. A che gioco stai giocando? Sei insopportabile.”
“Mi fa piacere vedere che riesco ancora a farti infuriare dopo tutti questi anni.”
Harry lasciò la stanza, ma Malfoy fu lesto a seguirlo e lo trattenne per un braccio.
“Dove pensi di andare?”
“Di sopra. Ho sonno,” rispose Potter, scrollandosi di dosso la mano di Draco.
“Oh, no, non te la caverai così facilmente…” ringhiò Malfoy.
“Non abbiamo nient’altro da dirci.”
“Abbiamo un casino di cose da dirci,” insistè Draco, fermando di nuovo Harry, che aveva fatto qualche passo in direzione delle scale.
“Lasciami andare, Malfoy!” gridò Harry, allontanando rudemente il compagno.
“Non so che cazzo ti passa per quella testa, ma se pensavi di mettere a posto le cose tra noi mostrandomi a che livello di follia sei arrivato, be’, mi spiace, ma non ha funzionato.”
“Non ho niente da mostrarti. Sai già tutto.” Harry, di colpo, non pareva più intenzionato a salire al piano superiore. In effetti, si stava trattenendo dal gettarsi su Draco e ridurlo ad un unico ammasso di dolore. E continuò ad urlare, sapendo fin troppo bene quanto Draco lo odiasse. “Da quanto tempo ne parliamo?”
“Parliamo?” ripetè sarcastico Malfoy, ridendo forzatamente.
“Parliamo, discutiamo… Fa lo stesso. Non riusciamo a sopportarci, ormai è chiaro.”
“Sono piuttosto sicuro che se ne siano accorti tutti fin dai tempi della scuola.”
Harry lo fissò disgustato.
“Non sei cambiato di una virgola.”
Il mento di Draco parve quasi cadere per l’espressione di pura incredulità che seguì.
“Io non… Potter, stai veramente superando il limite stasera,” sibilò minacciosamente.
“Sei sempre stato uno stronzo arrogante, convinto di poter fare tutto ciò che volevi solo per il nome che portavi. Pensi ancora di essere migliore di chiunque altro, il più intelligente, il più bello… Ma guardati! Sempre perfetto coi tuoi vestiti costosi, sempre con quell’aria snob… E pretendi che io mi pieghi ai tuoi desideri come tutti gli altri, che me ne stia zitto e ringrazi dio di essere stato così fortunato da averti nel mio letto, quando mi tratti come se fossi un cretino incapace di badare a me stesso? Be’, scordatelo! Sei la persona più egoista che io abbia mai incontrato, non ti importa di niente e di nessuno a parte te. Sai, a volte rimpiango di averti salvato il culo. Avrei dovuto lasciarti avere ciò che ti meritavi.”
Inaspettatamente, Draco ricambiò il suo sguardo in silenzio per tutto il tempo, e alla fine un ghigno maligno comparve sul suo volto.
“Una descrizione piuttosto accurata, se non avessi dimenticato di menzionare che in effetti sono la persona più affascinante e intelligente che tu conosca.” Il ghigno si allargò mentre continuava. “Ed è interessante vedere che continui ad andare a letto con qualcuno che disprezzi così tanto. Devi essere davvero disperato…”
“Mi chiedo se un giorno ti ci strozzerai col tuo stupido orgoglio.” Harry soppesò l’uomo di fronte a sé e risollevò la testa cercandone gli occhi. “Hai ragione, non vedo perché dovrei continuare a perdere il mio tempo con te.”
“Stai cercando di rompere con me?”
La domanda era seria, ora, lo scherno di prima completamente svanito.
“Non ho mai detto questo.”
“Ma l’hai sottinteso, no?” La rabbia di Draco cresceva di minuto in minuto.
“Tra noi è tutto finito, ed è palese. Non credo esista neanche più un noi. Ma non sarò io a metterci la parola fine.”
“Sei completamente pazzo!” urlò Malfoy. “Non posso continuare così! Sei un codardo e un ipocrita. Hai organizzato tutta questa messa in scena solo per farmi incazzare abbastanza da mollarti!”
“Non…”
“Non voglio sentire altre cazzate! Vattene e non tornare finchè non sarai rinsavito!”
“Questa è casa MIA, coglione. Non crederai di potermici sbattere fuori così.”
“È esattamente quello che sto facendo.”
“Bene. Buona nottata solitaria. ME NE VADO!” sbottò Harry.
Con uno spintone fece indietreggiare Draco, scansandolo dalla propria strada, quindi si diresse a lunghi passi verso la porta d’ingresso. Afferrò la maniglia, la girò ed il vento freddo della notte d’inizio dicembre lo investì con una sferzata di pioggia gelida. Tremando lievemente si rese conto di non avere addosso il proprio mantello.
“Dove credi di andare? Torna qui, per l’amor di Merlino!”
Harry stava per tornare sui suoi passi, ma sentendo l’irritante voce di Malfoy si fece più risoluto. Con un respiro profondo si avventurò nell’oscurità del temporale.
“Potter! Sta piovendo, imbecille di una talpa!” Draco corse all’ingresso e vide Harry raggiungere lentamente la strada, coprendosi come meglio poteva dalla pioggia battente. “Che eroe tragico! Ti senti meglio ora che ti sei ridotto da far schifo? Ti senti più realizzato? Povero, povero san Potty, che soffre tanto per colpa di quel cattivone di Draco Malfoy!”
Harry non rispose al suo ultimo atto di scherno, ma continuò ad allontanarsi senza voltarsi indietro.
“Torna qui, idiota!” urlò Draco, mentre il moro scompariva nella notte. “Potter!”
E poi Harry se n’era andato. Draco rimase sulla soglia per quasi un minuto, attendendo che la sagoma del compagno tornasse, ma inutilmente. Alla fine, quando il pensiero di quanto dovesse sembrare patetico in quel momento lo colpì, si voltò e tornò in casa, chiudendo fuori il gelo. Si spostò in sala e si accostò al divano, guardando il fuoco e sibilando tra sé “Coglione”. Quindi uno scatto rabbioso ruppe la sua immobilità e sferrò un calcio allo schienale del mobile con tutte le proprie forze.
“Cazzo!” imprecò, aumentando la stretta sul velluto del divano e affondandovi le unghie.
Fissò le proprie nocche bianche, respirando a fondo per contenere la frustrazione e la rabbia, poi buttò la testa all’indietro, posando gli occhi sul vecchio lampadario che pendeva dal soffitto. Gli pareva che qualcosa di enorme lo avesse colpito alla sprovvista e non sapeva da che parte cominciare a mettere insieme i pezzi della propria vita. La sua relazione con Potter era sempre stata, per lui, una specie di rete di salvataggio. Gli aveva davvero salvato il culo e si erano divertiti insieme, non poteva negarlo; tuttavia, ultimamente, il compagno gli era parso via via più irrequieto, e continuava a trovare ragioni cretine per cui finivano ad urlarsi addosso, quasi gli piacesse. Aveva cercato di mostrarsi ragionevole, sperando che la crisi passasse così com’era arrivata, ma la situazione non aveva fatto che peggiorare col passare dei mesi.
Draco si portò una mano alla testa, liberando i capelli dal nastro che li teneva legati, e vi passò in mezzo l’altra con un gesto nervoso. Sentiva un portentoso mal di testa in arrivo e la gastrite che tornava a tormentarlo. Camminò fino alla poltrona, affondandovi e coprendosi il viso con entrambe le mani. Rimase così, in attesa di un’ispirazione su cosa fare, concentrando la propria attenzione sul ticchettio del grande pendolo appeso al muro, poi sospirò, seccato. Potter non sarebbe tornato. Questo era, dal punto di vista di Draco, il tentativo più infantile di tutti i tempi per attirare l’attenzione, e dunque così tipicamente Potter. Non riusciva davvero a farsi una ragione di come fossero potuti arrivare a quel punto, dopo tutto ciò che avevano passato insieme…
***
“Lucius Malfoy, questa Corte la giudica colpevole per i reati di omicidio plurimo, tentato omicidio aggravato, eversione e cospirazione politica, associazione sovversiva con finalità di terrorismo al gruppo conosciuto come Mangiamorte, sequestro di persona, sevizie, spergiuro…”
Draco si perse nell’enumerazione dei reati imputati a suo padre. Era tutto vero, il Wizengamot aveva compilato una lista più che precisa delle sue malefatte, una lista tanto lunga che quasi aveva provocato in lui un moto di incosciente ammirazione. Tuttavia la sua mente, provata da più di un mese di soggiorno nelle celle di Azkaban, tentennava e perdeva concentrazione con facilità, virando invece verso altri lidi e strane associazioni mentali. Che questi fossero ricordi dolorosi o pensieri felici era del tutto irrilevante.
Dopo la battaglia finale e la sconfitta del Signore Oscuro, dopo la grande festa ed il ricongiungimento tra le famiglie dei sopravvissuti, a Hogwarts erano arrivati gli Auror. In verità erano sempre stati presenti, probabilmente, ma Draco non aveva avuto modo di controllare il via vai dei combattenti, preso com’era dall’urgenza di rimanere in vita, cosa che nonostante tutto sembrava riuscirgli abbastanza bene. Avevano avvicinato la sua famiglia, li avevano circondati come se ancora avesse avuto un senso tentare la fuga e li avevano portati via. Ad Azkaban, la prigione da cui suo padre era evaso, un luogo di puro terrore e sofferenza: aveva letto tutto questo e molto altro nello sguardo di puro orrore che suo padre aveva lanciato agli Auror, appena prima che li trascinassero via. Erano stati divisi, sua madre da una parte, lui e Lucius a condividere la medesima cella in attesa di essere interrogati, ascoltati e processati. Draco aveva vissuto il primo impatto con la prigione dei maghi con una mancanza di lucidità che non gli apparteneva, come se il suo corpo si fosse mosso in una specie di dormiveglia, dimenticando date e avvenimenti con la semplicità di un uomo rinchiuso da anni in un bunker. Suo padre parlava poco e di solito ciò che varcava le sue labbra non riusciva a confortarlo più di tanto. Lo trattava come un uomo, ormai, e tra uomini il miglior appoggio che si poteva fornire era non cedere, dando l’esempio.
Ricordava, Draco, che un giorno suo padre era stato preso e accompagnato da un Auror chissà dove, per essere interrogato. Presto sarebbe toccato anche a lui, ma in un primo momento la giustizia si era concentrata su chi, tra i Mangiamorte, aveva partecipato al maggior numero di azioni. Draco aveva passeggiato nervosamente su e giù per la cella, aspettando che tornasse, poi, quando le ore avevano iniziato ad allungarsi senza che gli fossero comunicate novità, si era seduto per terra, la schiena addossata al muro e le gambe strette al petto, e si era addormentato senza nemmeno rendersene conto. A quei tempi, ancora, non aveva difficoltà a prendere sonno.
Si era svegliato sentendo dei rumori meccanici e delle voci proprio fuori dalla sua cella, ma quando aveva alzato la testa aveva constatato la persistente assenza di suo padre, così l’aveva riappoggiata sulle braccia, fingendosi addormentato ma tendendo le orecchie il più possibile per captare la conversazione all’esterno.
“…agitati, come al solito,” stava dicendo la voce, sicuramente appartenente ad un uomo.
“Come se sapessero già tutto?” aveva domandato un’altra voce, anch’essa maschile ma dal timbro più profondo. A Draco era sembrato che il proprietario fosse molto stanco e afflitto.
“Sì…” aveva mugugnato il primo uomo con fare scorbutico.
“Si è svegliato?” stava chiedendo la seconda voce.
Rumore di un paio di passi strascicati, poi un tintinnio metallico ed un ulteriore scalpiccio.
“No, non dà segni di vita.”
“Non starà male?” aveva domandato la seconda voce.
Il primo uomo aveva riso, sarcastico.
“Ma chi, lui? Fidati, quello sta meglio di noi. Immagino che al signorino piaccia dormire fino a tardi…”
“Non farti sentire a parlare in questo modo,” l’aveva ammonito il secondo. “Non è ancora stato interrogato.”
“E cosa c’è da interrogare? Sappiamo tutti come si sono svolti i fatti. È colpevole e finirà rinchiuso qui dentro come sarebbe dovuto succedere anni fa, lui e tutta la sua bella famigliola.”
Draco aveva sentito il proprio orgoglio ruggire, ma aveva imparato a controllare questo genere di emozioni in favore di una ragionevolezza che riuscisse a salvargli la vita. Quindi era rimasto fermo, senza farsi scappare neppure un gemito.
“Ora esageri. Sai che sono d’accordo con te per quanto riguarda quella gente, ma questo… Insomma, guardalo, è un ragazzino, ha più o meno l’età di mio figlio. Non ha neanche terminato la scuola…”
“Io vedo solo un potenziale assassino.”
Il secondo uomo aveva sospirato. Poi aveva ripreso la parola.
“Sta di fatto che è a malapena maggiorenne. Chi lo sa come sono andate le cose veramente? Forse non ne sapeva niente. Forse non l’avrebbe fatto se…”
“E forse si è disegnato quel tatuaggio sul braccio con l’inchiostro per bullarsi con gli amici!” l’aveva interrotto la prima voce, mantenendo il tono derisorio di poco prima.
“Oh, sappiamo bene entrambi sotto quali minacce possa aver acconsentito ad unirsi a lui,” aveva replicato il secondo uomo, e nella sua voce, nonostante la discussione in corso, non c’era traccia di animosità.
“Ah, no!” aveva esclamato l’altro dopo un secondo di silenzio. “Non riuscirai a convincermi! Bel tentativo comunque.” C’era stata una risatina priva di ilarità, poi il primo uomo aveva continuato. “A proposito di gentaglia, lei l’avete già sentita?”
Un breve silenzio, quindi il primo aveva domandato “Ha confessato?”
“Non proprio. Ci ha dato una sua versione dei fatti.”
“Attendibile?”
“Abbastanza, per quel che possiamo dedurne. In realtà credo che stia cercando di minimizzare il proprio coinvolgimento e quello del figlio, ma ne verremo a capo appena sarà interrogato anche lui.”
“Se sua altezza si degnerà di svegliarsi,” aveva commentato la vocetta ironica del primo uomo.
Era seguita un’altra pausa, poi un sospiro e l’uomo sarcastico aveva parlato di nuovo.
“Il caro Lucius Malfoy questa volta è spacciato. Dovrebbe ringraziare il cielo che sia stato tolto il Bacio; fosse stato per me sarebbe stato il primo della fila.” Aveva sbuffato e aggiunto sbrigativo “Tra due ore verrò a portarlo via. Speriamo che si faccia trovare preparato.” Quindi passi che, veloci, si allontanavano.
“Dovresti dormire un po’,” aveva sentito la voce dell’uomo rimasto suggerire, poi un gran rumore metallico di serrature che si chiudevano aveva sovrastato ogni altro suono.
Draco era rimasto seduto, il cuore a mille nonostante i buoni propositi e la mente che elaborava velocemente la situazione. Che cosa avrebbe raccontato quando fossero arrivati per portarlo via?
“…evasione dal suo precedente luogo di detenzione, truffa ai danni dello Stato, estorsione, concussione e numerosi reati minori,” concluse l’omino, leggendo dalla lunga pergamena che teneva tra le mani.
Dopo la fine della guerra il Ministero fece della sua Corte di Giustizia la sua punta di diamante. Nulla rimase impunito, questa volta. Ci si impose di infliggere pene esemplari.
“La condanno quindi a scontare cinque ergastoli nella prigione di Azkaban, senza possibilità di condono, grazia o sconto di pena.”
Draco guardò suo padre, ritto di fronte alla Corte; scrutò il suo viso stanco, i suoi occhi spenti, la fronte, così segnata rispetto a solo due anni prima, e nel leggero moto di panico dietro a quella maschera insondabile lesse la consapevolezza dell’ineluttabilità della propria condanna: non ci sarebbe più stato alcun imbroglio capace di salvarlo, nessun Signore Oscuro avrebbe progettato la sua fuga, e a soli quarantaquattro anni avrebbe dovuto dire addio alla propria ricchezza, al proprio potere e alla propria libertà per le sbarre della cella che l’attendevano. Avrebbe sofferto per la sua disgrazia, Draco, se non si fosse trovato nella medesima situazione. Avrebbe fatto meglio, invece, a compiangere se stesso: Azkaban attendeva ansiosa di accogliere anche lui, che di anni ne aveva solo diciotto…
Tuttavia Draco non aveva fatto del tutto i conti con ciò che il rinnovato Ministero della Magia intendeva per pene esemplari.
“Narcissa Malfoy,” iniziò poi il giudice, e la mente di Draco, di nuovo, si assentò, occupata a rivivere un altro ricordo, più remoto.
Dopo la fuga disperata da Hogwarts, la notte dell’assassinio di Albus Dumbledore, Draco si era smaterializzato insieme a Snape in piena corsa e solo per miracolo era riapparso con tutte le membra al loro posto nel bel mezzo di una via sporca e puzzolente. L’uomo l’aveva strattonato di malagrazia fino ad una casa dall’aria abbandonata e ce l’aveva spinto dentro senza dire una parola. L’interno era polveroso e puzzava di chiuso, ma nel complesso risollevava un po’ l’idea di tugurio che dava dall’esterno.
“Perchè mi ha portato qui?” aveva chiesto Draco, ansimando per la folle corsa e nascondendo a fatica il tremito che gli rompeva la voce.
“Devo contattare tua madre. Deve venire qui all’istante,” aveva detto solamente Snape, avvicinandosi al caminetto spento.
“Cosa c’entra mia madre? No! Non la può coinvolgere!”
Draco si era diretto sicuro verso la porta e aveva fatto per aprirla, ma l’uomo gli aveva bloccato l’uscita con un gesto imperioso del braccio.
“Non appena tua madre sarà arrivata ve ne andrete. Dovete trovare un nascondiglio, almeno per un paio di giorni. Poi la contatterò io,” aveva continuato a spiegare imperturbabile Snape.
Aveva accostato la punta della bacchetta al caminetto e, pronunciando sottovoce un incantesimo, aveva fatto comparire istantaneamente una bella fiamma scoppiettante. Un altro incantesimo e Draco l’aveva osservato chinarsi verso il fuoco. Pochi secondi dopo Snape ne era riemerso, mantenendo il medesimo cipiglio preoccupato di prima. Si era messo in piedi in silenzio e si era andato a sedere nella poltrona del soggiorno senza dire una parola.
Draco era rimasto in piedi di fianco all’entrata, incerto sul da farsi, poi aveva estratto la bacchetta e l’aveva puntata verso la porta, pronto ad aprirla.
“Non osare, ragazzino. La mia pazienza ha un limite.”
La voce fredda e pacata di Snape l’aveva bloccato. Si era girato su se stesso, fissando con odio l’uomo che, nel bel mezzo di quella nottata drammatica, riusciva a starsene comodamente seduto in poltrona, e la sua visione aveva finito per inasprire la rabbia che già ribolliva in lui.
“Non ha alcun diritto di trattenermi qui. Ho il dovere di tornare dal Signore Oscuro e non intendo lasciare che lei mi metta i bastoni tra le ruote,” aveva sentenziato con voce il più controllata possibile, nonostante il tremito che gli scuoteva leggermente le spalle.
“Ancora non hai capito niente? Devi essere davvero accecato dal tuo stesso orgoglio, allora,” aveva replicato l’uomo, squadrandolo con disprezzo.
Draco aveva arricciato il labbro superiore, sentendosi insultato.
“Gliel’ho già detto, non potrà fermarmi. È riuscito a uccidere Dumbledore prima che lo facessi io, è vero, ma sono stato io a far entrare i Mangiamorte a Hogwarts. Io ho aggiustato quel maledetto aggeggio passandoci intere notti! Il Signore Oscuro sarà fiero di me e ricompenserà me e la mia famiglia con onori che lei non può neanche immaginare.”
Snape aveva scosso la testa, mentre un ghigno sarcastico gli increspava le labbra.
“Oh, ne ho un’idea molto chiara... Starete molto bene tutti insieme nella stessa fossa.”
Draco, rosso in viso, si era fiondato sul professore e l’aveva afferrato con entrambe le mani per il colletto della veste.
“Non osi mai più dire una cosa simile!” gli aveva sibilato a pochi centimetri dal volto. “Lei è solo invidioso, un lurido opportunista! Mio padre non avrebbe mai dovuto prenderla sotto la sua protezione, avrebbe dovuto lasciarla a crepare di fame per strada!”
“Non sai di cosa stai parlando, Draco…” l’aveva ammonito l’altro.
“Lei è solo uno sporco assassino!”
Lo schiaffo l’aveva colto completamente impreparato e con una forza tale da sbilanciarlo e farlo cadere a terra ai piedi di Snape. Si era coperto la guancia, che pareva andargli a fuoco, con una mano, stringendo i denti per non lasciarsi scappare alcuna lacrima, e aveva voltato il viso quanto bastava per fissare l’uomo che l’aveva colpito. Snape si era alzato in piedi e l’aveva fissato con il viso stravolto da un’espressione di pura furia.
“Non ti permettere mai più di parlarmi in questo modo. Tu non hai neanche una vaga idea di come funzionino le cose là fuori. Il tuo adorato padre non è altro che un assassino, esattamente come me. E se c’era qualcuno che mi aveva dato un’opportunità quello era Dumbledore, ma alla fine anche lui si è rivelato come tutti gli altri. Ti credi tanto grande perché hai quel marchio sul braccio? Si dà il caso che avessi Dumbledore solo e disarmato, intrappolato su quella torre, e nonostante tutto tu non hai avuto il coraggio di ucciderlo. Non sarai mai un buon Mangiamorte e quel che è peggio è che ci sono almeno quattro persone pronte a giurare di averti visto tentennare, intento a valutare se tradire l’Oscuro Signore o no. Come pensi che reagirà, non appena lo verrà a sapere? Credi davvero che gliene freghi qualcosa di avere al suo servizio un ragazzetto debole e tremante? Non hai portato a termine la missione, ti sei fatto scoprire e hai costretto me, il suo infiltrato di maggior spicco, a far saltare la propria copertura. Non gli servi più a niente. Sei solo cibo per i vermi, Draco.”
Il ragazzo aveva ascoltato tutto ansimando pesantemente, ma non per il fiatone della corsa. Quando Snape finalmente aveva smesso di sputargli addosso la sua rabbia, Draco aveva stretto le labbra, facendosi forza, e lentamente si era alzato in piedi, ma non aveva avuto il tempo di replicare, perché qualcuno aveva bussato alla porta. Anche l’uomo si era voltato a fissare l’entrata, da cui si sentivano provenire altri colpi affrettati. Snape si era mosso in quella direzione e aveva inspirato a fondo, come per calmarsi, quindi aveva aperto di uno spiraglio la porta, controllando chi fosse.
“Severus!”
Draco aveva riconosciuto immediatamente la voce di sua madre, seppure leggermente alterata dalla preoccupazione e dall’urgenza.
“Severus, Draco è con te?”
Il mago aveva aperto la porta e aveva lasciato entrare la bella donna bionda, che era sgusciata rapidamente in casa. L’uscio non era ancora stato richiuso che Narcissa già si era precipitata ad abbracciare suo figlio, tenendolo stretto a sé.
“O Merlino, Draco, sei salvo!” aveva sospirato la donna, e Draco aveva sentito suo malgrado la tensione nervosa che lo aveva fatto andare avanti fino a quel momento sciogliersi e le sue gambe farsi molli, mentre un pianto liberatorio cominciava a bruciare sotto le sue palpebre serrate.
“Dovete andarvene via subito,” li aveva richiamati Snape, ancora in piedi vicino alla porta.
Narcissa aveva rilasciato il figlio dall’abbraccio, prendendosi un secondo per accertarsi che fosse davvero in buona salute, poi si era voltata verso il mago.
“Cos’è successo?” aveva domandato, avvicinandosi a lui.
“Quello che temevi. Che temevamo tutti,” aveva risposto Snape amaramente. “Tuo figlio non è riuscito a portare a termine la sua missione e come ti avevo promesso l’ho fatto io per lui. Ora mi stanno cercando e devo raggiungere l’Oscuro Signore, ma tu e Draco dovete sparire. Ha esitato ad eseguire gli ordini. Tu sai cosa lo aspetterebbe.”
“Madre, non ascoltarlo, io devo andare…”
“No,” l’aveva interrotto severamente la donna. “Ha ragione Severus. Non avresti mai dovuto accettare un compito simile. Dobbiamo sparire prima che ci trovino.” Si era rivolta di nuovo all’ex-professore e aveva chiesto “Tu non avrai problemi?”
Snape l’aveva fissata, gelido.
“Te ne preoccupi ora?” le aveva domandato.
Narcissa non aveva risposto.
“Sarà meglio andare,” aveva mormorato alla fine. “Draco, seguimi.”
“Ma madre…”
“Niente ma, Draco. Se intendi rimanere in vita ora farai come ti dico,” aveva ordinato irremovibile la donna.
Il ragazzo aveva tentennato, poi aveva abbassato la testa e aveva seguito la madre fuori dalla porta.
“Grazie ancora, Severus. Ti dobbiamo la vita entrambi,” aveva detto Narcissa, prima di allontanarsi nell’oscurità.
“Nessuno mi deve più niente. Andatevene,” aveva ribattuto Snape, chiudendo la porta senza attendere un secondo di più.
Draco si era voltato un’ultima volta a guardare l’uomo, ma dopo pochi passi era andato a sbattere contro sua madre.
“Madre, ma che…”
“Ciao, Cissy. Sapevo che vi avrei trovati qui.”
Draco era stato colto da un sussulto di panico nell’udire la voce graffiante di sua zia Bellatrix provenire dall’oscurità lì vicino. Un secondo dopo la donna si era palesata agli occhi della sorella e del nipote.
“Bella, che vuoi?”
“Complimentarmi con mio nipote per il successo ottenuto e accompagnarvi a casa, naturalmente. L’Oscuro Signore vi attende impaziente. Non è bene farlo aspettare…”
Draco avrebbe ricordato per sempre la presa di sua madre sul suo braccio, quella stretta quasi dolorosa di amore disperato.
“Bella, non puoi…”
“Sorellina, stai davvero girando le spalle al nostro Signore?” aveva domandato Bellatrix, facendo un altro passo avanti, la bacchetta alzata e puntata contro Draco.
Narcissa si era spostata, facendo da scudo al figlio col proprio corpo.
“Lo sai che non lo farei mai,” aveva detto con voce forzatamente calma, abbassando cautamente il braccio per recuperare la propria bacchetta.
“No. Ferma,” l’aveva bloccata Bellatrix, alzando la bacchetta e puntandola con più fermezza contro la sorella. “Credi di fregarmi? Ti ho insegnato io a difenderti, ricordi?” Sul suo volto si era dipinta un’espressione che avrebbe potuto esprimere grande delusione. “Non ci posso credere. Cissy, anche tu, dopo Andromeda… Dopo tutto ciò che ci eravamo dette, ciò che ci eravamo promesse…”
“Non è per me, Bella. È per Draco.”
“Tuo figlio ha giurato fedeltà all’Oscuro Signore e risponderà a lui delle sue azioni!” l’aveva aggredita l’altra, gettando un’occhiata cupa al ragazzo.
“Lo ucciderà!” aveva esclamato Narcissa.
La strega aveva storto il viso una volta bello in un ghigno di spietato divertimento, poi aveva scosso la testa.
“Non credo. Dopotutto non ha fallito completamente, come ha fatto tuo marito. Ha diciassette anni, imparerà. L’Oscuro Signore saprà insegnargli. Certo, avrà la punizione che si merita per le sue debolezze…”
“Non posso permettere che lo torturi!” era intervenuta nuovamente Narcissa, stringendo ancor maggiormente il braccio di suo figlio, come per avere la certezza di sentirlo vicino. “Lo distruggerebbe. Bella, cerca di capire. Draco è tutto ciò che mi è rimasto.”
“Madre, posso…”
“No,” l’aveva zittito Narcissa.
“Lascia parlare il ragazzo, Cissy. Non è più un bambino, è ora che si stacchi dalle sottane della mamma. Merlino, giurerei che abbia passato tutta la sua vita a nascondersi dietro di te!”
“Io non mi nascondo dietro a nessuno!” aveva esclamato lui, raccogliendo tutto il coraggio rimastogli per aggirare la madre e mettersi al suo fianco. “Non ho paura di niente.”
“Tranne di un povero vecchio impotente e disarmato, stando a quel che si dice al quartiere generale,” aveva ribattuto Bellatrix.
Draco era rimasto a bocca aperta, incapace di rispondere.
“Lascialo stare,” si era intromessa di nuovo Narcissa, spingendo via Draco. “Mio figlio non è un assassino.”
“Peccato,” aveva risposto Bellatrix, fredda. “Allora è inutile alla causa. E ora muovetevi. Non vorrete trovarlo di cattivo umore…”
Draco aveva pensato per un attimo che la madre si sarebbe ribellata e avrebbe cercato di scappare, poi però aveva incontrato i suoi occhi e vi aveva letto rassegnazione.
“Andiamo, Draco,” aveva sussurrato fissando di nuovo alla sorella. “Tua zia ha ragione.”
Oh, pensava ancora Draco, a posteriori, avevano tutti ragione. Tutti tranne me.
“…tenendo conto della sua situazione, delle attenuanti del caso e delle testimonianze rese a suo favore, questa Corte stabilisce il non luogo a procedere e la proscioglie da ogni accusa a suo carico.”
La signora Malfoy deglutì in maniera appena visibile, ma le mani si strinsero attorno alla sbarra. Abbassò gli occhi, e Draco seppe che stava ringraziando il cielo della sua sorte. Aveva perso un marito, ma avrebbe mantenuto la sua vita e con un po’ di fortuna le avrebbero lasciato abbastanza denaro da trascorrere il resto dei suoi giorni in una dorata reclusione domestica.
“Draco Malfoy.”
Draco trattenne il respiro. Il suo destino sarebbe stato segnato nel giro di pochi secondi.
“Questa Corte la ritiene colpevole per i reati di concorso in omicidio, favoreggiamento e associazione sovversiva.”
Eccolo, Draco sentì distintamente il destino che si abbatteva su di lui. Sarebbe marcito in prigione, proprio come suo padre.
“Tuttavia le testimonianze rese in suo favore e la situazione precaria in cui si trovava le forniscono una notevole attenuante; non si può d’altronde ignorare il fatto che al momento della sua associazione ai Mangiamorte lei fosse ancora minorenne. Dispongo quindi che l’imputato sconti diciotto mesi di detenzione, dei quali nove da trascorrere presso la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dove frequenterà il settimo e ultimo anno e sosterrà gli esami finali, e i seguenti nove all’interno della prigione di Azkaban.”
Draco si sentì mancare il fiato. Il giudizio non era stato di certo quello che si era aspettato, ma non riusciva a coglierne interamente la positività. Nove mesi a Hogwarts… Sarebbe stato umiliato, deriso e isolato per nove mesi, per poi finire rinchiuso per altri nove mesi in una cella umida e sporca. Draco si sarebbe messo a ridere sguaiatamente in faccia a se stesso, se un tale comportamento non l’avesse fatto passare per pazzo. E a ben pensarci, avrebbe voluto essere pazzo con tutte le proprie forze, perché almeno non avrebbe compreso tutto ciò che gli sarebbe accaduto; purtroppo però non lo era.
“In attesa dell’inizio dell’anno scolastico sarà detenuto presso la prigione di Azkaban e sarà mantenuta la sua condizione corrente.”
Il colpo del martello tuonò, andando a sancire ciò che sarebbe stato. Draco sentì qualcosa dentro di sé cedere. Alle sue spalle, lo sguardo fisso che l’aveva accompagnato per l’intera lettura delle sentenze parve sollevarsi. Draco arrischiò un’occhiata al di sopra della propria spalla e vide di sfuggita le ciocche nere di Potter sfiorare il suo campo visivo. Lasciava l’aula, probabilmente; chi era libero poteva permetterselo e lui era l’eroe del mondo magico.
Due Auror si avvicinarono a suo padre, afferrandolo per entrambe le braccia e trascinandolo via; l’uomo non oppose resistenza. Altri due liberarono sua madre, poi si accostarono a Draco e gli ordinarono di seguirlo. Mancavano due settimane al primo di settembre, l’inizio della scuola, e fino ad allora avrebbe soggiornato nelle celle provvisorie allestite per i prigionieri. Si volse verso sua madre, implorandola con lo sguardo di non abbandonarlo, almeno lei, e finchè non fu trascinato via dagli Auror non interruppe il contatto visivo. Prima di varcare la porta dell’aula Narcissa gli sorrise, nel modo dolce che riservava sempre a lui, ma triste; poi girò l’angolo e fu di nuovo da solo. Quella sera, in cella, Draco lasciò il piatto che gli Auror gli avevano portato a raffreddare sulla mensola, intatto. Non aveva fame e più tardi scoprì che non aveva nemmeno tanto sonno.
Quando varcò la soglia di Hogwarts, la mattina del primo di settembre, ancora una volta scortato da una coppia di Auror che avevano avuto la sollecitudine di frugare in ogni sua tasca e ispezionare ogni suo avere contenuto nel baule mezzo vuoto che si trascinava dietro, Draco pesava qualche chilo di meno di quanti ne avesse addosso a giugno e non dormiva più di un paio di ore per notte da quasi un mese. Si guardò indietro, nel salire i pochi gradini d’ingresso al castello, e pensò che quello sarebbe stato l’anno più orribile della sua vita. Così iniziava la sua prigionia.
Parte seconda