[RPF] And I'll put my hands...

Dec 17, 2011 19:24

Titolo:  And I’ll put my hands over my eyes but I’ll peep through
Fandom: RPF Calcio
Personaggi/Pairing: Daniele De Rossi/Marco Borriello
Rating: R
Conteggio Parole: 2216 *SQUEE* (fidipu)
Avvertimenti: slash, fluff, lime, mild angst, biting
Prompt: 5. Qualcosa su un tuo kink @ Kyalendario (♥
el_defe)
- Barba, promptato da mia moglie + Biting (p0rn friday) @ kinkmemeita
Note: *brilla per sempre*
- NO MA VORREI FARVI NOTARE QUANTO E' BELLO IL WORDCOUNT!
- <3
- Questa è la famosa fic scritta con la tastiera su schermo *piange sangue*
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.



~ And I’ll put my hands
over my eyes but I’ll peep through.

Daniele ha le chiavi da quasi sei mesi, ormai, ma ancora insiste a citofonare ogni volta che arriva, con quella sua squillata inconfondibile, tripla e fastidiosa come il fischio dell’arbitro alla fine di una partita. Marco ha tentato in tutti i modi di fargli capire che, no, davvero, non c’è bisogno che s’annunci, Cristo, Danie’, non cresci con un fratello minore senza essere abituato ad avere gente che va e viene a cazzo di cane dalla tua stanza, dalla tua casa, a tutte le ore del giorno e della notte, per cui no che non disturba, no che non lo coglie di sorpresa, no che non lo spaventa e no che Marco non lo scambierà mai per un ladro trapuntandolo di pallettoni - con cos’è che, poi, dovrebbe spararli, quei pallettoni, è ancora tutto da capire, - ma è stato miserabilmente inutile e, in tutta sincerità, è anche piuttosto adorabile, l’ostinazione con cui Daniele puntualmente bussa, da giù, e poi cincischia due minuti interi sullo zerbino - Marco lo sente attraverso la porta, - prima di decidersi ad aprire.
Adorabile è pure la smorfia che ha sempre, una specie di broncio colpevole e imbarazzato perché, Dio santo, ancora non ce la fa a rassegnarsi all’idea che, sì, ha le chiavi di casa di Marco. Davvero.
Oggi non fa eccezione, naturalmente. Marco si sta infilando la camicia quando sente il ronzare del citofono, e ha appena finito di sistemare l’ultimo bottone, - senza occhiali, oh! Quanto è bravo, - quando Daniele s’affaccia in camera da letto.
«Oh,» dice, sventolando una mano, imbranatissimo. «Ciao, sto qua.»
«Ti vedo, Dani,» ridacchia Marco, perché, davvero, se strizza molto gli occhi lo vede, non è una cazzata, e non riesce a non sorridergli proprio troppo. Daniele sbuffa, entra in camera; viene avanti, tutto deciso, e senza neanche respirare prende il viso di Marco tra le mani e lo bacia, con tutta calma, assaggiando la sua bocca come se non la conoscesse già perfettamente.
Marco gli si allunga contro, incrocia le braccia dietro il suo collo e lo attira giù; mugola contento, quando Daniele preme e lo cerca con più insistenza, e, non appena si separano, gli dà un altro bacio, breve e asciutto.
«Ciao,» sorride, sentendosi irrimediabilmente scemo. Daniele socchiude gli occhi, tranquillo; Marco cerca di non badare troppo a quanto è piccolo e gentile il sorriso che Daniele gli fa. Ha paura che, a guardare bene, l’affetto che gli pare di leggerci possa definirsi in qualcosa di diverso, di meno bello. Fa mezzo passo indietro e, senza occhiali, Daniele gli sfugge in una forma sfocata, innocua.
«Sei pronto?»
Marco annuisce, distratto.
«Prendo la giacca e possiamo andare,» dice, e si volta a cercarla con lo sguardo, solo che, giusto, non vede un cazzo. Daniele, alle sue spalle, ridacchia sottovoce.
«Sulla poltrona,» mormora, improvvisamente vicino di nuovo, tant’è che Marco sente la carezza del suo respiro sulla nuca e rabbrividisce. Daniele gli stringe le braccia attorno ai fianchi, preme la fronte tra i suoi capelli e Marco neanche ci pensa che rischia di spettinarlo. «Nun c’ho voglia de anna’, Marcoli’,» si lagna, pianissimo.
Marco dà una risatina leggera, per niente isterica, sul serio, e dà un paio di pacche alle braccia di Daniele che lo tengono fermo.
«Dai, non possiamo saltare la cena di Natale,» dice, ragionevole, contro qualsiasi istinto abbia in corpo. Il broncio di Daniele lo sente sulla pelle.
«Me sto a annoia’ già da mo’,» brontola lui, e Marco scuote la testa, divertito. Daniele lo lascia andare, e lui si dirige un po’ a caso verso la macchia scura su fondo rosso scarlatto che dovrebbe essere la sua giacca, ripiegata sullo schienale della poltrona. Se la infila a intuito, sovrappensiero, e poi si trova Daniele a un passo di distanza - non distingue la sua espressione, ma scommetterebbe tutto quello che ha su una smorfia imbarazzata e sbilenca, - sente una carezza leggerissima su una guancia e un momento dopo Daniele gli sta infilando delicatamente gli occhiali, persino aggiustandoglieli dietro le orecchie.
Marco sbatte le palpebre, sorpreso, un po’ morto di paura, e se li spinge su per il naso con un dito. Evita di alzare lo sguardo sulla faccia di Daniele, ma si fa indietro per guardarselo bene perché, insomma, Daniele in un completo che non sia della Nazionale è una cosa insolita e impossibilmente bella da vedersi così, a meno di venti centimetri di distanza.
«Niente male,» commenta, compiaciuto, tirandogli un po’ l’orlo della giacca, e Daniele dà un altro sbuffo, che stavolta tende più verso l’esasperato.
«Parli te, parli,» borbotta, e ancora lo bacia, prendendosi tutto il tempo, poi, di strusciare il mento contro il suo, godendosi la frizione della barba. Marco ridacchia, abbassa gli occhi.
«Dai, siamo già in ritardo,» dice, dandogli un colpetto sul gomito. Daniele è piuttosto sicuro che sia una cazzata, ma comunque lo segue senza lagnarsi.

*

L’ascensore è troppo stretto e il nuovo shampoo di Marco ha un odore troppo buono; è per quello che, non appena le porte si chiudono, Daniele si ritrova a prenderlo per i fianchi e spingerlo indietro finché non lo incastra in un angolo e può baciarlo - è un fatto di ormoni, un istinto più vecchio del mondo che gli canta direttamente dal sangue e lui non può fare nulla, se non arrendersi anche un po’ miseramente.
E ci crede, Daniele, che sia quello, e poi Marco s’inarca contro di lui e Daniele smette di credere, di pensare, smetterebbe pure di esistere se non fosse che sta cercando, sotto la giacca e la camicia di Marco, la sua pelle, e non vuole morire prima di averla toccata di nuovo.
Saggiamente, Marco sbatte una mano sulla pulsantiera dell’ascensore, e così a caso riesce a schiacciare il bottone di stop; Daniele pretende di nuovo tutta la sua attenzione, comunque, e gli sfila la camicia dai pantaloni e lascia scorrere le mani bene aperte sulla sua schiena, in una carezza ruvida.
«Dani,» ansima Marco, tirandogli un po’ i capelli sulla nuca perché altrimenti col cazzo che Daniele lo lascia respirare. «Dani, santoddio, ti sembra una buona idea?»
A Daniele sembra un’ottima idea, e glielo spiega, molto semplicemente, chinando la testa a mordergli il collo. Marco trattiene bruscamente il fiato, scatta all’insù coi fianchi e il suo bassoventre trova quello di Daniele.
«Daje,» mormora lui, distratto, facendogli il solletico con la barba sulla pelle morbida della gola. Marco chiude gli occhi, appoggia la testa indietro contro la parete dell’ascensore.
«Vabbè,» sbuffa, e Daniele gli sorride addosso, gli bacia una guancia, la punta del naso, gli mordicchia le labbra gonfie. Ridacchia, quando si accorge che gli occhiali di Marco si sono appannati, e poi gli viene naturale premergli una carezza lungo i fianchi, e giù, dietro le cosce.
«Vie’,» dice; Marco socchiude gli occhi, lo guarda, per un momento che non finisce più. Si appoggia alle sue spalle, allora, dà un colpetto di reni e solleva le gambe, incrociando le caviglie alla base della sua schiena. Daniele lo tiene su, premendolo un po’ troppo forte contro la parete dell’ascensore, e fa un sorriso talmente piccolo che sparisce sotto la barba.
Marco avvampa, tenta di nasconderlo con un bacio, e poi Daniele lo sistema in modo da sentirlo contro di sé e in un attimo stanno ansimando entrambi, ancora nel bacio, i fianchi che spingono in su incontrollabilmente e sempre più freneticamente.
Daniele, con quel profumo buonissimo dappertutto contro di lui e il piacere soffocato dal pantalone che lo sta facendo impazzire, morde forte la base del collo di Marco, lasciata scoperta dal colletto della camicia, senza pensare. Lui geme, sorpreso, ed è un suono incredibile, indifeso e disarmante e Daniele ringhia, lo stringe e se lo preme addosso, più in basso che può, trovando quel poco di frizione che gli mancava per perdersi completamente. Marco mormora qualcosa che Daniele non capisce ma pensa bene di cogliere direttamente dalle sue labbra, quindi lo bacia, lasciando che si rimetta in piedi, perché lui stesso si sente un po’ incerto sulle ginocchia.
Marco gli stropiccia i capelli e mugola contro di lui, gli occhiali un po’ sbilenchi. Daniele ripiomba giù a mordicchiargli il collo, il lobo di un orecchio, e approfitta del fatto di avere le mani libere per raggiungergli la cintura e slacciarla.
«Dani,» mormora Marco, con la voce che ha quando vuole convincerlo a non fare qualcosa - suonare il citofono ogni volta che viene da lui, per esempio. Daniele lo ignora senza neanche doverci pensare, e accarezza il profilo rigido del suo sesso con le nocche, da sopra la stoffa dei boxer. Marco, contro di lui, trema violentemente, e Daniele non fa in tempo a premere i pollici contro la sua erezione che lo sente trattenere il fiato, tendersi tutto e poi mordere via un lamento osceno e meraviglioso.
Daniele sorride, si solleva a baciarlo. Marco è quasi viola d’imbarazzo, ma lo stringe, perché adesso è lui che non è proprio sicuro di riuscire a stare in piedi.
«Sembriamo du’ regazzini,» dice Daniele, intenerito. Marco non lo guarda, ma si riallaccia la cintura, si passa una mano tra i capelli, spingendoli indietro. Sospira, pianta gli occhi sulla pulsantiera come se potesse bastare la sua forza di volontà a far ripartire l’ascensore.
«Mo’ sì che è tardi, Dani,» dice, azzardando un’occhiata alla sua faccia. Daniele ha un’espressione oltremodo soddisfatta per essere uno che s’è appena venuto nei pantaloni.
Marco alza gli occhi al soffitto, esasperato, e preme il bottone per il terzo piano. L’ascensore torna in vita ronzando piano, e lui comincia già a disperarsi perché, cavolo, ora deve pure cambiarsi, e che cazzo si mette?
«Perché risaliamo?» chiede Daniele, perplesso. Marco non vuole credere che l’abbia detto davvero.
«Dani, sei scemo?» domanda, e Daniele dà uno sbuffo divertito e lo bacia ma non è questo il punto. «Secondo te io vado in giro con--»
L’ascensore che arriva al suo piano, grazie al cielo, gli permette di non dover davvero terminare la frase. Daniele, pur con tutti i dubbi che gli sono rimasti, comunque lo segue placido di fuori, e di nuovo dentro casa. Gli tiene una mano sulla schiena, pure, terribilmente in basso, e Marco fa fatica a concentrarsi, quando arrivano in camera; fa fatica, soprattutto, a non dargli uno spintone, spedendolo lungo disteso sul letto.
Non possiamo saltare la cena di Natale, si dice; maledizione, perché non possono?
«E mo’ che mi devo mettere?» brontola, spalancando l’armadio, perché per esperienza sa che il modo migliore di smettere di affliggersi per qualcosa è attaccare ad angosciarsi per una cosa diversa. Daniele gli viene dietro, lo abbraccia in vita e appoggia il mento alla sua spalla e Marco vorrebbe poter guardare altrove, ma ha davanti uno specchio a figura intera, e ha gli occhiali, per cui è costretto a fissare il proprio riflesso che s’incastra magnificamente nella stretta di Daniele. Non ha mai avuto tanta voglia di impazzire.
«Giustamente, non c’hai veramente un cazzo,» commenta Daniele, con un sorriso, e gli bacia il collo e Marco rabbrividisce - la barba, Dio santo; la barba, - però poi s’accorge di una cosa, là nello specchio - si accorge del segno rosso, rotondo, inconfondibile, che gli colora la pelle, e si sente morire.
«Daniiii,» si lagna, allargando ancora il colletto della camicia e chinando la testa per guardare più chiaramente il succhiotto, no, il marchio dei denti di Daniele. «Ma sei cretino, ma cosa mi mordi così in alto!»
Daniele, santo Dio, ha la faccia tosta di ridacchiare e accarezzargli la schiena.
«Nu’ me veni’ a dire che t’è dispiaciuto,» mormora, e avvampa persino più in fretta di Marco.
«Non volevo di’ quello, Danie’,» brontola Marco, però poi pensa che, in effetti, Daniele gli ha risolto un problema, col suo piacevolissimo viziaccio di mordere, perché non è che Marco abbia poi tanti vestiti accollati abbastanza da andar bene stasera. Si guarda attentamente dal dirlo, comunque, perché ci manca solo che il cretino si senta autorizzato a ricoprirlo di segni ogni volta che gli viene voglia, e tira fuori dall’armadio e poi appoggia sul letto la camicia più stretta che ha, un maglione nero, un paio di pantaloni e un completo a tre pezzi. Daniele si acciglia.
«Quanta roba te metti?» chiede, perplesso. Marco, che già s’era chinato sul cassetto delle mutande, si volta a guardarlo da sopra le proprie spalle.
«Ma sei scemo?» dice, oltremodo incredulo. L’ha sempre saputo, che Dani è uno che si adatta tutto sommato facilmente, che è complicato metterlo a disagio, a meno che non s’infili il naso nei fatti suoi, ma qui si sfiora il ridicolo. «Dani, tu non vai da nessuna parte con quei panni lì addosso,» decreta, irremovibile, e tira fuori due paia di boxer puliti.
Daniele ridacchia, contento.
«Allora me ne vado a famme pure ’n’artra doccia, no?» dice; Marco ci pensa su, onestamente, ma, Dio, ora sì che sono davvero in ritardo, perciò no, non se ne parla, Dani si deve accontentare di sciacquarsi un po’ e dei vestiti puliti.
Il gilet gli va stretto, perciò Marco è costretto a fargli tenere quello grigio del suo completo, e pure la giacca non è esattamente della sua taglia, ma per quella non c’è rimedio; in ogni caso, Daniele sembra fin troppo felice di potersi infilare roba sua, e Marco vorrebbe cavarsi gli occhi. Ci pensa meglio, poi, quando finalmente si è cambiato e si accorge che Daniele non riesce a smettere di fissarlo.
Si spinge gli occhiali su per il naso, allora, e se per tutta la sera continua a sorridere contento come un enorme idiota, beh, è un fatto di ormoni.

» challenge: kyalendario, rpf calcio: marco borriello, } 2011, rpf calcio: daniele de rossi, rpf calcio, › ita

Previous post Next post
Up