[DCU] There’s a dark side in us all ~ Ibn/Mary/Allan/Lena

Jun 30, 2009 21:53

Titolo: There’s a dark side in us all
Fandom: DC Comics
Beta: namidayume
Prompt: Ibn al Xu'ffasch(/Mary Grayson), Lena Luthor(/Allan Wilson) - "Oh, andiamo. Non vuoi vendicarti?" "No." Mentiva, e la cosa peggiore era che lei lo sapeva. @ Gomitoli di Lana
Personaggi: Ibn Al Xu’ffasch, Lena Luthor, Allan Wilson, Mary Grayson, Slade Logan; nominati gli altri Titans.
Pairing: Ibn/Mary, Allan/Mary, Allan/Lena
Rating: Pg15
Conteggio Parole: 4.729 (W)
Avvertimenti: Angst.
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
• Ambientata nel lovvoverse.
• Namida mi ha aiutata tantissimo ._. Praticamente l’intera trama è stata elaborata con il suo aiuto e mi ha incoraggiata un casino. Insomma, la amo e questa fic è tutta dedicata a lei ç_ç
• IL CONTEGGIO PAROLE! *_* Con la new gen accade questo e altro. o_ò
• Titolo da Ways and means degli Snow Patrol e sottotitolo da Ballata per la mia piccola iena degli Afterhours.


There’s a dark side in us all
Sai già come sarà,
ma non sai più chi sei.

Lena. Lena Luthor.

Questo era uno di quei nomi che, quando lo sentiva, gli provocavano una vaga apprensione. Era uno di quei nomi che, quando venivano pronunciati, erano sempre seguiti da qualcosa di - più o meno - brutto. Ibn lo sapeva e avrebbe dovuto sapere anche, senza la minima incertezza, che se la ragazza gli aveva proposto un incontro c’era dell’altro dietro.

Lena aveva l’aria di una che ha passato intere ore ad elaborare qualcosa, quando la raggiunse. I suoi gesti tradivano un leggero nervosismo e, soprattutto, impazienza. Appena lo vide entrare, nello sgabuzzino di un bar di quart’ordine dell’East End - la segretezza del posto era un altro indizio di cui Ibn stava tenendo conto -, non si perse in chiacchiere inutili.

«Allan e Mary,» iniziò. «Ho la soluzione definitiva a questo piccolo problema.» La sua voce suadente si incagliò sulla parola definitiva, permettendo ad Ibn di assorbirla completamente. Si mosse verso di lui e lo fissò, alla ricerca di un interesse che era consapevole di aver suscitato.

Lui, però, non lasciò trasparire nulla. «Non apprezzo le tue soluzioni, lo sai benissimo,» replicò. Avvertì un moto di rabbia, quasi, per aver acconsentito all’incontro: era un argomento delicato, quello, e parlarne con Lena non era il massimo delle sue aspirazioni.

La ragazza sorrise, di quel sorriso bianco e luminoso che rappresenta la sua certezza che, in un modo o nell’altro, le si darà ascolto. «Oh, andiamo, non essere sciocco,» riprese. «Vuoi mettere fine alla cosa esattamente - o persino di più - di quanto lo voglio io.»

«Non sono come te,» chiarì immediatamente il ragazzo, ma lei lo ignorò.

«Per me è una semplice questione di possesso, di principio. Ma tu, oh, tu hai in gioco quel sentimento che tutti chiamano… com’era?» finse di pensarci su e poi, «Amore,» sibilò, come una stoccata.

Ibn ne risentì esattamente come se fosse stato appena colpito. Detestava che la gente avesse completa conoscenza di ciò che provava e, in particolare, detestava che suddetta gente, al momento, fosse Lena Luthor. Rimase in silenzio e questo ingrandì il sorriso della ragazza; poi si sollevò sulle punte e sussurrò al suo orecchio, «Non vuoi vendicarti nemmeno un po’?»

Rispose quasi in automatico: «No.» Ma mentiva e la cosa peggiore era che lei lo sapeva - lo sapeva perfettamente.

«Uomini!» esclamò tra sé ridendo e scuotendo la testa, rassegnata. «Devono sempre lasciarsi pregare.»
Lui tentò di allontanarsi, ma lei lo bloccò appoggiandogli una mano sulla spalla; con l’altra gli prese il mento tra le dita e lo obbligò a guardarla fissa negli occhi.

«Potrei costringerti,» ricominciò. «Potrei persino costringerti a pregarmi di aiutarti. Invece non lo faccio e ti offro una, diciamo, alleanza.» Quell’ultima parola, pronunciata dalle sue labbra, sembrò incredibilmente pericolosa.

Indietreggiò nuovamente e scrollò le spalle. «Pensaci,» propose, con tono fintamente casuale, «e ti accorgerai che sono l’unica alternativa che ti resta.»

Gli diede la schiena e, dalla stessa porta da cui Ibn era entrato, uscì, lasciandolo solo. Il ragazzo chiuse gli occhi e respirò a fondo - sentiva ancora il profumo costoso della Luthor infestare lo stanzino, come un veleno a rilascio graduale - già sapendo che, per l’ennesima volta, Lena aveva ragione.

*

«Non fidarti di nessuno.»

Leonor lo disse fissandolo negli occhi senza indugio e la sua preoccupazione lo investì come un’ondata. Aggrottò le sopracciglia, confuso. «Cosa?»

Lei ripeté, «Non fidarti di nessuno.» Incrociò le braccia al petto e, spostando lo sguardo altrove - come su qualcosa che poteva vedere solo lei -, «Le carte parlano chiaro,» spiegò. «E anche le rune, e il mio istinto. C’è qualcosa di cattivo in arrivo, Allan.»

Il fratello sorrise affabile a quelle parole. Non era solito sottovalutare le doti divinatorie di Leonor - non dopo che si erano rivelate esatte più volte, soprattutto - eppure quella sentenza non lo spaventò affatto. «Siamo i Teen Titans,» replicò. «È sempre in arrivo qualcosa di cattivo.»

La preoccupazione di sua sorella non si affievolì per nulla. «È contro di te e contro di te solo,» aggiunse. «Ma ha contorni troppo indefiniti perché possa decifrarli. Come il male puro.»

Questo iniziò ad inquietarlo e il pericolo più ovvio gli venne in mente. «Trigon è--» cominciò, ma Leonor levò una mano per interromperlo. «Non lui, lui lo riconosco facilmente. Si tratta di altro.»

Lo fissò nuovamente e concluse, «Sta’ attento,» con un tono quasi di preghiera; poi uscì dalla stanza e la preoccupazione scomparve con lei.

Allan si guardò intorno, confuso, e tornò alla propria occupazione scrollando le spalle. Leonor si agitava troppo, ultimamente, e lui, in fondo, era sempre attento.

*

Tornò da lei pochi giorni dopo, non perché mosso da timore a causa dell’apparente minaccia che la ragazza aveva lanciato, ma da qualcos’altro. Qualcosa che lo aveva tenuto sveglio la notte, che lo aveva portato a guardare Mary in modo differente, a pensare che sarebbe stato bello riaverla di nuovo tutta per sé, senza doverla dividere, come ai vecchi tempi.

Il desiderio di vendetta - esattamente come Lena aveva intuito - pulsava nelle sue vene e aveva cominciato a farlo troppo forte per essere ancora ignorato. C’era riuscito così bene, nei mesi precedenti, ma adesso non poteva più - non voleva più: una “soluzione definitiva” era quanto di meglio potesse chiedere.

«Permettimi di illustrarti il piano fin nei dettagli,» sorrise Lena, accavallando le gambe e fissandolo attentamente.

Ibn si mise in ascolto e nient’altro gli importò - né di allearsi con una Luthor, né che quell’alleanza potesse portarlo alla rovina. Improvvisamente, non gli importò nemmeno di poter fare male.

*

Slade entrò nella palestra a passo svelto, seguito dalla forma canina di Brion che gli trotterellava accanto.

«Indovina!» esclamò rivolto ad Allan. «Ibn al Xu'ffasch è qui di persona per parlarti.» La sorpresa nella sua voce comparve immediatamente anche sul volto di Jericho, che smise subito di allenarsi e si volse completamente verso di lui.

Ibn faceva sempre il possibile per non venire alla Torre. Solitamente - quando gli eventi lo richiedevano -, lo incontrava in territori neutri o, al massimo, lo invitava all’Infinity; il fatto che ora fosse lì significava che aveva davvero qualcosa di importante da comunicargli.

«Cosa vuole?» domandò a Terrance, ma l’altro scosse le spalle. «Ha chiesto di parlarti e basta.»

Senza essere stato annunciato né introdotto, Ibn entrò a passo svelto in quel momento. «Lasciateci soli,» intimò ai due Logan e Brion gli ringhiò contro, per sottolineare il proprio disappunto. Slade rivolse un unico sguardo ad Allan - che annuì - e poi, richiamando il proprio fratello, fece come gli era stato detto.

L’empatico avvertì subito l’urgenza che animava il figlio di Batman - avvertì quella e un sottile velo di preoccupazione, sepolto sotto strati di ostilità. Gli andò incontro - mantenendo sempre una certa distanza di sicurezza tra loro - e incrociò le braccia al petto. «Che sta succedendo?»

«Ci ascoltano?» domandò a sua volta Ibn. «La segretezza di tutto questo è importante, nessuno deve venirne a conoscenza.»

Jericho levò una mano per fargli cenno di attendere e, con tono alto e chiaro, pronunciò: «Sylar, interrompi audio e video della palestra.»

«Sicuro, boss? Quel tipo non mi piace mica,» giunse la voce del ragazzo, resa metallica dal sistema di microfoni.
«Sicuro,» replicò Allan e, il momento dopo, si sentì un clic e Ibn seppe che non c’era più nulla da temere.

«Si tratta di Mary,» cominciò allora - Jericho ebbe un sussulto, nel sentir pronunciare quel nome. «È stata rapita e credo sia in pericolo di vita.»

All’istante, la preoccupazione e la premura che Allan avvertiva ebbero un senso. «E che stai aspettando?» si affrettò a domandare, allarmato.

«C’è dell’altro.» Ibn aprì una tasca della cintura e tirò fuori il palmare; premette un tasto e sullo schermo comparve un video: Lena Luthor - la riconobbe senza esitazioni - imbavagliata e legata ad una sedia, in una stanza con le pareti macchiate di rosso, di qualcosa che sembrava sangue. Per la seconda volta, Jericho trasalì.

«Chi ha fatto questo?»

«Damian,» spiegò. «Mi sta mettendo alla prova. Vuole vedere chi salverò, se la donna che amo e che è finita nei guai da sola, o una criminale, sebbene, in questo caso, innocente.» L’apprensione si acuì mentre parlava e l’altro cominciò a spaventarsi davvero. Tutto ciò aveva perfettamente senso, da quello che sapeva dell’erede di Ra’s Al Ghul, erano il tipo di cose che avrebbe orchestrato per incasinare ulteriormente la vita del fratello.

«Vuoi che ci dividiamo i compiti e le salviamo entrambe?» lo incalzò, tagliando corto.

«No. Voglio che tu ti occupi di salvare loro.» Spense il palmare e fissò Jericho negli occhi. «Apparentemente, la prova è triplice. In questo stesso momento, Damian è nel pieno centro di New York con una bomba all’idrogeno che minaccia di innescare entro un’ora, se non mi vedrà lì o se si presenterà qualcun altro.»

L’empatico rimase impassibile. «Perché io?» chiese solo, dopo un breve istante di silenzio.

Ibn attese un momento e poi rispose: «Perché sei uno dei pochi che ritengo in grado di cavarsela contro Damian, nel caso si giunga ad uno scontro.» Sembrava costargli molto quell’ammissione e, se non si fossero trovati in una simile situazione, Allan avrebbe persino sorriso. «Sai che non ti chiederei nulla, se non fossi costretto,» aggiunse il figlio di Batman, per sottolineare la cosa.

Lui lo sapeva e lo sapeva bene. Scandagliò le emozioni del ragazzo e ognuna di esse sembrava collimare esattamente con la versione che gli aveva appena sentito raccontare. L’urgenza si trasferì anche a lui e aveva già deciso di accettare, quando domandò, «Come faccio a salvarle entrambe?»

«Non puoi, devi scegliere,» gli arrivò in risposta. Ibn trafficò ancora con il proprio palmare e il trasmettitore di Allan ricevette due indirizzi. «Sono posti troppo lontani e Damian avrà certamente trovato il modo perché sia impossibile salvare entrambe.» Ignorò lo sguardo sconvolto dell’altro e ripeté, «Devi scegliere.»

Poi si voltò e, dirigendosi verso l’uscita, «Ricordati: nessuno deve saperlo o New York salta in aria,» si raccomandò.

Jericho restò immobile per un lungo attimo, incapace anche della minima azione, ripetendo le parole di Ibn ancora e ancora nella propria testa. Poi si riscosse, avviò il trasmettitore e, mentre sistemava il costume e si avviava correndo fuori dalla palestra, controllò gli indirizzi: parti diverse dell’America, praticamente, proprio come aveva detto l’altro. Inviò un messaggio a Sylar, chiese quanto ci sarebbe voluto ad adoperare i teletrasporti della JLA senza che il gruppo lo scoprisse - troppo - e se c’era qualche stratagemma utilizzabile per raggiungere in breve i due punti - nessuno.

Quando giunse al jet, aveva ormai esaminato ogni possibilità e non gli restava altro che seguire il consiglio di Ibn: scegliere.

Chiuse un attimo gli occhi, prese un respiro profondo e ragionò, aggrappandosi all’unica certezza che, in quel momento, gli venne in mente: Ibn non avrebbe mai e poi mai, per nulla al mondo, lasciato morire Mary. Salì sul jet e, scacciando gli ultimi rimasugli d’insicurezza, inserì le coordinate del luogo dov’era prigioniera Lena Luthor.

*

Registrò la partenza del jet dei Titani e la direzione verso cui volava nel proprio radar. Stava andando tutto esattamente come aveva previsto - come lei aveva previsto, si corresse all’istante - eppure non avvertiva neanche un briciolo di soddisfazione.

Fissò il punto verde sullo schermo che identificava il mezzo di trasporto e, per un attimo, non si mosse. Sarebbe stato ancora in tempo per fermarlo, se l’avesse voluto. Avrebbe potuto percorrere quei chilometri in una manciata di secondi e raccontare a Jericho tutta la verità, evitare a lui di precipitare nella trappola che gli avevano teso ed evitare a se stesso il senso di colpa che, presto o tardi, si sarebbe mostrato.

Avrebbe potuto farlo, se l’avesse voluto. Il problema era che non lo voleva affatto.

Spinse un pulsante sul palmare e la conversazione con Lena si avviò. «Sta arrivando,» confermò, e la ragazza replicò semplicemente: «Perfetto.»

Ibn poté quasi sentirla sorridere di compiacimento, mentre chiudeva nuovamente la comunicazione.

*

Tutto troppo facile, gli balenò in testa per un momento. Continuava a guardarsi intorno e ad avanzare, teso come una corda di violino, pronto a scattare al minimo movimento sospetto, lungo un corridoio che pareva infinito, stretto e scuro. Quando scorse una pesante porta in ferro, illuminata da una fioca luce bianca, il suo livello di attenzione crebbe ulteriormente.

Inaspettatamente, non incontrò trappole; la porta era chiusa da un sistema informatico e gli bastò collegare il proprio trasmettitore per inviare il segnale d’apertura. La dischiuse - e quella cigolò, come per dispetto - pronto a trovare il peggio al suo interno, a battersi per la vita di Lena. Il pericolo che tanto aspettava non arrivò nemmeno allora.

La ragazza era - proprio come nel video - legata e imbavagliata; appariva scarmigliata - probabilmente in seguito ad una lotta - ma non ferita. Allan si guardò intorno per assicurarsi che tutto fosse sicuro e poi avanzò verso di lei. Cercò spavento e timore all’interno della stanza, però non trovò nulla del genere e la cosa, invece di insospettirlo, lo allarmò ulteriormente.

Slegò Lena con un colpo secco del pugnale che portava nel costume e quasi si mise a scuoterla con violenza, per l’ansia di sapere se stava davvero bene. Lei, tuttavia, non gli diede il tempo di preoccuparsi troppo: con uno scatto rapido gli gettò le braccia al collo, tanto in fretta che Allan poté solo vedere un lampo del suo sorriso.

La Luthor lo strinse forte e poi, senza che lui potesse fermarla, lo baciò. Il contatto con le sue labbra morbide gli fece dimenticare tutto il resto, persino la situazione di pericolo in cui, ancora, erano immersi; si permise di abbassare la guardia e abbandonarsi al sollievo di vederla salva, e rinsaldò la presa attorno al suo corpo per avere la certezza che null’altro le accadesse.

Solo quando si staccarono - dopo quella che era parsa un’eternità - Allan si rese conto che dalla ragazza non solo non arriva paura, ma nemmeno conforto, nemmeno gratitudine: l’aria era invasa da un senso di vittoria e trionfo, da una forte soddisfazione che lo lasciò sconcertato, confuso.

«Sapevo che saresti venuto da me,» sussurrò Lena, a poca distanza dalle sue labbra.

Ad Allan ritornarono in mente le parole di Leonor. Non fidarti di nessuno, aveva detto.

*

Mary si guardò intorno e sbuffò. Non era la prima volta che Ibn si comportava in un modo che non riusciva a decifrare, eppure certi atteggiamenti le suscitavano sempre un moto di fastidio. Su sua richiesta, si era lasciata rinchiudere in una stanza con appena un divanetto, un frigorifero e un televisore che riempiva quasi del tutto una parete; il motivo di tutto ciò le era completamente oscuro.

Come al solito, il suo ragazzo non le aveva dato molte spiegazioni. «È una misura di sicurezza,» si era limitato a dirle e poi l’aveva lasciata sola, con la promessa di farsi risentire presto, per sparire chissà dove.

Stava continuando la propria lista di lamentele mentali - pronta ad andare avanti a lungo -, quando il televisore, all’improvviso, si accese e la voce del conduttore del telegiornale nazionale si diffuse nella stanza. Mary si voltò distrattamente, quasi scocciata da quell’ulteriore stranezza, ma le immagini a cui il mezzobusto si stava riferendo catturarono immediatamente la sua attenzione.

Davanti ai suoi occhi, Allan Wilson - perfettamente riconoscibile nel suo costume di Jericho - stava abbracciando Lena Luthor, la stava baciando e poi, tenendole la mano, usciva con lei dal quadro della telecamera.

«Un eroe che, invece di difendere i deboli, corre ad aiutare la figlia del nemico numero uno degli Stati Uniti?» commentò il cronista. «Che questo significhi che le priorità dei Teen Titans sono improvvisamente cambiate?»

Mary deglutì e continuò a fissare lo schermo, immobile in una sorta di stato di shock. La risposta alla domanda posta le salì alla mente quasi dotata di vita propria: no, le priorità di Allan non erano mai cambiate, era solo lei stata tanto sciocca a credere che fosse possibile.

*

La Torre Titans era stata invasa dai giornalisti. Allan sentiva il loro vociare fin dalla propria stanza, mentre silenziosamente preparava le valige. Leonor era seduta sul letto poco distante, fissandolo senza pronunciare una sola sillaba da quando era arrivata; Slade, invece, andava e veniva, barcamenandosi tra i curiosi da tenere a bada, le dichiarazioni da rilasciare e le preghiere rivolte al suo amico perché rimanesse.

Non c’era possibilità che succedesse, però, Allan lo sapeva bene. Da quando il video era passato su rete nazionale, era stato tacciato di collaborare con i criminali - e i più pericolosi, anche -, di fare il doppio gioco e di aver tradito l’intero Paese. La JLA e la JSA erano intervenute immediatamente, chiedendogli di abbandonare i Titani al più presto; non gli avrebbero rivolto nessuna accusa formale, ma allontanarlo era il minimo che potessero fare - e Allan lo capiva perfettamente - per non urtare ulteriormente l’opinione pubblica.

Così, seguire gli ordini era tutto ciò che gli rimaneva. Aveva passato gli ultimi giorni per lo più da solo, a raccogliere i propri averi e a riflettere: la trappola che gli era stata tesa non aveva più segreti per lui, ormai, gli si dipanava chiara e comprensibile davanti agli occhi.

Lena e Ibn avevano collaborato per incastrarlo e rovinarlo, e tutto ciò che Allan riusciva a pensare era che la colpa di tutto quello era sua; ci era cascato come uno sprovveduto - si era fidato - e adesso ne avrebbe dovuto pagare le conseguenze, mentre il figlio di Batman ne usciva pulito e impeccabile, come era sempre stato.

Il suo pensiero corse spesso a Mary - che non aveva avuto il coraggio di cercare, perché temeva di conoscere cosa pensasse di lui, adesso - e seppe che quello era solo il punto finale di una lotta cominciata nemmeno un anno prima, quando per la prima volta aveva baciato la ragazza. E l’esito era che Ibn aveva vinto, stracciandolo il più letteralmente possibile: ora Mary sarebbe stata sua e basta, non ci sarebbero stati altri rivali.

Inizialmente, aveva considerato la vendetta, aveva ardentemente desiderato restituire il favore al Pipistrello e trascinarlo a fondo con sé; avrebbe potuto far leva sui sentimenti di Mary - manipolarli a suo bisogno, persino - e portargliela via, nel modo più crudele possibile. Ma poi, l’amore che ancora, nonostante tutto, nutriva per lei era prevalso e lo avevano dissuaso: il nome di Jericho stava per diventare odiato e disprezzato come quello di suo nonno, Deathstroke, e per nulla al mondo Allan avrebbe obbligato anche Mary a quella vita.

Impiegò altri pochi minuti a terminare i preparativi e, quando le valige furono pronte, non gli rimaneva che salutare il team e lasciare la Torre. Con nessuno di loro fu facile - Zachary lo fece sembrare, ma Slade gli singhiozzò sulla spalla per cinque minuti buoni - e la parte più dura venne al momento di abbracciare Leonor. La sua freddezza gli penetrò sotto la pelle, gelandolo, e il fantasma del suo sguardo severo lo accompagnò fino all’esterno.

Per la prima volta, Allan seppe senza ombra di dubbio di averla delusa.

*

Mary lo mancò per una decina di minuti. Aveva indugiato a lungo a casa, intenta a chiedersi cosa dovesse fare, se chiamarlo o meno, se andare a trovarlo o meno, se dirgli addio o meno. Alla fine, si era diretta decisa alla Torre, senza un piano preciso ma con un’incredibile voglia di parlargli, di sapere almeno come stesse; era arrivata troppo tardi, però, e la consapevolezza che non avrebbe più rivisto il ragazzo cominciava a farsi strada dentro di lei.

Sugli altri Titani sembrava essere scesa una cappa di tristezza irrisolvibile; li trovò seduti nel salottino, in perfetto silenzio - cosa che le suonò come un’incredibile novità -, le espressioni cupe e assorte in chissà quali pensieri.

Leonor non la degnò di uno sguardo e il fatto che persino Kid Devil non le avesse rivolto nemmeno mezzo sorriso le lasciò intendere che la sua presenza lì non era ben accetta. Era già pronta ad andarsene, quindi, senza nemmeno provare a lasciare un messaggio per Jericho, quando Slade la fermò. «Devo parlarti,» annunciò, precedendola fuori dalla stanza.

«Senti,» cominciò, una volta che lei l’ebbe raggiunto. «Allan non ha voluto rispondere alle mie domande e mi ha chiesto di non parlarne, ma…» esitò, guardandola fisso. «Penso che tu debba sapere.»

Mary aggrottò le sopracciglia e, con impazienza, gli fece cenno di proseguire. Terrance sospirò e riprese, «Credo che Allan sia stato incastrato. E credo che dietro tutto questo ci sia Ibn.»

*

L’auto di Lena lo accostò appena fuori dalla calca formata dalla stampa. La riconobbe all’istante, anche se lei non si lasciò vedere, e dopo un breve momento di incertezza aprì la portiera e salì a bordo.

«Pensavo ci sarebbe voluto un po’ di tempo prima di rivederti. Invece sembra che il tuo passaggio al lato oscuro sia convinto,» lo accolse, l’angolo sinistro della bocca piegato verso l’alto.

«Portami solo via da qui,» replicò Allan, occhieggiando alla massa di giornalisti che non si decideva ad andar via.

La ragazza annuì («Come desideri,» mormorò) e premette il bottoncino dell’interfono posto al suo fianco. «Vai, Mario,» ordinò all’autista e all’istante l’auto si mise in movimento; le voci all’esterno andarono pian piano affievolendosi e quando ci fu completo silenzio, spezzato solo dal ronzio dell’asfalto che scorreva sotto di loro, Allan si lasciò andare contro il sedile e sospirò stancamente.

Lena gli rivolse la sua piena attenzione, ma prima che potesse dire qualcosa fu lui a parlare.
«So che tutto questo è opera tua e di Ibn,» affermò. «Mi avete incastrato.»

Lena cambiò posizione sul sedile per fronteggiarlo meglio e prese un profondo respiro, pronta ad affrontare la questione, ma ancora una volta lui la interruppe. Si limitò a chiedere: «Perché?»
La parola venne fuori come un sussurro privo di forza; si era immaginato a domandarlo con rabbia, con indignazione, eppure quei giorni lo avevano così tanto stremato che adesso non riusciva nemmeno a ritrovare la propria collera iniziale.

«Per il tuo bene, Allan,» rispose subito la ragazza. Lui la guardò scettico, ma lei sostenne l’occhiata senza indugio; si avvicinò, allora, puntellandosi sul sedile dell’auto, e riprese, in un sibilo, «Mi avete distrutto la vita per il mio bene?»

Lena non si lasciò affatto intimidire. Levò gli occhi al cielo, «Ok, non prendiamoci in giro. Sai perché Ibn l’ha fatto, ma per quel che mi riguarda ho pensato solo al tuo bene, esatto. Non dovrebbe stupirti, c’è ancora dell’affetto che ci lega, dopotutto.»

Allan tornò nella propria posizione iniziale e sbuffò. Sapeva che Lena stava dicendo la verità, perché non c’era traccia di falso compiacimento, in lei; si passò le mani sul viso, stropicciandosi gli occhi, e ripeté, «La mia vita è distrutta.» La risata della Luthor lo colpì crudele.

«Non posso credere che lo pensi sul serio,» commentò, tornando a poco a poco seria. «Non puoi davvero accontentarti di quello che avevi.»

«Avevo degli amici,» la rimbeccò lui. «Avevo una ragazza e un team di supereroi.»

Lena rise di nuovo. «Avevi un team di idioti mascherati, che non erano tuoi amici, ma sottoposti,» lo corresse. «E consideri Mary la tua ragazza? Dobbiamo davvero tirare fuori l’argomento?»

Allan abbassò lo sguardo, poi lo spostò sul finestrino, cercando di indovinare dove fossero - cercando di farsi venire in mente un posto in cui andare, un posto in cui nessuno, Lena compresa, potesse raggiungerlo.

«Sii serio, Allan,» riprese la ragazza, recuperando il proprio tono fermo. «Non potresti mai accontentarti per sempre di una vita simile, tu. Sei un mezzo demone, la tua natura è un’altra e ben presto quella condizione ti sarebbe stata stretta.» Lui percepì chiaramente la sua sicurezza, ma restava qualcosa di estraneo, non riusciva a renderla propria.

Lena gli scivolò più vicina sul sedile e posò una mano curata sulla sua spalla. «Ti abbiamo reso un favore, sono certa che un giorno lo capirai.»

Quella sicurezza continuava a circondarlo; sembrava una cappa d’aria pesante, gli stringeva il petto, quasi non gli permetteva di respirare. Si sottrasse bruscamente al tocco della ragazza e la fissò duramente - un lampo rosso balenò nei suoi occhi. «Non avevate nessun diritto di decidere per me,» sibilò con freddezza. «Non puoi essere tu a stabilire chi sono.»

Lei arretrò, pur senza scomporsi, e incrociò le braccia al petto. Stava per dire qualcosa, ma Allan levò una mano e lei tacque. «Fa’ fermare l’auto,» intimò, e dopo un lungo istante di silenzio, Lena premette nuovamente il bottone dell’interfono e chiese all’autista di accostare.

Allan scese nell’esatto momento in cui la macchina si bloccò, ma una volta fuori gli arrivò la voce di lei: «Non sto cercando di stabilire chi sei. Io so chi sei,» disse.

La ignorò e, senza voltarsi indietro, si calò il cappuccio del costume sul viso e volò via.

*

Era rimasta seduta nella camera di Ibn per non sapeva nemmeno quanto tempo, in attesa che lui tornasse. Fuori era buio e silenzioso, ma nella sua testa le parole di Terrance continuavano a ripetersi in sequenze sconnesse, intervallate da una vocina che le diceva, insistentemente, di essersi sempre sbagliata.

Quando lui arrivò, era ancora immobile nella stessa posizione, seduta sul letto che spesso avevano condiviso; si alzò, pronta a fronteggiarlo, e il ragazzo dovette percepire subito che c’era qualcosa di strano, perché, a differenza del solito, non abbassò la maschera e non le andò incontro.

«Stai bene?» domandò.

Mary scosse la testa e lo guardò con astio. «So ogni cosa,» mormorò, insicura della sua stessa voce. La collera le serrava lo stomaco, ma non era certa di come lasciarla uscire. Avrebbe voluto prenderlo a pugni, bruciarlo con i suoi raggi di energia, fargli - in qualsiasi modo possibile - lo stesso male che lui aveva fatto a lei. Niente di tutto questo, però, sarebbe davvero servito.

Ibn tacque; la maschera accentuava la sua impenetrabilità, col risultato di lasciarlo apparire indifferente come al solito. Mary lo odiò.

«Per tutto questo tempo,» ricominciò, inceppandosi sulle sue stesse parole, «ho creduto che tu fossi diverso, che non fossi come Damian o come tuo nonno. Invece sei feccia come loro, e io mi sono totalmente sbagliata.»

Ibn serrò le labbra, accusando il colpo - lei sperò di essere andata a fondo, di aver raggiunto il cuore -, e disse, «Non sai perché ho agito così.»

Mary scosse di nuovo il capo, lentamente. «Non mi importa,» replicò secca. «Adesso so cos’hai davvero dentro e mi basta.» Avanzò verso di lui, fino a fermarsi ad appena un passo di distanza. Portò le mani al suo viso e abbassò la maschera, per poterlo finalmente guardare negli occhi.

«Non voglio più vederti,» disse, e non c’era un briciolo di esitazione nella sua voce, né un briciolo di calore nel suo sguardo; con lo stesso passo sicuro si diresse fuori dalla stanza, senza voltarsi indietro.

Tutto era gelido e definitivo.

*

«Non è andata esattamente come nel tuo piano.»

Non aveva voluto incontrarla per ottenere una consolazione - o forse sì, forse era esattamente per quello, visto che non poteva rivolgersi a nessun altro, ma non l’avrebbe mai ammesso -; adesso, comunque, era lì, nel suo attico in centro, seduto di fronte a lei a guardarla in cerca di una risposta.

Lena sorseggiò il proprio drink con calma, per nulla toccata dalla sua affermazione. «Hai un aspetto miserabile,» commentò ad un certo punto, e c’era una sfumatura che sembrava pena, nella sua voce.

Nemmeno per lei le cose si erano risolte nel migliore dei modi - non vedeva Allan da giorni e lui lo sapeva -, eppure continuava a mostrarsi perfetta e sicura di sé. Era quella la differenza sostanziale tra loro, rifletté il ragazzo: lei era assolutamente a proprio agio anche nel male, persino dopo aver ferito, distrutto, cancellato. Ibn aveva provato a comportarsi allo stesso modo e aveva fallito, con il risultato che Mary gli era scivolata via dalle mani come acqua; e si sentiva davvero miserabile, sì, la Luthor non sbagliava nemmeno su quello.

Si passò una mano sul volto, provando ad eliminare la stanchezza dovuta alle notti trascorse sveglio, lanciato a capofitto nel lavoro - più del solito: qualsiasi cosa per non pensare a lei -, e poi si mise in piedi e si diresse verso la porta d’ingresso, pronto ad andarsene, perché chiaramente quell’incontro non stava muovendo in nessuna direzione.

Lena appoggiò il bicchiere sul tavolino e, prima che lui raggiungesse la soglia, disse, «Torneranno, basta aspettare un po’.»

Il ragazzo si bloccò e, senza girarsi a guardarla, chiese, «Come fai ad esserne così sicura?»

«Perché siamo tutto ciò che hanno, ormai.»

Ibn annuì e riprese a camminare. Mentre lasciava l’appartamento, le parole della ragazza risuonarono nella sua testa più volte, nel medesimo tono certo che lei aveva appena usato; si aggrappò a quella rassicurazione e, disperatamente, sperò che Lena avesse ancora una volta ragione.

[2009], » challenge: gomitoli di lana, dcu - lovvoverse

Previous post Next post
Up