Titolo: Comeback
Autore:
lisachanoandoBeta: Nessuno, e infatti sarà piena di cagate, sappiatelo.
Fandom: RPF - Inter F.C./F.C. Barcelona
Personaggi: José/Zlatan (Joooobra che tutti shippano ♥)
Rating: NC-17
Avvertimenti: Slash, Lemon, Bottom!José (è un avvertimento? Per me sì).
Note: Scritta per il P0rn Fest @
fanfic_italia su prompt RPF Calcio (FC Barcelona/Inter FC), José/Zlatan, "Togliti quella fottutissima maglietta.". Ispirata altresì a una
vecchia fanart di
waferkya che poi contestualizza il tutto. Ambientata subito dopo la partita di andata contro il Barcellona, quel millennio fa, quando ancora faceva caldo e il mondo era un posto migliore. (Uh?)
COMEBACK
- Ehilà! - dice Zlatan con entusiasmo, facendo capolino da dietro la porta dello spogliatoio, e non appena il suo naso - e poi tutto il resto della sua faccia - fa capolino dall’uscio, tutta l’intera squadra - una massa compattissima di giocatori alcuni conosciuti, altri conosciutissimi, altri del tutto estranei - si muove verso l’uscita in un mezzo sospiro simultaneo. Zlatan si rifiuta di immaginare che gente come Milito e Motta o, peggio ancora, come Eto’o, possa avere già compreso cosa voglia dire la sua presenza in quello spogliatoio, proprio lì ed in quel momento, ancora sudato e su di giri per la partita appena conclusa in uno zero a zero che, in fondo, non delude nessuno, perciò si limita a dare per scontato che chi milita in quella formazione da più tempo abbia più o meno spiegato agli altri come funzionino le cose fra lui e il mister, consigliando come agire nel momento in cui fosse arrivato - perché sì, che sarebbe arrivato era una certezza: non era davvero pensabile stare insieme nello stesso stadio e non scambiarsi neanche un abbraccio, uno di quelli di cui ha parlato José durante le interviste pre-partita, solo, uh, senza vestiti addosso.
- Ma no, non ve ne andate così presto! - finge di lagnarsi in una mezza risata, mentre muove qualche passo all’interno dello spogliatoio carico dell’umidità delle docce, verso un José che lo fissa con aria allucinata, unico essere nel raggio di chilometri in grado di non aspettarsi una visita simile. - Abbiamo tante cose da raccontarci!
Deki sghignazza, tirandogli addosso un asciugamano bagnato che gli si spiaccica in faccia, avvolgendogli tutta la testa e finendo per schiaffeggiarlo sul naso con uno schiocco.
- Ce le racconti dopo, zingaro! - lo prende in giro, prima di abbandonare la stanza con tutti gli altri. Zlatan ride, liberandosi del panno e lasciandolo ricadere disordinatamente su una panca lì vicino, prima di voltarsi verso José e fissarlo con una quantità indefinibile di stelle negli occhi.
- Zay! - lo chiama, spalancando le braccia come aspettandosi che lui vi si catapulti in mezzo, lasciandosi stringere come un peluche, - Mi sei mancato! - e così dicendo si avvicina, ben deciso a stritolarlo in un abbraccio degno della migliore carrambata mai vista sia in televisione che a telecamere spente, ma José allunga un braccio e glielo pianta proprio nel mezzo del petto, a pochi centimetri dallo stemma del Barcellona cucito proprio lì a sinistra, allontanandolo anche con un certo schifo. - Che c’è? - chiede lo svedese, inarcando le sopracciglia ed inclinando il capo in una perfetta imitazione di labrador più incline a rincorrere la propria stessa coda che non a capire ciò che gli avviene attorno. - Qualcosa non va?
José schiude le labbra e, sempre con quella smorfia di puro disgusto a deformare i tratti del viso, lo indica nel complesso, puntando poi il dito contro la maglia che indossa.
- Togliti quella fottutissima maglietta. - ordina risentito, - Come osi venire qui nel mio stadio con quella fottutissima maglietta addosso?! Non qui, non nel mio spogliatoio! - borbotta, allungando le mani ed afferrando la maglia per l’orlo inferiore, tirandola verso l’alto nel tentativo - in realtà poco osteggiato da parte di Zlatan - di tirargliela via.
- Dovevo giocarci, Zay. - gli fa notare lui, ridacchiando divertito mentre stende le braccia in avanti per agevolare i movimenti concitati di José. - Comunque, non so se prima mi hai sentito, ma mi sei mancato tanto.
- Traidor. - continua a borbottare José, ed è divertente sentire quella parola scivolare fra le sue labbra, per una volta, invece di vederla passare con divertimento malcelato sullo schermo a colori del cellulare all’ultimo grido.
- Sì, anche questo. - commenta Zlatan in una risata che nemmeno si prende la pena di provare a reprimere. - E ora che mi hai tolto questa roba di dosso, ti dispiacerebbe calmarti? - ride come un bambino, strappando la maglia dalle mani di José prima che possa darle fuoco, preferendo appallottolarla e gettarla in un angolo, di lato, dove José non potrà più prestarle attenzione, smettendo conseguentemente di provare istinti omicidi da scaricare in qualche modo, magari demolendo le docce a testate e parolacce in portoghese.
José lo fissa con disappunto per almeno una decina di secondi, riesumando dal campionario delle proprie collaudatissime espressioni quella vacua e monocorde che in genere è in grado di far sentire una nullità chiunque abbia la sfortuna di trovarcisi davanti. Incrocia perfino le braccia sul petto, nell’estremo quanto vano tentativo di darsi un tono autoritario di fronte all’incrollabile sorriso di Zlatan, e poi finisce per sgonfiarsi in un sospiro esausto quando comprende che no, questa non è una serata da bronci e capricci, e solleva le braccia a cercare il collo di Zlatan, cui si appende come un koala non appena lo svedese fa tanto di abbassarsi un minimo per consentirglielo.
- Fai il bravo, su. - sussurra, stringendolo alla base della schiena per sorreggerlo mentre solleva le gambe e gliele allaccia attorno alla vita, mentre contemporaneamente infila una mano fra se stesso e il suo corpo per sbottonare la camicia che indossa e scivolare al di sotto del tessuto leggerissimo, alla ricerca di centimetri di pelle abbronzata e calda da accarezzare pigramente. - Non abbiamo tanto tempo, non posso restare stanotte.
- Ci parlo io, con Guardiola. - sorride divertito José, spingendosi contro di lui abbastanza perché Zlatan possa sentire la sua erezione premere con forza contro la propria, nonostante i pantaloni. - Puoi prendere il primo aereo domattina, nessuno avrà da ridire.
- Speravo che me lo dicessi. - ridacchia Zlatan, sporgendosi a baciarlo lievemente sulle labbra mentre lo sistema di schiena contro gli armadietti in fondo alla stanza, armeggiando con la sua cintura nel tentativo di spogliarlo il più in fretta possibile, - Ecco perché ho già prenotato per domani.
- E se fallisco? - ride José, allontanando un po’ il bacino per permettergli di spogliarlo più agevolmente.
- Tu non fallisci mai. - chiude la questione Zlatan, forzando le sue labbra con la lingua un po’ per zittirlo e un po’ semplicemente perché gli manca il suo sapore, mentre si introduce fra le sue cosce. José si allontana quasi di scatto e lo guarda enigmatico per una serie interminabile di secondi, prima di sorridere felino ed inumidirsi un palmo con la lingua. Zlatan osserva la sua mano scivolare fra il suo corpo e il proprio e poi avvolgersi attorno alla sua erezione tesa e bollente, dandogli i brividi, e tutto quello che riesce a capire del secondo successivo è che all’improvviso si sente disciogliere dall’interno come un blocco di lava in liquefazione, e José si sta stringendo attorno a sé con la forza di una tenaglia, ansimando con forza ed agitando il bacino per venirgli incontro, piantando le mani sulle sue spalle per trovare un punto fermo e cercare di dare una regolarità a quelle spinte su cui Zlatan non ha il minimo controllo e che perciò si fanno più intense quando centra quel punto in profondità che lo costringe a gemere soddisfatto, e meno concitate quando quel punto, invece, lo manca, costringendolo ad una smorfia più addolorata che compiaciuta.
Zlatan allunga le braccia e lo afferra per i fianchi, cercando di dare un senso a tutte quelle spinte e controspinte confuse, e José accoglie la decisione con un mugolio di approvazione, distendendosi quasi lungo la superficie degli armadietti, chiudendo gli occhi e lasciando a Zlatan la libertà di indirizzare le proprie spinte dove preferisce. Zlatan sorride e si china a mordicchiare la pelle un po’ ruvida del suo collo, spingendosi dentro di lui dapprima lentamente, poi sempre più velocemente, ed osservando con aria persa la mano ancora umida di José che scivola contro il suo petto e poi si chiude attorno alla sua stessa erezione, accarezzandola allo stesso ritmo delle spinte di Zlatan - un ritmo che conosce bene, perché non è mai cambiato, così come lui può dire di conoscere ogni angolo del suo corpo ed ogni centimetro della sua pelle ambrata, perché niente è mai cambiato neanche in quel senso.
Le spinte si fanno più veloci in sincrono con gli ansiti di José, e si fermano solo quando entrambi, a pochi secondi di distanza l’uno dall’altro, strizzano gli occhi e schiudono le labbra, abbandonandosi all’orgasmo con aria beata, riposando contro gli armadietti il tempo necessario a riprendere fiato - e solo quello, perché se davvero vogliono un’occasione per restare insieme, stanotte, allora José dovrà davvero andare alla ricerca di Guardiola e provare a convincerlo, o nulla impedirà a Zlatan di trovarsi su un aereo diretto a Barcellona molto prima di mezzanotte.
Nonostante ciò, è controvoglia che si separano l’uno dall’altro, e José fa un po’ fatica a ritrovare un equilibrio sulle gambe un po’ intorpidite, appena poggia i piedi sul pavimento chiaro e lucido dello spogliatoio. Zlatan si risistema appena i boxer, prima di lasciargli un bacio veloce sulla fronte e dirigersi tranquillamente verso l’uscita.
- Zingaro! - cerca di fermarlo José, recuperando i pantaloni da terra e saltellando prima su una gamba e poi sull’altra per indossarli, - Dove credi di andare?!
- Da Deki! - risponde tranquillamente lui, - Che tu riesca a convincere Pep o meno, non avrò molto tempo per parlare con lui, no? Abbiamo un sacco di cose da dirci, e-
- E gliele vuoi dire in mutande?! - insiste il portoghese, andando alla ricerca della propria camicia finita chissà dove durante gli spostamenti della serata.
Zlatan lancia un’occhiata alla maglia blaugrana abbandonata in un angolo dall’altra parte dello spogliatoio, e poi scrolla le spalle, sorridendo malizioso.
- Sei tu che hai detto che non posso andare in giro per il tuo stadio con quella addosso, giusto? - conclude, e il secondo dopo è già sparito oltre la soglia.