Titolo: Under Falling Leaves
Autore:
germanjj Traduttrice:
thiniasBeta per la versione italiana: Ele106
Link per la storia originale:
Under Falling LeavesGenere: RPS, wincest, Non-AU che diventa AU
Pairing: Jensen/Jared, Sam/Dean, solo nominati Jensen/Danneel e Jared/Genevieve
Rating: NC-17
Warning: Siate solo sicuri che vi piacciano entrambi i parings e dovreste essere a posto.
Note: come in tutte le ff RPS dell’autrice, Kim Manners fa un piccolo cameo
Spoilers: nessuno
Capitolo II
“Stop! Jensen, cosa c’è che non va? Si presuppone che tu appaia un po’ spaventato, non che tu stia per uccidere il diavolo in questo istante.” Urlò il regista, incazzato, perché era la terza volta ormai che ripetevano la scena e Jensen dentro di sé ribolliva.
Era solo che… non poteva stare a guardare Mark entrare in scena, con quel mezzo sorriso arrogante sulla faccia, che lo guardava come se possedesse il mondo.
Nel profondo sapeva che era stupido, ma in quel momento poteva a malapena fermarsi dal far esplodere la sua rabbia.
“Ci prendiamo cinque minuti di pausa!” Annunciò velocemente Jared da dietro di lui e, con un tocco gentile ma fermo sulla sua schiena, lo spinse via.
Adam e Rekha gettarono loro delle strane occhiate nervose ed entrambi fecero un passo indietro per lasciarli passare.
Non dissero una parola per tutto il tragitto fino al trailer di Jensen, ma lui sapeva di essere fregato, poteva sentirlo nella tensione controllata che trasudava dal corpo di Jared.
“Puoi spiegarmi cosa diavolo era quello?” domandò il suo amico non appena la porta si chiuse. Jared incombeva su di lui, preoccupato ed arrabbiato e Jensen non poteva affrontare nessuna delle due cose.
“Non è niente, ok? Mark mi fa incazzare!”
“Cosa?!” Jared lo guardò incredulo. “Da quando? Jensen, tu ami quel ragazzo!”
Qualcosa di simile al disgusto fece rivoltare lo stomaco di Jensen. “No, non è vero!”
Jared sembrava sempre più nervoso ad ogni secondo che passava. “Si! Si cazzo, è vero!” Emise un gemito sofferente, come se non riconoscesse l’uomo che aveva di fronte.
E anche attraverso tutta la rabbia, Jensen ebbe paura che Jared, forse, non ci riuscisse veramente.
“Jensen, tu davvero, davvero, adori Mark! Ami lavorare con lui e se anche non fosse così, non ti saresti mai comportato come hai appena fatto!”
“Io non mi sono comportato in modo differente da come faccio sempre, cazzo!” Gridò Jensen, sentendo il bisogno di difendersi, nonostante una vocina dentro la sua testa, ormai non più così piccola, gli stesse urlando che Jared aveva ragione.
“Gesù, Jensen, cosa c’è di sbagliato in te? Ti sei comportato come un bambino viziato là fuori! E non è nemmeno la prima volta!”
“Di cosa cazzo stai parlando?!”
Jared lo afferrò per la spalla facendo in modo che lo guardasse negli occhi. “Ti sei comportato nello stesso modo con Kurt l’ultima volta che è stato qui. Sei stato lunatico fin da allora. Sei scattato con Pellegrino e Sheppard e con chiunque ti abbia guardato nel modo sbagliato.”
“Non è vero, cazzo!”
“Ma ti ascolti almeno?!” Jared lo scosse non troppo forte e non troppo violentemente, ma Jensen ne aveva avuto abbastanza e si divincolò dalla presa del suo amico.
“Basta! Smettila di toccarmi per tutto il fottuto tempo, va bene?”
Jensen rimpianse quelle parole non appena ebbero lasciato la sua bocca. Vide lo spasmo doloroso sulla faccia di Jared e per un secondo lo sentì riflettersi nel suo cuore.
Ma subito dopo, l’espressione di Jared cambiò, divenendo sempre più preoccupata piuttosto che arrabbiata o ferita.
“Quindi hai un problema con me?” Il tono di Jared era mutato completamente, sembrava più prudente e freddo adesso, circospetto.
“Cosa? NO! Gesù, no, okay?” E non lo era. La verità era che Jensen non aveva idea di cosa ci fosse di sbagliato in lui ultimamente. E non voleva reagire contro nessuno, ma in qualche modo non poteva fermarsi.
Sospirò profondamente, passandosi le dita tra i capelli.
“Mi dispiace, solo... non mi sento bene oggi.” Spiegò stancamente; sapeva che Jared meritava di più. Senza menzionare la quantità di scuse che spettavano al resto del cast e della crew.
“Va tutto bene, amico. Tutti hanno il diritto di avere una brutta giornata, d’accordo? Solo, cerca di non fare in modo che tutti ti odino là fuori, intanto che ci sei... okay?” Era intesa come una battuta e Jared tentò anche di fargli un mezzo sorriso, ma Jensen si sentì solo peggio.
Irrigidì il collo, diede una pacca sul petto di Jared e gli passò oltre.
Il suo amico capì abbastanza dal suo atteggiamento da lasciarlo solo.
Poté sentire tutti gli occhi su di sé, quando attraversò il set. Quelli che intercettò, più o meno tutti, non mostravano altro che preoccupazione per lui, e questo lo fece sentire ancora di più un ingrato bastardo.
“Scusami…” disse una voce leggera dietro di lui.
“Cosa?” Jensen si girò e si trovò di fronte Misha, che lo guardava con un’espressione accigliata sul volto.
“Mi dispiace che tu ti senta così male.” Disse l’altro uomo seriamente, inclinando la testa di lato. Per un secondo sembrò più simile a Castiel di quanto, a volte, non lo fosse mentre recitava, ma questo era ridicolo e Jensen ricordò che era con Misha che stava parlando. Quell’uomo riusciva a sorprenderlo nei suoi giorni peggiori.
Non seppe cosa dire, annuì solo, con gratitudine e passò oltre senza riuscire a scrollarsi di dosso il fatto che Misha continuasse a guardarlo per tutto il tragitto, fino a che non sparì dietro l’angolo successivo.
****
Erano trascorsi due giorni e Jensen poteva continuare a sentire lo sguardo di Jared su di sé, ogni volta che l’altro uomo pensava di non essere visto. Quegli occhi preoccupati seguivano ogni sua mossa, e c’erano state alcune volte in cui avrebbe voluto farglielo notare. Ma le domande che sarebbero seguite dopo, quelle che lui era determinato ad evitare, lo avevano fatto restare in silenzio.
Jared gli passò una birra fredda dal frigo, senza dire nulla, e accese la TV. Avevano cenato in uno dei loro ristoranti preferiti, uno tranquillo, ed erano tornati a casa subito dopo, tacitamente d’accordo nel guardare la partita insieme.
Non scambiarono molte parole durante il gioco. Sorseggiarono solamente le loro birre, cercando di seguire l’incontro alla TV. Jared fu il primo a rompere il silenzio.
“Allora, c’è qualcosa che ti devo dire...” Iniziò, strusciandosi nervosamente le mani sulle cosce.
“Okay, che c’è?” Jensen si girò verso di lui, guardando il suo amico con attenzione.
“Sto per chiedere… sto per chiedere a Genevieve di sposarmi.” Jared sorrise nervosamente, il suo viso era un misto di speranza e preoccupazione e, per un momento, Jensen non poté pensare ad una ragione per cui avrebbe dovuto essere preoccupato, perché fosse nervoso di parlargli di questo.
Poi le parole dell’altro arrivarono a segno.
“Wow, questo… questo è fantastico, Jared.” Rispose e sorrise, a dispetto della morsa che gli aveva stretto le viscere e che non avrebbe saputo spiegare, e del malessere che gli riempì la pancia. “E’ fantastico! Sono felice per te, amico.” Enfatizzò la frase e il disagio svanì chiaramente dal viso di Jared, sostituito da un sorriso raggiante.
“Uhm, dato che ci siamo.” Jensen si sentì arrossire e si trovò a riflettere per un momento se quello fosse il momento giusto. Ma a quel punto aveva già atteso per due settimane e sapeva che, in primo luogo, non avrebbe mai dovuto attendere per un momento adatto. Non con Jared.
“In effetti ho comprato un anello anch’io. Lo sai… per Dani. Glielo chiederò presto. Quando mi sembrerà il momento giusto, voglio dire. Lei ha due giorni liberi il weekend dopo il prossimo, quindi pensavo che potrei volare giù e…”
Sapeva di stare balbettando ma Jared rimase a fissarlo e Jensen avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa; poi il suo amico scoppiò in un enorme sorriso. “Questo è fantastico! Jensen perché non me lo hai detto?”
Jensen si strinse nelle spalle, perché non aveva una risposta da dargli.
Ma il più giovane era già passato oltre. “Wow. Io… non posso credere che stiamo per sposarci, amico! Sposati!”
Jensen rise e sentì il cuore saltargli in gola. “Non lo abbiamo ancora chiesto, Jared. Non ci hanno ancora detto sì.” Ricordò al suo amico, ma l’altro era già saltato su dal divano, diretto verso la cucina.
“Dovremmo celebrare, amico! Penso che abbiamo ancora del vino o un po’ di champagne o qualcosa.”
Il cuore di Jensen non smise di battere furiosamente nel suo petto, nemmeno quando Jared uscì dalla stanza.
“Hey, vuoi…” il più giovane iniziò ad urlare, perché era convinto che Jensen fosse rimasto sul divano, ma lui, in tre soli passi, stava già percorrendo la distanza che li separava; con una mano sul colletto della maglietta tirò giù Jared e mise le labbra sulle sue.
Jensen aprì gli occhi per un attimo e si tirò un po’ indietro, abbastanza da poter vedere il viso dell’altro. Aveva gli occhi chiusi e stava perfettamente immobile.
Era magnifico. Angoli sottili e definiti e una pelle soffice e tonica. I capelli gli ricadevano sul viso, le ciglia erano morbidamente appoggiate sulle guance. Jensen venne improvvisamente colpito dal fatto di essere così vicino a lui e che tutto sembrava nuovo e differente, come se qualcuno avesse acceso la luce e immediatamente lui avesse potuto vedere, ma molto più in profondità; così si rese conto di cosa ci fosse sotto quel bellissimo viso, della persona che c’era dietro.
Qualcosa lo colpì nello stomaco, qualcosa di più della semplice attrazione ed era un sentimento terrificante. Prima di avere il tempo di pensare, ridusse di nuovo la distanza tra loro, lentamente ora, sentendo la soffice curva delle labbra di Jared contro le proprie.
Questa volta fu più simile ad un bacio rispetto a prima. L’esitazione che Jensen sentiva, si sciolse sotto il calore proveniente dalla pelle dell’altro, nel punto in cui si stavano toccando e lui si spinse oltre, gentilmente, persuadendo le labbra di Jared ad aprirsi; il suo corpo tremò quando finalmente le loro lingue si incontrarono, con titubanza, ma Dio, in modo così bello.
Jared lo spinse via un secondo dopo.
Jensen inciampò all’indietro andando ad impattare contro il bancone della cucina.
Il suo amico rimase a fissarlo con gli occhi dilatati, il petto che si alzava ed abbassava ansimante, in stato di shock.
“Mi dispiace.” Iniziarono entrambi all’unisono fermandosi subito dopo, i loro sguardi inchiodati uno nell’altro, l’aria che si era fatta tagliente intorno a loro.
“Jensen, cosa…”
“Jared, mi dispiace così tanto.” Lo interruppe, la voce che non sembrava nemmeno la sua. Il cuore gli batteva nel petto così forte che stava minacciando di rompergli le costole. “Non avrei dovuto farlo, non so perché…”
Jared respirava pesantemente, con tutta la confusione del mondo scritta sul viso. “Perché lo hai… Jensen?” Chiese. Non sembrava che avesse nemmeno registrato le parole dell’altro.
“Non lo so.” Ripeté. Era esattamente nella stessa situazione di Jared: scioccato e senza parole, senza indizi di cosa fosse appena accaduto.
“Ok, questo è… uhm, wow.” Il più giovane lasciò andare una risata tremante. “Onestamente non so che cosa dire.”
I suoi occhi si muovevano intorno alla stanza, focalizzandosi su tutto e niente, ma decisi a non guardare Jensen; quest’ultimo non sapeva cosa dire.
“Voglio dire, non possiamo… uhm, non posso… wow, io non…”
“Jared mi dispiace.” Jensen lo disse di nuovo perché era l’unica cosa che sapeva per certo in quel momento. “Dio, mi stavi appena dicendo di te e Gen, ed io…”
Uno sguardo scioccato si spostò su Jensen. “Cazzo, Gen!” Gemette Jared, come se avesse pensato a lei solo il quel momento, come se quella non fosse stata la principale ragione per cui aveva spinto via Jensen. “Lei non ha bisogno di saperlo, Jensen. Giusto? Loro non hanno bisogno…”
L’altro annuì silenziosamente.
“È stato un evento casuale, giusto? Solo panico, forse? Il matrimonio è un grosso passo, amico.” Jared rise, facendo uno sforzo per scrollarsi tutto di dosso e Jensen gliene fu grato, perché continuava a sentire la lingua pesante nella bocca e le sue labbra ancora non volevano rispondergli.
“Sì, certo.” Rispose rigidamente. Non era in grado di pensare, non era in grado di processare nient’altro che non fosse ‘ho baciato Jared’ e si sentiva come se stesse per impazzire. Come se, in ogni minuto, da lì in avanti, avesse potuto fare qualcosa di stupido. Qualcosa di ancora più stupido dell’aver baciato il suo migliore amico.
“Okay, quindi uhm… siamo a posto?” Chiese Jared e Jensen ebbe bisogno di alcuni secondi prima di decidersi finalmente ad annuire.
“Beh…” Proseguì il più giovane “Penso che dovrei… lo sai… andare a letto. È già tardi e hum… sì.”
Jensen lo guardò andare via; qualcosa si ruppe dentro di lui, l’unico pensiero che riecheggiava nella sua testa era: ‘domani è sabato’.
****
Nel momento in cui sentì la porta della camera di Jared chiudersi, seppe che non poteva restare. Qualcosa prudeva sotto la sua pelle, rendendolo irritabile ed irriconoscibile perfino a se stesso.
E quello che aveva appena fatto...
Jensen non ci pensò molto, si infilò semplicemente nella sua stanza, tirò fuori il suo borsone dal fondo dell’armadio, ci buttò dentro qualche vestito e alcuni accessori da bagno e tornò in cucina. Scrisse a Jared una nota veloce - “Vado a trovare Chris. Torno domenica. J.” - e fu fuori dalla casa prima che il battito del suo cuore avesse la possibilità di calmarsi.
Le gomme stridettero sull’asfalto quando se ne andò e avrebbe dovuto sentirsi imbarazzato di quanto tutto quello fosse diventato un cliché, ma in quel momento non riusciva a pensare.
Aveva fatto qualcosa di incredibilmente sbagliato e non solo per Danneel o Genevieve, ma anche per loro, Jared e Jensen, da sempre migliori amici e tutta quella merda da ragazzine, che ora non poteva essere più vera. Aveva messo tutto a rischio. Tutto.
Quando vide i primi segnali dell’aeroporto Jensen lasciò andare un respiro che non si era reso conto di trattenere. Avrebbe preso il volo successivo per andare da Chris… o all’Inferno, avrebbe continuato a guidare fin laggiù; poi si sarebbe schiarito la testa, l’avrebbe fatta tornare dritta*. Jensen gemette e chiuse gli occhi per un attimo al cattivo gioco di parole.
Chris avrebbe saputo cosa fare e cosa dire (o non dire) e lui sarebbe stato meglio con un cambio di scenario per il weekend. Jared sarebbe stato grato per un paio di giorni di libertà da lui, specialmente dopo quello che aveva fatto.
Jensen continuò a dirsi tutto questo mentre parcheggiava l’auto in aeroporto. Sebbene sentisse un brivido di disagio scendergli lungo la schiena mentre guardava una di quei pesanti aerei prendere il volo e, nonostante le fitte allo stomaco dovute a qualcosa a cui non riusciva a dare un nome si fossero fatte più forti, qualcosa che voleva che tornasse indietro, qualcosa che quasi gli fece male al pensiero di lasciare Jared, nonostante tutto, i passi di Jensen erano sicuri quando entrò nell’edificio.
****
Jensen guardò Chris sparire dietro l’angolo e subito tornò a dove era rimasto il venerdì. Il suo volo sarebbe partito solo dopo un’ora, ma Chris aveva un appuntamento importante e con lui andato, se ne era andata anche la fiducia che aveva costruito nelle ultime ore.
Chris lo aveva aiutato. Uno sguardo a Jensen e l’amico era stato determinato a fargli sputare il rospo.
Aveva impiegato fino a quel giorno.
All’inizio, Jensen non si era sentito di discuterne, non si era sentito di preoccuparsene, di condividere e di parlare dei suoi sentimenti come una scolaretta. Ma quella mattina Chris non aveva accettato oltre le sue cazzate e gli aveva fatto sputare tutto.
Chiuse gli occhi per un momento e continuò a sentire le orecchie diventare rosse al ricordo di quando lo aveva detto ad alta voce. ‘Ho baciato Jared’.
Chris aveva quasi sputato il suo caffè, ma lo aveva ascoltato senza interromperlo e all’improvviso da lui era uscito tutto.
Tutto degli incubi e delle insicurezze delle passate settimane, degli sbalzi di umore e della troppa rabbia; tutto quello era sfociato in un bacio che Jensen non aveva visto arrivare. Ma ora che aveva lasciato alla sua mente la possibilità di pensarci per un po’, forse non era poi così sorprendente dopotutto.
Chris lo aveva ascoltato silenziosamente e, quando Jensen aveva finito e aveva tirato fuori dal petto molte più cose di quelle che si era reso conto di trattenere, l’altro gli aveva posto una sola domanda.
“Lo ami?”
All’inizio, Jensen avrebbe voluto ridere, perché era ovvio che lo amasse. Era Jared.
Ma poi, lo sguardo serio di Chris gli aveva fatto capire che non se la sarebbe cavata così facilmente.
Jensen trasalì, tornando al presente, quando due bambini corsero vicino a lui, ridendo rumorosamente mentre giocavano. Quando si guardò in giro, poté perfino vedere due ragazze che gli facevano delle foto, sghignazzando dietro i loro cellulari. Ma non gli vennero vicino per chiedergli degli autografi e Jensen gliene fu grato.
Aspettare di salire su uno di quei pezzi di metallo assemblati, che qualcuno presupponeva potessero tenerlo in aria, era già abbastanza difficile di suo.
Continuava a non avere una risposta per la domanda di Chris.
Decisamente voleva bene a Jared, come suo migliore amico, un fratello, ma più di quello? Jensen non lo sapeva. Cose come quella non erano mai state in discussione prima, per lui; non aveva mai avuto l’occasione di considerare la possibilità di essere bisessuale e decisamente si sentiva troppo vecchio per considerarlo ora.
Le parole di Chris gli risuonavano nelle orecchie. Non avrebbe dovuto pensare a cose stupide (come il mettersi a succhiare uccelli tutto ad un tratto), avrebbe dovuto preoccuparsi di più del fatto di come potesse amare qualcuno che non fosse la donna che aveva l’intenzione di sposare.
Pensare a Danneel lo riportò alla realtà. Si sentiva terribilmente in colpa. Se solo avesse preso l’aereo per vedere lei invece di Chris, se glielo avesse detto lei probabilmente avrebbe riso e lo avrebbe definito carino. Entrambi lo avrebbero ridotto ad una tarda sperimentazione e lei lo avrebbe perdonato.
Ma lui aveva preso l’aereo per andare da Chris. E questo diceva a Jensen più di quanto fosse pronto ad ammettere in quel momento.
Diede un’occhiata al cellulare, il suo stomaco si contrasse alla vista del display vuoto. Nessuna chiamata da parte di Jared.
L’amico aveva cercato di rintracciarlo venerdì notte e quasi tutto il sabato. Lo aveva chiamato e aveva mandato messaggi e cercato di chiamare di nuovo, ma Jensen si era rifiutato di rispondere ad ognuno di essi. Ora sembrava che l’altro avesse rinunciato a lui.
Scorse i messaggi di Jared, anche se li conosceva a memoria, sentendosi come una ragazzina mentre lo faceva.
‘Hey, mi dispiace, ho esagerato, per favore chiamami.’
‘Jensen, per favore chiamami, d’accordo? Ho davvero reagito in modo esagerato e mi dispiace per questo.”
‘Andiamo amico, per favore non evitarmi, okay? È stupido, siamo amici giusto? Le cose succedono, possiamo parlare di tutto, okay?’
‘Jensen, per favore, cosa c’è che non va? Ci deve essere di più di un singolo bacio. Parla con me amico.’
Poi c’era quello che Jensen aveva ricevuto quella mattina presto, molto dopo la mezzanotte.
‘Jensen, se questo non è stato solo un evento casuale, possiamo parlarne ancora? Okay? Troveremo un modo di superarlo. Non posso perderti.’
Rimase a fissare i messaggi, leggendoli tutti di nuovo, poi chiuse il cellulare.
L’annuncio del suo volo pose fine alle sue riflessioni. Afferrò la borsa, ma mentre si dirigeva al gate, esitò. Sentì il forte impulso di voltarsi indietro, di non salire su quel fottuto aeroplano. Di andare a noleggiare una macchina e guidare per tutta la strada fino a Vancouver.
Ma Jensen alzò gli occhi al cielo a quel pensiero e ricominciò a camminare. Se il suo cuore cominciò a battere più forte e le sue mani iniziarono a sudare, lui lo imputò alla paura di trovarsi presto faccia a faccia con Jared.
Anche se sapeva che non era interamente vero.
****
Per tutta la strada dall’aeroporto, Jensen sperò silenziosamente che a casa sarebbe stato solo, almeno per qualche ora, così avrebbe potuto pensare a cosa dire a Jared. Ma appena si fermò di fronte alla loro casa, capì che non sarebbe stato così fortunato.
Il SUV di Jared era parcheggiato lì di fronte e, quando entrò, vide le scarpe del suo amico e sentì dei rumori provenire dalla sala da pranzo.
Jensen si prese il suo tempo, in corridoio e poi nella sua stanza. Mise lentamente via tutto, dando all’altro il tempo di fare la prima mossa e rompere il ghiaccio. Ma anche se svuotò la borsa e mise tutto a posto, si lavò la faccia e prese una bottiglia dal frigorifero in cucina, Jared rimase lontano.
Jensen emise un gemito profondo. Solo poche settimane prima tutto era a posto, ed ora era affondato fino alle ginocchia in quel casino e non sapeva come ci fosse finito, né tantomeno come ne sarebbe uscito.
“Allora? Vuoi che me ne vada?”
La domanda pacata di Jared lo spaventò facendolo voltare di scatto, e quando vide il suo amico appoggiato allo stipite della porta, che giocava con la penna che aveva in mano, gli ricordò molto Sam. Meditabondo e sulla difensiva.
“Cosa? Questa è la tua casa, amico! Io me ne dovrei andare!” Fu la prima reazione di un Jensen preso dal panico. Poi quelle parole fecero davvero presa su di lui e si sentì come se avesse preso un calcio nello stomaco. “Intendi dire… davvero?” sussurrò, incapace di guardare l’altro negli occhi.
“No! Dannazione!” Urlò Jared, buttando in aria le braccia. “Ma non so cosa ci sia che non vada, amico, e non posso aiutarti se non parli con me!”
Jensen deglutì, si sentiva a disagio, la sensazione di aver sbagliato, che era un po’ diminuita mentre era da Chris, stava tornando con pieno vigore. “Non c’è nulla di cui parlare.” Disse e non poté credere alle sue stesse orecchie. “Non so perché pensi che io voglia che tu te ne vada.”
Jared rimase a fissarlo per alcuni secondi incredulo e, per un momento, Jensen pensò che fosse tutto, che stessero per lasciar perdere la questione e che potessero andare avanti, tornare alle loro vite e far finta che quanto accaduto negli ultimi giorni non fosse mai successo.
Jared non glielo lasciò fare.
“Mi hai baciato e poi sei scappato. Amico, sei sparito dal fottuto paese per tre giorni.” Jared gettò le mani in aria, proprio come faceva quando era sconvolto e arrabbiato. “Cosa diavolo avrei dovuto pensare?”
Jensen rimase immobile. Era combattuto tra il rimanere in silenzio e il dire a Jared tutto quello che sapeva: quanto confuso fosse, quanto fuori equilibrio si sentisse quando si svegliava ogni mattina; come il suo cuore battesse più veloce ogni volta che lo vedeva, ma come, in qualche modo, non la sentisse come una stupida infatuazione.
Voleva dirgli quanto fosse spaventato. Che stava mandando tutto a puttane: la loro amicizia, Danneel, il suo lavoro. Aveva una vita perfetta ed ora si sentiva come se stesse lottando per cercare di rimanere a galla.
Voleva dire tutto a Jared ma, allo stesso tempo, sentiva che si stava chiudendo in se stesso. Si sentiva come se qualcun altro si stesse assestando su di lui, dentro di lui, riempiendolo.
“Non parleremo di questo.” Disse bruscamente e si girò per non tradire le sue parole con quello che l’altro avrebbe potuto leggere nei suoi occhi.
“Non ne parleremo?” Chiese Jared con rabbia, alzando il tono di voce ad ogni parola. “News flash, Jensen: non sei Dean, okay?”
L’altro serrò la mascella e rimase in silenzio.
Ma Jared continuò ad andare avanti. “Amico, le ultime settimane? Mi hai spaventato a morte. E non sto parlando solo del bacio. Questo non sei tu! Ti prego, se hai bisogno di aiuto, qualsiasi cosa sia, chiedilo.”
“Ho detto che sto bene.” Abbaiò Jensen, girandosi ed andandosene, ma Jared lo prese per un braccio, facendolo fermare.
“Jensen!”
Quando l’altro si voltò per guardare il suo amico, non riuscì a sopportare di vedere Jared guardarlo come un cucciolo smarrito; usava i suoi occhi e probabilmente non si rendeva nemmeno conto di farlo, ma lo colpì a prescindere.
“Senti, io…” Iniziò, sentendo la rabbia e le sue difese scivolare via. “Forse è perché la cosa con Danneel si sta facendo seria, d’accordo? Forse è quello. Non lo so. Ma non… non facciamola diventare più grande di quanto non sia, ti prego.”
Jensen si sentì uno stronzo per averlo detto; poté vedere sul viso dell’altro come quelle parole lo avessero ferito, anche se cercava di non mostrarlo. Jared era solo preoccupato per lui e lui continuava a comportarsi come un coglione.
Ma non sapeva come dirlo in modo giusto, perché continuava a non sapere cosa stava provando. Era come se dentro di lui mancasse qualcosa, un vuoto che aveva dolorosamente bisogno di essere riempito, ma qualunque cosa fosse quello che gli mancava, stava lentamente tornando indietro e lo faceva sentire estraneo e differente dal suo solito se stesso.
Come se non fosse una parte di lui o non lo fosse stata per lungo tempo.
“Jared, mi dispiace. So che ho incasinato tutto. Lo so.” Disse quando intercettò lo sguardo del suo amico. “Ma non pensi che sarebbe meglio se solo noi andassimo oltre e lasciassimo perdere questa cosa?” Sapeva che stava supplicando, implorando, ma poteva già vedere la determinazione di Jared a farlo parlare che si indeboliva, e questo era tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento.
“Ma sei sicuro che… siamo a posto?” Chiese il più giovane dopo un po’, la sua voce era pacata adesso, esitante. “Sei sicuro che non c’è nulla di cui dobbiamo discutere qui?” Sembrava nervoso, arrossì perfino e Jensen fu in qualche modo grato di non essere l’unico a sentirsi completamente fuori di sé.
“Ne sono sicuro.” Rispose, la sua voce solo un po’ roca, le sue parole solo una mezza bugia.
****
“Amico? Hey.”
Jensen gemette quando sentì le parole bussare contro la sua coscienza. Era più addormentato che sveglio quando qualcuno toccò la sua spalla, spingendolo.
Reagì d’istinto: la sua mano sparì sotto il cuscino, si chiuse intorno a qualcosa e tirò.
“Sei tu.” Si lamentò poi, sbattendo le palpebre in direzione di Jared e sentendo il suo intero corpo rilassarsi. Era ancora stanco, i suoi occhi erano ancora mezzi chiusi e fu per questo che non si accorse dello sguardo di panico sul viso dell’altro.
“Jensen?” Disse Jared accanto a lui e il suo tono, senza fiato e scioccato, lo svegliò all’istante.
“Che succede?” Chiese, tirandosi a sedere, studiando la faccia dell’amico.
Il più giovane indicò silenziosamente qualcosa nella mano destra di Jensen e lui seguì la direzione.
Si gelò.
C’era un coltello nella sua mano destra, un coltello da pane, quello che di solito stava in uno dei cassetti del mobile della cucina. Quello che la sua mano destra aveva appena tirato fuori da sotto il cuscino.
“Jensen?” Chiese Jared, la sua voce dieci volte più alta. “Perché hai un coltello?”
“Non lo so.” Rantolò e lo lasciò cadere immediatamente, come se gli stesse bruciando la mano. “Non lo so.” Ripeté, i suoi occhi saettavano tra Jared e il coltello.
Non era del tutto vero. Ricordava un sogno, qualcosa su Dean che si svegliava per degli strani rumori. Nel sogno cercava il pugnale sotto il cuscino, qualcosa che teneva sempre lì, e poi andava al piano di sotto per scoprire cosa fosse stato ad aver disturbato il suo sonno.
Jensen non ricordava di più, ma aveva la sensazione che il sogno fosse in qualche modo connesso con questo.
“Forse io… forse ho avuto un episodio di sonnambulismo?” La buttò lì, ma Jared continuò a fissarlo come se gli fosse cresciuta una terza testa.
“Gesù, Jensen.” Il suo amico soffiò fuori. “Questo fa dannatamente paura.”
Jensen sbuffò. “Non dirlo a me.”
“Avresti potuto ferirti, amico.” Disse Jared e subito sembrò incazzato, come se fosse colpa di Jensen.
“Non l’ho fatto di proposito!” Sibilò l’altro ed ora era spaventato quanto lo era Jared, perché il più giovane aveva ragione: avrebbe potuto farsi male. O peggio, avrebbe potuto inciampare sui cani e ferirli, avrebbe potuto andare nella stanza di Jared…
“Jensen cosa c’è che non va in te?” Chiese l’amico e questa volta sembrava addolorato e disperato.
Jensen non aveva una risposta.
*La parola in inglese è straight, che viene usata anche per definire l’orientamento sessuale etero, da qui il gioco di parole a cui si riferisce nella frase successiva.
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