Ce l'ho fatta :D
Prima di cominciare: non seguirò strettamente le regole ufficiali delle legacy (ovviamente!) nemmeno per quanto riguarda la dimensione del lotto (sarà un po' più piccolo, e di conseguenza la casa iniziale un po' più grande, per evitare di rallentare troppo il gioco). Seconda cosa: in un attacco "artistico" abbastanza discutibile ho voluto associare una canzone a questo capitolo (leggendo capirete), si tratta di "Wait for sleep" dei Dream Theater,
questo è il link a un video di youtube se volente sentirla :P Ho anche fatto un po' di casino con le dimensioni delle immagini credo. Niente di grave comunque, solo che non sono tutte uguali mi sa.
E' la prima volta che rendo pubblico qualcosa scritto da me quindi mi vergogno un po', lo ammetto :P spero che vi piaccia, comunque ^^
Sotto al cut... l'inizio dell'avventura di Nicoletta Donati. Buona lettura :D
Donati Legacy - 1.1
E così, eccomi qua. Sola.
A 70Km da quella che fino a qualche giorno prima era stata casa mia. Sola.
Con mezza valigia di vestiti e quattro soldi in tasca. Sola.
Scappata da casa a 20 anni. Non da sola, quello, però. Con lui, quel brutto porco pezzo di...
Bah... E chi l’avrebbe trovato, dopo quello che era successo, il coraggio di telefonare a casa e dire “Ciao mamma, sai, avevi ragione”?
Menomale avevo trovato una casetta: malconcia, spoglia, freddina e sicuramente bisognosa di un restauro, ma era pur sempre un tetto economico, seppur scalcagnato, sopra la testa.
Ci sarei rimasta il tempo necessario a sbollire l’umiliazione e a non rendermi ridicola ripresentandomi a casa dai miei, che avevano già intuito che sarebbe finita male. Come avevano fatto? E, soprattutto, perché loro se ne erano accorti e io no??
Mi metteva sempre troppa tristezza stare dentro quello sgabuzzino, preferivo approfittare delle ultime tiepide giornate autunnali per starmene fuori al sole. Forse ha ragione chi dice che la gente non merita tanta fiducia, mi ritrovavo a pensare seduta sulla soglia di casa...
Durante una di quelle sedute di meditazione su un gradino di pietra vennero a trovarmi delle persone, forse stupite dal fatto che qualcuno aveva avuto il coraggio di andare a vivere in quella catapecchia? Che amarezza, pensai, magari sono anche loro qua per prendermi in giro...
Ok, stavo esagerando. Erano due mie vicine, molto gentili, e non hanno nemmeno cercato di spettegolare sul mio conto. Menomale, la scusa “avevo voglia di cambiare vita”, viste la mia aria scorrucciata, la casa squallidotta e la mancanza di un lavoro, avrebbe retto poco...
A proposito di lavoro, me ne sarei dovuta trovare uno, anche solo temporaneo o part time, sperando di riuscire a farmi assumere in un ristorante, dato che cucinare mi riusciva bene e che in cucina non ci sarebbe stato bisogno di stare a contatto con la gente. Visto il precedente, a quanto pare con le persone non ci sapevo fare troppo bene!
Purtroppo l’unico lavoro temporaneo senza richieste di requisiti o obblighi particolari era il ruolo di mascotte della squadra sportiva locale... Sigh, mi sentivo già abbastanza ridicola per la mia fuga...
Ho dovuto iniziare subito a lavorare. Il che comunque non è stato un male, dato che ero davvero a corto di soldi. Che lavoro stancante però... Sarei probabilmente diventata matta con quella vita. Anzi, ne ero certa, dopo aver passato una serata giocando con un aeroplanino di carta facendogli fare manovre acrobatiche e bombardamenti sul divano-base nemica, non mi succedeva da quando avevo 10 anni...
In uno dei giorni successivi avevo di nuovo incontrato una delle mie nuove vicine per strada. Si chiamava Alice e nel giro di dieci minuti mi aveva già raccontato tutta la sua vita: viveva con suo fratello Daniele vicino a casa mia, mentre i loro genitori si erano trasferiti da qualche anno alle Hawaii a godersi la pensione.
Mi aveva invitata a uscire con lei e suo fratello qualche volta, e accettai, mi stava molto simpatica e magari così sarei riuscita a non impazzire...
Il lavoro stava iniziando a prendermi molto tempo e molte energie, e di posti di lavoro in un qualche ristorante ancora non ne avevo trovati... Per fortuna c’era chi sapeva come consolarmi: Alice e Daniele in compagnia di... una pizza gigante!
“Ta-daaa! Ti invitiamo a mangiare una pizza... a casa tua! O sei impegnata a preparare qualche tua prelibatezza...?”
“Certo Alice, lo sai che quando torno dal lavoro ho una voglia matta di sgobbare in cucina! Entrate entrate”
Una volta iniziato a mangiare, Alice mi fece la domanda che più temevo... “Insomma, hai trovato la nuova vita che sei venuta a cercare qua dalle nostre parti?”
Ecco. Accidenti. Di raccontare la verità non me la sentivo, ma ancora meno di inventare balle... “Beh, mica tanto, anzi... Ma si va avanti”. Dovevano aver capito, o almeno Alice doveva averlo fatto, che era meglio non toccare l’argomento. Non ancora. Cambiò discorso e iniziò a parlarmi di un locale dove voleva andare una di quelle sere.
E così quel sabato sera dopo il lavoro ci ritrovammo in un pub della zona dove quasi tutti i fine settimana suonava un qualche gruppo musicale locale. Servivano anche qualcosa da mangiare, quindi cenammo lì allegramente e riuscii a non pensare ai miei problemi. O, almeno, questo finché non iniziarono a suonare.
Nel giro di pochi minuti il locale si riempì di gente, andai con Alice al bancone prima che iniziasse a esserci la fila.
Preso da bere per noi e per Daniele ci voltammo per tornare al tavolo che lui ci teneva occupato.
Fu in quel momento che lo vidi. Era lì, sulla porta, in compagnia di una tipa dall’aria svampita che se lo rimirava. E lui era come sempre, l’aria un po’ strafottente di chi è fin troppo convinto di fare la miglior vita desiderabile.
Mi sentii crollare tutto addosso: tutta la tranquillità che ero riuscita a costruirmi intorno era andata in frantumi, mi sentivo di nuovo come qualche settimana prima, quando l’avevo saputo.
Appoggiai sul tavolo il mio bicchiere e corsi fuori, senza neanche sapere bene cosa stessi facendo, mentre desideravo soltanto... non so cosa. Non sapevo se piangere, se andarlo a prendere a pugni o se buttarmi per terra o fare qualcos’altro di insensato.
Mi ritrovai seduta sul bordo di una aiuola in un parchetto lì vicino, e pochi secondi dopo arrivò Alice che mi aveva seguita.
“Nicoletta, che succede?”
“Io... io sono stata una stupida, sapevo che abitava qua, sapevo che sarebbe successo...”
“Chi era? Che ti ha fatto?”
E così mi ritrovai a raccontarle tutta la mia storia: di quando mi ero innamorata di lui, di quando ero scappata di casa per corrergli dietro, illusa che fosse innamorato di me come io lo ero di lui, di quanto mi sentissi umiliata per la stupidaggine che avevo commesso e per non essermi accorta che mi stava soltanto prendendo in giro. E di quanto adesso non sapessi se sperare di rivederlo oppure no. Nemmeno sapevo se mi aveva vista nel pub...
Mi lasciò sfogare e poi mi disse: “Senti Nicoletta, non so come possa averti fatto questo, ma pensi che una persona del genere meriti il tuo interesse? Vieni, ti riaccompagno a casa, Daniele tornerà per i fatti suoi”.
Quella notte non riuscii a dormire, non facevo che pensare a cosa fare, se restare, se tornare a casa dei miei... Non avevo ancora detto loro cos’era successo, avrei dovuto farlo prima o poi... Ma tornare da loro? Mi sarei dovuta sopportare dei bei “Io te l’avevo detto”? Non potevo... Mi vergognavo troppo.
Però se fossi rimasta avrei dovuto darmi una calmata, mi rendevo conto che mi stavo comportando da stupida, non potevo continuare a fare finta di nulla. E se l’avessi incontrato un’altra volta? Non potevo continuare a scappare. Continuavo a guardare il soffitto aspettando di riuscire ad addormentarmi e cercando di mantenermi indifferente di fronte al ricordo di tutto quello che era successo.
Il tempo passato insieme a lui, le bugie a cui avevo creduto, il viaggio per raggiungerlo, il suo sguardo indifferente quando mi aveva detto che non avrei dovuto seguirlo... Mi venne in mente una canzone, e mi ritrovai a canticchiarla sorridendo ironicamente...
... She shuts the doors and lights
And lays her body on the bed
Where images and words are running deep
She has too much pride to pull the sheets above her head
So quietly she lays and waits for sleep.
She stares at the ceiling
And tries not to think...
Dovevo fare in modo che quello che era successo smettesse di farmi sentire così umiliata, dovevo iniziare una nuova vita e far sì che tutto quello che avevo passato mi apparisse indifferente come se non fosse accaduto davvero, come se fosse una storia letta su un libro o vista in un film. Ma continuavo a ripensare a lui...
... And water can’t cover her memory
And ashes can’t answer her pain
God give me the power to take breath from a breeze
And call life from a cold metal frame...
Quando alla fine mi addormentai era quasi l’alba, e il risveglio la mattina per andare al lavoro fu più difficile del solito. Per quello stupido lavoro poi... Dovevo trovarmene uno più decente, e nelle settimane seguenti la ricerca fu sempre più frenetica e intensa: riuscii con un po’ di risparmi a comprarmi un pc da poco per cercare anche su internet, e finalmente trovai un posto in un ristorantino non troppo distante dal centro.
Volevo festeggiare insieme ai miei due amici, ma Alice era a una cena con i colleghi, così andammo soltanto io e Daniele al solito pub, dove non ero più tornata dopo quella serata da dimenticare. Riuscii a distrarmi e a divertirmi davvero, l’idea di un nuovo lavoro più soddisfacente mi aveva decisamente risollevato il morale. Probabilmente se quella sera l’avessi rivisto sarei riuscita a rimanere indifferente... O almeno a non crollare come la volta precedente.
“Ma perché fanno suonare certa gente??” Esclamò ad un certo punto Daniele mentre una delle piccole band locali strimpellava in modo un po’ sconclusionato e decisamente stonato le canzoni del suo repertorio “Vieni, andiamo un po’ fuori”.
Nonostante fosse autunno non era troppo freddo, ed era piacevole starsene all’aperto a chiacchierare spensierati.
“Dai, sembrano anche meno stonati con il muro a dividerci!”
Decidemmo di avviarci verso casa a piedi, invece di restare lì fuori fino a fine serata. Il tragitto dal pub a casa non era breve, ma era molto piacevole passeggiare per i viali alberati e le strade poco trafficate, giocando come bambini a saltare sui mucchi di foglie secche per sentirle scricchiolare sotto ai piedi.
In alcuni punti si sentiva anche il rumore delle onde del mare, doveva essere mosso. Non era mica male come posto... Stavo iniziando a rivalutare i vantaggi del mio trasferimento. Dove abitavo prima non c’erano questi bei viali e di sicuro non c’era il mare... Però c’erano la mia famiglia e la mia vecchia vita...
“Su su, di corsa il ponte, che sennò con questo vento si vola via!” urlò ad un certo punto Daniele prendendomi per mano e trascinandomi per farmi correre.
“Tu sei matto, te lo dico io!”
“Viaaaa!! Devo trascinarti o ce la fai da sola?”
”Altro che ventenne, di anni ne hai ancora otto!” Ma mi misi a correre ridendo insieme a lui.
Quando fummo davanti a casa mia ci eravamo un po’ calmati, ed era assai tardi, perciò rinunciai a invitarlo a bere una cioccolata calda come succedeva spesso dopo le serate tra amici.
Ma quando feci per prendere le chiavi lui fece una cosa che non mi aspettavo affatto: mi prese le mani.
“Nicoletta...” Io lo fissavo sbalordita. Cosa stava facendo? Non riuscivo a dire niente, non capivo cosa volesse fare... Probabilmente è uno scherzo, pensai. “Ecco...” Non riuscì a dire altro.
“Che stai facendo?” Riuscii a chiedergli continuando a non capire.
“Be’, lo sai che mi piaci...”
“Ma dai, hai bevuto troppo stasera mi sa!”
“Ma no! Te l’ho sempre detto...” E continuava a fissarmi tenendomi le mani.
“Io non credevo... Cioè, non ho mai pensato che... Ma dici sul serio?”
”Be’, sono due mesi più o meno che te lo dico...” Oh. Ero sempre stata presa dai miei pensieri e non me ne ero mai accorta... Credevo che facesse un po’ lo scemo come me e Alice ma non che dicesse sul serio, però ripensando a tante cose dette mi stavo rendendo conto che era vero...
“Daniele...” Non sapevo come dirglielo “Scusami, non posso. Non ci riesco, non dopo quello che ho passato negli ultimi mesi... Scusa” E allontanai le mie mani dalle sue.
Rimase a guardarmi per un po’ senza dire niente, non sapevo se deluso o imbarazzato, poi disse:
“Mi aveva detto mia sorella che forse non era il caso, non ancora... Ma non sono riuscito a resistere. Non avrei dovuto metterti in imbarazzo così...”
“Mi dispiace, Daniele, davvero. Ma ancora non ce la faccio” Poi aggiunsi, anche se non ne ero del tutto sicura “Casomai tra qualche settimana, ok? Lasciamo passare un po’ di tempo”
“D’accordo. Spero che quello che ti ho detto non cambi le cose tra noi...”.
Ci salutammo un po’ malinconicamente, ma non entrai in casa finché non fu sparito dietro l’angolo, rimasi a guardarlo camminare. Non si voltò nemmeno una volta.
Un’altra notte a fissare il soffitto della mia camera.
A ripensare alla conversazione con Daniele, e alla paura che potesse finire male come con quell’altro... A quanto ero stata innamorata e a quanto avevo sofferto... Ma anche alle emozioni che avevo provato poco prima sulla porta di casa: battito accelerato, cuore in gola, occhi lucidi e difficoltà nel trovare le parole da dire...
E mentre pensavo a uno mi tornava in mente l’altro, e una volta cambiato il soggetto dei miei pensieri riappariva il volto del primo...
E continuavo a guardare il soffitto, ripensando alle cose dette e aspettando di addormentarmi...
... She shuts the doors and lights
And lays her body on the bed
Where images and words are running deep
She has too much pride to pull the sheets above her head
So quietly she lays and waits for sleep...
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Ecco, ho litigato per un'oretta con LJ e Photobucket ma sono arrivata alla fine, spero di non avervi annoiato troppo :P