Apr 12, 2010 10:41
Lo viene a sapere del tutto casualmente, anche perché nessuno degli interessati s’è premurato di informarlo in tal senso. La partita è finita da nemmeno mezz’ora, lo stadio ancora trema per le loro urla sommate a quelle dei tutto sommato tanti tifosi che hanno viaggiato fin lì per star loro vicini in un momento tanto difficile, Mario è felice come un bambino e fresco di doccia, e quando passa per caso dietro José ed origlia la conversazione al telefono gli cade addosso un macigno che mai si sarebbe aspettato di dover sostenere proprio ora.
- Domani? - chiede stancamente José al proprio interlocutore, e poi sospira sconfitto. - Ho capito. No, rimandare ancora non avrebbe senso, non possiamo permetterci di peggiorare ulteriormente la situazione. - e in un primo momento Mario non afferra nemmeno di chi stiano parlando, solo che poi il mister si lascia sfuggire qualcos’altro, qualcosa che colora la sua voce di una sfumatura più dolce, quasi paterna, e allora Mario non può più ignorare l’entità e il significato di ciò che sta ascoltando. - Il bambino come sta?
Sentendosi una merda, si aggrappa con forza all’unica possibilità che ha di continuare a crogiolarsi nell’illusione che tutto quel discorso non abbia niente a che fare con Davide e il suo ginocchio. Potrebbe stare parlando di suo figlio, si dice, anche se non ha nessun motivo di credere che il piccolo José stia male. Poi il mister, forse sentendo i suoi occhi addosso, si volta, e nella frazione di secondo in cui i loro sguardi si incrociano, prima che l’uomo sia costretto ad abbassare il proprio quasi con aria colpevole, Mario ha tutto il tempo di leggere tutto ciò di cui ha bisogno, per completare ciò che ha già capito da sé.
- Ci sentiamo più tardi. - dice il mister, ed interrompe la conversazione. Dopodiché, sospira profondamente, e quando torna a sollevare lo sguardo è molto più sereno e deciso di quanto non fosse prima. - Mario, - lo riprende severamente, - quante volte ti devo dire di cominciare a comportarti bene? Non si ascoltano le telefonate degli altri.
- Perché non me l’ha detto? - chiede lui invece di rispondere o scusarsi, restando a guardarlo. Lo sguardo del mister si fa più duro solo per un attimo, come si ritenesse personalmente offeso da quella mancanza di rispetto, e poi la sua severità torna a stemperarsi in una sorta di bonaria comprensione che lo costringe a sospirare per l’ennesima volta e non insistere ulteriormente sul punto.
- Mi servivi qui. - risponde.
- Ero qui. - gli fa notare Mario, - Ci sarei rimasto comunque.
- Mi servivi qui con la testa, Mario. - precisa il mister, - Come pensi che avrei potuto mandarti in campo sapendo che i tuoi pensieri erano rivolti altrove? Durante una partita così importante, poi.
- Non che il mio apporto sia stato così fondamentale. - quasi ringhia lui, petulante.
- Lo è stato, invece. - insiste testardamente il mister, e Mario può solo ringraziare il colore della propria pelle, mentre abbassa lo sguardo, imbarazzato. - Prima o poi, crescerai e capirai. Per adesso, devi fidarti.
- …si opera, quindi. - commenta atono, incapace di sollevare gli occhi dal pavimento.
- Sì. - conferma José, spostando il peso del corpo da un piede all’altro, - Tenerlo su a furia di antidolorifici e terapia non avrebbe senso. Non potremmo nemmeno lasciarlo giocare, e anche quando dovesse giocare sarebbe solo un peso per la squadra, oltre a rischiare di mettere in pericolo il ginocchio più di quanto già non sia.
- Ma operarsi adesso - torna a sollevare lo sguardo Mario, agitato, - vuol dire perdere il finale della stagione. - sospira stancamente, - Sarebbe il secondo che non riesce a godersi, per un motivo o per un altro.
- Essere bravi non vuol dire anche essere fortunati. - butta lì José, quasi con noncuranza, e quando Mario gli solleva addosso un paio d’occhi grondanti rabbia sente quasi il desiderio di indietreggiare.
- Ed essere sfortunati esattamente in che misura ha a che fare prima con un allenatore stronzo che ti tiene fuori per tutto il finale di stagione, e poi con uno staff medico incompetente che non è neanche in grado di operarti un ginocchio senza che tu poi debba andare di nuovo sotto i ferri tre mesi dopo? - scocca velenoso, stringendo i pugni lungo i fianchi. Lo sguardo di José si fa più duro, come al solito non intende cedere.
- Sono sfortune anche queste. - risponde altrettanto risentito, - Più o meno come avere un ragazzo cretino che prima ti trascina per locali facendo incazzare l’allenatore stronzo di cui sopra, e poi ti trascina anche in Under 21 dove qualche incompetente di una qualche squadraccia del cazzo ti fa a pezzi il ginocchio che poi dovrà essere operato dagli incompetenti summenzionati. Ti basta, così?
Colpito dove fa più male, Mario abbassa repentinamente lo sguardo, fissando gli occhi sulla punta delle proprie scarpe da tennis, ma passano pochissimi secondi prima che senta José sospirare profondamente, come a cercare di recuperare il controllo sui propri nervi. Pur senza guardarlo, sa che adesso sta passando una mano fra i capelli ed ha chiuso gli occhi, muovendo il capo lateralmente per distendere i muscoli tesi del collo.
- Non intendevo dire quello che ho detto. - ammette per primo, e solo allora Mario torna a guardarlo, - Sai che non penso che sia colpa tua se Davide adesso sta male. Proprio per questo motivo, vorrei che tu evitassi di pensarlo di me, visto che sappiamo entrambi che non è così. Si tratta solo di sfortuna. E tutto ciò con cui possiamo combatterla è la forza dell’unione di questa squadra. I litigi non ci servono davvero. - e sorride dolcemente, costringendolo ancora una volta a stornare lo sguardo, imbarazzato. - Questo mi sembra che l’abbiamo imparato, ormai. Sì?
- Sì. - concede Mario con un mezzo sorriso esausto, socchiudendo gli occhi. - Quando torniamo, posso andare da lui? - chiede quindi, la voce che quasi trema di voglia. Il mister, però, solleva un sopracciglio, perplesso.
- Torneremo a notte fonda, Mario. - lo informa, - E lui è già ricoverato. Come pensi di poter arrivare vivo a Pavia e all’allenamento dell’indomani? - chiede. Mario inarca le sopracciglia e reclina un po’ il capo, guardandolo dal basso verso l’alto. - …oh, no. - lo avverte José, il tono che si sforza in ogni modo di suonare il più possibile duro e severo, - Non ci provare nemmeno. - l’espressione di Mario si correda di un piccolo broncio deluso, e José sbuffa platealmente, roteando gli occhi. - E va bene… va bene! - cede, recuperando il cellulare e cercando un numero in rubrica, - Ma guai a te se ti azzardi ad arrivare tardi dopodomani mattina, sai? Ti metto fuori rosa fino all’anno prossimo, sei avvertito! - ma Mario non lo sta più ascoltando, occupato com’è a cercare la via per l’uscita dallo stadio, e José è già impegnato a parlare col primario del Policlinico per assicurarsi che, una volta arrivato, il ragazzo possa entrare senza problemi, perciò le sue minacce cadono nel vuoto.
*
Quando arriva in ospedale, crolla di sonno e sono quasi le sei del mattino. È stanco come non dormisse da quarantotto ore, ed in effetti, realizza entrando nella camera privata di Davide, fra l’ansia del pre-partita e la nottataccia fra aereo e treno - perché “non vorrai mica andarci in macchina? Guidando tu, poi. Ha! Come se potessi permettertelo” - in realtà è in piedi anche da prima.
Davide, naturalmente, sta dormendo nel proprio letto, ed è pallido come un cadavere nella luce azzurrina della notte che filtra attraverso le tende bianche accostate sulle finestre. Uno spicchio di luna taglia l’oscurità della stanza in due, illuminandogli il volto. I suoi lineamenti sono tesi, come se anche nel sonno stesse combattendo contro il dolore.
Gli si stringe il cuore, all’idea di svegliarlo, perciò evita di farlo. Solleva una sedia e la sistema proprio lì accanto, accomodandosi con i gomiti sul materasso in modo da poterlo guardare da vicino senza però pesare troppo sul letto e magari disturbargli il sonno. È sicuramente un’illusione dettata dalla speranza di potergli dare una mano anche solo trovandosi lì al suo fianco, ma per qualche istante gli sembra che la sua espressione si faccia più dolce e meno stanca, e ne sorride. Il volto di Davide è così incredibilmente espressivo - e il loro legame tanto forte - che alle volte lui ha l’impressione di potere indovinare i suoi sogni a partire dalla sola piega delle sue labbra, o dal fremito impercettibile delle sue ciglia.
Resta a guardarlo con la testa ciondoloni, combattendo strenuamente contro il sonno che ogni tanto lo costringe a chiudere gli occhi e piegarsi un po’ in avanti, salvo poi riscuotersi subito dopo e tornare dritto, spaventato dalla possibilità di potergli cadere addosso. Magari sul naso. Davide gli dice sempre che, con la testa dura che ha, potrebbe abbattere le pareti. Può solo immaginare cosa potrebbe esserne del suo viso delicato dopo un impatto di una simile entità.
Solo pensare ad una cosa del genere - ed al conseguente Davide che gli urla istericamente “il mio viso! Hai rovinato il mio bellissimo viso!” - gli fa venire da ridere. Si schiaccia con forza una mano sulle labbra nel tentativo di fermare almeno lo sbuffo divertito che non è riuscito a trattenere nel fondo della gola, ma fallisce, ed il mugolio di Davide che segue a ruota quel suono soffocato gli annuncia che ormai il danno è fatto. Cerca di sorridere serenamente, per rassicurarlo il più possibile nel momento in cui aprirà gli occhi.
Gli occhi di Davide sono liquidi e brillano. Davide sbadiglia, ed una lacrima minuscola sfugge alle sue ciglia, rotolando pigramente lungo il suo viso fino alla tempia. Mario si china ad assaggiarla e bacia piano la sua pelle accaldata - tempia, guancia, fronte, labbra. Davide ridacchia appena, per nulla stupito dal trovarlo lì quando teoricamente dovrebbe essere da tutt’altra parte.
- Se mi svegliassi ogni giorno così, la mia vita sarebbe qualitativamente molto migliore.
Mario ride, tirandogli uno scappellotto lievissimo contro una spalla.
- Sorpresa. - dice, tirando fuori la lingua, e Davide lo imita immediatamente, rispondendo a tono.
- Sorpresa il cazzo, mi hanno avvertito ieri che probabilmente saresti venuto a rompere le palle in mattinata.
- Ma vedi tu che stronzo. - si lagna Mario, fingendosi offeso e incrociando le braccia sul petto, - Uno fa i salti mortali per venire a trovarlo…
Davide ride, sporge le labbra, non ha bisogno di chiedere scusa - nemmeno per finta - per ottenere in cambio il bacio del perdono. Finisce sempre così, d’altronde, Mario lo sa, e per questo non sbuffa nemmeno ma si limita a sospirare rassegnato mentre si mette dritto e lo punzecchia un po’ lungo il fianco per obbligarlo a spostarsi e lasciargli un po’ di spazio sul letto.
- Ho visto la partita. - gli dice Davide, mentre Mario si accomoda abbastanza da permettergli di sistemarsi a propria volta sul suo petto, - Sei stato così inutile. - commenta, e Mario gli rifila uno scappellotto.
- Il mister ha detto che anche io ho fatto la mia parte. - borbotta, - Quindi non rompere. Piuttosto, come sta il tuo ginocchio?
Davide sospira profondamente, e si prende un secondo prima di rispondere.
- Male. - dice quindi, e non aggiunge altro. Mario sospira, stringendolo fra le braccia e tirandoselo contro, fino a potergli lasciare un bacio lievissimo sulla nuca.
- Certo che sei sfigato. - commenta, accarezzandogli piano la pancia da sopra il pigiama, come fosse un cucciolo o un neonato e quelle poche carezze fossero l’unica cosa in grado di tranquillizzarlo.
Davide sorride appena, e nel suo sorriso c’è dell’amarezza, ma anche una quantità spropositata di gratitudine. È qualcosa che Mario non è mai riuscito a capire, perché lui tende in realtà ad avere parecchie difficoltà nel dire grazie alla vita, anche quando magari la vita se lo meriterebbe, mentre Davide quel grazie ce l’ha sempre brillante negli occhi, fermo sulle labbra, tatuato sulla pelle.
- Io mi sento fortunatissimo. - gli risponde infatti, poggiando le proprie mani sopra le sue. Mario non risponde, limitandosi a coccolarlo ancora.
La luna sta cominciando a percorrere l’arco che la porterà a tramontare quando, esausti, si addormentano entrambi.
fic » fandom » sportivi » calcio,
fic » people » josé mourinho,
fic » people » davide santon,
fic,
fic » people » mario balotelli,
fan » lisachan