| Harry Potter | L'inverno del '76 |

Jun 18, 2014 14:25


One-shot scritta per l’anniversario di Pseudopolis Yard. Il prompt che ho scelto era inverno, perché siamo a fine giugno e mi piace fare scelte logiche.

Fandom: Harry Potter
Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black



*
L’inverno del ‘76

Lo studio in cui Orion Black aveva trascorso la maggior parte della sua vita era probabilmente il locale più confortante di tutta Grimmauld Place.
Non lo era per Sirius, che fra quelle pareti non aveva incontrato altro che disprezzo e difficoltà, ma per Remus, tristemente avvezzo a squallidi appartamenti fatiscenti e a mobilie logore e tarmate, la morbida poltrona davanti al caminetto di marmo nero rappresentava una tentazione irresistibile. Aveva preso l’abitudine di chiudersi al suo interno nelle ore che separavano una riunione con l’Ordine da una ronda all’Ufficio Misteri - soprattutto quando Sirius diventava intrattabile perfino per lui, quando ogni frase più semplice si trasformava in un’ennesima crisi di nervi e finivano per mandarsi al diavolo a vicenda.
Era la terza volta in un mese che arrivavano ai ferri corti. Quando erano ragazzi avevano diviso lo stesso dormitorio per sette anni, condividendo ogni aspetto delle rispettive esistenze senza esitare, e nonostante gli ormoni impazziti e i caratteri così diametralmente differenti, non avevano mai davvero litigato. Avevano iniziato solo dopo, quando il sipario della guerra era calato sulla scena di Hogwarts e aveva messo fine agli anni in cui erano solo loro due, solo due ragazzini, solo Padfoot e Moony. Il passo per raggiungere il collasso era stato breve.
Remus aveva sottovalutato la fragilità della loro amicizia. Due anni prima, quando si era fiondato nella Stamberga Strillante e se lo era trovato davanti, lacero e irriconoscibile, l’istinto aveva prevalso sul suo controllo e si era gettato fra le sue braccia, con le dita che artigliavano il tessuto sciupato della tunica di Azkaban e un feroce pensiero di speranza a martellargli nella testa. Poi le cose fra loro avevano ripreso a traballare e quei dodici trascorsi ai margini della vita avevano preso la consistenza di una parete rocciosa.
La forzata prigionia che Sirius stava vivendo a Grimmauld Place non aiutava nessuno dei due. Era spesso nervoso, arrabbiato, imprevedibile, come il fantasma tirato al limite del ragazzo che era stato ai tempi di Hogwarts.
Il problema era Remus: lui sì che era cambiato.
Non era più il diciassettenne un po’ timido e arrendevole che si rassegnava ai colpi di testa di Sirius, non riusciva più ad annuire, a sopportarlo, a dargli ragione nella speranza di calmarlo. Gli ultimi dodici anni passati a spostarsi in totale solitudine da un angolo all’altro della Gran Bretagna lo avevano reso ben più ruvido e drastico di quanto non fosse stato quando era solo Moony, il Prefetto che scendeva a compromessi con Padfoot.
Quel pomeriggio avevano perso la pazienza per un motivo talmente sciocco e ridicolo che Remus ne avrebbe riso, se solo avesse conservato un po’ di ironia: Sirius stava parlando dell’ultimo racconto di Mundungus su una partita di candelabri contraffatti andata male, ridacchiando con quel sogghigno tutto suo che Azkaban non era riuscita a strappargli del tutto. Ma quando Remus gli aveva fatto notare che non trovava spiritose le imprese truffaldine di Mundungus, Sirius lo aveva accusato di essere diventato noioso, Remus aveva replicato di essere semplicemente onesto e il discorso era rapidamente degenerato in una lunga serie di “non usare quel tono superiore con me”, “scusa se la mia vita qui dentro non è interessante quanto la tua” e si era concluso con un solenne “fanculo, Remus”.
Così si era rifugiato nello studio di Orion Black con un libro che non aveva nemmeno aperto e si era ritrovato a fissare le fiamme crepitanti del camino senza vederle realmente. Quando il massiccio pendolo di quercia lo ridestò dai suoi pensieri, si accorse di essere lì dentro da più di un’ora. Si alzò dalla poltrona con l’intenzione di salire al piano di sopra per cercare Sirius, uscì dalla stanza e iniziò a percorrere il corridoio con passi grevi.
Sirius aveva sistemato Fierobecco nel sottotetto di Grimmauld Place, un ambiente basso ma sufficientemente ampio per accogliere una creatura di quella stazza. Tuttavia, nonostante il pagliericcio arrangiato sotto il grande lucernario e le continue attenzioni, Fierobecco mostrava a quella forzata prigionia la stessa irrequietezza del suo padrone.
Temendo che Sirius fosse ancora scosso da una tempesta interiore di sentimenti negativi, Remus bussò con blanda indolenza, piuttosto sicuro che l’amico non gli avrebbe nemmeno risposto. Fu sollevato di sentire la sua voce.
«Entra, Moony».
Remus si infilò con lentezza nella stanza e si richiuse cauto la porta alle spalle, ma l’Ippogrifo, acciambellato in un angolo come una grossa tigre piumata, sollevò la testa con uno scatto nervoso. Gli parve quasi di sentirlo ringhiare. Si inchinò piano, prestando attenzione a non fissare nient’altro che non fossero le assi lerce del pavimento, ma fu necessario l’intervento di Sirius per tranquillizzare Fierobecco.
«Sente che non sei umano» commentò con spietata franchezza Sirius. Era seduto su una vecchia cassapanca con la schiena appoggiata al muro. «Credo ti veda come un nemico».
«O forse ricorda che quando ci siamo conosciuti volevo sbranarlo».
Le labbra di Sirius si piegarono in una secca curva sarcastica.
«Probabile. Gli Ippogrifi non perdonano facilmente».
“Non solo loro” pensò Remus, restando immobile al centro della stanza e fissando l’amico con espressione placida.
«Sei ancora arrabbiato?» chiese Sirius con un tono di vaga stizza.
«Non lo ero nemmeno prima».
«Sì, invece».
Sirius spostò lo sguardo al cielo pallido che si intravedeva attraverso i vetri sporchi del lucernario e per un attimo rimasero in silenzio. Remus individuò una sedia di ebano con la seduta imbottita e si accomodò con calma, incrociando le lunghe gambe fra di loro.
«Quando eravamo a Hogwarts non ti arrabbiavi così spesso» commentò laconico Sirius.
Remus lo fissò per un lungo istante, soppesando il peso di quell’affermazione. Si massaggiò distratto le tempie, camuffando una risatina in un soffio fra i denti che a Sirius non sfuggì del tutto.
«Cos’ho detto di divertente?».
«Quando eravamo a Hogwarts tu eri decisamente meno irritante».
«E tu eri meno noioso».
«Meno immaturo».
«Meno arrogante».
Tacquero di nuovo, scrutandosi entrambi con un mezzo sorriso divertito. Fu Remus il primo a parlare.
«Siamo ridicoli».
«Già» sbuffò Sirius. Parve scosso da un pensiero improvvisamente vivace. «Ehi, ricordi la nevicata del ’75?».
«Dubito che qualcuno l’abbia scordata. Quell’anno ne scese così tanta che la professoressa Sprout rimase bloccata per un giorno intero nelle serre».
Sirius ridacchiò sfrontato. Per un attimo sul suo volto sciupato riapparve lo spirito scanzonato dei suoi sedici anni.
«Costruimmo una palla di neve così grande che la si poteva vedere perfino dalla torre di Astronomia» aggiunse con un sorriso storto. «Cindy, ricordi?».
«Santo cielo» mormorò Remus. «Avevo scordato che le avevi dato un nome… un nome molto stupido, fra l’altro».
«La facemmo saltare in aria con tutti i Fuochi D’Artificio di Filibuster che i Potter avevano regalato a me e a James per Natale».
«Solo i Potter potevano avere la scarsa lungimiranza di regalarvi un’intera scatola di esplosivi».
Sirius rise.
«Cinquantacinque punti in meno a Grifondoro e due settimane di punizione. Minerva era davvero furiosa».
«Mi domando per quale motivo» scherzò Remus. «Dopotutto Cindy era solo esplosa in centinaia di proiettili di neve che avevano rischiato di decimare metà degli studenti di Hogwarts».
«Che diavolo è un proiettile?».
Remus nascose un sorriso beffardo nel palmo della mano.
«È il motivo per cui quell’anno Grifondoro non vinse la Coppa della Case».
Risero entrambi e occuparono i successivi minuti ricordandosi a vicenda ogni momento di quel glorioso pomeriggio di dicembre di tanti anni prima. Per un caso fortuito, il professor Vitious aveva appena aperto la finestra dell’aula di Incantesimi ed era stato sommerso da una palla di neve vagante grande quanto la sua testa; un tizio del quinto anno di Tassorosso di cui non riuscivano a ricordare il nome aveva perfino perso un dente. Alla fine era stata Lily a togliere loro tutti quei punti, e aveva deciso di aggiungerne cinque in virtù del fatto che trovava il nome Cindy particolarmente inadatto a una gigantesca palla di neve.
«È stato il periodo più bello della mia vita».
Remus lo guardò. Sirius aveva ripreso a fissare il lucernario con espressione triste e una smorfia di vago rancore sul viso. Non riuscì a dire nulla.
«Io, te e James…» continuò con voce roca. Remus si chiese quanto gli stesse costando lo sforzo di non nominare mai Peter. «I Malandrini con la loro Mappa. Eravamo in gamba, vero? Eravamo davvero in gamba. Nessuno sapeva volare come James. Era straordinario».
Le parole parvero mozzarsi nella sua gola. Si avvicinò le gambe al petto e appoggiò le braccia alle ginocchia, tenendo il capo chino sulle mani. Nei suoi occhi brillavano dolore e risentimento. Era piuttosto sicuro che in quel momento la sua espressione era la stessa dell’amico.
«Padfoot…».
Tentò di dire qualcosa - qualunque cosa - ma non fu in grado di liberarsi dal peso opprimente di quel silenzio gelido che era nuovamente piombato fra di loro.
«Nevica» commentò infine Sirius, indicando il lucernario.
Alzò lo sguardo. Nonostante la patina opaca, Remus vide i primi fiocchi di neve posarsi lenti e placidi sul vetro. Uno, due, tre. Tentò di distrarsi contandoli uno ad uno, ma presto la voce di Sirius lo artigliò di nuovo alla realtà.
«Vorrei poter fare esplodere ogni cosa ancora una volta».
Remus continuò a tacere.
Era d’accordo con lui.

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