Titolo: At sixes and sevens
Capitolo: Undici di diciotto: Capitolo 10: Durmstrang (Parte I: L’arrivo. Noia, noia, noia).
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Capitolo 10: Durmstrang (Parte I: L’arrivo. Noia, noia, noia)
Durmstrang si rivelò esattamente come Harry l’aveva sempre immaginata. Un castello adagiato in una valle, tra le montagne innevate, più basso e più lugubre di Hogwarts, ma circondato da un parco immenso, sebbene al momento coperto di neve.
Ermak Ingolfsson era andato in visibilio non appena Harry era arrivato nell’edificio. Immediatamente, senza che lui potesse nemmeno salutare gli altri presenti (tipo Malfoy, ad esempio), lo aveva trascinato a visitare il castello, presentandolo a tutti gli insegnanti, gli inservienti o gli studenti che incontrava.
Non poté fare a meno di sentirsi lusingato da tanta attenzione, eppure avrebbe preferito di gran lunga sedersi ad un tavolo e restare zitto. Per tutto il resto della serata possibilmente. Ma non era quello che il Preside aveva in mente; anzi, nel momento in cui si sarebbe finalmente seduto al tavolo, Ingolfsson si aspettava anche che Harry tenesse un discorso. Di fronte a centinaia di studenti. Di fronte a Draco Malfoy, soprattutto.
Si ritrovò stranamente a sperare che le diciannove punto zero-zero non arrivassero mai.
Fortunatamente, qualcuno giunse a salvarlo dal chiacchiericcio asfissiante di Ingolfsson (“Zignor Potterr, me ha zempre ammirrato lei. Me zeguito lei in tutte sue partite!”). Madame Maxime, ancora Preside di Beauxbatons, avanzava verso di lui in tutta la sua mole imponente.
“Arrì! Chérie! Come tu sta? Passato buon vacances?”
Harry le fece un sorriso a trentadue denti. Sicuramente con la donna era più a proprio agio che con quello strano omuncolo barbuto. Tuttavia, una sensazione pungente continuava a premere alla base del collo. E Harry sapeva cosa la provocava: un biondino dall’aria annoiata, che si trovava a pochi metri di distanza e continuava a tenere i propri occhi grigi puntati sulla sua schiena.
In breve, Harry si ritrovò in quella che doveva essere la sala da pranzo di Durmstrang seduto ad un vasto tavolo, posto su una sorta di soppalco galleggiante, di fronte agli studenti. Al centro del tavolo si trovava Ingolfsson, alla sua destra e sinistra, rispettivamente, Madame Maxime e la McGranitt (che Harry era riuscito a malapena a salutare, prima di essere rapito dagli altri ospiti). Alla destra di Madame Maxime sedevano ancora la delegata del Ministero Francese (una donna molto graziosa) e i direttori del Dipartimento per gli Sport Magici e della Cooperazione Internazionale Magica russi. Dopo la McGranitt, invece, si trovava Harry e, accanto a lui (ma tu guarda un po’ che fortuna!), Draco Malfoy.
“Sempre al centro dell’attenzione, eh Potter?” gli aveva sussurrato, mentre si sedevano.
“Taci. Sto odiando ogni singolo istante, non peggiorare la situazione.”
Dopo i discorsi dei tre Presidi e dei signori dei Ministeri, toccò a Malfoy parlare. Harry restò stranamente sorpreso da come il biondastro stava affrontando la situazione con calma; non che avesse mai avuto difficoltà a parlare in pubblico (ricordava alla perfezione tutte quelle scenate in Sala Grande!), ma, ecco, non pensava che il furetto fosse diventato tanto diplomatico e serio. In fondo, ciò che conosceva lui, era solo la sua parte irritante, sarcastica e infinitamente bastarda.
Tuttavia, ciò che affascinò Harry, anche se trovava davvero difficile ammetterlo, era il modo in cui l’abito che Malfoy indossava mettesse in risalto i suoi occhi. Occhi che, mentre lo ascoltava distrattamente, non fecero altro che rimanergli impressi in mente, tanto che quasi non si rese conto che il discorso era finito e che Ingolfsson gli aveva ceduto la parola. Fu una gomitata della McGranitt a farlo rizzare in piedi, come se si fosse appena seduto su un porcospino.
Il discorso che pronunciò fu inaspettatamente migliore di come se l’era immaginato e, alla fine, quando si sedette, fu sorpreso di ricevere un’occhiata di approvazione dalla sua ex-professoressa di Trasfigurazione. Persino Malfoy non si produsse in nessuna battutina delle sue e Harry non poté far altro che sentirsi sollevato. Da un lato.
Dall’altro, il suo nervosismo era fuori controllo. Sentiva uno strano formicolio al fianco sinistro, come se quel maledetto biondino fosse in autocombustione e gli stesse bruciando metà corpo. Per non parlare della contrazione dello stomaco che aveva distintamente percepito quando le loro ginocchia si erano inavvertitamente toccate. E lui aveva provato l’impulso di non staccare affatto la sua gamba.
Da quel momento in poi, la cena era stata un disastro. Harry non riusciva a distogliersi dai suoi pensieri su Draco, dall’interrogarsi continuamente su quale fosse la ragione di tutte quelle reazioni spropositate. E, in questo modo, gli riusciva davvero difficile prestare attenzione ai discorsi degli altri ospiti che avevano cercato più volte di introdurlo nella conversazione. La McGranitt non smetteva di lanciargli occhiate sospettose, con un sopracciglio sollevato, e Ingolfsson non faceva altro che sventolargli una mano davanti alla faccia, nella speranza di conoscere la sua opinione su qualche stupido argomento.
Harry non ne poteva più.
Fu davvero un sollievo quando la cena finì. A quel punto, pensava che si sarebbero ritirati ognuno nella propria camera, ma Ingolfsson introdusse gli ospiti in una saletta laterale, una specie di studio privato, dove in un angolo giacevano decine di bottiglie di varie dimensioni e contenti i liquidi più vari. Praticamente quello che tra i Babbani si sarebbe chiamato mini-bar, solo che non era poi tanto mini.
“Zignor Potterr. Me può offrire voi qvalcosa da berre?”
“Emh, certo” balbettò Harry. Anche se in cuor suo avrebbe volentieri rifiutato: l’alcol sommato a tutto quel nervosismo non avrebbe certo avuto un buon risultato sulla propria mente. Sarebbe entrato nel pallone in meno di mezzora. Il Preside, però, non sembrava avere la minima intenzione di accettare un rifiuto. Riempì abbondantemente il bicchiere a tutti quanti e impegnò Harry in una delle sue solite conversazioni, interpellando la McGranitt (stufa di tutto quasi quanto lui) sulle sue avventure ad Hogwarts e fuori.
Era già al terzo bicchiere (nonostante i suoi no, Ingolfsson riempiva) quando la vista cominciò ad annebbiarsi e il cervello a perdere colpi. Tuttavia registrò molto attentamente come la rappresentante del Ministero francese, una certa LeFurgey, ci stesse provando con Malfoy. La vide lanciargli occhiate da gattina in calore e poi vide lui chinarsi fino al suo orecchio e sussurrarle qualcosa che la fece scoppiare in una risatina stridula.
Per tutto il resto della chiacchierata, sentì la voce di quell’oca starnazzante continuare a ridacchiare e a dire “Oh, Dracò, come sei divertonte!”, con quello stupido accento francese che mai Harry aveva trovato tanto irritante. Come diavolo faceva Malfoy a starci vicino, per tutti gli Ippogrifi? Avrebbe potuto certamente impiegare meglio il suo tempo!
Poi si bloccò, una strana sensazione che si faceva largo dentro di lui. Non era geloso di Malfoy, vero? Perché, beh… quella cosa lì sembrava proprio gelosia. Ma lui non poteva essere geloso di Malfoy. Cioè, che senso avrebbe avuto? Che gli importava se quella ochetta bruna gli stava così addosso e adesso, oh no!, gli stava anche, Merlino!, accarezzando i capelli. Là, davanti a tutti! Davanti a Harry.
Si costrinse a distogliere lo sguardo, mentre sentiva Ingolfsson chiamarlo, ma proprio un secondo prima che si decidesse a farlo, gli occhi di Malfoy si fissarono nei suoi e, di nuovo, come quella volta alla villa di Theodore, lo immobilizzarono. Avvampò, senza rendersi bene conto del perché.
“Zignor Potterr, io crede lei befuto abbastanza!” esclamò il Preside di Durmstrang, ridendo.
Harry fece notevole forza su di sé, per liberarsi degli occhi grigi di Malfoy e prestargli attenzione, dissimulando il fastidio con una risatina cortese.
C’era qualcosa che non andava in tutta quella stramaledetta situazione. Che non andava in Malfoy. Ma, soprattutto, che non andava in lui.
Inutile dire che fu molto sollevato quando tutti gli ospiti, finalmente, si congedarono.