J2 fanfiction - NC-17 - Under Falling Leaves

Nov 29, 2014 11:58

Titolo: Under Falling Leaves
Autore: germanjj
Traduttrice: thinias
Beta per la versione italiana: Ele106
Link per la storia originale: Under Falling Leaves
Genere: RPS, wincest, Non-AU che diventa AU
Pairing: Jensen/Jared, Sam/Dean, solo nominati Jensen/Danneel e Jared/Genevieve
Rating: NC-17
Warning: Siate solo sicuri che vi piacciano entrambi i parings e dovreste essere a posto.
Note: come in tutte le ff RPS dell’autrice, Kim Manners fa un piccolo cameo
Spoilers: nessuno

Capitolo IV- the shift

Lo squillo del cellulare fece spaventare Jensen così tanto che diede un calcio al tavolino di fronte a sé, causando la caduta di un vecchio vaso che andò in frantumi. I cani piagnucolarono dall’angolo in cui erano rannicchiati, guardandolo con sospetto, ma senza avvicinarsi.

Sapeva che erano spaventati, sapeva che potevano percepire che era… sbagliato.

Il cellulare squillò di nuovo e finalmente Jensen lo afferrò, rispondendo senza nemmeno controllare il numero di chi lo stesse chiamando.

“Hey, vuoi che porti a casa da mangiare? Stavo pensando a del cinese.” Disse Jared senza preamboli. Non usavano presentazioni fin dalla seconda stagione.

“Io…”

“O thailandese... andrebbe bene anche quello. Qualsiasi cosa. Sono solo maledettamente affamato. Ho dovuto lavorare tutto il dannato giorno, mentre qualche altro attore (di cui non farò il nome) ha il suo culo sul divano e ha iniziato il weekend in anticipo.”

“Uhm, io non…” Jensen non poté impedire all’incertezza di trasparire dalla sua voce. Jared se ne accorse immediatamente.

“Jensen, cosa c’è che non va?”

L’altro deglutì pesantemente, sforzandosi di respirare. “Niente, io non… non mi sento molto bene, amico.”

Jared sussultò all’altro capo della linea. “Gesù, sembri messo male. È qualcosa… hai bisogno di chiamare il 911?”

C’era una lieve traccia di panico nella sua voce e Jensen si sentì malissimo per questo, per averlo messo in quella situazione. I suoi pensieri stavano correndo come se stessero per afferrare qualcosa, ma ogni volta che chiudeva gli occhi e cercava di focalizzarla, ne usciva… a mani vuote.

Solo, con questa sensazione inafferrabile, quella maledetta… sensazione sconosciuta, sempre più grande, che gli toglieva l’aria dai polmoni e rendeva le sue ginocchia più deboli.

C’era qualcosa di sbagliato in lui. Qualcosa di peggio che non gli incubi e i mal di testa. Aveva la sensazione che la sua mente stesse avendo un attacco di rabbia contro di lui, combattendo il suo stesso corpo.

“Jensen? Jensen!” Senti gridare Jared, quasi un urlo, e si rese conto che doveva essersi perso nella sua testa.

“Sono qui.” Gracchiò e si sentì pronto per scoppiare in lacrime. Lo spaventava. Lo spaventava così tanto non sapere cosa ci fosse che non andava in lui. “Sono ancora qui.”

“Ok, amico, prenderò la scorciatoia, ok? Sono ad un minuto da lì, sto arrivando, d’accordo?” Disse Jared velocemente, le sue parole cadevano le une sulle altre. “Sarò lì il più presto possibile, Jensen, mi senti? Solo resta dove sei, ok? Jensen, non ti muovere!”

****

Jared chiuse la comunicazione e fermò la macchina di fronte alla sua casa.

Una volta dentro, lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle con un tonfo e la prima cosa che notò fu il silenzio che aleggiava nell’aria, come una spessa coperta che copriva i muri, i mobili e il pavimento, riecheggiando nelle sue orecchie. La casa era buia ad eccezione della luce dell’ingresso che aveva appena acceso, nessun segno della presenza di qualcuno, anche se sapeva che Jensen non poteva essere troppo lontano.

Sentì i peli su braccia e collo rizzarsi - l’istinto forse, o la paura che lo stava prendendo a calci.

Se prima aveva sentito l’urgenza e il desiderio di raggiungere Jensen il più in fretta possibile, ora era esitante e cauto.

Fece alcuni timidi passi in avanti, abbastanza per raggiungere la porta del soggiorno, da dove avrebbe potuto scrutare all’interno, una volta che i suoi occhi si fossero adattati alla fioca luce che si diffondeva oltre l’ingresso della stanza.

Harley e Sadie furono immediatamente al suo fianco, correndo fuori dall’ombra, le unghie delle loro zampe picchiettarono sul pavimento di legno duro.

Il cuore di Jared si fece più veloce.

I suoi cani erano silenziosi, le loro code rimanevano basse, dei piagnucolii scappavano dalle loro gole.

Raramente Jared aveva visto i suoi piccoli così confusi e spaventati, la loro paura non faceva che fomentare la sua.

Accarezzò distrattamente la testa di Sadie, emettendo dei piccoli suoni per calmarli. I suoi occhi cercavano di guardare nel buio. Trovarono una figura seduta sul divano, la siluette di Jensen era quasi invisibile da dove si trovava Jared, ma era abbastanza famigliare da essere notata.

Fece ancora qualche passo e fu avvolto dall’oscurità della stanza. I suoi cani divennero sempre più nervosi dietro di lui. Li udì uggiolare, rannicchiati insieme nella sicurezza della luce del corridoio.

Il sangue gli risalì alle orecchie; i suoi occhi non lasciarono mai l’uomo di fronte a sé. Lo stava guardando ora, i loro sguardi erano inchiodati uno all’altro.

Jared non riusciva a respirare.

Oh, Dio.

Oh, Dio.

“Dean?” Il nome cadde fuori dalle sue labbra pesante e sconosciuto. L’aveva detto innumerevoli volte negli ultimi anni: infastidito, con scherno, arrabbiato, disperato, ma mai, nemmeno una volta, gli aveva fatto così male. Aveva suscitato qualcosa dentro di lui in modo così potente che le sue mani avevano preso a tremare.

“Dimmelo tu.” Rispose l’altro uomo, la sua voce appena quel poco più bassa, quel poco più ruvida. E Jared seppe con chi stava parlando.

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