Titolo: Non hai mai cambiato quei bottoni sulla tua camicia blu
Autrice:
waferkya Fandom: RPF Inter F.C.
Personaggi: Diego Milito, Thiago Motta
Pairing: M2
Rating: G
Conteggio parole: 1762 (W)
Note: CRAAAAAAAAAAACK. E demenzialità varia ed eventuale (soprattutto mia).
; Il titolo (sorprendentemente off topic) è tratto da una canzone di Biagio Antonacci di cui non ricordo il titolo (ho chiuso la tab in cui avevo fatto la ricerca e mi pesa il culo riaprirla D:) (sì, ho googlato 'camicia blu' per il titolo, ma quanto sono stimabile? XD); mi piaceva l'idea di appiccicare una cosa seria ad una cavolata di dimensioni così epocali xD
; Scarparo è napoletano per 'calzolaio'/'colui che crea scarpe'.
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.
~ I commenti sono l'amore. I lurker sono il male.
~ Non hai mai cambiato quei bottoni sulla tua camicia blu.
Dovrebbe esserci un qualche tipo di convenzione internazionale che impedisca alle fabbriche di scarpe di essere così dannatamente fantasiose. Uno sarebbe portato a pensare che, dai, è una scarpa, che diamine; potrà cambiare la forma, lo spessore della suola, magari la lunghezza dei lacci e se è da maschio avrà quelle ridicole eppure straordinariamente attraenti molle nel tallone, e se è da femmina sarà tempestata di strass e cosine luccicose, ma sotto sotto è una scarpa, quante varianti potranno mai esistere? E invece no, maledizione, apparentemente non c’è un limite al numero di cose che possono cambiare da modello a modello - e certe volte le differenze sono così minime che sul serio, Thiago darebbe un rene per avere un libretto di istruzioni.
Sta fermo davanti ad una scaffalatura alta due volte lui da almeno un quarto d’ora, a percorrere su e giù con lo sguardo tutte le scarpe che ammiccano gioiosamente, rosa bianche azzurro chiaro gialle panna verde pallido lilla e qualsiasi altro colore intermedio, alcune con i lacci e altre con la chiusura di velcro, qualcuna ha la punta all’insù, altre ce l’hanno quadrata, smussata, perfettamente tonda, all’ingiù, rivestita di gomma, di cuoio, laccata in oro, coperta di diamanti a diciotto carati, e vogliamo parlare delle forme? Oh, soltanto le poche scarpe che Thiago riesce a sopportare nel proprio campo visivo sono un vero e proprio orgasmo di forme: svasate, col collo alto, bombate sui fianchi, sul tallone, sabot, sandaletto, sandaletto senza fettuccia sul tallone ma con un intricatissimo sistema di liane che ti si arrampicano autonomamente lungo le caviglie, ciabattina, infradito, modello scalatore, da skater, una roba improponibile che Thiago spera sinceramente non abbia una definizione tutta per sé e porca miseria, come si può pretendere che non vada in crisi, poveraccio?
“Accidenti a Francisca,” brontola, rigirandosi pensosamente tra le mani una scarpina anche piuttosto carina, gialla e rosa, con un’ape che sorride contenta proprio sulla punta e tutta piena di brillantini. “Perché devo comprarle io, le scarpe a Sophia, accidenti?”
“Perché sei un padre premuroso e gentile,” lo prende in giro Diego, comparendogli alle spalle all’improvviso e mandandolo quasi all’altro mondo per lo spavento - cosa che evidentemente l’argentino deve trovare esilarante, dal momento che scoppia a ridere come se qualcuno gli avesse appena mormorato all’orecchio la battuta del secolo, tipo cosa fa un canguro nero su sfondo bianco? …Risalta. Oh, quella sì che è divertente.
“Non prendere per il culo,” borbotta, e intanto ha preso anche un’altra scarpa - questa è azzurra e bianca, con delle paperelle fosforescenti sparse un po’ dovunque - e la soppesa, pensieroso. “Che fine avevi fatto, comunque? Ci hai messo una vita, pensavo ti avessero rapito con tutta la macchina o chissà che.”
Diego ridacchia, prende entrambe le scarpe dalle mani di Thiago e le rimette a posto - Thiago vorrebbe dirgli che in realtà quella rosa stava sullo scaffale più in basso, non come le ha sistemate lui, ma probabilmente non è un dettaglio così importante.
“Ti sei infrattato nell’angolo più irraggiungibile di un megastore e ti stupisci se ci ho messo mezz’ora a trovarti?” replica, accennando con un’occhiata più che eloquente al reparto in cui Thiago s’è andato a ficcare - beh, sì, effettivamente è un po’ defilato rispetto al resto dell’universo, ma non ha visto altre scarpe da bambina, in giro, che cavolo! Non poteva mica chiedere ad una commessa di spostargli il reparto in mezzo a piazza Duomo! Oh, aspetta, forse avrebbe potuto, visto quanto guadagna. “Comunque, credimi, tu non volevi seriamente comprare quelle scarpe.”
“Ma quella con le paperette era simpatica,” si lagna Thiago, perché siccome non c’è in giro Sophia - sua figlia, eh, che a malapena cammina da sola, - tocca a lui fare i capricci. Diego però è di buonumore, sarà la camicia che ha addosso - è quella oggettivamente troppo bella, quella blu elegante che dichiara al mondo sono un uomo raffinato ma mi piace ridere, e se Thiago non lo conoscesse, se Thiago non sapesse che Diego è talmente perfetto che non sono i vestiti ad andargli a pennello ma è lui che sta bene addosso a qualsiasi vestito del mondo, penserebbe che se l’è fatta fare su misura, - sarà che ha appena concluso una stagione che boh, è sembrata un sogno; è di buonumore, e accoglie con un’altra risata divertita il brontolare di Thiago.
“Era simpatica, certo,” concede, magnanimo, poi si mette ad esaminare le scarpe con l’aria attenta di un ricercatore di CSI. “Però non è che tutto il mondo condivida il tuo senso dell’umorismo.”
Thiago decide di non replicare se non mettendo su una faccia a metà tra lo scettico e l’oltraggiato, e, incrociate le braccia al petto, comincia a contare i secondi, in attesa che anche il Principe dia di matto ed esploda di fronte all’oggettiva impossibilità di capirci qualcosa, nel marasma di calzoleria che li circonda.
“Francisca ti ha dato delle indicazioni, no?”
“Sì,” sbuffa Thiago, ed è una sofferenza ripensare alle raccomandazioni di sua moglie perché, andiamo, chi è che non vorrebbe una scarpa con delle paperelle fosforescenti? “Ha detto qualcosa di semplice, che abbia l’aria resistente ma non sembri un carrarmato, lascia perdere i colori assurdi e i brillantini, però ti scongiuro non il nero, scarpe nere su una bambina sono da criminali. E Dio solo sa se ti pentirai di essere nato, se torni a casa con delle scarpe da calcio,” recita, scimmiottando il tono di voce di una vecchia impicciona particolarmente pedante, e quindi tutto il contrario di Francisca.
Diego scuote la testa, e persino stando dietro di lui Thiago intuisce il suo sorriso, uno di quelli spettacolari da divertimento supremo.
“Non poteva essere più chiara di così,” continua il brasiliano, spostandosi un po’ per riuscire anche a vederlo, il modo in cui Diego sta ridendo silenziosamente di lui e santo cielo, il giorno in cui faranno quell’accordo internazionale sulla fantasiosità degli scarpari dovranno anche mettersi d’accordo per proibire alla gente di esibire in luoghi pubblici certe facce al di là di ogni definizione di bellezza - e Thiago è più che pronto ad immolarsi per il bene dell’umanità, ad accollarsi l’oneroso dovere di impedire che il mondo possa sciupare la propria sanità mentale sul sorriso di Diego Milito. “Spiegami come dovrei fare, a trovare una scarpa così - così come, mi domando, tra l’altro, - in un posto del genere.”
Naturalmente, dopo tredici secondi netti Diego ha già scovato la scarpa perfetta - le manca solo il cartellino che reciti ehi, ciao, sono stata creata appositamente per accogliere il prezioso piedino di Sophia Motta, credimi, mi amerà per sempre! - e la sventola con aria trionfante sotto il naso del compagno.
Bianca e rosa, paffuta quel tanto che basta perché dia l’impressione di poter resistere alle peggiori escursioni in giardino ma non violentemente da ginnastica, e decisamente tutto il contrario di una scarpa da calcio.
“Dio,” brontola Thiago, guardando un po’ il capolavoro tra le mani di Diego e un po’ - un ben più consistente po’, ad onor del vero - il sorriso di Diego. “Sei veramente improponibile.”
Diego accetta il complimento ridacchiando e Dio, in tre secondi ha già rintracciato pure la scatola in cui si nasconde la gemella della scarpa prescelta! Di tanto in tanto Thiago è colto da seri dubbi riguardo la natura umana del Principe, ma a questo punto tutte le sue illazioni mentali si stanno pericolosamente avviando ad essere delle certezze incrollabili.
“Thiago, piantala di arrovellarti il cervello su certe stupidaggini” lo rimprovera Diego, bonariamente, quando sono a tanto così dalla cassa - non ci ha ancora riconosciuto nessuno, riflette distrattamente Thiago, questo dev’essere un altro dei suoi poteri. “Lo sai benissimo che non ho superpoteri.”
“Oh, come no,” replica il brasiliano, un concentrato bipede di sarcasmo. “Peccato solo che l’ultima volta che ho controllato leggere nel pensiero era ancora sulla lista dei superpoteri.”
Diego ride - che stia ridendo di lui o con lui, Thiago lo capirà soltanto quando anche lui riuscirà a farsi mordere da un ragno radioattivo o a procurarsi qualsiasi tipo di incidente abbia dato vita a questa creatura misteriosa al suo fianco, - e poi gli ricorda, con una gomitata nel costato, che probabilmente le scarpe le deve pagare, prima di portarsele via.
“Se non si tratta di superpoteri,” riprende Thiago, implacabile, quando sono finalmente lontani dalle orecchie della commessa, “allora come hai fatto a trovare subito l’unico paio di scarpe nell’universo che corrisponde alla descrizione di Francisca? E com’è che non ci ha ancora fermato nessuno per un autografo, dal momento che decisamente la gente non manca? E perché---”
“Eddai, Thiago,” lo interrompe Diego, guardandolo da sotto in su con solo un accenno di broncio. “Dai, basta con questa cazzata.” Sospira. “Lo sai che non ce li ho io, i superpoteri.” Sospira di nuovo. “Lo sai che è la camicia.”
Thiago sbuffa, poco convinto: questa patetica scusa non se l’è bevuta la prima volta che Diego gliel’ha propinata, figurarsi se la prenderà per buona adesso.
“Sai, Diego, io lo capisco che hai bisogno di sentirti al sicuro, di proteggere il tuo segreto dal mondo eccetera eccetera,” gli dice, tendendo aperta per lui la porta del parcheggio del centro commerciale, “però, uffa. Vorrei che ti fidassi di me un po’ di più. Non hai bisogno di nasconderti da me, io,” si acciglia un pochino, “io non ti tradirei mai.”
La porta che si richiude sbattendo sonoramente copre il rumore lievissimo dei passi di Diego, che avanza sull’asfalto incerto fino ad invadere gentilmente lo spazio personale di Thiago e altrettanto gentilmente lo bacia, e poi gli rivolge un sorriso minuscolo.
“Lo so,” mormora. “E mi dispiace deluderti, ma è davvero la camicia.”
Sarà la vicinanza di quegli occhi incredibili, sarà che alla fine si tratta pur sempre di cazzate, ma a Thiago, in questo momento, non passa neanche per l’anticamera del cervello di sentirsi deluso o frustrato o chissà che, se non per il fatto che un bacio così non è che lo faccia sentire propriamente soddisfatto - a questo si rimedia piuttosto facilmente, comunque, e allora attira Diego di nuovo contro di sé, facendo attenzione a non menarlo con la busta rigida delle scarpe, e si prende un bacio e un abbraccio adesso degni di questo nome.
“Va bene,” si arrende, poi, quando Diego comincia a mordicchiargli il mento quasi con curiosità. “Va bene, ti credo.”
Nell’esatto istante in cui Diego - la sua camicia? - si allontanano di un passo da lui, Thiago avverte nettissima la sensazione di essere stato preso per il culo, e sbuffa, prendendo l’appunto mentale di cercare ancora - e meglio delle altre ventitrè volte - tracce di morsi sospetti sul corpo di Diego.