Juno è l’unica commedia ad aver incontrato un largo riscontro di pubblico e critica negli USA l’anno scorso, un successo coronato da svariati premi ai quali si è aggiunto l’oscar per il miglior screenplay.
In Italia doveva uscire nei primi giorni di febbraio ma, per motivi ignoti, è stato posticipato al 4 aprile, a un tiro di schioppo dalle elezioni.
Per chi non avesse letto niente sul film, la storia tratta di una liceale (Juno Macguff, una sorta di versione più socialmente accettabile della protagonista di Ghost World addizionata alle parlantina delle due Gilmore °°) che si scopre incinta e passa dall’idea di abortire a quella di concordare un’adozione con una “coppia perfetta” prima della nascita del bambino.
Lo spunto narrativo non serve per parlare della tematica dell’aborto e il film prosegue focalizzandosi sulla love story inizialmente stentata tra la protagonista e il suo aspirante ragazzo (nonché padre del nascituro) Paulie, passando per i tanti problemi della coppia perfetta che, prevedibilmente, tanto perfetta non è.
Problema: la gente vede sempre più di quello che c’è in una storia, specialmente se è infervorata.
In Italia in particolare Juno è visto come una carta vincente della cosiddetta lista Pro-Life di Giuliano Ferrara, tanto che quest’ultimo ha dichiarato alla trasmissione di Mentana: “Quel film mi farà prendere un sacco di voti”…
Sarà davvero così?
Spero di no e un simile tentativo di strumentalizzazione è un indicatore di quanto sia male impostato il dibattito sulla questione della bioetica.
Ferrara ha varato il movimento Pro-Life con uno stile immediatamente provocatorio estremizzato dallo scontato appoggio della chiesa, istituzione che in un mondo ideale non dovrebbe avere questa attitudine naturale nell’entrare nelle questioni politiche.
Siamo nel mondo reale però e la chiesa è anche un sistema di potere amministrato da persone e, sia che amministrino uno stato o il club di Scarabeo, le persone perseguono obiettivi e usano tutti i mezzi possibili per raggiungerli.
Morale della favola: con le religioni bisognerà sempre fare i conti in qualche misura nelle questioni politiche e morali, ma non divago ulteriormente.
Ho poche convinzioni e una di queste è che dal peggio dell’umanità non si può ottenere niente di buono, specialmente in questioni complesse come la bioetica.
Di fatto, l’omone con la barba può vantarsi di aver fatto esplodere una polemica, ma quando l’attenzione che si suscita è tutta negativa l’unico risultato è un polverone confuso e inconcludente.
Come si può pensare ad un dibattito costruttivo in un clima in cui i laici ringhiano, i cattolici ringhiano e i politici cercano di non essere morsi e nel contempo di far mordere gli avversari?
La 194 è un buon compromesso su un tema delicato ed è meglio che resti così com’è piuttosto che finisca in mano a predicatori e politici senza un punto di vista lucido sull’argomento.
Proprio il tentativo di usare Juno come arma politica mi fa capire quanto manchi la lucidità, tanto da rendere il tutto solo un inutile ammasso di schiamazzi, destinato a mio avviso a fare da rumore di fondo in una campagna elettorale fin troppo affollata di problemi e tematiche.
La mia opinione su Juno al di là di tutto?
Molto carino, anche se un po’ sopravvalutato a causa del successo inaspettato che lo ha reso vitale per risollevare il cinema americano in una stagione tremenda per incassi e qualità complessiva.
Non è la storia di una ragazzina decisa a portare avanti una gravidanza come la stanno già raccontando quelli che ne vogliono fare un manifesto, ma una commedia che tratta delle difficoltà nell’amore adolescenziale e di quello tra adulti in modo leggero ed efficace.
Quindi, se volete andarlo a vedere quando uscirà, fatelo senza dare peso alle inevitabili diatribe: il cuore del film è altrove.