Titolo: Under Falling Leaves
Autore:
germanjj Traduttrice:
thiniasBeta per la versione italiana: Ele106
Link per la storia originale:
Under Falling LeavesGenere: RPS, wincest, Non-AU che diventa AU
Pairing: Jensen/Jared, Sam/Dean, solo nominati Jensen/Danneel e Jared/Genevieve
Rating: NC-17
Warning: Siate solo sicuri che vi piacciano entrambi i parings e dovreste essere a posto.
Note: come in tutte le ff RPS dell’autrice, Kim Manners fa un piccolo cameo
Spoilers: nessuno
Capitolo V
Jared si sentiva come se stesse per svenire. Il calore strisciava nella parte posteriore del suo collo, puntini ballavano di fronte ai suoi occhi e l’unica ragione per cui non stava cadendo a terra, era perché non poteva distogliere gli occhi dall’uomo che aveva di fronte. Non osava muoversi, nemmeno battere le palpebre, troppo spaventato che tutto quello non fosse reale, che fosse solo un sogno e che non lo avrebbe mai più rivisto.
“Cosa diavolo hai fatto, Sam?” Chiese Jensen, e il nome che uscì dalla sua bocca suonò giusto questa volta; un sottile cambiamento, niente che nessun altro avrebbe potuto notare. Ma il petto di Jared si strinse e la sua gola si chiuse attorno ad un groppo dopo aver sentito il nome, dopo aver sentito Dean pronunciarlo.
“Sei tu, Sam, vero?” Chiese Jensen.
Solo allora Jared sentì l’incertezza dietro di essa, la paura. Prese un respiro tremante, voleva rispondere ma non riusciva ad emettere alcun suono.
La risposta era sulla punta della sua lingua, era rimasta lì per quasi tutta la sua vita. “Si.” Voleva dirlo. “Si, io sono Sam e io sono tuo fratello, Dean, ma tu non sei stato il mio per tutti questi anni.” Jared tremò a quel pensiero. La consapevolezza che aveva celato per tutto quel tempo, l’aver fatto finta di non ricordare chi fosse davvero, distrusse i muri che aveva eretto dentro di sé.
Jared annuì lentamente e sentì tutto il suo mondo crollare intorno sé.
“Bene.” L’altro lasciò andare il respiro, i suoi occhi si chiusero tremando per un secondo e fu Jensen a farlo, lasciando che le emozioni trasparissero sul suo volto.
Era Jensen.
Ed era Dean.
Jared si stava sentendo male, il suo stomaco si stava ribellando contro il suo corpo.
“Allora, cosa hai fatto, Sam? Cosa è successo?” Jensen non lo guardò, il più giovane rimase ad osservarlo mentre fissava un punto nel vuoto. Le sue spalle erano in tensione, come se si stesse preparando per il peggio.
“Hai fatto un altro patto?” Il maggiore rise, una risata priva di umorismo che suonava così tanto da Dean, da suo fratello, che ferì Jared fin nel profondo. “Cosa diavolo hai venduto questa volta? Perché questo deve essere stato un grosso patto del cazzo.”
“Nessun patto.” Sussurrò Jared e fu tutto quello che fu in grado di dire.
“Quindi cosa? Cos’è questo, Sam?”
“Cosa ricordi?”
“Ricordo te che salti in quel buco con Adam; Lucifer e Michael ancora dentro di voi. Mi ricordo di essermi presentato davanti alla porta di Lisa.” Deglutì pesantemente. “E poi io… io ricordo quando mia madre uscì dall’ospedale, con MacKenzie tra le braccia, così piccola, aveva solo due giorni. Josh era seduto vicino a lei sul sedile posteriore. Era la prima volta che mi era permesso di sedere davanti vicino a mio padre.”
Jared annuì, i ricordi di Jensen non erano molto differenti dai suoi. Ricordava di aver saltato, la caduta... e poi suo fratello maggiore Jeff e come avessero ricevuto gli stessi giocattoli per Natale; piccoli camioncini rossi con le luci lampeggianti; ci avevano giocato per giorni.
Jared tossì, tirandosi fuori da quei ricordi. “Io… sono stato liberato. Dall’Inferno, voglio dire. Non so chi mi abbia tirato fuori esattamente, ma ero fuori.” Guardò suo fratello, lasciando andare un respiro tremante, non poteva credere che stesse succedendo.
Non sarebbe dovuto accadere. Jensen non avrebbe dovuto ricordare.
“Poi lui è venuto da me, mi ha detto che potevo esprimere un desiderio. Ed ora… eccoci qui.” Fece un gesto vuoto, improvvisamente spaventato, improvvisamente di nuovo il fratellino di Dean.
Gli occhi di Jensen scattarono. “Chi è venuto?” Chiese.
Jared esitò, mordendosi le labbra. “Gabriel.” Lanciò all’altro un sorriso diffidente. “Sembra che a Dio piaccia avere i suoi angeli vivi.”
Jensen assorbì quell’informazione aggrottando solamente le sopracciglia. “E che cosa hai desiderato?”
“Una seconda chance.” Jared deglutì. “Per tutti noi.”
“Wow.” Jensen abbaiò una risata che fece gelare le ossa del più giovane. “Quindi questo è quello che abbiamo ottenuto? Per tutti noi? Perfino per i demoni e i cazzo di angeli? Ti suona giusto?”
Jared scosse la testa. “Vessel, ricordi? Sono i loro vessel che hanno avuto una seconda possibilità. Questo mondo non ha nulla di soprannaturale.”
“Sei sicuro? Nemmeno l’ultimo mondo era molto avvezzo a tutta quella roba, da quello che ricordo.”
Jared sospirò, emise un lamento. Questo era troppo, troppo presto, troppo inaspettato. “Ho controllato. Appena sono stato grande abbastanza per capire, ho controllato. Non c’è nulla si innaturale qui. Te lo giuro.”
Jensen continuò a guardarlo severamente. “Quindi abbiamo ottenuto questo perfetto piccolo mondo? Questa è la nostra ricompensa?”
“Non è perfetto. La gente resta la gente. È solo un’altra vita. Una chance di normalità.”
Jensen annuì tremante, i suoi occhi fluttuarono. “Dio.” Sospirò. “Non so nemmeno… non so nemmeno da dove cominciare.” Si alzò, passandosi le mani sul viso ripetutamente.
Jared poté solo rimanere lì e guardarlo, continuava a sentirsi come se stesse per svenire da un momento all’altro. Voleva toccarlo, voleva… accertarsi che fosse reale, che lui fosse reale, perché questo… questo non poteva stare accadendo. Non così all’improvviso, in quel modo, non dopo tutti quegli anni.
“Ho bisogno di uscire.” Jensen lo annunciò improvvisamente, si diresse direttamente verso la porta e questo scosse Jared dal suo stordimento.
“No, aspetta.” Disse, un po’ troppo forte.
Ma Jensen continuò a camminare, si mise le scarpe e afferrò la sua giacca; la porta di ingresso fu aperta ancora prima che Jared potesse processare quello che stava accadendo.
Che l’altro se ne stava andando.
“Jensen, aspetta, dove stai andando?” Jared lo supplicò, mentre veniva attraversato dalla paura.
L’altro uomo non rispose, non mostrò nemmeno di averlo sentito.
“Jensen?” Jared gli corse dietro oltre il loro prato, solo per riuscire ad afferrare in tempo la portiera del SUV, prima che il suo amico potesse chiuderla con un tonfo.
“Andiamo amico... Dean, aspetta, ok?” Lo pregò più silenziosamente questa volta, vagamente consapevole dello spettacolo che avrebbero dato ai vicini se qualcuno li avesse visti.
Jensen in effetti si fermò, rivolse a Jared un sorriso vuoto e accese la macchina. “Vedi? Siamo in due. Nemmeno io so chi sono.”
E con questo Jensen tirò la portiera via dalle mani del più giovane, la chiuse e se ne andò.
“Dean! Dean!” Jared gli urlò dietro, ma era stupido e inutile, e lui era assolutamente perso.
“Dean...” Continuò a dirlo, silenziosamente a se stesso, assaporando quel nome, permettendosi di sentirlo davvero per la prima volta dopo un lungo, lungo tempo.
****
Quando Jared aprì gli occhi il soffitto sopra di lui gli sembrò famigliare. Il divano su cui era sdraiato sembrava esattamente lo stesso di quando lo avevano comprato, il soffice russare dei suoi cani di fronte a lui non era nulla di nuovo. Ma il mondo… il mondo era cambiato.
La schiena gli mandò una fitta dolorosa quando fece scivolare le gambe sul pavimento. I suoi occhi andarono per prima cosa al cellulare; vide l’orario - le otto e mezza - e la mancanza di messaggi o chiamate.
Aveva speso quasi l’intera notte mandando messaggi e chiamando Jensen, Dean, e la batteria del suo cellulare era quasi morta, ma l’altro non aveva risposto e non era tornato a casa.
Jared sospirò e si nascose la testa tra le mani.
C’era un dolore nel suo cuore che derivava sia dal sollievo che dalla paura. Dall’improvvisa assenza della parte mancante dentro di sé e dalla presenza della stessa cosa che aveva desiderato per poterla riempire:
Dean.
Tutto e niente, sempre e per sempre, si riduceva a quell’unico nome, quell’unica persona.
Dean.
Jared, Sam, non poteva credere che fosse lì, che avesse riavuto suo fratello completamente, dopo così tanto tempo. E per quanta voglia avesse di scoppiare di felicità, di versare lacrime di gioia per averlo finalmente avuto indietro, Jared era spaventato fin nel profondo da chi avrebbe potuto perdere come conseguenza.
Ora era tutto aperto, le carte in tavola erano nuove.
E il risultato era ignoto.
Un breve abbaio catturò la sua attenzione e quando Jared si guardò intorno, poté vedere Harley e Sadie seduti pazientemente davanti alla porta della cucina, agitando le loro code.
“Cazzo, mi dispiace tanto.” Saltò su, con la colpa che lo attraversava. Si sentì solo peggio quando riempì le loro ciotole fino all’orlo e li guardò divorare il cibo in un attimo.
Dopo li lasciò uscire nel giardino posteriore, non era disposto a lasciare la casa nemmeno per una breve uscita con loro, in caso Jensen fosse tornato.
Questa cosa lo colpì di nuovo. La consapevolezza che Jensen non era più solo Jensen. La sua mente continuava a dimenticarlo, continuava a respingerlo e farlo scivolare indietro in onde. Jared non sapeva se vi si sarebbe mai abituato. Guardare negli occhi di Jensen e vedere anche suo fratello, che finalmente rispondeva al suo sguardo.
Il dolore era caldo e tagliente nel suo cuore - e troppo, troppo fresco - non avrebbe nemmeno saputo dire se fosse buono o cattivo, se fosse felice o triste. Sapeva solo che non era pronto per processare l’intera cosa in quel momento.
Sapeva che non era questo che aveva voluto allora. Che il patto era stato differente. Che aveva scelto qualcosa d’altro.
Jared spese la maggior parte della giornata aspettando con il cellulare in mano, sperando di avere notizie da Jensen, fuori con i suoi cani, cercando di intrattenerli. Niente funzionò. Jensen, Dean, non chiamò, non mandò un messaggio e ora della fine della giornata, Jared avrebbe potuto giurare che i suoi cani fossero davvero incazzati con lui per la mancanza di attenzioni; lo dimostrarono, quando li trovò che occupavano tutto il suo letto, dormendo rumorosamente con la schiena rivolta verso di lui.
Jared lasciò che gli rubassero il letto e tornò a fissare il suo telefono; raccolse i cocci del vaso rotto dal pavimento della sala e poi tornò a fissare l’orologio sulla parete della cucina. Cercò di fermare la sua mente dall’andare al ‘e se…’
E se Jensen non fosse tornato a casa? E se lo odiasse per non avergli detto chi era davvero, chi erano loro? E se avesse lasciato lo show, o avesse lasciato Vancouver o la sua vita per sempre?
Jared sentì la rabbia strattonare il suo cuore, la sentì bruciare nelle vene. Succedeva ancora in quel modo. La rabbia lo raggiungeva sempre per prima, ma aveva imparato come trattare con essa, aveva imparato a strapparla via e a guardare a quello che davvero stava provando. Tristezza, delusione, debolezza.
Ma era differente, oggi.
Questa volta lasciò che la rabbia lo prendesse, invece che lavorare per superarla; una vecchia sensazione, ancora famigliare, restava stantia e dolorosa, ma di sollievo molto più di quanto ricordasse.
“Gabriel!” Urlò alla stanza vuota, la sua voce era forte ed esigente. Rimbalzò sui muri, risuonò nelle sue orecchie. Aveva fatto una cosa del genere solo una manciata di volte. Tempo addietro, quando tutto era diventato improvvisamente chiaro. Quando aveva tenuto il primo script di Supernatural tra le mani, quando si era reso immediatamente conto di non essere pazzo, che tutto stava prendendo una sorta di significato perverso. La sua voce era stata terrorizzata allora, ma Gabriel venne.
Un’altra volta, fuori di sé dalla rabbia come in quel momento, quando aveva visto Jensen passare attraverso quello che Dean aveva già sofferto, quando aveva visto suo fratello fatto a pezzi di nuovo. Anche se si era trattato solo di sangue finto e di effetti speciali, lo aveva quasi spezzato. Jared aveva urlato all’arcangelo e lui era venuto.
“Gabriel! Porta il tuo fottuto culo qui! Gabriel!”
Continuò ad urlare quando vide che non accadeva nulla e divenne sempre più rabbioso. “So che puoi sentirmi!”
“Gesù, se qualche paparazzo si fermasse da queste parti, dovresti spiegargli perché sono in casa tua, amico.”
Jared ruotò su se stesso per trovarsi di fronte Richard, Gabriel, seduto al tavolo della sua cucina a sghignazzare verso di lui.
“Perché diavolo lo hai fatto? Pensi che sia divertente?” Lo attaccò direttamente, voleva solo far sparire quel ghigno dalla faccia dell’altro.
Richard alzò le mani in difesa. “Whoa, hey, hey! Che succede con tutta questa ira, Sam? Non pensi che sia un po’ troppo della tua vita passata?”
“Smettila di fare la sceneggiata e dimmi perché lo hai fatto?” Jared incombeva su di lui, ma il sorriso dell’angelo si ridusse solo di poco.
“Fatto cosa, esattamente?”
“Jensen lo sa.” Ringhiò, riusciva a malapena a mantenere il controllo sul suo corpo. Allora, nell’altra vita, perdere il controllo avrebbe significato fare molti più danni rispetto ad oggi, ma ancora… il ragazzo continuava a combattere se stesso.
“Lui sa cosa?” A quel punto Richard si accigliò e i muri dell’ira di Jared si creparono, solo un po’.
“Chi è. Chi era.” Richard lo guardò con occhi spalancati, pallido, ma lui continuava a non credergli.
“Perché lo hai fatto? Questo non era parte del nostro accordo.” Sputò fuori. “Avevamo detto nessun ricordo. Niente. Non il suo nome, non la sua vita, non l’Inferno, non me.”
“Lui ricorda tutto?” Sussurrò Richard, abbassando lo sguardo sul tavolo, come se stesse pensando attentamente.
“Si.”
“Non sono stato io.”
“Stronzate.” Sibilò Jared, perché non poteva credergli, non voleva farlo. Non quando era così arrabbiato e aveva bisogno di qualcuno da incolpare, non quando tutto era andato a puttane e il suo migliore amico, suo fratello, ora era scappato da lui.
“Non sono stato io, te lo giuro, ok?” Richard incontrò ugualmente il suo sguardo. “Forse il potere si è solo esaurito, d’accordo? Non sono esattamente Dio, perfino i miei poteri hanno dei limiti!”
Rimasero a fissarsi l’un l’altro in un silenzio carico di rabbia. Jared non voleva dargliela vinta, ma già sentiva di credergli, sentiva la delizia della furia lasciarlo. Ma fu qualcos’altro a far andare via completamente la sua rabbia.
“Wow. Ed eccoci di nuovo qui.” Disse una voce dietro di lui, delusa e ferita, che lo fece voltare con gli occhi spalancati. “Ovviamente la storia si ripete.”
“Dean.” Boccheggiò Jared, perché era del tutto Dean quello che lo stava guardando ora, e quel momento sembrò fin troppo come uno di quelli che avevano condiviso in passato. Non aveva bisogno di chiedere per sapere che Jensen aveva sentito tutto.
“Sembra tanto un déjà-vu, non credi, Sammy?” Disse Jensen con voce roca e usò le esatte parole che erano nella testa di Jared. “Non stai esorcizzando un demone con la mente, ma la cosa del ‘dietro le spalle’ e del mentire e del fingere, resta sempre la stessa.”
“Dean...” Disse di nuovo Jared, la sua bocca si era asciugata e il suo cuore batteva forte per il senso di colpa.
“Niente di soprannaturale, huh? Avrei dovuto sapere che stavi mentendo.”
“In realtà…” Intervenne Richard, mettendosi tra di loro. “Sono solo io.”
“Gabriel.” Dean annuì e Richard rispose a modo.
“Dean.”
Rimasero a guardarsi l’un l’altro, come vecchi nemici che si incontrano di nuovo dopo una guerra che è finita da tempo, ma ancora non pronti a superare i confini che essi stessi hanno disegnato.
“Quindi questo è divertente per te?” Lo pressò Jensen, la sua espressione era tutta Dean: una maschera di rabbia e furia. Jared deglutì e pensò che il maggiore non aveva nemmeno idea di citarlo.
Questa volta, però, la risposta del Trickster fu differente.
“Non sono stato io. Lo giuro. Non ti ho svegliato io.” Suonava molto di più come Richard in quel momento, come il ragazzo che entrambi conoscevano.
“Che tipo di malato del cazzo sei, huh? Lasciare che riviviamo le nostre vite in un fottuto TV show?”
“Jensen.” Jared si intromise facendo un passo verso suo fratello.
“Non ti azzardare a difenderlo.” Lo mise in guardia Jensen, le sue narici si dilatarono. “O era parte del tuo accordo? Io dovevo dimenticare ma tu ricordavi ogni piccolo dettaglio, così potevi vedermi percorrere la mia vita, completamente ignaro? Così potevi guardarmi commettere gli stessi errori di nuovo, in modo che potessi vedere quanto fossi nel giusto, ancora e ancora?”
“Dean.” Jared sussurrò e avrebbe voluto piangere perché non era giusto, questo non era quello che voleva. Questo non era per niente quello che era stato per lui.
“Woah, woah, aspetta un secondo, okay?” Richard cercò di salvarlo, una seconda volta. “Primo: il mio mondo, le mie regole. È divertente vedervi contorcere mentre passate attraverso la vostra vita passata, facendo di nuovo gli stessi errori e avere persone che curano il tutto come un cavolo di TV show? Si, lo è. Voglio dire, sono il Trickster dopotutto e ho bisogno di tenermi occupato con qualcosa quando non mi è permesso di fare troppe cose soprannaturali, giusto?”
Jared rimase in silenzio, tenendo sotto controllo la sua rabbia. Avevano già avuto questa conversazione prima.
“E secondo: Sammy qui non è completamente umano. E non sta usando un vessel. Quindi il mio potere non ha esattamente funzionato con il piccolo ragazzo.”
Il suo tono divenne sempre più serio ad ogni parola. “Ascoltate. Voi ragazzi avete impedito che l’apocalisse accadesse, avete chiuso i miei fratelli in una gabbia e il mondo è rimasto intatto. Questa qui è la vostra ricompensa. La vostra seconda possibilità. Ed è il meglio che io potessi fare, quindi prendere o lasciare.”
Guardò severamente il maggiore per un’ultima volta, poi i suoi occhi tonarono su Jared; annuì e svanì nel nulla.
Jensen si voltò verso Jared, i suoi occhi erano così pieni di senso di tradimento che il più giovane li sentì come un pugno nello stomaco. “Come hai potuto non dirmi chi ero?” Chiese. La sua voce era rabbiosa, quasi feroce, come se l’altro gli avesse piantato un coltello nella schiena.
“Stavo cercando di proteggerti!” Urlò Jared, stanco di fare la parte del cattivo, di dover difendere se stesso.
Jensen buttò in aria le mani, furioso. “Da cosa?”
“Da te stesso!”
Il maggiore rimase in silenzio, stordito per un secondo, e Jared ne approfittò per dirgli esattamente cosa aveva voluto dire rinunciare a suo fratello per sempre. Portare via a Dean tutti i ricordi del fratellino che aveva una volta, della persona che una volta aveva amato più di qualsiasi altra cosa, quello per cui era morto, più e più volte.
“Pensi davvero che io non abbia sentito quello che Carestia ti ha detto?” Sbottò Jared, urlò e sentì la sua gola chiudersi. “A proposito di quanto vuoto tu fossi, di come fossi già morto? Questo ha continuato a gridare nella mia testa per più di vent’anni! E non c’è stata una settimana in cui non ci abbia pensato, o che non mi sia svegliato sudato dopo un incubo in cui non avevamo vinto. Dove Gabriel non era mai venuto a farmi quell’offerta.”
Sussultò, sentendo la sua voce che incespicava. “Stavo per perderti, Dean. E non per qualche demone, o mostro o l’apocalisse. Ma per te. Per quanto saresti andato avanti? Con o senza di me? L’ho fatto per salvare la tua vita! Proprio come ho sempre fatto. Come abbiamo sempre fatto.”
Jensen continuava a non reagire, continuava a guardarlo con occhi vuoti.
“Non pensare, nemmeno per un secondo, che questo sia stato semplice per me.” Disse Jared. “Ma ho dovuto farlo.”
“Cosa?” Disse finalmente Jensen e la sua voce quasi ferì il minore. “Così potevi avere la tua apple-pie-life? Nessun fratello danneggiato? Così avresti potuto essere normale? Avere quel fottuto cancello bianco che hai sempre sognato?”
“No, Dean!” Esplose l’altro, facendo un passo verso suo fratello, cercando disperatamente di fargli capire. “Così che potessi averla tu!”
“Eri… finito, Dean. Bruciato. Da lungo tempo.” Cercò di spiegare, abbassando il livello della sua voce, come se l’aria nella stanza avesse cominciato ad essere troppo spessa, troppo pesante perché si potesse respirare. “Non potevo rischiare. Non potevo rischiare di perdere tutto di te.”
Jared prese un respiro tremante. “Ho solo cercato di fare la cosa giusta.”
“Si, beh, questo è quello che facciamo sempre e guarda dove ci ha portato.” Rispose freddamente suo fratello e questo lo ammutolì.
La sentenza bruciava, le parole erano un colpo basso, perfino per Dean, e poteva vedere che anche Jensen lo sapeva. Ma anche se i suoi occhi sembravano colpevoli, non si scusò.
“Non ho la minima idea di come dovrei fare ad essere di nuovo lui.” Ammise il maggiore, la voce ruvida come carta vetrata, e fu l’unico segno che diede, del fatto che anche lui stesse soffrendo.
Jared chiuse gli occhi per un attimo, inghiottì il dolore e la rabbia meglio che poté. Lui aveva avuto un’intera vita per abituarsi a questo, suo fratello aveva avuto solo ventiquattro ore. Aveva bisogno di lui adesso.
“Tu sei tu, Dean. Tu sei Jensen. Sei stato lui per gli ultimi trent’anni, tutto questo eri sempre tu. Stessa anima, stessa cosa.”
Jensen sbuffò. “Non puoi aspettarti che io lo accetti e basta.”
“Devi farlo! Altrimenti butterai via gli ultimi trent’anni della tua vita. Cosa farai, un salto indietro nel tempo per essere quella persona ancora una volta? Tornerai a come stavi allora? E per cosa?”
“Sam.” Lo mise in guardia Jensen e gli lanciò uno sguardo tagliente, con l’intenzione di farlo fermare.
“No, Dean. Per favore. Quello che hai ora è fantastico. È quello che volevi. Se solo potessi accettare che questo è un altro passo nella tua vita, solo un'altra parte di essa, potresti avere tutto. Una vita normale, un lavoro, amici, famiglia.”
“Mia madre è morta in un incendio provocato da un demone!” Urlò Jensen, come se qualcosa si fosse spezzato dentro di lui, come se fosse infine scattato. “Mio padre è morto facendo un patto per la mia anima! Mio fratello è morto chiudendo Lucifer in una gabbia! Questo è quello che è reale per me!”
Jared prese un respiro profondo e poi un altro. Si calmò cercando di controllare l’adrenalina che gli scorreva dentro. Si spostò verso un altro lato della stanza, prese il telefono e lo offrì a suo fratello.
“Cos’è?” Chiese Jensen irritato.
“Allora chiamala.” Suggerì Jared e la sua voce era calma come voleva che fosse. “Chiama tua mamma e dille che non sei più suo figlio. Che non vuoi avere più niente a che fare con lei o con la sua famiglia. Andiamo, fallo!”
Vide gli occhi dell’altro dilatarsi, vide il suo viso impallidire ed era esattamente quello che voleva da Jensen, voleva vederlo reagire, voleva fargli comprendere cosa stava per perdere.
“E già che ci sei, chiama Jason. E Chris... e Steve e tutti gli altri amici e dì loro che non puoi più essere loro amico. Perché non sei più Jensen. E poi chiama Danneel. Dille che non lo ami più.”
“Vaffanculo, smettila.” Sussurrò Jensen. Aveva chiuso gli occhi, ma stava vibrando di rabbia. Jared poteva quasi sentire la tempesta che stava imperversando dentro di lui.
Sembrava così perso, così abbandonato, piccolo e debole. Questo toccò dei tasti profondi dentro Jared.
‘È mio fratello’ Pensò il più giovane e lo aveva pensato molte volte nell’arco degli anni, ma mai come questa volta. Non era mai stato così vero come questa volta.
Per un momento tutto quello che Jared voleva era avvolgere le braccia intorno a suo fratello, tenerlo stretto e vicino, sentire il suo solido calore, la realtà di lui tra le sue braccia. Un promemoria fisico che quello fosse veramente lui. Completamente, con tutti i ricordi del fratellino che aveva una volta, l’unica cosa che davvero lo rendeva differente dall’uomo che era stato fino a due notti prima.
Jared attese. Attese perché Jensen dicesse qualcosa, facesse qualcosa; cercò di essere pronto a reagire in ogni modo. Ma tutto quello che l’altro fece fu di passarsi una mano sulla bocca, stanco e prosciugato, e girarsi diretto alla sua camera.
“Jensen!” Jared lo seguì, incapace ancora di lasciarlo andare.
“Non c’è nient’altro di cui parlare.”
C’era già una risposta sulla punta della lingua di Jared, ma si fermò, vedendo l’espressione sul viso di Jensen e capendo che l’altro sapeva comunque quello che gli avrebbe detto.
Jensen si voltò un’ultima volta, aveva un sorriso vuoto sulle labbra. “Vuoi dirmi ancora come non sono Dean, huh?”
Jared ignorò le sue parole, doveva farlo. “Cosa farai?” Chiese invece, preoccupato che Jensen facesse la valigia e se ne andasse, preoccupato che scappasse da tutto quello, dalla sua vita, da lui.
Jensen si mosse volutamente per chiudere la porta alle sue spalle. “Vai a dormire. Abbiamo una chiamata presto domani.”
Jared rimase senza parole e senza fiato di fronte alla porta chiusa della stanza del maggiore.
La sua mente era chiusa, vuota e silenziosa, come se avesse deciso che le ultime ore fossero state troppo per lui da assimilare e avesse dovuto spegnersi.
Ci fu un rumore che sorprese Jared e lo fece voltare, non aveva idea di quanto tempo sarebbe rimasto davanti a quella porta, se il suo telefono non avesse squillato.
Lo trovò sul tavolo, sullo schermo lampeggiava il nome di Genevieve. Jared non rispose.
Non avrebbe voluto altro che essere capace di rispondere e chiacchierare della sua normale ed eccitante giornata, ma il mondo era cambiato dalla sera precedente, profondamente e completamente, e lui non aveva nemmeno le energie per raggiungere il telefono e fare finta che tutto fosse normale.
Si girò invece, per salire al piano superiore, lasciando squillare il telefono sul tavolo.
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