Mar 28, 2008 00:48
Ecco, adesso, non è proprio certo che sia stata una buona idea. Non è certo perchè, adesso. Ecco. E’ una strana sensazione. E, Cristo, non lo confesserebbe mai. Conoscendolo poi. ‘Sei ancora più sentimentale di come ti ricordavo’ o qualcosa del genere. Si. Gli viene da - gli viene da piangere, ecco.
Si sente così. Come la pratica nel cestino di vimini sotto la sua scrivania: confuso, profondamente sbagliato e il contrario che fuori posto.
Lo trova invecchiato, non vecchio.
Si chiede come avesse fatto ad abituarsi al suo aspetto. A quell’evidente dimostrazione di sè.
Forse adesso è plagiato dal sesso, si dice, per non ripetersi ancora quanto sia stato uno sciocco ragazzino.
Fa l’amore precisamente come ricordava. Come non avesse fatto altro nella vita.
Gli era mai capitato di pensarci prima? Si.
Gli era mancato? Probabilmente non se ne era reso conto, ma.
Dal suo disordinato punto di vista, non è sicuro se sia meglio se sperare che lui s’accorga che è cambiato, oppure temere che rimanga disgustato. Arthur è sempre stato troppo complesso perchè riuscisse a capire in che ordine si divincolassero le sue pulsioni. Come facessero i suoi ragionamenti ad essere spudoratamente sentimentali e oscuri e al contempo tanto razionali.
Adesso, Arthur ha di nuovo su i pantaloni.
Si guarda attorno, come stesse pensando ad altro, anche se Dan sa per certo che è vero il contrario.
Porta i capelli più lunghi e li trova stranamente sbiaditi, nonostante sia passato così poco tempo. Non sono poi - tanti, cinque anni.
E gli occhi, il suo sguardo ha maturato questa bellezza dolorosa e contorta e insostenibile, che Dan si chiede se sia sempre stata là. Ma no, no. E’ un fatto d’intensità.
Dev’essere così.
Ecco, no. Non dev’esser stata la scelta giusta. Avrebbe potuto, avrebbe dovuto evitare questa cosa ad entrambi.
Si sente così. Come quella cravatta gessata, sul pavimento: scomposta e inerme. E il contrario che fuori posto.
Può anche cercare di continuare ad ignorarlo, ma non gli è mai successo, di vedere Arthur così magro, stanco e sfinito. Si chiede dove siano finite le sue fantasticherie su una vecchiaia pigra e felice. Può davvero continuare a cercare d’ignorarlo anche quando dalla giacca rotola un contenitore cilindrico di un luminoso arancio? Al suo interno tintennano una manciata di pillole rosa o bianche.
No, in ogni caso.
Una sigaretta rotola fuori dal pacchetto fino al bordo della scrivania. Giusto in tempo. Tra le labbra di Dan, la fiamma genera un rumore sottile, percettibile solo nel silenzio assoluto di quell’imbarazzo.
Ed ecco.
“Sto diventando un vecchio, no?” suggerisce mentre abbottona il colletto o i polsini o qualcosa del genere, tanto per avere le mani occupate.
“Nessuno si aspettava davvero che prima o poi avresti avuto bisogno di raderti anche tu, Dan.” Arthur esita, poi sorride. Sa che Dan è sempre stato messo in difficoltà dalle considerazioni frivole. “Dico, Dan. Non sei poi così diverso da come ti ricordavo, davvero” dice con quella sua voce bassa e con la sua aria d’interesse distaccato, gesticolando con la mano davanti al viso, per far capire a che si riferisce.
Ed ecco. La sensazione è quella d’aver colmato un vuoto fisico al quale si era abituato.
Arthur ha rintracciato da qualche parte una bottiglia di Brandy. Dan è quasi certo che gli appartenga davvero, ma non ricorda di averla posseduta. Beve molto di meno, negli ultimi tempi, dice. Pare che non abbia abbandonato l’altro vizio, risponde Arthur, con uno sguardo al posacenere consumato.
Arthur sorseggia e si schiarisce la voce. E’ un segnale. Dan è spaventato.
“Dunque. Mi sembra il caso di. Ecco, Dan, che ci faccio qui?”
E lo chiede come se davvero non sapesse. Che sciocco uomo esteriore.
“Ecco, Dan. Per quanto io spesso ti abbia accusato del contrario, tu non sei mai stato un romantico. Dunque non credo proprio che questa sia una - una rimpatriata.”
Ha il suono limpido e professionale di un’accusa legale. E’ una cosa di Arthur che l’ha sempre divertito. “Inoltre, è passato troppo tempo da quello che è successo. La faccenda di Adam. Quindi, l’opzione numero due, e dimmi quanto ci vado vicino. Questa cosa è diventata più grande di te. Dunque ecco un bivio. Il vecchio - Il Dan che conoscevo qualche anno fa, chiederebbe una mano ad uscirne. Denaro, non armi. Il vecchio Dan non capiva l’utilità” E’ ironia, questa? “di uno spargimento di sangue. D’altra parte, Dan, hai resistito per quanto? Quanto? Dieci - cinque anni? Quindi ecco quello che credo. Ti sei svegliato una mattina, Dan, e scivolando sulle coperte di seta ti sei ritrovato sommerso da carte. Frodi fiscali, morti sospette. Hai bisogno dle mio aiuto legale, Dan?” Dan non ride tanto da anni. Probabilmente se riuscisse a dare un nome a quel che prova, gliene parlerebbe.
Si sente così. Come quel contenitore arancione: Perfettamente vuoto e colpevole. E il contrario che fuori posto, morbidamente accoccolato nella tasca di Arthur.
“E’ buffo. Alla fine è andata come dicevi tu. Sono diventato un gangster.”
Arthur sorride e abbassa lo sguardo. Vorrebbe che non fosse mai accaduto.
Prova il senso di colpa di non riuscire ad essere sincero. Non gli era mai capitato prima. Vorrebbe dirgli davvero che gli dispiace e che sa di aver sbagliato. Gli dispiace per il tempo perso, per le chimere e le sciocchezze. Che gli dispiace per la notte che ha passato con lei. Il dolore emotivo, prende forma fisica e lo costringe a sedersi e a buttar giù un sorso pieno e odoroso di Brandy dal suo bicchiere.
Dan sospira profondamente, scacciando il sapore intenso e purificatore del liquore.
“Lui com’è?”
“Lui? Oh. E’ solo un bambino. Ne ho avuto un altro, sai, e non è poi differente, finchè non impara a parlare. Dorme, puzza e piange, perlopiù.” Dan sorride, e prova imbarazzo, nel notare quella strana delicatezza nel suo sguardo. Non aveva mai pensato ad Arthur come un padre. Probabilmente neanche Arthur si era mai pensato in quel ruolo, prima che Dan fosse scomparso all’improvviso dalla sua vita.
Ecco, questo è doloroso. Una scatola che Dan non avrebbe aperto.
Si sente così. Come la fototessera del primogenito di Arthur: ridicolo, sciocco e imbarazzato. E il contrario che fuori posto, tiepidamente vicino al suo inguine.
“Tu avevi. Avevi detto due mesi. E, capiscimi Arthur, tu non sei uno che. Sei uno che dice farò e fa, capisci? Uno di...-”
“Uno di parola.” Arthur sorride, nel momento stesso in cui Dan si rende conto.
“Vedi. Vedi, Dan. Io non sono il tipo di persona che basta a sè stesso. Dubito che preso da solo potrei avere alcun valore e quindi, ecco. Ci sono stati dei - dei contrattempi, Dan. Per te non è così. Sei un gran inetto e un superficiale e non potresti lavorare seriamente un giorno solo della tua vita. Ma tu ci riesci. Tu riesci a - hai capito. A stare in piedi da solo. È questo che rende interessante il tempo passato con te”
Arthur ha divagato, ma non è importante. Spesso fa parte della sua tattica, divagare, ma non crede sia questo il caso.
“Vedi, Dan” butta giù d’un fiato il bicchiere di nuovo pieno “Io. Io non penso che riuscirò mai a metterti da parte. A smettere di amarti, come dicono. Probabile che non sia abbastanza, ma...-”
“Anche io.”
Cosa?
“Anche io, Arthur, anche io.”
Dan si chiede cosa di più e meno imbarazzante abbia sperimentato in tutta la sua vita. È stata una pessima idea. Una pessima idea.
Si sente così. Come un giradischi in una casa un poco fuori una grande città. Come un gatto senza nome, come un letto senza coperte per tutto l’anno. Come un piccolo dramma quotidiano e consenziente. Come l’oceano d’inverno. Come una partita di poker dall’esito improbabile. Come una barca verde su un fiume rosso.
“E allora, cosa farai, adesso?” Cosa faremo. Faremo.
Dan sorride.
“Credo che potrei fare un salto a New York city la settimana prossima per - per vedere che ne è stato di quella vecchia città. E per. Una persona. C’è una persona che vorrei incontrare.”
heroes,
sleepover,
ship: arthur/dan,
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