Titolo: The aftermath
Capitoli: 4/?
Fandom: My time at Portia
Coppia/Personaggio: Aadit/Female Builder
Rating: rosso
Parole: 5000
Generi: Drammatico, introspettivo, sentimentale
Warning: Spoiler!, Violenza
Note dell'autore: Scritta per la decima edizione del COW-T, missione 6, prompt: Questioni rimaste in sospeso. Ambientata in late game e post game, occhio agli spoiler!
Quando Eryn entra nella nuova casa di Aadit, si accorge di quanto sia piccola rispetto a ciò che in apparenza sembrava dall'esterno. Le pareti sono costruite con dei ceppi spessi che rubano molto spazio all'interno della casa, le assi del pavimento sono irregolari e cigolano ad ogni passo che Eryn fa per raggiungere la sedia che Aadit le ha scostato dalla scrivania per farla sedere. La ragazza riconosce il tocco rudimentale di suo marito in ogni costruzione che vede, ricordandosi di quelle che aveva fatto per la loro casa per imparare un po' il mestiere della moglie.
Al primo pomeriggio la stanza è umida e calda, e ciò è dovuto anche dalla brace accesa nel camino. Eryn nota nella pentola in peltro alcune verdure di campo e i resti di un coniglio arrostito, poi vede il ragazzo coprire la pietanza con un coperchio e spegnere la brace con una boccia d'acqua. Si siede sul letto, una brandina a molle piccola e bassa, affondando nel materasso flaccido.
"Sai poche cose di me, Eryn. Ho sempre nascosto molte cose del mio passato, per tantissime ragioni, ma quelle che conosci sono tutte vere. Sono nato in un piccolo paese di montagna ad Ethea, dove ho trascorso quasi tutta la mia vita."
La ragazza si alza dalla sedia e raggiunge il letto mettendosi all'angolo del bordo, a un metro dal marito, seguendo l'istinto naturale di avvicinarsi a lui come faceva ogni volta che in una rara occasione le confidava qualcosa di personale, e, al contempo, mantiene una distanza necessaria, una conseguenza inevitabile a quella circostanza strana che si è venuta a creare tra di loro. Eryn ha modo di osservalo con più calma rispetto a prima, notando che la barba è un po' più lunga e trascurata rispetto a quella che lei ricorda, e i capelli sono legati a coda di cavallo. Lo trova anche un po' smagrito, ma non sa dire se sia una sensazione dovuta agli indumenti larghi o se davvero in quel periodo ha sofferto un po' la fame.
"Tutto comincia quando avevo dieci anni," racconta Aadit stancamente, "l'anno in cui ho incontrato per la prima volta i cavalieri."
I picchi delle montagne di Ethea cominciano a imbiancarsi di neve. Il piccolo Aadit, un bambino dal fisico gracile e la pelle abbronzata, guarda con gli occhi ambra il panorama oltre la finestra della mansarda. Sa che quello di stamani sarebbe stato uno degli ultimi giorni di pascolo prima di chiudere nel recinto le pecore e capre per l'inverno. Il sole comincia a sorgere e il gallo annuncia con il suo canto l'inizio della giornata.
Aadit scende dalle scalette di legno del letto a castello e si avvia in cucina. Sua madre l'aspetta con un piatto di carote bollite, come ogni mattina, ma il bambino nota che attorno al tavolo ci sono anche le anziane vicine, una coppia di sarte che conosce da quando è nato.
"Avete sentito? Pare che oggi verrà un gruppo di cavalieri dalle piane di Highwind."
"Che emozione, vero?" dice la madre, "persone così importanti che passano qui da noi, un piccolo villaggio di venti anime sperduto nelle montagne!"
"Chi sono i cavalieri?" chiede Aadit curioso, e la madre posa il piatto sul tavolo, si pulisce le mani sul grembiule e lo prende per le spalle per spronarlo a sedersi.
"Prima mangia e porta gli animali al pascolo, ti spieghiamo tutto quando torni," gli dice arruffandogli energicamente i capelli. E' una donna che concede poche effusioni, e in mancanza di un marito ha deciso di porsi col figlio con un tocco più maschile, insegnandogli a mungere, tagliare la legna, coltivare e mandare le bestie al pascolo. Il bambino fa una smorfia un po' scocciata e mangia veloce la minestra, si mette il gilè, prende il bastone ed esce di casa. Si avvia al recinto ed apre il cancelletto; le pecore e le capre, quasi tutte sedute, si alzano all'unisono e cominciano ad avviarsi fuori. Aadit fa due fischi veloci e dal retro della casa esce un cane maremmano che lo raggiunge correndo ed abbaiando. Quando anche l'ultimo animale è uscito dalla stalla, il bambino chiude il cancelletto e prende la salita acciottolata verso i monti.
Costeggiando il fianco roccioso dell'altopiano, supera il bestiame e, arrivato ad un bivio, decide di prendere la strada per il lago. Poco dopo un centinaio di metri, nota in lontananza un gruppo di persone che vanno nella direzione opposta alla sua. Aadit fischia al cane, fingendo di chiamarlo, per catturare la loro attenzione in un gioco puerile. Distoglie divertito lo sguardo quando, a una decina di metri, uno degli uomini lo guarda, poi torna a scrutarli di sottecchi. Sono cinque in tutto, con un età che vacilla dai trenta ai cinquant'anni; agli occhi del bambino sembrano altissimi e grossissimi, ma è per lo più a causa di una strana armatura composta da una corazza gonfia e degli spallacci voluminosi. Quando s'incontrano, gli uomini lo superano e il bambino rimane a guardarli affascinato dalla loro aria solenne e virile. Uno dei cinque lo osserva con la coda nell'occhio e gli sorride.
Aadit rimane a fissare le loro spalle coperte dai mantelli lunghi e svolazzanti fin quando non li vede sparire nella discesa.
Quando torna nel villaggio, la curiosità è tale che quando il bestiame rientra nel recinto chiude il cancello senza neppure contarli. Lascia il bastone a terra e corre alla piazza.
Il paese è costituito da una decina di casucole a base quadrata fatte di pietra, con tetti piatti, realizzati con assi di legno. Il terreno è composto da salite e discese fatte di ciottoli e terriccio. Le abitazioni hanno piccoli recinti di pietra bianca e tra l'una e l'altra ci sono pini e abeti lasciati crescere. Le finestre, le porte e le rifiniture sono tutte colorate di rosso, bianco o blu, e in mezzo alla strada raspano le galline lasciate libere.
Aadit corre lungo la discesa, fermandosi sotto un arco di legno vicino ad uno spiazzo largo. Un bambino più piccolo e una bambina coetanea, non appena lo vedono, lo raggiungono correndo.
"Li avete visti anche voi gli uomini guerrieri?" esclama Aadit tutto concitato.
"Cosa? Chi?" chiede il bambino più piccolo perplesso.
"Erano degli uomini grossi e muscolosi. Li ho visti mentre mandavo a pascolare il bestiame."
Un vecchio signore seduto su una sedia sotto un albero ride, facendosi sentire dai bambini. Ai piedi, ha un cesto pieno di utensili e tra le mani un piccolo ciocco di legno che sta lavorando con uno scalpello.
"Volete conoscere una storia antica? Più antica dell'albero sotto al quale sto lavorando," dice l'anziano ridendo da sotto la barba irsuta e lunga. I bambini si avvicinano a lui in semicerchio e si siedono a terra. "E' la storia dei cavalieri, guerrieri valorosi che durante i secoli delle tenebre hanno salvato villaggi interi dalle grinfie di creature pericolose. Dovete sapere che esisteva un tempo nel quale i cieli non erano così azzurri, le acque non così cristalline, e l'aria era pesante come quella che si respira dopo un incendio. Secoli e secoli fa, le nubi nere che coprivano il sole rendevano fredde anche le estati, e gli animali e le piante erano morte sotto la sua ombra. Tutto era successo a causa dell'uomo, che, cent'anni prima, si era reso schiavo della tecnologia, e non importava fin dove si spingesse, osava sempre di più, fin quando le guerre, gli scarichi e le bombe non avevano reso il mondo invivibile. In quegli anni terribili, le persone sopravvivevano nella fame e nel pericolo costante. E fu così che vecchi guerrieri che un tempo si battevano nelle arene, provenienti da antichi regni caduti, decisero che avrebbero combattuto per dei cittadini comuni difendendoli dai pericoli e dai mostri, senza chiedere nulla in cambio se non dei viveri e un tetto in cui dormire. Questa nobile arte era nata così, e ha continuato nei secoli a perfezionarsi, raffinando le tecniche e facendoli diventare i più forti del mondo. Dopodiché, è stata creata una gilda aperta a chi, come loro, volesse intraprendere quel mestiere. Si fecero chiamare cavaliere, in onore delle leggende che un tempo circolavano nei regni antichi di uomini prodi che proteggevano i propri re. Ad oggi, l'arte del cavalierato si è espansa, contandone più di mille solo nella nazione di Highwind."
Il bambino più piccolo fissa il vecchio con gli occhi sbarrati, la bambina fa un verso di stupore e Aadit esibisce un sorriso genuino e strabiliato. "E queste persone adesso si trovano da noi?"
"E' proprio così, sembrerebbe che siano di passaggio per andare alla capitale a visitare il palazzo reale."
"Forte!" esclama Aadit alzandosi di scatto. "Voglio incontrarli subito!"
"Adesso si trovano al tempio a pregare, ma appena saranno usciti potr-"
Non finisce in tempo la frase che il piccolo pastorello si allontana correndo verso il santuario del paese. Il vecchio sospira e si stropiccia divertito la barba.
Aadit entra nel tempio, attraversando di corsa il pronao e attirando col suo calpestio rumoroso l'attenzione di tutti, compresa quella degli uomini che ha incontrato durante il pascolo quella mattina. Si mette ai piedi di una colonna e guarda elettrizzato quello che sembra il più giovane e più facilmente individuabile della comitiva, che gli sorride divertito. Aadit ridacchia emozionato, poi viene preso per l'orecchio dal sacerdote.
"Sei venuto a far adirare gli spiriti?" gli chiede con sarcasmo tirando forte e facendogli fare un verso di dolore. "Va' dagli altri bambini e torna quando avrai imparato a rispettare i luoghi di culto," soggiunge girandogli la testa con il lobo ancora stretto tra le dita e avanzando verso l'uscita.
Incespicando sulla scalinata, Aadit si massaggia le orecchie e si siede a terra ai piedi della scalinata, gambe e braccia incrociate, guardando intensamente oltre le colonne in attesa dell'arrivo dei cavalieri. Si avvicina la bambina, che lo imita sedendoglisi di fianco, e lo guarda interrogativi.
"E' un gioco?" "No," risponde Aadit concentrato. "Perciò non distrarmi, Hen."
La bambina fa una smorfia annoiata e divarica le gambe, puntellandosi all'indietro coi palmi delle mani. "Indovina indovinello, indovina quel che penso."
Aadit la guarda di sfuggita con la coda dell'occhio, ritornando a guardare davanti a sé. "E' una persona?" "No." "E' un animale?"
"Sì!"
"Mmh... è qui vicino."
"Forse..."
"E' una gallina!"
Hen ride divertita. "Bravo."
Aadit fa un sorriso vittorioso e, con espressione tronfia, dice: "Indovina indovinello, indovina quel che penso."
"I cavalieri," risponde Hen, e il bambino la guarda incredulo, facendola scoppiare a ridere.
"Ehi, io non ho riso quando hai pensato all'animale più stupido del mondo!"
"Le galline non sono stupide."
"Quelle che ho visto io sì!"
Mentre i due discutono, non si accorgono dell'arrivo dei cavalieri, i quali, in un silenzio religioso come quello precedente, si trovano a pochi passi da loro. Appena li nota, Aadit si alza in piedi agitato e si mette in una posa che aspira a sembrare marziale ma che risulta solamente innaturale e buffa.
"Tu non sei il piccolo che ha fatto tutto quel trambusto prima?" chiede uno di loro divertito. "Fatti vedere."
Il bambino sorride, mostrando i denti e la piccola fessura del premolare caduto qualche giorno prima.
"Mh, sembri piuttosto energico. E anche coraggioso, perché ci vuole coraggio a sfidare gli dei come hai fatto prima," spiega il più anziano del gruppo facendo un sorriso mascolino e scompigliandogli i capelli.
"Da grande voglio diventare come voi!" esclama Aadit risoluto ed eccitato. "Quindi insegnatemi, per favore."
Gli uomini si guardano l'un l'altro meravigliati. "E così vuoi diventare un cavaliere? Sappi che in pochi riescono in quest'impresa."
"Ok!" risponde Aadit sicuro di sé, scaturendo le risate della comitiva, che non sono derisorie, tutt'altro colpite dalla spavalderia del bambino.
"Bene, iniziamo anche adesso, se vuoi," dice con tono sostenuto uno di loro, "prendi quel bastone."
Aadit obbedisce prendendo il ramo indicato al volo e dirigendosi dal cavaliere, che glielo afferra e si mette in posa di combattimento: ha la colonna vertebrale ben dritta, le gambe una davanti all'altra, un braccio piegato dietro la schiena e l'altro che impugna il bordo del bastone come fosse una spada. "Guarda attentamente, bimbo: le gambe devono essere rilassate, per potersi muovere veloce, e così anche la mano che tiene l'arma. Questa è una delle posture più classiche e introduttive che serve a coordinare il baricentro."
L'uomo lancia il bastone facendolo roteare in aria, lo prende al volo e lo tende al bambino, che lo agguanta e cerca di emulare la postura.
"Non male," dice l'uomo con un sorriso. "TI faccio vedere, adesso, come tirare dei fendenti."
I due si allenano, sotto lo sguardo divertito e curioso dei paesani nei paraggi.
Il giorno dopo, quando all'alba Aadit è con il gregge ai pressi dell'altopiano, scorge i cavalieri mettersi i mantelli e preparare gli zaini. Corre da loro turbato, intuendo che la loro partenza sarebbe avvenuta di lì a poco, e quando li raggiunge a stento riesce a trattenere le lacrime.
"Perché non mi avete detto che andavate via oggi?" chiede quasi urlando tanto sono le emozioni impetuose che lo invadono.
"Mi spiace, bimbo," riesce solo a dire uno di loro, percependo lo sguardo deluso e demoralizzato del bambino.
"Ma non essere triste," fa un altro che gli si avvicina e gli mette una mano sulla spalla, "torneremo tra due settimane. Dovremo fare un sacco di viaggi dalla capitale ad Highwind, e sicuramente passeremo di qua nel tragitto. Quindi niente lacrime, ok?"
"Le lacrime sono per chi si arrende," dice un altro con un sorriso. Aadit tira su col naso e fa una smorfia buffa.
"Io non piango mai!" esclama, facendo sorridere i cavalieri.
"Mentre saremo lontano, allenati con il bastone, e quando torneremo vedremo i tuoi progressi e ti insegneremo altre tecniche, ok?"
Il bambino annuisce animatamente e mostra il suo tipico sorriso sdentato e genuino.
Dopo i saluti e gli abbracci, vede i cinque uomini allontanarsi lungo la scalinata che porta al valico della montagna, oltre al quale, a cinque giorni di viaggio circa, si trova il palazzo reale di Ethea. Ritorna al suo gregge, rimasto a pascolare in mezzo al paese, e si avvia su per il fianco dell'altopiano. Si aiuta col bastone, poi comincia a correre; arrivato allo spiazzo pianeggiante, si mette in posa da combattimento e tira dei colpi in aria col bastone. Lo sguardo si accende di una gioia e un emozione che non aveva mai provato prima.
Le stagioni si susseguono e gli anni trascorrono tra la monotonia della campagna e gli allenamenti di spada, fin quando Aadit non compie quindici anni. Mentre il giovane ragazzo comincia ad alzarsi di statura e irrobustirsi con le spalle, con il comparire dei primi peli di barba sul viso, i volti dei cavalieri più anziani si appesantiscono delle prime rughe e i capelli si scolorano di grigio.
Da qualche anno, Aadit ha cominciato ad usare una spada di ferro regalatagli dai cavalieri al ritorno dalla capitale. E' diventato agile, tant'è che ha cominciato a duellare amichevolmente con alcuni di loro.
"E' proprio un ragazzino prodigio," dice uno di loro alla madre, che fa spallucce e un verso frustrato.
"E che ne farà di tutto questo?" chiede sconfortata e innervosita. "La nostra vita semplice non ci dà il lusso di avere sogni di questo genere."
Il cavaliere la guarda perplesso. "Potrebbe venire con noi."
"A combattere, rischiare la pelle e forse morire?" chiede sprezzante la donna mentre prende il cesto di panni, poggiandoselo al fianco con una mano sul bordo. "Se fossi anche tu un genitore, ti renderesti conto di quant'è crudele la frase che hai detto."
L'uomo la vede prendere la strada che porta al giardino e riflette sulle sue parole. Nella direzione opposta, Aadit sta combattendo con un cavaliere, ride quando cade e riceve qualche pacca sulla schiena quando viene aiutato a rialzarsi.
"Partirò tra qualche giorno," dice Aadit a sua madre, che, mentre taglia la carne di cervo sul banco di legno, gli lancia un'occhiata di disapprovazione.
"Sei diventato maggiorenne qualche giorno fa, puoi fare ciò che vuoi," gli risponde con voce secca.
"Lo sai che non è più un mestiere pericoloso come un tempo."
"Solo perché non ci sono guerre. Per ora."
"Non è come fare un soldato, non devo rispondere agli ordini di nessuno, lo sai." La madre sbuffa e si pulisce veloce con un panno le mani sporche di sangue. Si avvicina per guardarlo negli occhi; gli posa una mano sul viso, in un raro slancio di affetto, e sospira.
"Fin da piccolo, ti ho guardato e ho sempre pensato che non fossi mai appartenuto davvero a questo posto..."
"Ma appartengo a te," risponde Aadit sorridendo. La madre fa un sorriso stanco, osservando la barba che ha cominciato da più di un anno a coprire il mento e le mandibole. La supera di altezza di più di trenta centimetri, mentre lei si sente di stare sempre più riducendo, col peso degli anni e della vita.
"Sono sicura che quando tornerai sarai riuscito a conquistarti il titolo di cavaliere."
Appoggia la fronte sul petto del figlio, e guardando per caso fuori dalla porta aperta scorge Hei guardarli timidamente mentre si intreccia le dita tra loro. La madre sorride.
"Non sono l'unica a cui appartieni," dice.
Quando qualche mese dopo Aadit torna in paese, gli abitanti lo salutano con calore. Ha un uniforme porpora dall'armatura scintillante, un mantello di velluto e una spada nuova, rossa come il fuoco. I bambini toccano concitati le piastre dell'equipaggiamento e gli adulti gli fanno tante domande sull'esame che ha fatto. Uno dei cavalieri che per anni gli ha fatto da mentore gli mette fraternamente il braccio attorno al collo e sorride a tutti.
"E' uno dei pochi che ci è riuscito a diciott'anni, un vero prodigio!"
La madre lo osserva da lontano e, notandola, Aadit saluta gli altri e le si avvicina. Sa che non gli dirà mai di essere fiero di lui, ma riconosce il sorriso che a volte cerca di nascondergli che ha ogni volta che è contenta.
"Bentornato, cavaliere."
Un giorno, dopo essere stato alla capitale, Aadit torna in paese ma lo raggiunge nessuno. Il silenzio atipico viene interrotto solamente dal chiocciare di qualche gallina. Hei è l'unica che gli si avvicina correndo e lo abbraccia, cogliendolo alla sprovvista.
"Tua madre..." dice, ma non riesce a continuare la frase perché viene colta dai singhiozzi.
Una piccola speranza di Aadit vorrebbe aspettare che Hei finisca di parlare prima di arrivare a conclusioni, ma un'altra, più inconscia e accorta, ha già capito tutto. Fa una smorfia di dolore e si stringe alla ragazza, nascondendo il viso tra il collo e la spalla.
"Pensi che mia madre fosse davvero felice delle mie decisioni?" chiede Aadit ad Hei, davanti alle braci delle sue ceneri risposte sopra un letto di legno e rocce.
"Era felice ogni volta che eri felice," risponde la ragazza sorridendogli, poi guarda i fumi che si levano sul cielo e diventa pensierosa. "E' stato tutto improvviso. Negli ultimi mesi mi aveva chiesto una mano per la casa e nel campo, ma ho sempre pensato che fosse perché da sola era un duro lavoro. Credevo che fosse solo... un po' stanca."
"Probabilmente aveva tenuto nascosto tutto. Era tipico di lei," dice Aadit con un sorriso amaro, "compresi i suoi sentimenti."
Hei lo guarda intensamente.
"Non è vero, sei tu che non te ne accorgevi," gli dice vedendolo girarsi e guardarla perplesso. "Non te ne accorgi mai, anche quando sono palesi."
Hei si allontana imbarazzata e abbassa lo sguardo. "Scusa, non è stato il momento migliore per-"
Aadit la attira a sé prendendola per il braccio e la bacia. Quando si discosta, Hei lo guarda con gli occhi lucidi e le guance imporporate.
Il vuoto lasciato dalla madre, a distanza di anni, si colma con lei. Ogni volta che Aadit torna al villaggio e supera il ciglio della casa, la trovai che gli sorride e il cuore gli si scalda. Il gonfiore della pancia diventa ogni mese più evidente.
Se sarà una femmina si chiamerà come sua madre, se maschio come il padre di lei.
"Era nato maschio," informa Aadit dopo essersi preso una manciata di secondi di pausa. Eryn nota il labbro che comincia a tremargli, poi lo vede nascondere il viso tra le mani. "La guerra era alle porte, ma nessuno se lo aspettava. L'impero di Duvos, con la sua tecnologia superiore e le armi ancestrali, era riuscita a conquistare la capitale di Ethea. Durante una sommossa del popolo capitanata dal regno avvenuta una settimane dopo, l'esercito di Duvos ha ucciso i rivoltosi, compreso il re. La principessa Alessa, rimasta unica erede al trono, ha cessato la guerra e si è arresa. Questo è ciò che è successo dieci anni fa alla mia nazione e ancora non è cambiato niente."
Eryn guarda in silenzio il ragazzo abbandonare la testa in avanti e le braccia sulle gambe, chinandosi in avanti.
"Quei giorni terribili mi trovavo alla capitale quando era sotto assedio. Io e i miei compagni abbiamo combattuto, alcuni hanno anche perso la vita. Poi, ci hanno catturati. Al contrario di tanti altri prigionieri, non ci hanno giustiziati. Eravamo merce preziosa, ma ancora non l'avevo capito..."
Le prigioni reali di Ethea sono piene di detenuti del suo stesso popolo, in uno scenario assurdo e paradossale che fa preoccupare Aadit. Quest'ultimo ha le mani legate e viene spintonato prepotentemente da un imperiale per i corridoi acciottolati e stretti dei sotterranei assieme ai compagni d'arme. C'è un'odore di stantio e sudore, e l'umidità è tale che penetra in ogni poro della pelle.
L'imperiale che apre la file si ferma improvvisamente in uno spiazzo nel quale, davanti ad uno scrittoio, si è seduto un uomo in uniforme con delle spalline in oro, l'emblema di Duvos sulla spalla e diversi simboli rattoppati sulla stoffa, probabilmente a rappresentare una serie di ranghi. L'uomo guarda severamente ognuno dei cavalieri.
"Ho sentito parlare della vostra equipe," dice alzandosi e tenendo la mano guantata sulla superficie del tavolo, "combattenti che sanno usare tecniche fuori dalla portata dei normali militari. E questa è la vostra fortuna, perché questo dono, questa capacità, vi farà fare strada tra le fila del nostro impero."
Aadit osserva l'uomo mentre parla con sospetto e irritazione. Sta chiedendo di lavorare per loro? Per nulla al mondo l'avrebbe fatto, e a note le espressioni degli amici era un sentimento comune.
L'uomo alla scrivania fa un gesto con le dita a dei sottoposti, che rispondo all'ordine perlustrano nelle tasche e nelle giacche dei cavalieri. Prendono i documenti di ognuno di loro e li buttano malamente sul tavolo. L'imperiale si siede nuovamente sulla scrivania e ne sfoglia uno ad uno, dividendoli in due pile; Aadit rimane in silenzio a guardare cercando di capire cosa stia facendo.
"Dunque, la nostra offerta vi dà modo non solo di salire molto facilmente di grado nella nostra milizia, ma anche di ricevere una generosa paga," spiega l'uomo rimettendosi composto dopo aver guardato l'ultimo documento, schiena ben dritta e dita intrecciate sullo scrittoio.
"Noi non tradiremo mai Ethea," dice uno dei cavalieri, compagno d'armi di Aadit nonché uno dei guerrieri che conosce fin da bambino e che l'ha aiutato ad impratichirsi nell'arte della spada. "Non mi abbasserò mai a combattere per voi schifosi maiali."
L'imperiale si avvicina al cavaliere, sguaina la spada dal fodero e lo trafigge all'altezza dello stomaco. Aadit e gli altri sgranano gli occhi e vengono tenuti fermi dai sottoposti mentre vedono il loro amico accasciarsi sul generale nemico. Quest'ultimo lo gira, mostrando ai cavalieri il suo viso mentre sbianca e si contorce dal dolore, il corpo scosso dai tremori, tenendolo bene in piedi per i capelli. Negli ultimi istanti di vita, vede gli amici rivolgergli uno sguardo disperato e sconvolto, poi si accascia a terra. Aadit si lancia su di lui, ma una guardia dell'impero gli dà una bastonata in testa.
"Questo è ciò che succede a chi si rivolta contro di noi. Siete preziosi, ma siete anche tanti. Riflettete mentre sarete in prigione, ed ogni settimana passeremo a sentire se avete cambiato idea; se così non fosse, uccideremo a caso uno di voi," dice il generale imperiale, facendo cenno alle guardie di portarli nelle celle. "Loro no," dice a due fermando Aadit e un giovane sulla trentina d'anni. Si siede sulla scrivania, aprendo i documenti messi da parte soffermandosi sulle fotografie dei loro volti. Sorride, alternando lo sguardo prima sull'uno e poi sull'altro.
"E' stato molto onorevole il gesto del vostro compagno. Sciocco, a mio parere, ma non posso non ammirarlo. Se davvero il vostro onore cavalleresco di porta a morire pur di non lavorare per il nemico, potete dire lo stesso dei vostri cari?" chiede, e sia ad Aadit che al giovane cavaliere si sbianca il volto e il respiro rimane incastrato nella gola. "Maritati con figli. Un maschio, Aadit, e due femmine, Mahesh. Abbiamo i vostri indirizzi, sappiamo dove cercarli." Si alza dalla scrivania e si avvicina ad Aadit, mettendosi a pochi centimetri dal suo viso. "Sei disposto a rischiare anche le loro vite?"
Il cuore di Aadit si ferma e si mette in ginocchio a terra, le spalle in avanti e il viso coperto dai capelli lunghi e spettinati. L'imperiale si china su di lui e sorride.
"Portate i due nel mio ufficio," ordina alle guardie, "dovrò ragguagliarli sulle missioni che dovranno fare in questi giorni."
La guardia gli taglia con un pugnale la corda attorno ai polsi, lo spinge e chiude la porta. La stanza in cui si trova non è nei sotterranei delle prigioni, ma in superficie, vicino alla stalla reale: una camera dimessa, con un tappeto antico, alcuni arazzi, un tavolo e due sedie, una di fronte all'altra. Il generale entra poco dopo, lo supera e si siede di fronte. Apre un cassetto dalla scrivania e getta delle foto sulla superficie.
"La ribellione è stata fermata e la principessa Alessa ha dichiarato ufficialmente la resa del regno, eppure ci sono ancora piccoli focolai di rivoltosi che non vogliono spegnersi. Sappiamo che il più noto è capitanato da una coppia che vive al quartiere del teatro," spiega l'uomo guardando serio Aadit, il quale prende le foto e osserva demoralizzato i visi dei soggetti. "Quel che dovrai fare è entrare in casa loro e ucciderlo."
Il ragazzo lancia all'imperiale uno sguardo oltraggiato e smarrito. "Non sono un assassino!" urla alzandosi di scatto dalla sedia e facendola cadere. "Avrei sopportato combattere come soldati, ma questo va persino oltre le mie fantasie peggiori."
"E' una tua scelta, ma ricorda che avrà delle ripercussioni sulla tua famiglia," dice freddamente il generale senza scomporsi minimamente alle urla di Aadit. Quest'ultimo guarda inorridito l'uomo davanti a sé. Può una persona arrivare a tanto? Ad essere così spietata e disumana? Si mette a piangere copiosamente coprendosi il viso, ripensando alle prime parole che gli aveva rivolto vecchio amico che meno di mezz'ora prima aveva visto morire davanti agli occhi: "Le lacrime sono per chi si arrende."
Aadit guarda le foto delle persone che quella sera dovrà uccidere. Sono state scattate mentre parlavano al popolo per strada, con una foga meravigliosa e vitale che brilla nei loro occhi accesi di una speranza patriottica e romantica. Più guarda la fotografia più la disperazione si fa strada in lui. Si tiene la testa affollata di pensieri sulla mano, seduto su una poltrona, quando vede il suo amico Mahesh entrare nella stanza e sederglisi vicino, con un viso stravolto e sbiancato quanto il suo.
"E' terribile," riesce solo a dirgli. "Oggi ho fatto una cosa... che va contro ogni credo, non solo cavalleresco ma umano."
Aadit lo ascolta senza guardarlo, poi sente un peso sulle ginocchia, apre gli occhi e vede una strana maschera antigas integrale. Si gira a guardare l'amico confuso.
"Quando uccidi qualcuno, e questi ti guarda in faccia... è la cosa più brutta che possa mai capitarti," spiega con tono cupo e basso. "Credo che questa possa aiutarti. Io e i ragazzi abbiamo trovate un sacco così tra le rovine di vecchi borghi, e pensiamo che appartengano alla gente che doveva sopravvivere nei secoli bui."
Aadit prende debolmente la maschera e prova ad indossarla. Vede attraverso la lente colorata l'ambiente tingersi di verde scuro, una tonalità orribile e innaturale che in qualche modo riesce ad allontanarlo dalla realtà.
Quando si trova in casa dei rivoltosi, quel colore accompagna ogni passo fino a quando non apre la porta della camera, con la spada rossa impugnata indugiando sotto l'uscio.
"Chi sei?!" chiede spaventato l'uomo, mentre la donna, per istinto, prende la pistola dal cassetto del comodino. "Rispondi!"
Aadit rimane in silenzio a guardarli, e questo non fa che peggiorare le cose: la donna comincia a sparare, ma il ragazzo schiva lanciandosi su di lei, tagliandole di netto la mano che imbracciava l'arma. La donna urla di dolore, e l'uomo, in risposta, si butta su Aadit, rotolando oltre il letto e cadendo a terra con lui. Aadit prende la spada e lo trafigge da parte a parte all'altezza del cuore, facendolo accasciare su di lui e cominciando a piangere. Si alza verso la donna, che lo guarda disperata con le lacrime che le solcano le guance: "Perché?!" urla, ma Aadit non riesce a dire una parola e la pugnala al cuore, tremando. Scoppia a piangere più forte di prima, capendo che è a quello che in realtà serve la maschera: a non mostrare alle vittime la sua fragilità, il suo dolore, trasformandosi in una macchina assassina che rende tutto più facile.
Aadit estrae la spada dal corpo della donna, apre la finestra e salta per i tetti, correndo nell'oscurità notturna.
Eryn lo guarda in silenzio, le lacrime che hanno cominciato da tempo a solcarle le guance. Fa un sospiro rotto, e finalmente trova la forza di mettere una mano sulla sua.
"E' così che i cavalieri come me sono nati, chi che si è semplicemente venduto all'impero, e chi, come me, che è stato costretto..." spiega Aadit a voce bassa, quasi impercettibile. Gira la mano per intrecciare le dite attorno a quelle di lei, tremando visibilmente. "Ho ucciso tanti innocenti, e quest'incubo era solo all'inizio..."