[Remix] Il carcere bianco

Jan 11, 2012 23:23


Cari wolfstarici,
eccoci all'ottava fanfic remixata ♥ non ne potrete più, e vi capisco, ma... copincolliamo le regole, va' XDD
In breve: votate al sondaggio chi è che secondo voi ha scritto questa storia e commentate in forma anonima per evitare di essere esclusi come possibili autori (N.B. Questo non vale per l'autore remixato, che invece può commentare la storia tratta dalla sua fanfic normalmente. Esempio pratico: questa fanfic è per pudentilla quindi lei può commentare normalemente; tutti gli altri NO!)
Tutto chiaro? Lo spero XD
Voi votate e commentata in forma anonima ♥

Autore: mistero ♥
Titolo: Il carcere bianco
Personaggi: Sirius Black, Remus Lupin
Rating: G
Avverimenti: Slash
Storia originale: Di ciò che è importante
Autore remixato: pudentilla


Silente non sapeva cosa fosse il carcere bianco. Sirius ne era assolutamente sicuro, perché altrimenti per nessun motivo al mondo lo avrebbe costretto a rimanere chiuso a Grimmauld Place: la strada, un bosco, i cassonetti della spazzatura, persino Azkaban sarebbe stata meglio di quel posto.
Tutto, piuttosto del carcere bianco.
Non sapeva bene quando aveva iniziato a chiamarlo così: Black Manor, del resto, non era un luogo che poteva essere definito, neppure nei suoi tempi dorati in cui Walburga vi aveva regnato incontrastata, bianco; la solennità di una casa di maghi oscuri e purosangue mal si concilia con il candore: anche se alcune pareti potevano avere quel colore, i mobili, i pesanti tendaggi, le lussuose tracce di potere e ricchezza le oscuravano senza possibilità di scampo.
Forse lo aveva letto in un libro o forse, chissà, doveva averlo coniato il suo cervello di ragazzino che, rivestito di ricche vesti, si muoveva come una belva in gabbia in quella dimora, pieno di rabbia cieca. Era un carcere senza grate, ma tutto il resto c’era: le divise, ovvero le tuniche sontuose che andavano cambiate più volte al giorno a seconda dell’ora e dell’occasione, i carcerieri, domestici e servitori ai capi dei quali c’erano i suoi genitori; c’erano persino le spie, come quella serpe di Regulus, sempre a tentare di imitarlo ma troppo vigliacco per seguirlo davvero: così, quando la frustrazione si faceva troppo grande, finiva per correre dietro alle sottane di Walburga, spifferando tutto.
Il carcere bianco aveva avuto odore di pulizia superficiale che aleggiava sopra una polvere stantia di secoli di generazioni di Black: quello che poteva sentire in quel momento, malgrado le affannose pulizie a cui Molly aveva costretto tutti quanti, era lo stesso sentore polveroso e rancido, che si appiccicava sulla pelle come uno strato di unto fastidioso e pesante, che soffocava senza la minima pressione, strisciando fino al naso ed alla gola appendendoci una ragnatela secca.
Forse era per quello che aveva iniziato a bere. Sinceramente, dopo qualche tempo di quella vita, in cui giorno e notte si confondevano (complici le tende chiuse e i membri dell’Ordine che entravano ed uscivano ad ogni ora), non avrebbe più saputo dirlo.
Però sapeva che quel giorno aveva finito una bottiglia di Firewhiskey e quella accanto a lui era una seconda bottiglia già cominciata; e la cosa più buffa era che i primi sorsi, all’inizio, gli erano sembrati in grado di pulirgli la gola da quella ragnatela secca, persino di rendergli un po’ dello spirito dei suoi vent’anni prima di Azkaban: in quel momento, invece, gli sembrava che la bottiglia fosse parte del carcere bianco, un secondino che dispensava umiliazioni e brutti ricordi come i quadri appesi, come i cimeli gettati nella spazzatura, come il quadro di sua madre, eterno capo-carceriere della residenza dei Black. Era quasi meglio Azkaban, in cui i ricordi non esistevano, belli o brutti che fossero, perché i Dementors se ne nutrivano appena ne sentivano l’odore. Lì, almeno, aveva avuto l’impressione di essere utile: aggrapparsi alla vita, alla rabbia, lo manteneva lucido e lui doveva esserlo, perché era il solo a sapere che Minus era ancora vivo e non avrebbe tardato a riunirsi al suo padrone.
Lì, a Grimmauld Place, la sua unica utilità era di possedere il suo stesso carcere e aprirne le porte ai membri dell’Ordine; forse era anche per quello che aveva iniziato a bere: l’umiliazione passava in secondo piano, annegata dal torpore, per però poi tornare rafforzata dopo, quando della leggera eccitazione o rilassatezza del Firewhiskey rimanevano solo la bocca impastata e la mente intorpidita e pesante di brutti pensieri e senso di colpa. Chiedeva scusa, allora, a tutti, per le cose più stupide: era un modo per umiliarsi e punirsi, ma allo stesso tempo per non permettere agli altri di dimenticarsi che lui era lì, vivo, per quanto poteva dire di esserlo, non uno dei cimeli di un passato ricco e potente; e, immerso in quel continuo senso di colpa che lo assaltava da più fronti, riprendeva a bere più di prima.
Remus era forse la vittima preferita di quelle pietose sceneggiate: mentre chiedeva scusa, rivedeva loro stessi ragazzini, quando era sempre Lupin a chiedere scusa per delle sciocchezze e lui, lo splendido Sirius Black, principe auto-proclamato della casa di Gryffindor, bello, arrogante ed affascinante, non sapeva neppure bene cosa volesse dire chiedere perdono a qualcuno. Forse lo aveva chiesto per la prima volta proprio a Remus, quando aveva messo a repentaglio la vita di Piton durante i loro anni ad Hogwarts, e aveva continuato a ripeterlo come una cantilena, terrorizzato ed incredulo, finché Lupin non gli aveva detto di smetterla. Glielo diceva anche in quel periodo, con un’espressione diversa, però, stizzita e quasi furiosa, come se quelle scuse non servissero a nulla se non a peggiorare la sua situazione, come se ci fosse troppo da perdonare per delle semplici scuse. C’erano gli anni in cui si erano creduti traditori, c’erano i silenzi, ma soprattutto c’erano quegli anni in cui Remus era cresciuto, maturato, mentre lui era rimasto immobile ai suoi ventidue anni (in cui, doveva ammetterlo, non era comunque stato particolarmente più assennato dei sui diciassette), come se dal carcere non fosse mai uscito e fosse per quello che vi era ripiombato.
Eppure lo guardava, Moony, e gli sembrava che in una cosa fossero simili, prigionieri entrambi di un carcere bianco: il suo erano i fallimenti, quello di Remus la licantropia; e sentiva una cosa, comunque, nonostante il Firewhiskey, l’amarezza: che da qualche parte del suo cuore lo amava ancora. Lo aveva amato sempre, anche ad Hogwarts, anche durante le vacanze nel suo personale carcere bianco, anche ad Azkaban, in cui il suo era l’unico pensiero felice che ogni tanto si affacciava alla sua mente.
Perché la parte che amava Remus era l’unica che era rimasta viva e intonsa attraverso gli anni, nonostante tutto, e non aveva mai avuto l’occasione di dirglielo, dopo la fuga da Azkaban.
Forse era per quello che non riusciva a smettere di chiedergli scusa.

Poll Remix: ottava fanfic!

periodo: post-azkaban, fanfic, remix 2011, !mod post, rating: g-pg

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