No, non ero morta. Ero solo sparita dalla circolazione per un po', perchè ho avuto un milione di cose da fare e che forse avrò anche il tempo di raccontare, ma non ora!
Ora voglio tornare finalmente attiva, e per farlo sento la necessità di pubblicare qualcosa. Lo so, non è il modo migliore per cercare ispirazione, ma almeno così mi renderò di nuovo produttiva in qualche modo!
Questa storia l'ho scritta anni fa', l'altro giorno è rispuntata casualmente tra le innumerevoli e sconfinate cartelle del mio pc, e così l'ho risistemata ed eccola qua!
Sono pochi quelli che conoscono Samurai Champloo, ed è un vero peccato perchè è un anime fatto davvero bene e curato nei dettagli. Magari vi faccio venire voglia di vederlo...
La storia sarebbe una one shot piuttosto lunga, quindi per comodità l'ho divisa in tre parti che troverete tutte qua:
Titolo: Can you see the sunlight all around me?
Rating: verde
Fandom: Samurai Champloo
Personaggi e Paring: Mugen/Fuu, Jin, altro personaggio
Avvertimenti: finale alternativo, spoiler del finale prima serie
Trama: E tutto riprese un senso nella mente di Jin. Ma il senso sbagliato. Mugen e Fuu. Fuu e Mugen. Assieme. Con un figlio. Mai lo avrebbe potuto immaginare e mai lo avrebbe voluto vedere. E invece era lì, assieme a loro. Ma quando diavolo era successo? Quando erano diventati una famiglia? Da quando lui non ne faceva parte? Era tutto così assurdo e irrealistico, eppure tutto così fottutamente semplice.
Can you see the sunlight all around me?
it feels natural to be around you
you've made it possible
you're wonderful
oh, can I
can I tell you why
why I need you *
Prologo
Il sole andava lentamente a morire dietro le colline verdi, irradiando una luce calda e malinconica. Le fronde del grande albero accanto al sentiero producevano strane e arzigogolate ombre sul terreno brullo.
Fu lì che Jin disse addio ai suoi due compagni di viaggio. Si stagliavano davanti a lui, mentre la sua ombra lunga e sottile copriva la poca distanza tra loro. Fuu non gli era mai sembrata tanto bella come quella sera, nell’ora dell’addio.
Sapeva che sarebbe successo, era inevitabile. Eppure doleva il cuore in modo insopportabile. Lo sentiva come la sua spada: spezzato. E, anche se strano a dirsi, gli dispiaceva anche lasciare Mugen. Aveva iniziato ad apprezzarlo, alla fine dei conti. Era un uomo di valore, aveva combattuto fino ad un passo dalla morte per proteggere la loro Fuu.
Fuu, che adesso lo guardava con le lacrime agli occhi e le mani stretta al petto. Sapeva che stava soffrendo ma restare non era nei piani. Certo, aveva provato ad accennarglielo, quella notte sul fiume...ma non era destino che accadesse. Doveva proseguire per la sua strada.
- Sei...sei sicuro di volertene andare così presto?- domandò con voce tremante la ragazza.
-Sì- rispose atono il ragazzo dai lunghi capelli neri.
- Ma...le tue ferite non si sono ancora rimarginate del tutto!-.
- Lascialo stare, Fuu...- intervenne annoiato Mugen, scambiando con l’altro ragazzo un’occhiata d’intesa. Era inutile, se non ancora più doloroso, protrarre quel momento.
- Allora...addio...- mormorò Jin, si sistemò il cappello sul capo e mosse un passo per allontanarsi. Mentre si voltava lanciò un’ultima occhiata a Fuu. La sua Fuu, che aveva imparato ad amare in quel lungo viaggio. I loro occhi si incrociarono, e Jin lesse dentro di essi.
Non partire, ti prego.
Si calò il cappello sugli occhi e se ne andò, cercando di trattenere l’istinto di tornare indietro, o almeno di voltarsi. Nemmeno il rumore dei sandali riuscì a coprire il leggero sospiro della ragazza alle sue spalle. Un semplice, lieve, sibilo. -Jin...-.
Capitolo 1
Erano passati cinque anni da quando le loro strade si erano divise, ma ancora Jin ripensava a quel viaggio. C’erano sere, quando dormiva da solo in una lugubre locanda, o quando si accampava ai lati di un fiume, in cui bastava chiudere gli occhi per risentire perfettamente i brontolii di Mugen o le risate di Fuu. Anche se non c’erano, anche se erano lontani, persi chissà dove, ognuno a vivere la sua vita, gli facevano comunque compagnia. Il loro ricordo era tangibile come il vento che soffia sul mare.
Era un pomeriggio di ottobre, quando giunse in quella cittadina sconosciuta, non troppo lontano da Nagasaki. Si sistemò le spade al fianco e oltrepassò deciso le mura di cinta. Individuò immediatamente una locanda, sulla strada principale.
Era da giorni che non mangiava decentemente, aveva decisamente bisogno di un buon pasto. E magari un bicchiere di liquore, per ridarsi forza. Si tolse il cappello e si sedette al bancone. Osservò distrattamente il menù davanti a lui, e quando il cameriere si avvicinò gli ordinò del pesce fresco. Era stanco di mangiare sempre lepre, come succedeva quando si perdeva in una foresta.
- E del pandispagna- aggiunse.
Un’abitudine antica di cinque anni, ma difficile da scacciare. Ogni fetta di pandispagna gli ricordava inevitabilmente Fuu. E lo sapeva che gli faceva male ricordarla, ma non riusciva a trattenersi. Il dolore che ne derivava era languido e caldo come una sorsata di the.
- Pandispagna, va bene- confermò il cameriere e se ne andò. Un uomo, seduto un paio di posti da lui, si voltò e Jin avvertì il suo sguardo squadrarlo da capo a piedi, sebbene non potesse vederlo se non vagamente con la coda dell’occhio.
E poi quella voce.
- Baka-.
Una sola parola, per scombussolarlo completamente. Quella voce, brusca, bassa, maleducata. Una voce che aveva imparato a riconoscere tanti anni prima.
Jin si voltò di scatto, per ritrovarsi a fissare il volto maturato di Mugen, col solito ghigno stampato sul volto. E per un attimo fu come tornare indietro nel tempo, a cinque anni prima.
-Tu?- sibilò esterrefatto - Che cosa ci fai qui?-.
Mugen si grattò il mento, sorridendo e non rispose. Semplicemente si guardarono e dopo una manciata di secondi scoppiarono entrambi a ridere.
- Dannazione...è proprio il destino- soffiò Mugen tra una risata e l’altra. Jin si coprì educatamente la bocca con un pugno chiuso, ridacchiando.
- Sì, è il destino- confermò scoccandogli un’occhiata veloce.
Mugen non era affatto cambiato, in quei cinque anni. Aveva ancora i capelli scuri perennemente scompigliati e un velo di barba non fatta sulle guance. Gli mancava solo la spada per essere quello di una volta.
Il cameriere portò ad entrambi i loro piatti, senza proferire parola ma guardandoli incuriosito.
Jin sospirò - Allora, Mugen? Che ci fai qui, in questo villaggio sperduto tra le colline?-.
L’altro scrollò le spalle, iniziando a mangiare - Ci vivo-.
A Jin caddero le bacchette. Si voltò per guardarlo sconcertato.
- Davvero? Ti sei stabilito qui?-.
Mugen annuì, abbuffandosi. L’uomo dai lunghi capelli neri fissò allibito il proprio piatto. Poi alzò un angolo della bocca - E adesso mi dirai anche che ti sei trovato un lavoro serio...-.
Mugen bevve un sorso dal proprio bicchierino e sbottò - Qualcosa del genere. Per necessità-.
Jin scosse il capo, stupefatto da tutto ciò. Se non fosse stato assolutamente certo che quello era Mugen, non ci avrebbe mai creduto.
- Buon per te- affermò e iniziò a mangiare con eleganza.
Consumarono il loro cibo in silenzio, entrambi troppo assorti dai ricordi. Una volta finito Jin fece per estrarre il sacchetto delle monete, ma l’altro samurai lo bloccò rudemente con una mano. Pagò lui per entrambi, senza pronunciare una sola parola.
- Andiamo, su...- esclamò dirigendosi verso l’esterno delle mura di cinta, e Jin corrucciò la fronte.
- E dove?-.
- A casa, no?-. Jin avrebbe voluto sorridere, ma non lo fece. Preferì seguirlo in silenzio, affiancandolo lungo la strada. Come un tempo.
- Anche Fuu sarà contenta di rivederti- disse all’improvviso Mugen con assoluta nonchalance.
A Jin si bloccò il respiro. Fuu?
- Lei è qui?- mormorò nuovamente incredulo. Mugen si limitò a un rapido cenno del capo e lo condusse per un piccolo sentiero di collina appena fuori la cittadina. Sulla sommità si ergeva una piccola casetta rustica, ma Jin quasi non ci fece caso tanto era assorto nei suoi pensieri.
Fuu era anche lei lì, e presto l’avrebbe rivista. Chissà se provava ancora qualcosa per lui. Sarebbe stato bello rivederla, abbracciarla e sorriderle come un tempo. Ritornare tutti e tre assieme, come tanti anni prima. Forse anche qualcosa di più.
Giunti a pochi metri dall’entrata, la porta scorrevole si socchiuse e ne uscì una figuretta minuta e bassa che si precipitò verso di loro. Jin impiegò qualche secondo a comprendere che si trattava di un bambino. Correva a piedi nudi verso di loro, i capelli scuri scompligliati e un sorriso radioso in volto.
- Papà! Papà!- urlò con una vocina frizzante e infantile.
Jin avvertì la mascella cedere leggermente e voltò rapido il viso verso Mugen, al suo fianco. Nei suoi occhi castani era comparsa una scintilla che non aveva mai visto prima.
- Papà?- sibilò incredulo l’uomo. Intanto il bambino li aveva raggiunti e strillava - Papà! Guarda cosa ho fatto! Guarda!-. Mugen si chinò e lo prese in braccio con naturalezza portata dall’abitudine. Il piccolo gli porse un passerotto di legno colorato in maniera disordinata e infantile. Jin li osservò scioccato e iniziò a rendersi davvero conto che quello era il figlio di Mugen.
- Bravo. La mamma dov’è?- domandò l’uomo al piccoletto. La porta della casa si aprì nuovamente e una donna apparve sulla soglia, trafelata.
- Gin! Tesoro! Quante volte ti ho detto di non correre sulle pietre?-. La voce le si bloccò in gola quando riconobbe Jin.
Il samurai si pietrificò sul colpo. Non aveva neanche bisogno di voltarsi per sapere chi era la donna sulla soglia di casa.
Fuu. La sua sola presenza lo riempiva completamente. Sarebbe stato in grado di inidividuarla ad occhi chiusi in mezzo a una folla di persone. Ma vederla lì, in quel momento, era seriamente troppo. Più pallido che mai si voltò verso di lei e incrociò il suo sguardo incredulo e leggermente spaventato.
- Jin?- sussurrò flebile.
La vocina allegra del bambino interruppe quella tensione - Ma mamma, volevo far vedere a papà il passerotto!-.
E tutto riprese un senso nella mente di Jin. Ma il senso sbagliato. Mugen e Fuu. Fuu e Mugen. Assieme. Con un figlio. Mai lo avrebbe potuto immaginare e mai lo avrebbe voluto vedere. E invece era lì, assieme a loro. Ma quando diavolo era successo? Quando erano diventati una famiglia? Da quando lui non ne faceva parte? Era tutto così assurdo e irrealistico, eppure tutto così fottutamente semplice.
Faceva male, male da morire quel pensiero. Il suo sguardo confuso passò dalla donna a Mugen, poi di nuovo su di lei e infine sul bambino tra le braccia dell’uomo. Aveva gli stessi occhi scuri e vivaci di Fuu. Quegli occhi di cui si era innamorato. E poi aveva i capelli di Mugen, scompigliati e disordinati.
Sentiva che avrebbe dovuto odiarlo quel bambino. Odiare lui, il simbolo di quell’unione che gli suscitava tanto dolore, odirare Mugen perchè gli aveva portato via la donna che amava, e odiare lei, Fuu, per aver preferito lui.
Ma non ce la faceva. Non poteva odiare il figlio della donna che amava e del suo migliore amico. Non era proprio possibile.
Alla fine, anche se erano cambiati, cresciuti e allontanati, erano pur sempre loro tre. Jin, Mugen e Fuu. E per il momento contava solo quello.
Un accenno di sorriso comparve sul suo volto teso, e ciò sembrò sciogliere anche Fuu che abbandonò le braccia lungo il corpo. Mugen ghignò e si incamminò verso l’abitazione.
- Fuu, perchè non prendi del sakè?-.
La donna si voltò per rientrare in casa e gli rispose - No. Vi preparo del the. Jin non lo regge il sakè-.
E i due ragazzi scoppiarono a ridere. Una risata divertita, vera, naturale. La loro risata.
- Andiamo Gin!- urlò ancora la donna, chiamando il figlio.
Jin si voltò verso l’amico - Gin?-. Non poteva essere un caso che il bambino portasse quel nome tanto simile al suo. Mugen si limitò ad alzare le spalle ed entrare in casa, seguito dall’altro uomo.
Era calata la notte e loro erano ancora seduti al tavolo basso nella sala. Fuu accarezzava dolcemente i capelli del bambino che dormiva placidamente con la testa appoggiata sul suo grembo. Mugen posò la tazzina di sakè sul tavolino e lanciò al figlio un’occhiata seria. Apprensiva, o forse paterna, osservò Jin seduto dall’altro capo del tavolo.
- Dorme- fece notare Mugen con voce bassa.
- Sì. È meglio che io lo porti a letto- sussurrò Fuu amorevole.
Si alzò e lo prese tra le braccia, senza svegliarlo. Passò accanto a Mugen e gli depositò un tenue bacio sulla guancia, che lui però finse di non notare. Poi fece la stessa cosa con Jin, regalandogli un sorriso dolcissimo. Silenziosamente sparì oltre le porte scorrevoli, lasciando i due samurai da soli.
Durante tutta la sera avevano lasciato parlare Jin. Aveva raccontato i suoi viaggi e le sue avventure, ma senza perdere d’occhio ogni movimento degli altri due.
Ora era il momento di Mugen. L’uomo si versò un bicchierino di sakè e chiese distratto - E quella tipa...sì, quella che ti piaceva...Kuzohana?-.
- Morta. Uccisa probabilmente da qualche mafioso- rispose atono Jin.
- Mi dispiace- commentò poco convinto l’altro, bevendo.
- Non importa- rispose sinceramente l’uomo dai capelli lunghi. E decise di farsi del male, di girare il coltello nella piaga e approfondire la ferita. - E tu e Fuu? Cosa è successo?-.
Anche Mugen sapeva che quella domanda sarebbe giunta, prima o dopo. Era tutta la sera che la sentiva aleggiare attorno a loro.
Alzò le spalle - Cosa vuoi sapere? Dopo che te ne sei andato, io sono rimasto. Abbiamo iniziato questa...questa cosa poco dopo. Questa storia. E poi dopo un po’ è nato Gin-.
- Quanti anni ha?-.
- Ne compie tre il mese prossimo-. Calò nuovamente il silenzio.
- Ha voluto chiamarlo lei così. Le piaceva-.
Jin annuì con lo sguardo basso, pensando a quante cose si era perso in tutto quel tempo. Ciò che disse dopo Mugen fu peggio di una pugnalata.
- Ha sofferto molto, quando te ne sei andato. Piangeva spesso. Le mancavi. Ti voleva molto bene, lo sai, e credo che certe cose non possano cambiare. Ma la vita va avanti, lo sai anche tu-.
Certo che lo sapeva anche lui. Lo aveva visto proprio quella sera, davanti ai suoi occhi. Aveva visto come Mugen osservava suo figlio correre e dormire. E aveva notato il leggero, intimo, sfiorarsi di Fuu e Mugen anche nei momenti più banali. La loro perfetta sincronia nelle azioni più quotidiane. I loro occhi che brillavano. Aveva visto tutto quello, aveva visto come le cose potevano cambiare in pochi anni. E sì, faceva un male incredibile, ma era anche felice per tutto ciò. Era felice se loro erano felici.
Sospirò pesantemente e Mugen lo imitò, sgranchendosi le ossa e il collo.
- Tardi. Meglio andare a dormire- bofonchiò Mugen alzandosi in piedi. Jin annuì e si diresse verso l’uscita.
- Ehi, dove cazzo vai?- lo bloccò seccamente l’altro.
- Mi cerco una stanza in qualche locanda. Ce ne sarà una, no?- rispose Jin ricambiando l’occhiata seria.
- Non scherzare. Fuu non ce lo perdonerebbe mai. Dormi qui e sta zitto- sbottò Mugen senza dargli possibilità di ribattere. Ma Jin non lo avrebbe fatto, non avrebbe negato ne rifiutato. Si sarebbe comunque adeguato.
- Va bene - disse semplicemente, prendendo la coperta che l’amico gli offriva.
Capitolo 2
Il sole, seppur tenue, brillava sopra di loro e una fresca brezza autunnale muoveva le loro vesti. Mugen aveva insistito, dietro ferreo ordine di Fuu, per mostrargli il piccolo villaggio. I due uomini camminavano fianco a fianco, silenziosi e assorti nei loro pensieri. Non avevano mai parlato molto, loro due. Non c’era bisogno di farlo, si capivano bene anche così. Anche se così diversi, opposti quasi, pensavano allo stesso modo, ragionavano allo stesso modo. Sentivano allo stesso modo.
Giunti al limitare del villaggio Mugen sbuffò e si ficcò le mani nelle tasche - E questo è tutto-.
Jin si guardò attorno ed annuì. Colse l’occasione per dire - E così ti sei anche trovato un lavoro, eh?-.
Il compagno di viaggio storse il naso - Fosse stato per me, potevo anche cavarmela benissimo senza. Ma sai, con Fuu e poi con Gin, soprattutto, c’era bisogno di qualcosa in più. Qualcosa di meglio-.
Jin avrebbe voluto annuire e dire che lo comprendeva, ma si rese conto che non era vero. Che lui, di quelle cose, non ne sapeva un bel niente. Una famiglia lui non l’aveva mai avuta. Nemmeno Mugen ne aveva avuta una, ma lui almeno aveva avuto la forza, il coraggio, di crearsela. Coraggio che a lui era mancato.
Si incamminarono verso la porta della cittadina e Jin disse - Ti assomiglia molto-.
- Eh?-.
- Gin, intendo. Ti assomiglia- spiegò l’uomo, assorto.
Mugen si passò una mano tra i capelli, forse per la prima volta imbarazzato - Uhm, sì, lo dicono tutti. Fuu non ne era molto contenta all’inizio-. Entrambi sorrisero nell’immaginare l’espressione corrucciata della ragazza.
- Credo che sarete dei bravi genitori- se ne uscì improvvisamente l’uomo dai lunghi capelli neri, e Mugen sgranò gli occhi. Non avrebbe mai creduto che Jin potesse dire una cosa del genere. Scrollò le spalle e pose l’unica domanda che poteva avere un senso in quel momento - Vedremo. Quanto hai intenzione di fermarti ancora?-.
La risposta gli arrivò puntuale, come si aspettava. Lo conosceva fin troppo bene.
- Non molto. Penso di ripartire tra qualche giorno. Il mio viaggio non è ancora finito-.
Mugen annuì senza aggiungere altro. Il suo viaggio era terminato anni prima, assieme a Fuu. O meglio, il suo viaggio non era mai finito, perchè era Fuu stessa la sua strada. C’era voluto tempo, e dolore, per capirlo. E sapeva perfettamente che Jin non era ancora pronto per fermarsi in qualche luogo. Doveva ancora trovare qualcosa, e quello non era il posto giusto.
Osservò il cielo iniziare a tingersi di rosso e mormorò - Comunque sappi che puoi fermarti qui quanto ti pare. E tornarci senza problemi-.
Jin sorrise mestamente - Grazie, ma resterò solo qualche giorno, poi ripartirò. Spiegaglielo tu a Fuu...-.
Mugen si bloccò sul sentiero con un mezzo ghigno sul volto - Col cazzo- ribattè brutalmente - Non ci pensare proprio a sbolognare a me la tua patata bollente. Devi dirglielo tu. Io non ci voglio litigare o sentirla urlare per colpa tua, chiaro?-.
Jin lo fissò interdetto per una manciata di secondi. Infine comprese che non stava affatto scherzando e voleva che fosse lui stesso ad annunciare a Fuu l’imminente partenza. Doveva assumersi le proprie responsabilità, aveva perfettamente ragione. Solo...non sapeva se avrebbe retto un’altra volta vederla soffrire per lui.
Abbassò il capo e ripresero a camminare. Un mezzo sorrisino ironico spuntò sulle sue labbra sottili e domandò al moro - Va bene. E non hai paura che lei possa decidere di venire con me?-. Lo disse scherzando, affatto seriamente, sebbene una minuscola scintilla di speranza ancora brillasse nel suo cuore.
- Stronzate- ribattè sicuro Mugen senza neppure voltarsi a guardarlo.
Non fecero che due passi che Mugen rallentò il passo, fino a fermarsi. Imprevisto, non richiesto, parlò - Ma certo che ho paura di perderla. È normale. Vivo col costante terrore che un giorno se ne possa andare, o che possa succedere qualcosa a lei e a Gin. La verità è che non saprei più cosa fare senza di loro. Non credo sopravvivrei. Sì, ho paura. Una paura terribile di perderla-.
Jin si stupì di quello sfogo, così poco da Mugen. Si guardarono negli occhi e Jin comprese il bisogno dell’uomo di sputare fuori tutta la merda che si teneva dentro. Tutte le sue nuove paure, le sue angosce mai provate prime. Era ovvio, in fondo. Mugen non aveva mai avuto una famiglia, non aveva mai amato qualcuno. Non aveva mai avuto nulla da perdere, ed era per questo che era sempre stato pronto a buttarsi nei pericoli. Ora però era tutto diverso. Aveva una persona da amare, un figlio da crescere. Le paure che ne derivavano gli erano del tutto estranee, e lo stavano rodendo dentro.
- Ma non succederà- affermò con sicurezza Jin, sebbene quelle parole distruggessero ogni speranza nel suo cuore. Si stava ferendo da solo, ma era per il bene dei suoi più cari amici.
- Certo che non succederà- confermò Mugen tornando al solito tono spavaldo e canzonatorio.
- Mamma, posso...-.
- No, Gin. Adesso basta, vai a dormire-.
- Ma mamma!-.
- Gin!-. Il bambino guardò corrucciato sua madre, che ricambiò lo sguardo con severità.
- Uffa- brontolò il piccolo volgendosi poi verso il padre, appoggiato alla balaustra sulla veranda assieme a Jin.
- Hai sentito tua madre, mostriciattolo. A dormire- disse semplicemente Mugen.
Gin abbassò mestamente il capo e afferrò la mano che la donna gli porgeva. Assieme si diressero verso la sua piccola stanzetta, lasciando da soli i due uomini.
Era una notte piuttosto mite, per essere ottobre. Jin e Mugen osservavano il lento degradare della collina e le luci del paese, assorti in mille pensieri forse non così diversi tra loro.
Con un piccolo sbuffo, identico a quello del figlio, Mugen versò un paio di bicchieri di sakè e se ne portò uno alla bocca. Jin esitò, non smettendo mai di osservare l’ombra minuta di Fuu preparare il bambino per la notte.
Le parole gli uscirono di bocca senza nemmeno rendersene conto - è felice?-.
Era una domanda dannatamente semplice, in apparenza. Mugen non rispose subito, perchè in verità la risposta era piuttosto complessa.
Quando una persona si può dire veramente felice? Ci meditò per qualche istante, e infine disse - Io credo di sì-.
Bevve un sorso di liquore e aggiunse - Faccio di tutto perchè lo sia-.
Jin sorrise e annuì - Lo so. Anche io penso sia felice. Lo si vede dai suoi occhi-. Era davvero una cosa strana l’intimità che si creava tra loro due, che erano sempre stati rivali e nemici. Eppure una cosa li accumunava, li legava: Fuu.
- Ho sempre fatto tutto ciò che potevo, per renderla felice- confessò Mugen con voce bassa - Quando si è resa conto di essere incinta, era al settimo cielo. Era radiosa, e io preoccupato. Poi quando è nato Gin, ha iniziato ad avere paura. Temeva che un giorno anche io me ne sarei potuto andare, come fece suo padre con sua madre. Aveva paura che anche io la abbandonassi, lei e Gin-.
- E lo avresti fatto?- domandò calmo Jin, conoscendo già la risposta.
- Mah. Ci sono volte in cui ci penso, certo. Che ripenso alla mia vecchia vita, alla libertà, al non avere pesi sulle spalle. E sinceramente ogni tanto penso anche di andarmene, di ritornare a quei tempi. Ma credo che siano pensieri comuni a tutti gli uomini. Sono solo pensieri. Non lo farei mai, e Fuu lo sa. Non avrebbe alcun senso una vita diversa, ora-.
Jin si sforzò di sorridere, annegando poi quel macabro sorriso nel sakè. Mugen amava davvero Fuu, era innegabile. L’aveva sempre amata più di lui, ed era stato disposto a rinunciare serenamente a tutto per lei.
Chissà, forse anche lui lo avrebbe fatto se ne avesse avuto la possibilità, si disse.
Stava per dirgli qualcosa ma la porta scorrevole si aprì di nuovo e sulla soglia apparve Fuu. A giudicare dall’espressione sembrava piuttosto tesa e imbarazzata. Mugen la scrutò per una manciata di secondi, in silenzio. Si portò le mani sopra la testa e si sgranchì le braccia muscolose - Ah, è meglio che me ne vada a letto- borbottò con voce pastosa. Fuu gli sorrise grata e gli lasciò la porta socchiusa.
- Ti raggiungo- gli sussurrò e tornò a guardare Jin.
- Buona notte- mormorò stancamente Mugen e sparì all’interno della piccola casa.
Fuu abbassò istintivamente lo sguardo, una volta rimasta sola con Jin. L’uomo a sua volta spostò lo sguardo verso la collina, senza sapere cosa dire. O meglio, sapeva cosa dire, cioè che sarebbe partito presto, troppo presto. Solo, non sapeva come farlo. Era conscio di darle un altro dispiacere, l’ennesimo da parte sua, ma non c’era altro modo. L’unica cosa da fare era renderlo più indolore possibile.
Tornarono a guardarsi, e la prima a parlare fu proprio Fuu.
- Te ne vai di nuovo?-. Lei lo aveva già intuito, era ovvio. Alla fine non era solo Mugen, ma anche lei a conoscerlo meglio di chiunque altro. Forse perfino meglio di se stesso.
Jin non potè far altro che annuire e chinare il capo.
- Lo capisco- continuò piano Fuu, e il moro si stupì della sua dolcezza - Ma mi dispiace ugualmente. Vorrei che rimanessi qui, Jin-.
L’uomo sospirò e alzò nuovamente il capo - Non è il posto per me questo. Le cose sono cambiate-.
- E questo ti fa male?-. Una domanda improvvisa che mirava dritta al punto.
- Sì-. Anche la risposta era decisa e puntuale. Fuu sospirò stringendosi nel kimono chiaro.
- Jin, io ti ho amato, lo sai. Ti ho amato tantissimo e anche se mi hai spezzato il cuore mille volte, ho sempre avuto fiducia in te. Non ho mai smesso di volerti bene. Ma...-. C’era sempre un “ma”. Era proprio quello a cambiare tutto, a capovolgere la situazione.
- Ma non potevo aspettarti per sempre-.
Il samurai si sporse verso di lei quel tanto che bastava per sporstarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
- Mi domandavo...- iniziò a bassa voce -...se cinque anni fa’ fossi rimasto, le cose ora sarebbero diverse?-. Non sapeva nemmeno lui quale risposta avrebbe voluto sentirsi dare. Preferì allora attendere in silenzio, cercando di cacciare via false speranze o sensi di colpa. La donna lo guardò negli occhi e lasciò che lui le accarezzasse dolcemente la guancia.
- No- mormorò infine - Non sarebbe cambiato niente. Alla fine penso che sarebbe comunque finita così-.
Le immagini di quella notte in riva al fiume gli passarono davanti come se fossero avvenute solo il giorno prima. Era stata quella notte che Fuu aveva preso la sua decisione. Aveva scelto Mugen nonostante sapesse che Jin nutriva forti sentimenti per lei.
Probabilmente anche Fuu stava rivivendo la stessa scena perchè quando tornò a parlare, lo fece con voce calma e gentile.
- Io ti amo, Jin. Ma amo anche Mugen. In modo diverso, completamente diverso. Non pensare che non ti voglia bene, Jin. Te ne volevo allora e te ne voglio adesso. Ma con Mugen è un’altra cosa. Lui è l’uomo della mia vita, la persona con cui ho deciso di vivere-.
Le dita che accarezzavano la gota morbida tremarono leggermente ma non si staccarono.
- E tu non chiedermi di smettere di amarti, Fuu. Non ci sono riuscito in questi anni di lontananza, e non ci riuscirò nemmeno sapendo che tu e lui vi amate. Lascia che ti ami ancora per qualche tempo, Fuu-.
- Ed è per questo che te ne vai, Jin?-.
Il moro si morse l’interno della guancia, trovandosi stranamente spiazzato. Cosa avrebbe dovuto dirle? Provò con la verità.
- In parte sì. Non credo di essere ancora pronto per vedervi assieme. Ma devo anche terminare il mio viaggio. Dovrò viaggiare ancora per un po’...-. Si sforzò di sorridere e concluse sussurrando - Non è un addio, Fuu. Non lo è mai stato. Fidati ancora una volta di me: ci rivedremo. Quando sarà il momento, tornerò-. La donna annuì con un sorriso teso.
Un alito di brezza fresca scompigliò ad entrambi i capelli, avvertendoli che la notte era ormai scesa ed era ora di tornare dentro. Fuu si mosse per rientrare, ma si sentì bloccare dalla mano candida e fine di Jin. Lo guardò confusa per un istante e quello dopo avvertì chiaramente le sue labbra poggiarsi sulla propria bocca.
Fu un bacio leggerissimo, duranto meno di un secondo. Appena uno sfiorarsi di labbra. Eppure per Jin aveva assunto un significato profondissimo quel bacio. Era tutto quello che non era mai riuscito a fare, quello che si era lasciato sfuggire e quello che stava lasciando andare per sempre. Non c’era malizia ma solo affetto.
Fuu si staccò e lo scrutò nelle iridi, trovandole nere e impenetrabili come sempre.
- Buona notte- sussurrò aprendo poi la porta ed entrando.
- Buona notte- rispose lui pianissimo.
Mugen aveva lasciato una candela accesa nella camera da letto, proprio accanto al tatami. La sua luce, rossa e gialla, proiettava ombre lunghe e contorte sulle pareti.
Fuu fece scorrere silenziosamente il pannello di carta e scivolò nella stanza. L’uomo era disteso sul proprio lato, le braccia incrociate dietro la nuca, l’espressione imbronciata e gli occhi chiusi. Fingeva di dormire, lei lo sapeva bene. Lo conosceva troppo bene per non sapere quando dormiva veramente o quando fingeva. Aveva giaciuto al suo fianco mille volte e lo avrebbe fatto ancora per molto tempo.
Con un sorrisetto saputo indossò la veste da notte e si mise al suo fianco. Si sciolse i morbidi capelli castani, decisamente più lunghi rispetto all’adolescenza, e li lasciò cadere su una sola spalla. Mentre compiva tutti questi gesti Mugen non si mosse di un millimetro, ma continuò a spiarla attraverso le ciglia. Solo quando la donna si distese e spense con un soffio la candela, si decise ad aprire bocca.
- Ti ha detto quando vuole partire?-.
Fuu si voltò verso di lui e gli si rannicchiò contro, poggiando il capo tra la sua spalla e il braccio. Appoggiarsi a lui era divenuta un’abitudine familiare e troppo importante per potervi rinunciare. Era una di quelle cose che la faceva sentire veramente bene. Mugen era il suo sostegno, lo era sempre stato. Annuì solleticandogli il mento con i capelli - Presto, ha detto-.
- E ti dispiace?- domandò lui con falsa indifferenza, portando una mano rude e callosa a sfiorarle il fianco.
- Certo, vorrei che rimanesse qua ancora per qualche tempo- ammise teneramente Fuu - ma so che tornerà, quando verrà il momento-.
La stanza era avvolta dal buio e Fuu desiderò non aver spento così presto la candela. Avrebbe voluto guardare Mugen negli occhi perchè sentiva che c’era qualcosa che non andava. Qualcosa di strano nel suo respiro spezzato, nei suoi movimenti smaniosi e secchi.
Paura? Era paura ciò che affliggeva Mugen in quel momento?
Lei la conosceva bene la paura di essere abbandonati da chi si ama. L’aveva vissuta mille volte, fin da quando bambina suo padre l’aveva abbandonata. L’ultima volta era stata qualche anno prima, appena Gin era nato. Si era sentita terrorizzata all’idea che Mugen la lasciasse da sola, con un figlio da crescere. Che scappasse per paura. Ma no, non era cosa da Mugen. Lui non era un codardo, non sarebbe fuggito. E poi l’amava.
Anche se non riusciva a guardarlo negli occhi,comprese lo stesso i suoi sentimenti, le sue paure. Temeva che lei potesse andarsene con Jin? Aveva visto, o avvertito, quel piccolo bacio?
Allora fece l’unica cosa che poteva fare. Si alzò poggiandosi su un gomito e portò il viso alla sua stessa altezza. Col naso tracciò il profilo del suo volto avvolto dal buio e infine giunse alle sue labbra. - Ti amo- mormorò Fuu e lo baciò con leggerezza e dolcezza.
Quando li aveva lasciati, la volta precedente, era il tramonto. Questa volta, l’alba. Ciò doveva pur significare qualcosa, si disse, mentre si incamminava lungo il sentiero.
Erano cambiate davvero tante cose, da quella volta. Fuu era ancora lì, sul ciglio della strada, ma in braccio teneva un bambino. Anche Mugen era lì per salutarlo, ma questa volta sapeva già che non sarebbe partito. Che il suo posto era quello, accanto a Fuu e a Gin.
Sulle labbra sentiva ancora il sapore e la morbidezza di quelle di Fuu, mentre si calava di nuovo il capello sul capo. Le spade tintinnavano al suo fianco mentre imboccava il sentiero che lo avrebbe portato lontano.
- Ohi- urlò con la solita voce roca e maleducata Mugen, richiamando la sua attenzione. Voltò il capo nella loro direzione e lo trovò a gambe aperte, ben piantato sul terreno scuro, e le mani sui fianchi. Aveva un chè di buffo e un chè di intimidatorio.
- Vedi di non farti ammazzare troppo presto, d’accordo?- gli gridò deciso.
Jin inarcò un sopracciglio ma sorrise, ricordando una scena analoga, ma opposta, tanti anni prima. Quella notte era stato Mugen a lasciarli pronto a rischiare la vita.
“Ricordati che sarò io ad ammazzarti” gli aveva detto Jin mentre lo guardava allontanarsi.
Il samurai dai lunghi capelli corvini annuì col capo e spostò lo sguardo su Fuu. Si stupì di trovarla serena e rilassata, sebbene le dita che stringevano il vestito di Gin fossero troppo rigide. Ne rimase vagamente destabilizzato. Forse deluso. Non gli sarebbe dispiaciuto vederla in lacrime per lui. Invece se ne stava al fianco di Mugen sorridente e tranquilla.
- Arrivederci- sussurrò la donna con voce fioca e bastò quello a far alleggerire il cuore del samurai. Non era lieta di vederlo andare via. Semplicemente questa volta sapeva che sarebbe ritornato. Prima o poi.
Capitolo 3
Erano passati circa tre anni, mese più mese meno, da quell’addio leggero e malinconico alle prime luci dell’alba.
Era calata la sera già da diverso tempo quando Mugen tornò a casa, stanco e annoiato. Si tolse i sandali sulla veranda di legno e appoggiò la spada, la sua amatassima e fedele spada, allo stipite della porta principale. Si grattò la testa e fece per aprire la porta, quando percepì qualcosa di insolito. C’era sicuramente qualcosa di diverso dalla sera precedente, e da quella prima ancora.
Gin aveva combinato qualche altro disastro? No, non era quello. Annussò l’aria come un cane randagio quale era, e comprese che era una presenza estranea a scombussolarlo.
C’era qualcuno in casa sua. Portò una mano a riafferrare la spada e con l’altra aprì di scatto la porta scorrevole. Ciò che si ritrovò di fronte lo lasciò basito per una buona manciata di secondi.
Al basso tavolino della sala sedeva Fuu, intenta a versare del the verde nelle tazzine, e Jin. Il samurai alzò gli occhi nascosti da finissimi occhiali su di lui e sorrise sornione, probabilmente godendo della sua espressione stupita. Fuu invece non si scompose minimamente. Gli lanciò un’occhiata di rimprovero e terminò di versare il the.
- Ne vuoi anche tu, Mugen?- gli domandò con semplicità disarmante. Mugen impiegò ancora qualche secondo a metabolizzare la situazione.
Jin era tornato. Jin era ritornato al loro villaggio ed era amabilmente seduto accanto alla sua donna, intenti entrambi a bere the e fare conversazione. Un leggero moto di gelosia gli scosse le budella mentre calcolava rapidamente lo spazio vuoto tra i due. Appoggiò di nuovo la katana al muro e sospirò. Ci avrebbe pensato dopo ad ammazarlo, eventualmente. Ora voleva solo riposarsi e godersi la normalità. Normalità fatta anche da Jin seduto a bere the a casa sua.
Osservava la scena da lontano, appoggiato al muro della piccola casa sulla collina. Fuu stava spingendo l’altalena ridendo e il piccolo Gin la incitava a farlo andare sempre più in alto.
Sicuramente quell’altalena l’aveva costruita Mugen. Era visibilmente storta da un lato, le corde che la legavano ad un ramo erano diverse e vecchie. Ma i nodi erano solidi, solidi come solo quelli dei marinai potevano essere. Jin osservò Fuu e Gin ridere e si chiese come dovesse essere far parte di quella famiglia. Che cosa si provasse a vedere il proprio figlio giocare sull’altalena che tu gli ha costruito. E la donna che ami accarezzargli i capelli con dolcezza, e rivedere in quei capelli scompigliati i tuoi capelli scompigliati. Doveva essere bello, pensò.
Non c’era più odio, o rivalità, o invidia nei suoi pensieri. Solamente un retrogusto amaro, una nostalgia che bruciava il palato ma che veniva subito raddolcita dalla gioia che provava ad essere di nuovo lì. A casa, perchè quella era l’unica casa che potesse avere uno come lui. Ormai non desiderava più vagabondare in eterno, ricercare chissà quale verità assoluta. Gli bastava stare lì, su quella collina, ad osservare le persone che amava ridere e giocare. Anche se rimaneva in disparte, andava bene lo stesso.
Da quando era partito aveva pensato sovente, troppo sovente, a loro. Agli occhi di Fuu, ai duelli con Mugen, alla loro casa fuori dal villaggio. Inizialmente era frustrante avere sempre i loro volti in mente, chiedersi cosa stessero facendo in quel momento era un’infiltrazione nella loro privacy che lui stesso non avrebbe tollerato. Ma col tempo, con il passare dei mesi, vi si era abituato. A volte quando si addormentava gli sembrava davvero di essere anche lui lì, sulla veranda della piccola abitazione in legno. E quando riapriva gli occhi per un istante ci credeva sul serio.
Il dolore si era attenuato poco a poco, la delusione e l’invidia si erano assottigliate così tanto da apparire quasi invisibili dentro di lui. E Jin ne era davvero fiero.
- Yo- salutò Mugen comparendo all’improvviso accanto a lui, appollaiato in quella sua tipica posizione accovacciata su un tronco caduto.
- Che vuoi?- gli chiese sospirando impercettibilmente.
- Ehi, guarda che sei ospite a casa mia! Quindi vacci piano con le parole, quatrocchi!- sbottò Mugen alzando il mento e storcendo il naso. Jin inarcò un sopracciglio ma sorrise. Tornò a guardare Fuu e Gin. - è cresciuto- osservò pacato.
Mugen indirizzò i suoi occhi scuri verso il figlio. Sei anni, un metro e qualcosa scarso. Una peste che gli ricordava incredibilmente se stesso alla sua età. Solo decisamente più fortunato.
- Già - mormorò - Fuu si arrabbia quando le dicono che divente sempre più simile a me. Quella stupida-.
Jin sorrise veramente - Ne va orgogliosa-.
- Ovvio-.
Il villaggio si era ingrandito dall’ultima volta che vi era stato. Faceva fatica a riconoscere le stesse vie che aveva percorso tre anni prima assieme a Mugen. A nulla servivano le vaghe e smozzicate indicazioni di Mugen.
- La locanda della vecchia Hun-.
- Sì, quel tipo...quello che costruisce utensili. Te lo ricordi, no?-.
- Il ponte di pietra. Lo hanno ricostruito dopo che è crollato l’anno scorso-.
Insomma, erano pressochè inutili. Tanto più che il villaggio lo aveva già visitato il giorno prima, da solo.
Camminavano fianco a fianco, Jin con il braccio appoggiato alle spade, Mugen le mani in tasca. Camminavano piano, senza alcuna fretta, gettando occhiate annoiate attorno. Senza parlare, semplicemente ascoltando i rumori attorno e annusando i profumi di cibo ancora caldo.
- Andiamo di qua-. Era stato Jin a parlare, e ciò sconvolse mostruosamente l’amico. Non era lui che doveva fargli da guida? Mostrargli le evoluzioni del paese? Stranamente mite lo seguì per una via laterale, via per la quale raramente si era ritrovato a passare.
Jin si fermò davanti ad un edificio fatiscente, col tetto per metà crollato e le insegne un tempo colorate ormai sbiadite.
Mugen alzò lo sguardo e si grattò il capo. - Eh?-.
Jin sorrise in quel modo tutto suo, effimero e misterioso.
- Non mi dire che non sai che cos’è...- sussurrò sardonico.
Mugen lo fulminò con lo sguardo - Certo che so cos’è, stronzo. È il vecchio dojo della città. Lo hanno chiuso qualche anno fa’-.
- Ho chiesto di riaprirlo-.
Ecco, Jin era fatto così. Buttava le bombe con straordinaria naturalezza senza preoccuparsi minimamente dell’effetto che facevano sulle altre persone. Il suo sorrisino non si incrinò nemmeno per un istante, quasi godesse dell’espressione incredula dell’amico.
- Che cosa?- strillò Mugen indifferente allo sguardo di alcuni passanti.
- Ho intenzione di riaprire questo dojo- chiarì meglio Jin, come se ciò fosse la cosa più ovvia e preannunciata della storia. Mugen boccheggiò per qualche secondo, rendendosi conto dell’effettivo significato di quelle parole. Se Jin aveva intenzione di riaprire quel dojo, e insegnarvi...significava che aveva deciso di stabilirsi lì. Nella loro stessa città.
Mugen sapeva di dover essere geloso, perchè da quel momento in poi Jin e Fuu si sarebbero visti continuamente. Ma non potè far altro che provare gioia per riavere alsuo fianco il vecchio compagno di avventure. Incrociò le braccia al petto muscoloso e lanciò qualche occhiata di sbieco all’edificio.
- Forte- sussurrò - Te la sei studiata per bene, eh?-.
Finalmente Jin sorrise in modo più naturale e aperto. - Era da un po’ che ci pensavo, in effetti-. Dopo qualche attimo di totale silenzio, Mugen domandò - Sono contento. Ma sei sicuro di farcela? A gestire un dojo? Sarà una bella grana-.
Il samurai dai lunghi capelli neri annuì - Lo so. Ma altrimenti chi insegnerà a tuo figlio ad usare la spada?-.
I due uomini si scambiarono un’occhiata vivace. Erano entrambi consapevoli che da quel momento in avanti si apriva una nuova epoca, un nuovo terreno di sfide e combattimenti. Di rivalità e giochi. E probabilmente questa volta sarebbe durato davvero per il resto delle loro vite.
Epilogo
Gin tornò a casa che era l’ora del tramonto. Il sole bruciava e la fresca brezza estiva gli scompigliava i capelli castani. Si appoggiò con una mano allo stipide della porta e con l’altra si sfilò i sandali, lasciandoli sulla soglia. Sua madre si sarebbe infuriata se avesse sporcato di fango l’intera casa.
Aveva diciassette anni, sapeva usare la spada, leggere, scrivere e pescare. Era appena tornato da un tempio sulle montagne, dove aveva trascorso qualche giorno con un amico. Non vedeva l’ora di raccontare tutto ai suoi genitori di come aveva battuto il maestro dei monaci e delle ottime pietanze che cucinavano. Pensava di trovare in casa anche Jin-sensei, perchè era logico trovarselo a cena nelle sere d’estate. Ed anche in inverno, a dire la verità.
Aprì la porta scorrevole e gettò a terra la sacca.
- Mamma!- strillò raggiante - Mamma, sono tornato! Ti ho portato dei dolcetti fantastici che fanno i monaci!-.
Nessuno gli rispose. La casa era più buia e silenziosa del solito. Con un’ansia indefinita Gin si guardò attorno. Non c’era nè la spada di suo padre, nè quella del sensei.
- Mamma?- esclamò dirigendosi verso la piccola cucina - Papà?-.
Nessuno rispondeva. Il panico crebbe in lui quando si accorse che non c’era nessuno in casa, e che molte cose dei suoi genitori erano sparite. Aprì di scatto la porta della cucina e la trovò deserta. Rimase paralizzato sulla soglia. Non era abituato a vedere quella cucina vuota. Di solito c’era sua madre ad accoglierlo servendogli qualcosa da mangiare. Non che fosse una buona cuoca, come suo padre ripeteva continuamente, ma era una presenza rassicurante. Ora vedere la cucina deserta opprimeva l’animo.
- Ma dove sono tutti?- sospirò cercando di mantenere la calma. Sul basso tavolino vicino al focolare notò una busta, un piccolo libro e un fiore. Non un fiore qualsiasi, ma un girasole.
Fin da quando aveva memoria, i girasoli erano i fiori preferiti di sua madre. E anche di suo padre, sebbene non lo avrebbe mai ammesso. Ogni tanto, tornando a casa dopo l’allenamento al dojo, Gin ne trovava per casa. Nei vasi, infilati negli infissi, qualche volta perfino tra le coperte. Quando era piccolo aveva notato che sua madre, suo padre, e perfino Jin-sensei avevano tatuato un piccolo girasole sulla spalla destra. Era stata una sorpresa scoprilo. Suo padre aveva molti tatuaggi, ma non poteva certo immaginarsi che perfino sua madre e il sensei ne avessero! Aveva domandato loro cosa rappresentasse quel girasole, ma sua madre gli aveva risposto enigmatica - Quando sarai grande,te lo dirò-. Balle, non gli aveva mai raccontato nulla.
Sospirando si inginocchiò e prese in mano la lettera. Gli saltò subito all’occhio la calligrafia minuta e curata di Fuu.
Caro Gin, perdonaci se non ti abbiamo avvertito prima. Ma forse è meglio così.
Io, tuo padre e Jin abbiamo deciso di partire. Pensavamo a questo viaggio da tanto, tantissimo tempo. Finalmente sei abbastanza grande da prenderti cura di te stesso da solo. Ed è il momento che anche tu parta, tesoro.
Noi andremo ad est, verso Tokyo. Là da dove siamo partiti.
Ci hai sempre domandato cosa significasse il tatuaggio del girasole e come ci siamo conosciuti, noi tre. Ebbene, è tutto riportato nel diario che ti abbiamo lasciato. Leggilo, e capirai il perchè siamo voluti partire. Non ti stiamo abbandonando, Gin. Semplicemente, è giunto il momento che tu prenda la tua strada. E anche noi. Dobbiamo ripercorrere i passi di vent’anni fa’. Vedere quanto sono cambiati i luoghi, le persone, e noi. Se siamo ancora quelli di un tempo, o se siamo cambiati nel corso degli anni.
Ci rivedremo presto, Gin. Se c’è una cosa che abbiamo imparato, nel corso delle nostre avventure, è che il destino ci fa rincotrare tutti quanti. Tu compi il tuo viaggio, caro, e cresci. Scopri il mondo, la sua gente e te stesso. Porta con te compagni fidati e annota tutto, come feci io anni fa’. E quando ci ritroveremo, più presto di quanto immagini, ci racconterai tutto.
Ti vogliamo bene, Gin.
Fuu, Mugen, Jin
Ps: devi assolutamente assaggiare il Sushi di Kyoto, chiaro? È la cosa migliore che ci sia! E lavati tutti i giorni! E portati dei vestiti di ricambio! Mamma
PPs: vedi di conoscere anche qualche bella signorina. Così la presenti pure a me. Papà
PPPs: continua ad allenarti con la spada tutti i giorni, Gin. La via del samurai è ardua e faticosa, ma offre anche grandi soddisfazioni! Jin
Gin rimase per qualche minuto ad osservare la lettera, sconvolto.
Erano partiti? Dovevano essere impazziti. Fare i bagagli e andarsene...era una follia! E come diavolo pretendevano di rivedersi? Il Giappone era grande, non sarebbe stato semplice incontrarsi. Sbuffò spazientito per la totale mancanza di buonsenso dei suoi genitori e osservò cos’altro gli avevano lasciato. Quello che gli era apparso un libro era in effetti un diario. Il diario di sua madre. Lo prese tra le mani tremanti e lo osservò. Sembrava molto vecchio, probabilmente risaliva a prima della sua nascita. Lì dentro vi era riportata tutta la loro storia, e il perchè di quel viaggio privo di senso.
- Ehi, Gin!- esclamò una voce tonante alle sue spalle. Si voltò di scatto e vide Shinji, il suo migliore amico, fermo sulla soglia.
- Che diavolo stai facendo?-. Gin abbassò lo sguardo sulla lettera.
- I miei...se ne sono andati- mormorò. Restò un attimo in silenzio.
- Penso che partirò anche io, Shinji. Sono abbastanza grande da scoprire il mondo, non credi?-. Sorrideva speranzoso.
L’amico lo scrutò serio per una manciata di secondi. Quando parlò la sua voce risuonò per tutta la cucina. - Mi sembra una stronzata-.
Gin sospirò pesantemente. - Ma vengo anche io. Mio padre è da una vita che cerca di sbattermi fuori di casa!-.
Chissà come, poi, si erano ritrovati in tre a lasciare il villaggio che li aveva visti nascere e crescere. Lui, Shinji e la piccola Yumi. Piccola ma più forte di loro due messi assieme, doveva ammetterlo. Era una follia, se ne rendeva conto, ma le parole di sua madre lo avevano scosso profondamente.
Seduto accanto al fuoco, con la notte che calava attorno a loro tre, finalmente si decise a prendere nuovamente in mano il vecchio diario.
- Che cos’è?- domandò Yumi avvolgendosi in una coperta.
- Il vecchio diario di mia madre. Dovrebbe raccontare come lei, mio padre e il sensei si sono incontrati-.
- Davvero?- esclamò entusiasta Shinji - Fantastico! Magari scopriarmo qualcosa di perverso sul sensei!-. Gin alzò gli occhi al cielo e poi li riabbassò sul foglio.
- Dai, leggi!- lo invitò Yumi sporgendo il collo verso di lui.
Prese un bel respiro e lo aprì alla prima pagina.
- 10 luglio, soleggiato. Oggi ...
* Samurai Champloo “You” Lyrics