Sembra ieri eppure è già passato un anno. Un anno da quando ho lasciato il mio amato negozietto, la mia “casa”, per essere scaraventata in questa gabbia di matti. È passato un anno, è cambiato tutto eppure non è cambiato niente.
Passo ancora il tempo dicendomi che qui non posso restare, che mi verrà un esaurimento nervoso serio prima o poi, eppure il sogno della mia Neverland mi sembra sempre più lontano e irrealizzabile. Nessuno ci crede davvero e di questo passo finirò per non crederci più nemmeno io… È triste ma è così.
Ho perso tante cose da quando sono qui: il senso di appartenenza, la familiarità, il mio sentirmi a casa e ben accetta dalle persone che ho attorno. Non che quelle con cui lavori adesso siano dei mostri, anzi a parole lo ribadiscono in continuazione che sono felici di avermi con loro. Solo a parole però. Certi gesti (di una sola in particolare) mi fanno invece temere che si aspettassero una persona diversa, per certi versi più remissiva (come se non lo fossi abbastanza) e più collaborativa. Non è un caso che senta di andare d’accordo solo con due ragazze su cinque. Le altre sono soprannominate “il Lato Oscuro della Forza” e da me recentemente “le donne appassite”. Sembra che non abbiano una vita al di fuori del negozio, sarebbero disposte a qualunque cosa se si convincessero che fosse necessaria, persino lavorare il giorno di Natale. Solo una cosa credo non sia loro chiara: qui una medaglia non gliela da nessuno e quei quattro soldi non valgono lo sforzo.
Sono tante le cose che non vanno e che in un anno ho tentato di cambiare vedendomi spesso chiudere la porta in faccia (con un sorriso, però). A questo punto non mi ci metto neanche più. Vogliono insistere nei loro errori di gestione? Ben venga, ma quando arriveranno le lettere di richiamo io riderò e dirò: “Ve l’avevo detto!” Per certi versi non vedo l’ora.
Quello che mi pesa di più, ad un anno di distanza, è uno dei legami più forti che avessi mai avuto e che ho perso in modo stupido. L’unico motivo vero per cui ho pianto quando mi hanno detto che mi avrebbero assunta a tempo indeterminato invece di fare i salti di gioia. Mi mandavano lontano da casa e via da lei, l’unica persona in ambito lavorativo a cui volevo davvero bene. La vedo ancora, intendiamoci, lei è sempre nel vecchio negozio e spesso porto trasferimenti di merce, ma non è come passare le giornate insieme a parlare di tutto: dai libri che leggevo alle mie fan fiction (spacciate per racconti “seri”), dal suo divertentissimo ragazzo agli inquietanti discorsi sulla fine del mondo. Mi manca davvero tanto e non ho trovato nessuno che possa sostituirla. Ricordo che i primi tempi mi commuovevo da paura a sentire la canzone di Ligabue
Il mio pensiero, specialmente la parte in cui dice “così solo da provare panico, e c’è qualcun’altra qui con me. Devo avere proprio un’aria stupida, sai com’è, manchi te”. (oh, come mi sento emo in questo momento -_-’’’) Il fatto è che è davvero brutto venire “strappate” da quella che si considera casa, per finire in un posto con cui non hai davvero niente a che fare. Adesso che Paolo, il nostro capoarea, ci ha lasciate, non c’è più nessuno che sappia e a cui importi qualcosa di quanto io tenessi al vecchio posto. So benissimo che dovrei considerarlo un capitolo chiuso, ma ancora adesso non ce la faccio. E so anche che non dovrei lamentarmi in continuazione del mio lavoro, perché c’è gente che campa con contratti di tre mesi per volta mentre io sono stata assunta a tempo indeterminato senza che ci pensassero due volte (grazie, Paolo!). Eppure da quando sto lì, tutte le mie varie ansie, gastriti, tachicardie e compagnia bella sono aumentate, sarà un caso?
Sono circondata da persone, eppure mi sento sola.
Discorso a parte che c'entra ma neanche tanto. Tanto per gradire, ho scoperto che, dopo che mi sono stati rifiutati i giorni di permesso che avevo chiesto per Lucca, la mia resp ieri ha deciso di darmi domenica 1° novembre di riposo. ADESSO! CHE E' TROPPO TARDI PER ORGANIZZARE QUALUNQUE COSA! Quando l'ho scoperto, ho urlato. Mi sento davvero presa in giro...