Donati Legacy gen. 1.4 - Vita nuova

Dec 09, 2009 02:08

Visto che è il mio compleanno vi regalo un aggiornamento :D ok, forse non funziona così, ci deve essere qualcosa che mi sfugge lol
Ok questo è delirio da sonno. Scusate anche stavolta per la lentezza ma non ero mai soddisfatta della seconda parte di questo capitolo (e nemmeno ora lo sono granché), ma non volevo aspettare ancora, visto anche che non trovo mai il tempo per fare le foto.
Avevo fatto una foto anche per la copertina ma non ho voglia a quest'ora di mettermi a modificarla con photoshop, semmai ve la beccate domani, se mi ricordo di aggiungerla :P (sì sono abbastanza smemorata da potermi ritrovare tra una settimana a pensare "ah già, me la son scordata!"). Ok basta cianciare a vuoto, vi lascio all'aggiornamento :P



Continuavo a fissare il cellulare appoggiato sul tavolino mangiandomi le unghie. Rispondi, rispondi, rispondi. Non riuscivo a pensare ad altro, e nel frattempo mi saliva l’ansia. Non mi stava bene come si era conclusa la serata, volevo chiarire, e speravo con tutto il cuore che Daniele non stesse già dormendo... O non ce l’avesse troppo con me, tanto da ignorare il mio messaggio. Mi sembrava fosse passato chissà quanto tempo, 10, 20, 30 minuti, ma potevano anche essere stati 20 secondi, non riuscivo a capirlo ed ero sempre più tesa.



“Per favore, rispondi...” imploravo guardando il cellulare immobile sul tavolino.
Sobbalzai quando finalmente squillò.
“No, sono ancora sveglio”
Non ero ancora riuscita a pensare a cosa scrivergli, perciò ci misi un po’ a rispondere:
“Scusa per prima, non avrei dovuto reagire così in macchina. Sono stata davvero bene con te, ma come al solito ho finito per fare danni. Posso avere un’altra possibilità per rimediare?”
Rilessi qualche volta il messaggio, abbastanza attentamente per cercare di capire se mi fossi dimenticata qualcosa e abbastanza rapidamente nel timore che potesse addormentarsi prima di riceverlo.
Rispose praticamente subito:
“Avresti potuto dirlo subito che non ti andava di uscire con me.” Rimasi scioccata. Aveva tutte le ragioni del mondo, ma non mi aspettavo affatto una risposta del genere da Daniele, sempre così dolce... Continuavo a rileggere il messaggio come se potesse apparire qualche nuova parola a dargli un significato diverso, o nella speranza di aver frainteso. Ma in fondo non aveva mica tutti i torti... Mi sentii ancora peggio. L’avevo deluso, illuso che potessimo stare insieme, per poi rovinare tutto...



Bi-bip. Altro messaggio:
“Scusa... Nicoletta, lo sai, te ne darei altre mille di possibilità. Mi dispiace per come è finita la serata, avrei voluto vederti felice come lo ero io. Volevo che stessi bene grazie a me. Non so come fare.”. Questo era il Daniele che conoscevo. Ma non sapevo comunque cosa rispondere, mi sentivo le farfalle nello stomaco, la gola secca e tutte quelle altre cose che si leggono nelle storie romantiche. Ero triste per il motivo di quella conversazione e perché lui ci stava male, ed ero felice perché stava accettando di darmi un’altra possibilità: possibilità che avrei cercato in ogni modo di non rovinare.
Cercai di sforzarmi a rispondergli: “Grazie per la seconda possibilità...” No, troppo formale. Riprovai: “Grazie, sono felice che...” Che? Che cosa? Non andava bene. “Io sono stata bene...” No, non era del tutto vero, non a fine serata almeno. Cancellai per la terza volta e mi ritrovai a fissare lo schermo vuoto del cellulare senza sapere come iniziare.
“Oh, al diavolo” dissi, chiusi il menu dei messaggi, cercai il suo numero e lo chiamai.



“Pronto...” Rispose, un po’ incerto
“Daniele... Scusa. Non sapevo come risponderti. Disturbo?”
“No, no... Dimmi tutto”
“Io...” Sentire la sua voce non aveva aiutato a chiarirmi le idee su cosa dirgli. Perché era così difficile esprimere quello che sentivo? “Ho bisogno di vederti”. Era l’unica cosa sensata che riuscissi a pensare.
“Vuoi che venga lì ora?” Non sembrava sarcastico, nonostante un invito alle 2 di notte potesse sembrare un po’ strano.
“Se non è un problema...” Risposi piano.



Era una fortuna essere praticamente vicini di casa, in 5 minuti si era preparato ed era alla mia porta. Aprii ed entrò senza che dicessimo una parola. Lo guardavo negli occhi e lui ricambiò lo sguardo; accennò un sorriso, e sorrisi anche io in risposta. Mi sentivo bruciare leggermente gli occhi ma mi sentivo più leggera ora che lui era davanti a me e non dietro alle parole di un sms, gran parte della mia ansia era svanita.



Volevo ringraziarlo per aver sopportato i miei dubbi e le mie insicurezze, per avermi concesso un’altra possibilità quella notte, per avermi voluto così tanto bene, e perché me ne voleva ancora altrettanto, se non di più. Volevo dirgli tutta la mia gratitudine per essere stato così gentile con me, che tante volte non me l’ero neanche meritato, e per essere venuto subito in quel momento. Però non avevo abbastanza forza per dirgli tutte queste cose dettagliatamente, e mi limitai a un “Grazie” che mi uscì sottovoce. Ma lui capì lo stesso: mi prese il viso tra le mani avvicinandolo al suo, sorrise continuando a guardarmi negli occhi, e mi baciò.



E finalmente riuscii a lasciarmi andare: era come se desiderassi quel momento da chissà quanto tempo, e me ne accorsi subito. Sentivo le sue mani tra i miei capelli e sulla mia schiena, il suo respiro sul mio viso, le sue labbra sulle mie, la sua lingua che accarezzava la mia, e poi di nuovo le labbra, dolcemente, a concludere quel bacio che avrei voluto non finisse così presto...



“Ti voglio bene” gli dissi alla fine, e lui ridacchiò. Era evidente che non era un normale ‘ti voglio bene’ che si dice a un amico, e lui l’aveva capito. Non riuscivo a smettere di sorridere: la felicità per aver sconfitto quella parte di me che mi confondeva e mi voleva riportare indietro era enorme.



Passammo un sacco di tempo sul divano a parlare, chiacchierando come sempre, ma con toni assai più dolci delle altre volte, con qualche bacio e qualche coccola ogni tanto.



“E insomma ti sei decisa alla fine” mi disse sorridendo
“Eh sì... Mi ci è voluto un po’...” sorrisi anche io “Scusa, avrei dovuto capire prima cosa fare”. Non rispose, e mi baciò di nuovo.
Il tempo volava, sembrava fosse passato pochissimo e invece...
“Oddio Daniele, ma sono quasi le 6 di mattina!” esclamai strabuzzando gli occhi e saltando in piedi “tra cinque ore entro al lavoro!”
“Allora sarà meglio che me ne vada, così dormi qualche ora” si alzò e mi diede un bacio sulle labbra “Ci vediamo oggi” e se ne andò.



Quattro ore di sonno. Quattro ore. Potevo farcela, poi al ritorno dal mio turno al ristorante avrei potuto recuperare. Temevo che, come al solito, avrei incontrato problemi nell’addormentarmi, invece crollai subito in un sonno profondo, tranquillo e senza sogni.
Il risveglio fu traumatico: dopo vari ‘cinque minuti e poi mi alzo’ mi arresi e finii per prepararmi in fretta e andare di corsa al lavoro.



Non riuscivo a tenere gli occhi aperti... Andavo a cercare gli ingredienti e una volta arrivata allo scaffale giusto dimenticavo cosa fossi andata a prendere, pretendevo di usare il mestolo per tagliare e il coltello per mescolare...



“Si dorme, stamani?” mi disse brusco il mio capo, a cui evidentemente non era sfuggito nulla. Avevo la vaga impressione che fin dal mio primo giorno di lavoro mi avesse presa di mira, ma non riuscivo a coglierne il motivo. E non ne ero del tutto sicura, dopotutto ero anche stata promossa e al ristorante mi trovavo bene. Risposi con una forzata espressione colpevole senza dargli la soddisfazione di una risposta esplicita, ma in effetti tra la stanchezza e la testa fra le nuvole occupata a pensare alla notte appena trascorsa con Daniele continuavo a fare un po’ di confusione.
Il massimo dei miei errori fu quando unii il contenuto di due pentole, pensando fossero quelle giuste. E invece avevo sbagliato fornello. Imprecai sottovoce e il capo-avvoltoio si girò immediatamente a guardare cosa avessi combinato. Impallidì impercettibilmente alla vista di quello che evidentemente riteneva un obbobrio culinario (e non aveva tutti i torti, in fondo) e poi mi fulminò con uno sguardo da pazzo che mi spaventò quasi:
“Cosa... Stai... Facendo...” sibilò. Stava cambiando colore e diventando rosso “Fuori... Da... Questa... Cucina...”.



Raggiunsi la porta indietreggiando mentre una mia collega mi guardava un po’ preoccupata.
“Posso... Posso rimediare, posso fare gli straordinari oggi” risposi balbettando prima di uscire dalla porta della cucina. Mi raggiunse e mi fece cenno di seguirlo fuori nel corridoio.
“Pensi di poter stare alzata la notte a divertirti e poi di dormire al lavoro? Ma lo sai che ogni piatto venuto male è un cliente in meno? Lo sai?” mi ringhiò contro “Sai anche che non ammetto errori madornali di questo tipo! Dovrei licenziarti per il danno che hai fatto!”



Lo guardai stralunata, avevo rovinato due sughi, d’accordo, ma avrei rimediato, oltretutto anche a mie spese restando oltre l’orario di fine turno. Licenziarmi, addirittura?? Per così poco? Mi sentii piena di angoscia quando realizzai che cosa potesse significare il licenziamento... Già avevo problemi economici così...



Ma non volevo mostrarmi impaurita e implorante di fronte a lui, perciò presi tutto il mio coraggio e cercai di mantenere un tono un po’ più severo, ma non volle accettare repliche:
“Donati, non farmelo più ripetere. Non tollero queste cose, ho licenziato per molto meno!”. Non ce la facevo più.
“Ah sì? E allora sai che c’è?” Sbottai “Mi licenzio da sola! Io queste non tollero, di cose! Sono una tua dipendente e merito molto più rispetto di quello che mi stai dimostrando tu in questo momento!”. Presi la mia borsa e me ne andai senza neanche voltarmi a vedere la sua reazione. Non me ne importava niente in quel momento, volevo solo allontanarmi da quell’uomo e non dover più lavorare per lui.



Ma non ci misi molto a pentirmi della mia scenata, mi erano in fretta tornati in mente tutti i problemi legati al licenziamento: come avrei pagato la spesa e le bollette? Per un attimo pensai di chiedere aiuto a Daniele e Alice, ma anche loro non erano messi tanto bene economicamente. Pensai ai miei genitori, ma non volevo chiedere a loro: nonostante fossimo di nuovo in buoni rapporti non me la sentivo di andargli a chiedere aiuto per mantenermi dopo la mia fuga da casa. Avrei cercato un altro lavoro in fretta. Sì, ci sarei potuta riuscire.
Passai da casa mia a cambiarmi, ma non riuscivo a stare ferma, perciò decisi di raggiungere Alice al negozietto di animali che gestiva, invece di aspettare che chiudesse e venisse lei da me, dato che aveva detto di volermi parlare.
Mentre camminavo verso il suo negozio continuavo a pensare ansiosa a come avrei gestito il mio futuro in quelle condizioni precarie, e finii per sentirmi in pensiero per qualsiasi cosa. Anche per quello che avrebbe avuto da dirmi Alice.



E se fosse successo qualcosa di brutto e avesse voluto aspettare la fine della mia giornata lavorativa per parlarmene? A Daniele non poteva essere successo niente, perché aveva passato buona parte delle ore successive a casa mia, ma cosa poteva avere da dirmi di così importante da dovermi avvertire addirittura durante la notte? Continuavo a immaginarmi scene in cui poteva essere successo qualcosa di grave a qualcuna delle persone che conoscevo...
Arrivai davanti al negozio. Era chiuso. Mi sentii gelare, e sentii il mio cuore che accelerava. Cosa era successo alla mia migliore amica? Non mancava mai al lavoro, il negozio era come la sua seconda casa, aveva sempre detto... Che motivo aveva per essere assente?



“Oh no” dissi tra me e me “Oh no, oh...” mi bloccai. Risi nervosamente. Era domenica: giorno di chiusura del negozio. Che stupida che ero stata, mi ero fatta influenzare dall’ansia per il licenziamento e avevo interpretato tutto male. Anche se, inconsciamente, continuavo a temere qualche brutta notizia. Mi rigirai, cercando di restare più calma possibile, mentre camminavo verso casa sua.



Mi ero fatta condizionare troppo dalla mia ansia durante il tragitto e mi aspettavo di trovarla con un’espressione triste, o arrabbiata, ma non fu così e restai un po’ sconcertata.
“Come mai già qua? Uscita prima dal lavoro?” Mi disse un po’ sorpresa.



“No... Licenziata”. Mi fece entrare e le raccontai tutto.
“Oh no... Be’, io avrei fatto come hai fatto tu, non hai tutti i torti... Ho un amico che gestisce un ristorante, posso chiedere a lui se ha bisogno di una cuoca... Sai, è quello dove ti ha portata mio fratello ieri sera”
“Grazie Alice, mi faresti un gran favore, non posso permettermi di restare a lungo senza lavoro... Ah, a proposito di ieri sera, cos’era che volevi dirmi oggi?” Di nuovo salì l’ansia che avevo messo in disparte mentre le raccontavo delle vicende appena successe.
“Oh” accennò un sorriso “Avevo visto mio fratello di cattivo umore, ma non aveva voluto dirmi come era andata... E... Ok, te lo dico: tua mamma mi aveva chiesto di, diciamo, ‘tenerti d’occhio’ e farle sapere se ti stavi riprendendo, e temevo di doverle telefonare e chiederle di tornare a strapazzarti per qualche giorno. Poi quando ho visto stamani Daniele felice mi sono tranquillizzata, sapevo che era rimasto a casa tua per quasi tutta la notte”



“Credevo fosse successo qualcosa di brutto” dissi con un sospiro di sollievo
“Be’, a dire la verità c’è anche dell’altro” si rabbuiò un po’ e aggiunse subito “Niente di grave, comunque. Hai presente il ragazzo che ho conosciuto qualche settimana fa?”
“Come no, quello di cui parlavi sempre” Non capivo cosa potesse esserci di brutto, mi sembrava le piacesse...
“E’ sposato”



“E ci provava con te?” chiesi incredula
“Sì. L’ho scoperto per caso, ieri sera. Gli ho chiesto spiegazioni e, beh, è sposato da un paio di anni, ma sua moglie è temporaneamente via, ma non si stanno separando. Non gli ho detto niente e me ne sono venuta via”.
Cercai di consolarla un po’, ma non era poi così triste, solo un po’ amareggiata, in fondo lo conosceva da poco e non stavano nemmeno insieme.
“Dai, passiamo ad argomenti più leggeri!” disse tornando a sorridere “Devo telefonare a tua mamma e raccontarle quello che combini con Daniele o hai intenzione di farlo tu?”
“Sei una spia, ecco cosa sei!” Le risposi ridendo. Passammo tutto il resto del pomeriggio a ridere e scherzare a quella maniera, ne avevamo bisogno entrambe, anche quando tornò Daniele che ci ritenne ubriache tanto ridevamo per qualsiasi scemenza.



Qualche giorno dopo incontrai il proprietario del ristorante amico di Alice, a cui lei aveva già parlato. Scoprii che si era già informato presso il ristorante da cui mi ero licenziata per sapere qualcosa sul mio lavoro, dato che in effetti non avevo un gran curriculum, parlò un po’ con me e decise di prendermi in prova per la settimana successiva. Il ristorante era un ambiente piacevole, e di sicuro stavolta avevo un capo meno presuntuoso. La gestione era un po’ più familiare rispetto al mio vecchio posto di lavoro, non c’erano stupide tensioni tra colleghi e la moglie del proprietario, che gestiva il locale insieme al marito e lavorava in cucina, era sempre molto rilassata e si divertiva raccontandoci e facendosi raccontare le strane richieste di piatti particolari fatte a volte dai clienti. Il periodo di prova andò bene, a quanto pareva, perché il capo sembrava abbastanza soddisfatto e dopo un po’ mi assunse con regolare contratto e con tanta mia soddisfazione e felicità.



Sì, ero felice, perché io e Daniele stavamo ancora insieme, ed ero sempre più rassicurata dalla convinzione di voler stare con lui, non avendo più avuto alcun tentennamento. Non avevo ancora dimenticato la piccola “crisi” avuta al nostro primo appuntamento, quando ormai invece credevo di essermi ripresa, ma stavolta sembrava davvero essere passato tutto, ed ero sempre più legata a Daniele. Ero forse per la prima volta in vita mia decisa e fiduciosa, praticamente certa che sarebbe andato tutto bene.

generazione 1, donati legacy

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