Titolo: You can’t forgive what you can’t forget
Fandom: Merlin
Beta:
namidayumePrompt: Merlin, Lancelot(/Gwen) - future!fic, uno dei suoi tanti errori @
Settimana Nera IIPersonaggi: Merlino, Artù, Gwen, Lancillotto; nominata Morgana
Pairing: roba canonica é_è Artù/Gwen, Lancillotto/Gwen e qualche piccolo hint Artù/Merlino
Rating: Pg
Conteggio Parole: 1.593 (FDP)
Avvertimenti: future!fic, speculazioni varie
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
● Non l’avrei mai scritta se non per Nami. ;_; E’ che Lancy e Gwen mi stanno entrambi abbastanza sulle scatole e scrivere di loro non è esattamente il mio sport preferito. XD Comunque, ce l’ho fatta. ù_ù E gliela dedico anche, a quella buzzurra. è_é
● Ma! Questa storia risente in realtà tantissimo di
Closer but apart di Nami; non è esattamente un seguito, perché gli eventi sono posizionati diversamente, ma quella fic m’è stata in testa tutto il tempo, in particolare alcune frasi pronunciate da Morgana, e questa, indubbiamente, ne ha risentito. ò_ò
● Titolo da Windowsill degli Arcade Fire.
● Postare dal mini-portatile è la morte. (M’è crashato il fisso, sapete ;_;)
You can’t forgive what you can’t forget
È una notizia che si diffonde rapida nel castello, è una diceria ripetuta e ripetuta, fino ad acquistare pian piano consistenza, fino a diventare certezza. È una paura che prende forma, è una fitta di dolore che diventa più acuta, è una nebbia che si dirada e, con lentezza, scopre la verità.
Agli occhi di Merlino, cade come un fulmine a ciel sereno. Se la ritrova davanti inaspettata e la accoglie incredulo, con l’equilibrio di sempre che vacilla a causa dell’onda d’urto.
«Merlino,» dice Ginevra, la voce spezzata, un sussurro lieve che improvvisamente non è più il tono autoritario da regina che ha imparato ad usare. «Merlino, qualunque cosa tu abbia sentito, io…»
Lui si volta a fissarla, la scruta attentamente; cerca, attraverso le linee del tempo, di ritrovare nella figura di donna che ha di fronte la ragazza che era sua amica, quella di umili origini che difendeva i giusti, sempre e al meglio delle proprie forze. Prova a ricostruire gli anni, i passaggi che l’hanno trasformata, e di comprendere come sia accaduto, come sia stato possibile che alla fine sia giunta al tradimento.
«Non capisco,» replica infine. «Tu lo amavi e lui ti ama, cos’è andato storto?»
La donna si prende il volto tra le mani, in risposta, e singhiozza forte; assomiglia tanto alla piccola Gwen adesso e il cuore di Merlino s’incrina un po’, il dispiacere gli si annida dentro. «Non lo so,» balbetta lei, «è stato un errore, io non volevo che accadesse questo.»
L’uomo scuote la testa e non si muove, non le va incontro per consolarla, non le dice di smettere di piangere o che tutto andrà bene. «Se non avessi voluto che accadesse, non dovevi semplicemente lasciarlo accadere, mia regina,» è tutto ciò che mormora, il tono secco, prima di accennare un inchino e uscire dalle stanze della dama.
*
Dare la colpa a lei - a loro - è facile, perché gli concede la possibilità di sentirsi meglio. Imputa l’accaduto alla stoltezza di una donna, ai suoi eccessivi sentimentalismi e alla galanteria di un cavaliere quasi siano due estranei, quasi non conosca altro che i loro nomi.
L’idea di essere in parte responsabile di quanto è avvenuto - di aver permesso, in qualche modo, che avvenisse - è un sottofondo nella sua testa, un pensiero nebuloso che aleggia minaccioso sui restanti. Merlino cerca di ignorarlo, di scacciarlo alla stregua di una stupida fantasticheria, ma la voce che ripete è colpa tua, è colpa tua, è colpa tua non accenna a sparire.
Si fa sempre più forte con lo scorrere delle ore, anzi, e quando, nel pomeriggio, Lancillotto va a trovarlo nei suoi appartamenti è diventata un grido ben distinto.
«Merlino,» lo chiama il cavaliere, lo sguardo sempre fiero sotto l’espressione preoccupata e colpevole. «Qualunque notizia ti sia arrivata, vorrei che sapessi che la regina non ha responsabilità.»
La frase non lo sorprende - è rimasto identico, Lancillotto, sempre disposto a sacrificare se stesso per salvare le persone che ama - e il mago si trattiene a stento dal mettersi a ridere e dargli dello sciocco. Invece, la domanda che pone è più diretta e crudele: «Perché l’hai fatto? Dopo tutto ciò che ti abbiamo dato, dopo i favori che Artù ti ha concesso!»
Il cavaliere china il capo, evitando il suo sguardo. «Conosco le mie colpe,» replica, «e sarò pronto ad accettare qualsiasi punizione il re vorrà infliggermi. Partirò oggi stesso in esilio, se lo comanda.» Il suo tono è risoluto e determinato e l’altro non ha affatto dubbi che andrebbe esattamente così, che lascerebbe Camelot in questo stesso istante se solo Artù pronunciasse le fatidiche parole.
Forse, sarebbe meglio se andasse in questo modo, se Lancillotto prendesse il proprio cavallo e sparisse definitivamente dalle loro vite. Gwen e Artù, allora, potrebbero tornare al loro amore originario, dimenticare gli sbagli, affrontare il futuro incerto insieme; ma la volontà del proprio sovrano, in questo momento, gli è quanto mai oscura.
«Non so cosa deciderà di fare con te il re,» ammette allora, in uno sbuffo che suona inevitabilmente infastidito. «Non l’avevo previsto, non avevo idea che questo sarebbe potuto succedere.»
Bugiardo, replica sfrontata la voce nella sua mente ed è così alta e ben distinguibile, adesso, che a Merlino ricorda quella di Lady Morgana - il tono tagliente degli ultimi avvertimenti che gli ha dato prima di partire. Lo sapevi, lo potevi intuire, è colpa tua, è colpa tua, è colpa tua, riprende febbrilmente la cantilena e lui vorrebbe urlare, vorrebbe scacciarla dalla propria mente e dimenticarla insieme alle proprie responsabilità.
Non lo fa. Rivolge invece un ultimo sguardo rancoroso al cavaliere - sperando di scaricare su di lui i rimproveri che gli incendiano la mente e fallendo - per congedarlo: «Non c’è nulla che possa fare per te. Non più.»
Lancillotto sembra comprenderlo subito e accettarlo. Gli volta le spalle e, a passo fiero e lento, esce dai suoi alloggi.
*
Il volto di Artù è fissato in un’espressione talmente seria e neutrale da sembrare una maschera. È seduto sul suo scranno, ma, lo sguardo puntato da qualche parte fuori dalle ampie finestre, sembra estraniato da ogni cosa, semplicemente altrove.
Merlino gli si agita intorno per un po’: sistema alcune carte sul tavolo, le mette in ordine e poi posiziona in cima i resoconti più importanti e urgenti; si schiarisce la voce un paio di volte, persino, sperando che quello ricordi al sovrano la propria presenza e lo spinga a parlare.
I suoi tentativi non hanno esito, perciò alla fine si ritrova a piantarsi di fronte a lui e a rompere il silenzio prima ancora di rendersene conto. «Mi dispiace,» dice, fissando l’uomo negli occhi, pronto a prendersi le proprie responsabilità - che sono tante, tantissime, e in questo momento gli pesano sul petto una ad una.
Ma Artù non reagisce come si era aspettato; lascia infatti uscire uno sbuffo divertito e, ritrovando il contatto con la realtà, accenna un mezzo sorriso verso di lui. «E di cosa, Merlino?» domanda, il tono venato appena del suo solito sarcasmo. «Non ci sei certo andato a letto tu con mia moglie.»
Il mago china lo sguardo e arrossisce lievemente. «Certo che no,» si affretta a confermare, mentre il pensiero di snocciolare all’altro tutte le ragioni per cui si sente colpevole, tutti i modi in cui poteva agire diversamente e cambiare le cose, tutte le proprie scelte sbagliate che, infine, hanno portato a quelle precise conseguenze si fa strada nella sua testa.
Avrebbe potuto realizzare quanto forti fossero i sentimenti di Lancillotto in tempo, per esempio; avrebbe potuto ricordarsi di quanto Gwen fosse ammaliata da lui, del fascino che il cavaliere aveva sempre posseduto ai suoi occhi. Avrebbe potuto dare ascolto a Morgana, infine, a lei che, con le mani ancora sporche del sangue di Re Uther, prima di abbandonare Camelot per sempre, lo aveva avvertito: «Non farli sposare, Merlino, qualunque cosa succeda. Non permetterle di rovinare Artù e il regno per sempre.»
Rivelare ogni cosa all’altro, adesso, lo aiuterebbe a sentirsi più leggero, forse metterebbe finalmente a tacere quella voce che non ha interrotto le proprie accuse nemmeno per un attimo. Eppure, infine, desiste dal proposito, perché parlare davvero implicherebbe anche spiegare al re che il suo più caro amico, l’uomo di cui più si fida e che ha promesso di agire sempre nel suo interesse, è solo un incapace e uno sciocco.
Il coraggio di apparire in quella luce gli manca del tutto. Quindi, riprendendo i toni della conversazione appena iniziata, Merlino sopprime quel bisogno di sincerità e torna a rivestire il proprio ruolo.
«Che farai con loro, adesso?»
Artù prende un profondo respiro e, con un tono che sa quasi di rimprovero, replica: «Niente, che vuoi che faccia?» Sembra intristirsi per un breve istante, poi recupera la propria luce regale e il proprio atteggiamento di comando e si affretta ad aggiungere: «Nessuno del popolo o delle guardie deve saperne nulla di questa storia. Dobbiamo tenerla segreta il più possibile, mi hai capito?»
La richiesta lo spiazza, ma non fa in tempo ad obiettare che Artù si alza dal trono e gli si avvicina. «Ascoltami, Merlino, ascoltami,» intima, appoggiandogli una mano sulla spalla e fissandolo negli occhi con una serietà che quasi lo spaventa. «Camelot sta attraversando un periodo difficile. Stiamo andando incontro a una guerra contro chissà quali forze e il popolo ha bisogno di sapere che il re e la regina veglieranno su di loro insieme, senza altri pensieri per la testa che non la salvaguardia della povera gente.»
«E Lancillotto?»
Passa un lampo di collera negli occhi di Artù, ma scompare tanto in fretta quanto è apparso. È di nuovo il re, non il marito, che riprende a parlare. «Lancillotto è il tipico uomo in grado di fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta, in una guerra. Non possiamo rinunciare a lui.»
L’ammirazione che Merlino prova in questo momento si rivela nulla in confronto al pensiero del dolore che quella forzata indifferenza deve provocare nell’altro. Prima che possa dire qualcosa, però, il sovrano torna a muoversi, va a sedersi al tavolo di fronte alle carte preparate per lui e gli ordina: «Adesso dedichiamoci a questa roba e non parliamone più.»
Merlino gli si siede vicino meccanicamente e, mentre vorrebbe promettergli che gli starà accanto qualsiasi cosa accada - la stessa promessa che gli ha fatto per una vita e che sempre continuerà a fargli - per poi concentrarsi su questioni meno importanti, la verità è che non riesce a smettere di pensare alle proprie azioni, ai propri errori. E tutto ciò che si chiede, ora che questa prima burrasca è già esplosa, è unicamente quando le conseguenza disastrose di tutti gli altri che ha compiuto si mostreranno, distruggendo Camelot, Artù e forse persino lui stesso.