Fic: It was all meant to be

Jun 16, 2010 23:28

Titolo: It was all meant to be
Beta: nessuuuuuuuno /o\
Fandom: RPF - AC Fiorentina/UC Sampdoria (per modo di dire)
Personaggi: Giampaolo Pazzini/Riccardo Montolivo (Pazzolivo!). Sullo sfondo, potrete certamente notare Alberto Gilardino e Cesare Prandelli. Coprotagonisti non degni di una tag: Lars Martin Jørgensen, Per Billeskov Krøldrup, Stevan Jovetić, una illustre sconosciuta e due poco di buono.
Rating: VM18 (perché si tromba, che domande)
Warning: alternate universe della peggior specie. Slash e porno. Un po' di violence. Accenno infinitesimale al crossdressing.
Conteggio Parole: 3.775 (Word, che congiura contro di me)
Disclaimer: È tutto fintissimo, più del solito visto che siamo in una AU che di poliziesco non ha certo il realismo, tsè. Un grazie a santa Leona Lewis da Islington per il titolo (da A moment like this).

A chia25, che è stata tanto cara da scrivere per me uno dei miei kink segretissimi. (Non ho ancora letto al momento, ma voglio dire, vado sulla fiducia: gli scrittori di Mouton si contano sulle dita di mezza mano.)



IT WAS ALL MEANT TO BE
- it's almost that feeling that we've met before -

Il sottile fascicolo dalla vivace copertina arancione, che fino a cinque minuti prima faceva bella mostra di sé in cima al piano della scrivania già ingombra di carte e dossier, tornò al suo posto, seguendo un movimento brusco che mal celava la stizza del suo lettore.
«Questo è tutto?» commentò l’uomo con voce calma, eppure ricolma di irritazione, indicandolo ancora una volta al suo interlocutore, che si agitò a disagio sulla sedia facendola scricchiolare tutta. «Ti avevo chiesto un rapporto completo su Pazzolivo, non quattro fatterelli che potevo ottenere con un PC a caso.»
«Commissario Prandelli, sa meglio di me che Pazzolivo è quantomeno un uomo sfuggente. Ammesso che sia veramente un uomo, s’intende…» insinuò l’ispettore, riscontrando il solito, lieve movimento della testa del suo capo, e riprendendo con piglio perfettamente professionale. «Sappiamo che è un mago del trasformismo, capace di introdursi negli ambienti più isolati con estrema facilità se solo lo desidera; sappiamo che tutti i suoi interventi precedenti raramente hanno a che vedere l’uno con l’altro, e quindi, probabilmente, agisce su commissione. E sappiamo che non si fa scrupoli né nel lasciare cadaveri, né nell’agire secondo una sua morale.»
Il commissario annuì ancora una volta, congiungendo le mani in un’espressione pensosa: ricordava ancora bene il ritrovamento di due giovani uomini danesi orribilmente sfigurati da numerosi colpi di arma da taglio - una delle reclute del progetto per le pari opportunità (di cui praticamente tutto il distretto pensava e diceva peste e corna, essendo nota più per i suoi thriller in cui dava ampio spazio all’amore omosessuale) era stata costretta a fuggire precipitosamente in una sinfonia di tacchi e a dare di stomaco nella più vicina toilette; di come l’autopsia aveva riscontrato due aggressioni diverse, una atta soltanto a ferirli in maniera non grave e l’altra, molto più brutale, che li aveva letteralmente massacrati; di come, neanche due giorni dopo che le prime fughe di notizie sui risultati del referto del dottor Manetti avevano trovato posto nelle sezioni di cronaca nera dei principali quotidiani della regione, i giornalisti si erano letteralmente scatenati quando erano stati ritrovati, cadaveri, quattro pericolosi sicari meridionali, con le mani destre tagliate e chiuse in un sacchetto rinvenuto a parecchi chilometri di distanza e una serie di tagli che, pur essendo molto simili a quelli che avevano causato la morte dei danesi, erano stati inequivocabilmente inferti dalla prima mano.
*****
Riccardo si guardò intorno con circospezione, assicurandosi più volte che i guanti fossero bene aderenti alla sua pelle e le scarpe fossero isolate dal rivestimento di plastica; setacciò rapidamente quello che sembrava essere lo schedario più utilizzato dall’inquilino della casa, poi, non avendo trovato quello che cercava, passò ai successivi, senza molto successo. Stringendo gli occhi, notò che sullo scaffale c’era posto esattamente per altri due raccoglitori, e dalle informazioni raccolte sul suo obiettivo tutto lasciava pensare che fosse una persona piuttosto precisa, anche in virtù del suo lavoro: così, dopo essersi aggirato ancora un po’ nel soggiorno, si spinse verso la camera da letto - il secondo posto più probabile per lasciare carte importanti su cui lavorare, come aveva imparato con l’esperienza - e poi in bagno.
Non riuscendo a trovare nessun indizio su cui mettere le mani, Riccardo ritornò frustrato in soggiorno per riattivare l’allarme, uscire dalla villetta e far sparire ogni traccia della sua effrazione; con un movimento brusco del braccio, fece cadere un portafoto accanto al telefono, e riuscì a prenderlo al volo con un guizzo rapidissimo all’ultimo istante.
C’è mancato un niente, pensò tra sé, dedicando una breve occhiata al ragazzo ritratto nella fotografia, e nel rimettere tutto a posto notò finalmente che ciò che stava cercando era accanto al frigorifero, in un posto in cui mai si sarebbe sognato di guardare. «Guarda guarda» si lasciò scappare ad alta voce, salvo maledirsi in silenzio e chiedersi, con un fremito di paura, quanto forte avesse parlato: si decise ad estrarre le carte dal nascondiglio ingegnoso e a sfogliarle con rapidità, dedicando non più di venti secondi a facciata e riprendendo con una fotocamera quelle che gli parevano più interessanti. Poi, soddisfatto, ripristinò l’allarme e fece scattare nuovamente la serratura della porta d’ingresso, fuggendo poi dal lato del giardino retrostante. Poco più di dieci minuti dopo, Riccardo era già nel suo bagno personale; smantellò il semplice travestimento che aveva utilizzato per quel lavoretto di routine, togliendosi le lenti a contatto verdi, il cappello e la cuffia che reggeva i capelli senza lasciarli sfuggire, e struccandosi rapidamente per eliminare il fondotinta che aveva usato per scurire la sua carnagione. Dopodiché si concesse una breve doccia, insistendo sul collo e sul viso per rinfrescarsi e disfare le ultime tracce del suo camuffamento. Quando uscì, avvolto in un asciugamano, dallo scroscio d’acqua proveniente dall’altro bagno, Riccardo capì che anche Giampaolo era appena tornato, e che non aveva tentato di entrare nel suo per elargirgli una sana e meritata dose di coccole-premio - o anche qualcosa di più. Si imbronciò, ma non disse nulla, né bussò alla sua porta: indossò un paio di jeans, stando bene attento a prenderlo dal mucchio pulito e non da quello destinato alla lavanderia di massa, e una maglia extralarge della Fiorentina, e si lanciò sul letto a leggere gli ultimi quattro capitoli del libro che stava leggendo, senza riuscire a trattenere un sospiro di sollievo quando il protagonista della vicenda comprese di aver usato violenza da ubriaco al suo compagno di banco.
*****
«Ispettore Gi… Alberto?» disse Prandelli, il tono un po’ arrochito dalla lunga e muta digressione nei suoi stessi ricordi.
«Mi dica.»
«La sollevo da ogni altro incarico.» Alberto annuì, celando un breve sospiro di rassegnazione sotto uno sbadiglio ostentato facilmente giustificabile dall’ora tarda e dalla giornata passata a setacciare gli archivi. «Costituisca un team che si tenga lontano dall’azione diretta - limitatevi alla routine, intercettazioni ambientali, indagini, archivio - e faccia riferimento direttamente a me. Pazzolivo deve pagare, una volta o l’altra. Nessuno può farla franca per sempre.»
Alberto guardò il commissario Prandelli direttamente negli occhi, annuendo ancora una volta, e gli illustrò gli elementi dei quali aveva intenzione di avvalersi nelle successive indagini. Meno di mezz’ora dopo, dopo aver riordinato il proprio bugigattolo che qualcuno aveva denominato “ufficio” all’atto della costruzione del commissariato, indossato la giacca e riposto nel bagagliaio un faldone di fotocopie e documenti riservati nel solito fustino di detersivo vuoto, come soleva spesso fare in queste occasioni in cui si portava il lavoro a casa, era già davanti al cancello della sua villetta, a fissare la luce intermittente in cima all’inferriata che scorreva lentamente verso l’interno.
Con una leggera smorfia di disappunto, notò che ancora una volta il suo vicino di casa era in giardino, leggermente chino sulla cancellata della sua proprietà e con un’espressione di inspiegabile compiacimento sul volto. Alberto trovava estremamente irritante quasi ogni aspetto di lui, dal suo atteggiamento strafottente alla costanza con cui si impegnava a salutarlo e a intavolare conversazioni cui non era minimamente interessato, dall’ostentazione del proprio benessere economico alla sua esuberanza in campo sessuale, mostrandosi con il compagno di turno in giardino, o in terrazza o comunque in ogni luogo del quartiere privo di un tetto e di quattro mura, e in situazioni ai limiti del fermo per atti osceni in luogo pubblico.
«Buonasera, signor Gilardino» lo salutò con calore quando lo vide scendere dall’automobile e prendere il fustino di detersivo e la ventiquattrore, agitando la mano e scoprendo i denti in un sorriso più simile a un ghigno. «Ha visto che bella arietta che c’è stasera? Mi sa che domani pioverà, e mi sa che la sua erba ne avrebbe un gran bisogno.»
Alberto gli rivolse un cenno stizzito e un borbottio incomprensibile, prima di chiudersi in casa, sbattendo la porta e maledicendo il giorno in cui il signor Pazzini e la sua insopportabile voglia di impicciarsi dei fatti suoi avevano deciso di trasferirsi nella villetta alla destra della sua, rovinando irrimediabilmente il suo desiderio di poter restare da solo nel silenzio notturno.
*****
Pochi istanti dopo aver salutato il suo vicino di casa, anche Giampaolo rientrò in casa, decisamente soddisfatto.
«Dillo che ti diverti» soggiunse Riccardo, osservando la sua espressione contenta al di là del libro che leggeva - o fingeva di leggere - e dondolandosi con indolenza sul bordo del letto. «Non fai altro che prendere per il culo quel povero ispettore.»
«Ma lo fai anche tu, Pazzolivo» puntualizzò, gettandosi a peso morto sul letto di Riccardo e ignorando sia le sue proteste, sia i preoccupanti cigolii del letto. «Davvero! È Pazzolivo che vogliono lui e la sua cricca, e poiché un nome tanto stupido per una persona che non esiste potevi inventarlo soltanto tu, lo stai prendendo per il culo come me» esclamò, prima di ritrovarsi a fissare un’occhiataccia che però, a causa dei suoi occhi limpidi e dello scintillio di divertimento che brillava in essi, non aveva né la forza né la credibilità per essere considerata tale.
Riccardo sbuffò, riponendo il libro ormai finito sul comodino e cercando di alzarsi, ma si ritrovò la vita circondata da un braccio di Giampaolo, e per quanti sforzi facesse, per quanto scalciasse e mordesse e si lamentasse, non riuscì a ottenere altro che una stretta ancora più forte e l’utilizzo anche del braccio sinistro per tenerlo ben fermo: per quanto fossero così simili da poter alterare facilmente il loro aspetto con semplici trucchi da attore e da teatrante fino a poter essere scambiati per la stessa persona, non poteva rivaleggiare con la forza di Giampaolo - nonché, doveva ammettere tra sé Riccardo, con la capacità di adattare le sue maniere all’interlocutore, la sua abilità con le armi convenzionali e quelle improvvisate, nonché con la sua freddezza di fronte alle situazioni che contemplavano la morte di un’altra persona.
«Lasciami» disse seccamente, reagendo con un brivido represso a fatica quando per tutta risposta Giampaolo si strusciò lascivamente contro di lui, mostrandogli la voglia che stava covando fin da quando, di primo mattino, Riccardo non aveva lasciato la casa per chissà quale obiettivo da perseguire. Vedendo che non otteneva risultati, provò a insistere. «Ti ho detto-»
«Ti ho sentito» borbottò Giampaolo, incrociando le braccia sul suo petto e immobilizzandolo senza troppa fatica. «Allarga le gambe.»
«No» ribatté innervosito, sciogliendosi subito dopo in un gemito sottilissimo e soffice come il miagolio di un gatto appena sveglio quando Giampaolo fece scivolare una delle mani lungo il suo petto e l’inguine fino a piazzarsi tra le cosce, dischiudendole facilmente. «Stronzo» ansimò, senza osare girarsi per guardarlo in volto e dimostrare già da subito la voglia che invece permeava lui, che, se non superiore a quella di Giampaolo, riusciva senz’altro a tenergli testa. «Mi violenteresti se non volessi farlo.»
«La violenza presuppone un po’ di resistenza in più.» Riccardo gemette più intensamente quando le carezze tra le sue gambe divennero decisamente più insistenti, mentre nella sua testa si andava amplificando ogni gesto al di sopra dei jeans logori e stretti di quasi mezza taglia rispetto a quella che avrebbe dovuto portare per stare comodo. Giampaolo sorrise contro il suo collo mentre allentava il bottone dei pantaloni e tirava giù la zip, e il suo ghigno si accentuò quando sentì le dita di Riccardo chiudersi intorno al suo polso e costringerlo ad abbassarla più rapidamente di quanto non stesse facendo. «Ecco, come stavo appunto dicendo, io-»
«Zitto» brontolò Riccardo, voltandosi di scatto per quanto la posizione gli permetteva e sporgendosi fino a sfiorare le sue labbra, a incontrarle, a morderle in un bacio ricolmo di prepotenza e di desiderio da entrambe le parti, quasi a voler ricordare a chiunque si fosse intromesso nella loro vita, per caso o per esplicita volontà del malcapitato, che erano l’uno dell’altro. «Fammi spogliare.»
Giampaolo lo lasciò andare senza ulteriori problemi e, forse senza neppure rendersene conto, cominciò a replicare ogni movimento di Riccardo quasi all’unisono: si sfilò la polo con gli stessi gesti con i quali l’altro si toglieva la maglietta, allentò bottoni e si tolse le scarpe nello stesso istante; ciò di cui si rese conto, invece, è che aveva cominciato anche a tremare e a battere le ciglia e a guardarlo come faceva Riccardo con lui, e che sentiva un vago calore nei punti in cui la pelle di Riccardo era più arrossata.
«Siamo davvero uno» mormorò; annuì a se stesso come per convincersi di quanto appena detto, poi sospinse Riccardo con delicatezza sul letto e sorrise senza desiderio di scherno quando, senza neppure sfiorarlo tra le natiche per prepararlo, a Riccardo sfuggì un verso inarticolato ma netto. «Che ti prende?» gli chiese Giampaolo, cercando di non scoppiare a ridere né di fronte al suo silenzio imbarazzato, né alla sequela di balbettii altrettanto insicuri che lo seguì, e tornò a baciarlo profondamente, impedendo a Riccardo e a se stesso di parlare, pensare o anche soltanto di respirare.
*****
Alberto tirò fuori il grosso volume di fogli dal suo nascondiglio e cominciò a suddividerlo lentamente in due pile, sintetizzando e schematizzando in fretta documenti che non valeva la pena di tenere nel piccolo fascicolo alla sua sinistra. Dopo quasi tre ore, intervallate da una pausa per un caffè forte e una telefonata dell’ex-moglie (con relativo prolungamento del soggiorno di Ginevra dalla madre, per la serenità di tutti), prelevò la catasta di destra, ormai non più necessaria, e utilizzò il suo distruggi-documenti per ridurla in strisce illeggibili. Mentre l’apparecchio macinava i fogli di carta, Alberto diede un’occhiata addolorata alla cornice accanto al telefono e distolse immediatamente lo sguardo quando vide il volto di Stevan. Scosse la testa, tentando di concentrarsi sul lavoro, prima di tornare a voltarsi verso la fotografia e aggrottare pensoso le sopracciglia. Da quando era scomparso aveva ruotato il portafoto verso la parete, in una sorta di illusoria superstizione, e non ricordava di aver girato la fotografia dalla parte del tavolo quando aveva risposto al telefono.
Guardò ancora una volta la foto di Stevan, perplesso, e finalmente tornò al suo fascicolo, cercando un qualsiasi particolare trascurato da un’indagine che, pur essendo stata affidata a lui da neppure mezza giornata, andava avanti da troppo tempo.
*****
Riccardo cominciò ad allentare la stretta delle gambe contro i fianchi di Giampaolo, esausto, ma l’altro non accennava a rallentare le sue spinte profonde e rapide, strappandogli un verso osceno ogni volta che affondava dentro di lui. Ogni respiro e ogni gemito si fondeva al successivo in un’implorazione continua, fino a quando, stremato, Giampaolo non soffocò la sua voce contro la pelle di Riccardo, gridando mentre il piacere si irradiava lungo le fibre sfinite del suo corpo e, bollente, si riversava dentro di lui. Attese soltanto qualche istante prima di uscire dalla sua stretta e tuffarsi tra le gambe di Riccardo, stimolandolo con la lingua e con le mani fino a portarlo a sua volta all’orgasmo, che esplose tra le sue dita senza altro preavviso che un gemito ancora più profondo ed appagato degli altri - al punto che Giampaolo, lungi dal notare il disastro sul suo petto e, in parte, sul suo mento, si perse ad osservare tutta la vastissima gamma di espressioni ed emozioni che si alternavano sugli occhi chiusi e sulle labbra rosee e semiaperte di Riccardo.
«Guarda qua che mi hai combinato» disse più tardi, in un rimprovero così carezzevole da non poter essere neppure definito tale, e Riccardo, dopo averlo osservato ed essere arrossito violentemente, scoppiò a ridere insieme a lui, senza riuscire a fermarsi se non quando, dopo che si furono trascinati in bagno per una nuova doccia, si sentirono abbastanza lucidi per ricominciare tutto daccapo sotto lo scroscio d’acqua tiepida.
*****
Alberto cerchiò un nome sul foglio di carta davanti a sé, annuendo con soddisfazione quasi avesse di fronte a sé un interlocutore; rilesse la lista di nomi che lo precedeva - cinque in tutto, comprendendo se stesso e De Silvestri, quello che aveva appena aggiunto - cercando di anticipare le possibili obiezioni che il commissario Prandelli avrebbe potuto rivolgergli. Non ne trovò di plausibili, e il suo compiacimento si fece in qualche modo ancora più tangibile: non aveva preso i migliori elementi disponibili in un’unità operativa comunque troppo piccola per poter saccheggiare impunemente personale dall’organico, semplicemente pensava di aver preso i migliori elementi per quel caso. Gente seria, che avrebbe potuto lavorare al suo fianco senza invadere i suoi spazi; sveglia, capace di trovare collegamenti e indizi lavorando anche con la mente e non solo con gli strumenti; e soprattutto abile sul campo, nel caso in cui l’eventuale cattura di Pazzolivo si fosse conclusa nel peggiore dei modi.
Con una fitta di dispiacere, cui era così assuefatto da non provare altro che lo stesso fastidio di una zanzara che punge la pelle, si ritrovò a pensare nuovamente a Stevan. Si chiese se sarebbe riuscito a trovare una qualsiasi prova della sua sopravvivenza, o della sua morte, anziché continuare a restare sospeso in un inutile limbo, e con un sorriso amaro si ritrovò a immaginarselo con la sua stessa divisa addosso, felice per aver coronato il suo sogno di lavorare nella polizia (di lavorare con Alberto) e di essersi lasciato alle spalle il mondo a parte costituito dal suo paese d’origine, che invece alla prima occasione era riuscito a richiamarlo a sé per non lasciarlo andare mai più.
Alberto si chiese anche perché stesse piangendo di nuovo.
*****
«Che interessante» commentò con noncuranza Giampaolo, visionando nel monitor la versione a tutto schermo delle fotografie scattate da Riccardo in casa dell’ispettore Gilardino. «Chissà come mai stanno tentando di indagare giusto su di noi» aggiunse, con marcata ironia.
«Non hanno nulla in mano, finché continuano a credere che siamo una sola persona.» Riccardo premette una decina di volte un tasto, per scorrere all’immagine che lo interessava. «Una delle due che volevo mostrarti davvero, però, era questa.»
Giampaolo lesse in un mormorio continuo la pagina battuta al computer e le annotazioni di Gilardino a penna ai margini. «Questo è già più importante» borbottò a denti stretti.
«Dobbiamo dargli atto che agire sempre negli stessi posti un po’ dà da pensare.»
«Possiamo sempre trasferirci quando vogliamo. La casa è in affitto, i mobili non sono i nostri e l’unico nome che compare su tutte le utenze e contratti non può far risalire né a me né a te.» Si mordicchiò un labbro, pensieroso. «La provincia è così grande. E l’Italia pure.»
«È la prima volta che ti sento dire che vuoi lasciare Firenze.»
«Prima o poi me ne andrò sul serio» commentò con sussiego, gettando un’occhiata curiosa nel riflesso del monitor per osservare la sua reazione.
«Mi si spezzerà il cuore» rispose pronto Riccardo, pungente. Diede un’occhiata dalla finestra nella strada buia come la stanza, mentre scorreva le fotografie alla ricerca della seconda di suo interesse - più per una curiosità personale che avrebbe voluto condividere con Giampaolo, piuttosto che una reale necessità di sapere cosa gli altri sapessero - e ciò che vide non gli piacque neppure un po’.
«Giampi.»
«Eh?» Giampaolo osservava con attenzione la fotografia che ritraeva un mobile della villetta di Gilardino, con un telefono e una cornice tipo-IKEA, e non si riscosse fino a quando Riccardo non gli piantò una gomitata nelle costole. «Cosa?»
«Guarda» disse, e Giampaolo scattò immediatamente verso l’armadio, indossando qualcosa che potesse evitargli di essere riconosciuto proprio dall’ispettore. «Vado da solo. Non roviniamo tutto proprio adesso.»
Riccardo scosse il capo in segno di diniego e si spogliò in fretta. «Agisci tu, ma vengo anch’io.»
*****
Alberto si accorse degli intrusi soltanto quando fu troppo tardi e la canna della pistola era già a pochi millimetri di distanza; vide la sua, rimasta nella fondina, volare giù dal balcone, scaraventata dal secondo dei due uomini che erano penetrati in casa sua.
«Non ti muovere o t’ammazzo» disse quello che lo minacciava; Alberto riconobbe in lui un lieve sentore di accenno balcanico, forse slavo o romeno, e la sua mente corse immediatamente a Stevan. Attese in silenzio che si presentasse l’occasione buona per prendere l’iniziativa, e per fortuna essa arrivò dopo pochissimi minuti - anche se non nel modo in cui si aspettava avvenisse.
Senza alcun preavviso il complice del ladro - o qualunque fosse il suo obiettivo - stramazzò a terra senza un lamento, e l’uomo che gli puntava la pistola commise l’errore di girarsi e mirare all’ombra alta e scura che si era materializzata, permettendo ad Alberto di sferrargli un calcio bene assestato sul femore e un secondo, ugualmente violento, all’altezza dei testicoli. Mentre mugolava di dolore, tenendo le mani strette tra le gambe, il terzo intruso conficcò una siringa nel suo braccio, lasciando che si afflosciasse a poca distanza dall’altro.
«Non è sparito. È tornato in Montenegro, vive ancora lì.»
«Cosa…» balbettò, sgranando gli occhi. Poi sentì la puntura sulla parte superiore del braccio e, furente per aver compreso cosa gli stava per accadere, schiaffeggiò con forza il misterioso uomo vestito di nero. «Pazzolivo.»
Giampaolo rise, sollevato del fatto che il passamontagna avesse impedito ad Alberto di mettere in pericolo la copertura. «Non pensare a indagare su di me, se puoi ritrovarlo» disse a bassa voce, guardandolo scivolare lungo la parete, pronto ad addormentarsi. Riccardo entrò subito dopo nella stanza, trascinando il corpo del più piccolo dei ladri fuori dalla casa.
«Siete due.»
Si voltarono entrambi verso Alberto, che si reggeva il braccio colpito dalla siringa. «Siete i due… Pazzini» mugolò, prima di crollare.
«Maledizione» imprecò Riccardo. Nonostante l’errore macroscopico, però, Giampaolo lo rassicurò, mentre portavano via il secondo corpo inerme.
*****
«Niente più Pazzini e Montolivo. Dobbiamo ricominciare. Idee?»
«Facciamo qualcosa di più divertente.» Giampaolo lo guardò con occhi inespressivi. «Bonnie e Clyde.»
«Bonnie era una donna, sai. Il fatto che una persona su tre ti dia della ragazza non è un motivo sufficiente per diventarlo anche agli occhi degli altri due» ridacchiò, prendendosi la gomitata nel fianco senza fare troppe storie. «E comunque se vogliamo restare qua non è il caso di farci passare per americani.»
«Con l’accento che ti ritrovi tu, poi...» Riccardo ci pensò su, soffermandosi a controllare il suo travestimento completato in fretta e furia - una parrucca di capelli più lunghi e scuri dei suoi, occhiali da sole e fondotinta schiarente - e, soltanto quando si fu assicurato che stesse tenendo alla perfezione, abbassare il finestrino oscurato e guardare l’ispettore Gilardino che usciva di fretta e furia da casa sua, come ogni mattina. «Potremmo prendere spunto dal libro che stavo leggendo» disse, e compose il numero di telefono che si era accuratamente segnato prima di andare via. «Agenzia immobiliare Mercurio?» disse, guardando dal finestrino dell’automobile il condominio a soli quattro numeri civici di distanza dalla loro vecchia villetta e ignorando l’espressione stupefatta e divertita di Giampaolo. «Salve, sono Lilio Rosa, io e mio fratello… Paolo ci siamo appena trasferiti qui a Fiesole e volevamo sapere se fosse ancora libero l’appartamento in affitto in via…»

FINE

A/N: dovremmo venire a patti con uno dei più grandi difetti del sottoscritto, buttare lì un sacco di cose che non trovano completamente soluzione alla fine della storia. Nella fattispecie, la sottotrama Gilatić, che troverà una sua personale collocazione il 22 dicembre del 2012, se sopravvivremo, davanti a un piatto di guacamole, cibo tipico maya al più presto possibile, quando non mi peserà il sedere u.u oppure mai, perché ho troppe bozze in cartella /o\
E a proposito di "/o\": non è proprio come la volevo io, al solito /o\ ma sono over-rompicoglioni, magari ho ragione stavolta, magari no, quindi la lagna la chiudo qui /o\ tesoro mio, io ho fatto del mio meglio /o\

A/N #2: GIUSTO! Avete riconosciuto delle citazioni sparse qui e là? Se non aveste colto il riferimento labile e indegno, il libro che Riccardo legge con tanto impegno è Rosa Rubicundior, Lilio Candidior, a partire dal capitolo otto - cioè quello che mi è stato dedicato con tanto amore. U_U

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