(And love dares you to care for) The people on the edge of the night.

Oct 19, 2008 20:16

Con negli occhi il gelo di una lente graduata e il contrasto di una luce troppo, troppo violenta lui. Maggio si sveglia.

Non farà mai l’abitudine alla violenza del risveglio ubriaco e del gelo attraverso le pareti di quella vettura improbabile. Agli occhi umidi e solitari nascosti da vetri oscurati e ingiustamente costosi.

E in fin dei conti, la cosa non gli dispiace.

Così vanno le cose. Non ricorda neanche come si sia addormentato. In effetti, non ricorda nemmeno di averlo fatto. Ricorda di aver avuto le dita ben curate intrecciate in qualche ricciolo scuro, un tempo. A dirla tutta, è l’unico elemento di cui sente veramente la mancanza.

Si chiede dove si trovino quei ricci. È l’unica domanda che gli venga in mente.

L’alba l’accoglie in un sorriso sfocato. La gelida danza di luci effettate. Ed ha l’insolita sensazione di trovarsi. Solo, in un clichè vivente, umano.

Com’è possibile che sei persone siano tutte disperse nel nulla? Sei persone, si dice. Tutte e sei.

Riccioli, profumi delicati e canti premurosi. È troppo presto per sentirsi soli.

“No. Si. Lo so - Aprile. Lo so che è pres- Si. No. Non lo so. Aprile. Aprile? Ascoltami. Siamo. No.”

Il telefono. La cabina del telefono non è distante dalla sua tomba di vetro, plastica e metallo.

Commette sovente l’errore di dimenticare quanto Bimbo sia incredibilmente bello. Con la grazia pallida di un mal di stomaco dettato dal sonno e dell’imbarazzo di. Non è possibile. Ma pare che stia parlando con sua sorella.

Maggio sorride.

“No. Si. Non - andiamo, non prendertela. Prima. Prima o poi. L’estate, solo l’estate. Si. No.”

Maggio ricorda Aprile e la veemenza di ognuna delle sue affermazioni. I suoi grandi occhi inquisitori. Maggio ricorda l’Istitutrice. Maggio capisce perchè accanto a Bimbo, nonostante la preoccupazione ognuna delle cose che le mancano in lista sotto al suo cuscino immaginario - capisce per quale motivo Principessa stia. Ridendo. E sorride. Principessa è bella più dell’alba. È bella più della macchina distrutta e più del panorama desertico e terribile che li circonda. Mentre fa cenno di - “No, no!” fa col capo. Lei delega. Impone. È l’unico modo in cui una ragazza da sola possa avere a che fare con sei bifolchi, si dice Maggio. E ride.

È troppo presto per - per sentirsi soli. Si ripete.

Dal finestrino aperto, spira il vento che prima della luce vacua del giorno deve averlo svegliato. Neanche la più notturna delle creature deve. Dev’essere così. Nessuna civetta deve aver imparato a.

Che schiocchezza. Se Maggio avesse dell’autoironia, appena sveglio sul sedile posteriore - posteriore? - di quel maledetto ferro vecchio, probabilmente riderebbe di sè stesso, dei gufi e le civette, della crudeltà del vento e di quella del sole.

Accanto alla cornice del guard reil un piccolo uomo sembra non aver avvertito nessuna delle sue piccole disfasie. Un piccolo uomo, con piccole mani, piccoli occhi e piccole capacità sensitive. S’è sempre chiesto come Ancora possa essere tanto. Coriaceo. Non insensitivo. Durevole, resistente. Che non potrebbe essere altrimenti. Se non lo fosse, coriaceo, durevole. Probabilmente tutto quell’ammasso di cose contorte dentro di lui lo. Lo porterebbe ad accartocciarsi su sè stesso.

Cosa?

Ancora saltella pericolosamente da una parte all’altra della strada. Lo farebbe anche se le macchine sfrecciassero libere a pochi centimetri dal suo naso? Lo farebbe. Lo farebbe.

E parla, parla.

A pensarci bene, Ancora gli manca. Gli manca, nonostante tutto. Quella piccola vetrina d’insoddisfazioni. Quella collezione vivente di sconclusionatezze e dissapori. Autonoma piccola macchina guasta, errore del sistema.

Si chiede da dove nasca tutta quella silenziosa ammirazione. Dev’essere la connessione diretta col lobo frontale, o la silenziosa invidia per il suo stato - per quanto possa sembrare paradossale - socialmente accettabile.

Si chiede cosa provi Cavaliere alle spalle di Ancora e si risponde che probabilmente non si tratta di nulla che abbia a che fare con quel mostruoso angelo.

Cavaliere ha gli occhi verdi come la foresta misteriosa, nuda e triste, fissi in un punto unico.

Maggio non ha mai capito questa sorta di devozione eterosessuale. O forse si. Maggio è confuso dalla sua stessa linearità. Ricci.

Con la mente affondata in un mare di marshmallow liquido - spaventosamente piacevole e deliziosamente fastidioso - si chiede come si viva con gli occhi fissi in un punto solo, con le mani bollenti di una caffè troppo lungo e disgustosamente liofilizzato, il naso gelido e gli occhi splendidi e infelici. Ha sempre avuto il sospetto che Cavaliere sia ingiustamente perfetto per questo stesso mondo. Sistema solare.

Deglutire ha un sapore malsano e la gola duole di liquore e di sonno.

Solo adesso ha riconosciuto le luci della piccola fabbrica di beni necessari alle spalle di Cavaliere. La triste piazzola e l’infelice pompa di benzina. Il caffè.

Per la prima volta dopo mesi, si chiede di quale eccezionale combinazione astrale debba essere figlio qualcuno come Cavaliere. Come Ancora. Ha visto il padre di Bimbo, una volta, ma quel che ricorda sono solo lacrime, emozioni standard e giacche a basso prezzo. E la fuga, ah, la fuga.

Bimbo dovrebbe piangere più spesso.

Che faccia potrebbe aver il. Viene da ridere. Il padre di qualcuno come Simone? Ed è strano perchè ha. La sensazioni di averli. Incontrati tutti, una volta o l’altra.

Per quel che ricorda Maggio -  Ha mai avuto un padre? Un padre vero, baffi, pipa e restrizioni. Non è improbabile. Ricci.

Ricci.

Quel che ricorda di suo padre sono. Le parole pesanti e gli assensi vuoti e il denaro. La musica. Niente musica. Suo padre. Festività profumate e passioni nascoste. Vecchi e nuovi compagni di gioco. Luci calde.

Abbracciato stretto al suo tetro, quanto inesistente luogo comune, e troppo solo e distante dai suoi riccioli e dall’espressione incredula che qualcuno avrebbe al solo profumo dei suoi pensieri contingenti, Maggio. Maggio vorrebbe. C’è vicino di nuovo. Grazie al sole, al vento, alle lenti fredde e spesse, alla solitudine. In una vertigine, Maggio. Socchiude di nuovo gli occhi e.

Il mondo di dentro sembra risucchiato in un vortice fatto di sogni infranti e brina. Niente più odore tiepido, ma.

“Bensvegliato.” mormora una voce calda. Poi ride della guttirale, inutile risposta. Dio in persona non potrebbe. Avere una risata più confortante. Maggio si sente rilassato. Sveglio, orrendamente sveglio, ma rilassato.

Eppure no. Dov’è? Chiedono i suoi occhi stanchi. Non è un desiderio patetico. È necessità fisica.

È troppo presto per sentirsi soli.

Le mani di Simone sono calde di un torpore proprio e costante, e sulla faccia hanno l’effetto risolutivo di una lozione districante in una foresta di. Riccioli ingarbugliati.

Ha la voce al miele d’acacia e la dolcezza degli occhi è troppo vicina per sembrare quella di un. Di un padre e troppo distante per quella di un fratello.

“E’ l’ultima volta. Ho bisogno di dormire di notte, non di guidare. È l’ultima volta che ce ne restiamo a piedi durante la notte” mormora, carezzandogli i capelli scomposti e la pelle gelida. Simone sono molte persone diverse. Simone al mattino, dopo aver guidato ininterrottamente per una notte intera, con gli occhi segnati di rosso e le mani affaticate, si ritrova ad essere. Affettuoso. Affettuoso come possa esserlo qualcuno di tanto distante. Affettuoso come riuscisse a sentir parlare solo sè stesso. Raramente Maggio ha amato qualcuno come ognuna delle persone diverse che rispondono al nome di Simone.

Onestamente, parlare d’amore sembra quasi. Obsoleto.

L’impulso natirale è quello di lasciarsi cullare dal suo profumo di tabacco e caffè. E di addormentarsi solo, per sperare di svegliarsi con la metà del cattivo umore, poi.

Ha gli occhi pesti di sonno e i capelli raccolti in una coda ridicola. Dovrebbe - no. Non dovrebbe tagliarli. Nella sua romantica instabilità inconsapevole, siede sul sedile passeggero, senza neanche rendersi conto degli occhi spioventi che lo fissano, qualcuno potrebbe aggiungere, sereni.

È quasi certo che stia. Stia parlando di qualcosa, quando. La vertigine.

Con uno strano torpore nello stomaco. La vertigine. Con la mano assonnata cerca goffamente quei. Ricci. Maggio non è mai stato certo se parlare di goffaggine fosse giusto, ma.

“Buongiorno” mormora una grande, bellissima bocca.

“Ti amo” risponde l’altra, incrociate alle sue le dita più lunghe della mano.

Poi con il capo stretto tra metallo, plastica e vetro.

“Cosa?”

Cade.

ship: maggio/cortese, complainings, x-fandom, pimping, ship: maggio/simone, fanfiction

Previous post Next post
Up