Autore:
queenseptienna e
livin_derevelTitolo della serie: Mechanical Automatism
Editor:
narcissa63Genere: Storico, steampunk, romantico, comico, angst
Avvertenze: scene di sesso NON descrittive, slash, storico, tentacoli, robot
Indicazioni generali sulla trama: Billie è un automa piuttosto particolare, nel senso che non gli piace molto obbedire e quando lo fa, non è mai per caso. Il suo padrone, il Conte Pritch, chiederà consiglio al suo amico Edward per trovare un modo di dare una regolata ad un robot che non ne vuole saper di fare il maggiordomo come si deve. Peccato che sia così sexy, anche se è un automa...
- Cos'ha in programma per oggi, Milord? Vuole andare al Club, o rimanere a casa a non fare niente, come al solito? - quest’ultima considerazione, però, Billie la tenne per sé, e si limitò a versare al conte un altro po’ di Borgogna.
- Scusa, dicevi? - chiese meccanicamente Sua Grazia.
- Niente. - rispose l’automa con voce atona.
Michael gli riservò un'occhiataccia - Comunque no, oggi niente Circolo, non mi va di vedere gente. Pensò che rimarrò in casa e mi rintanerò in biblioteca a leggere un buon libro. -
Il robot annuì per cortesia, evitando di far notare al padrone che leggere non fosse esattamente il suo forte, e trattenendosi a fatica dall’esprimere quest’opinione ad alta voce.
Tutto sommato il pomeriggio si sarebbe svolto, come tante altre volte, con Lord Pritch che fingeva di leggere un i>mattone e Billie, seduto ai suoi piedi, che si faceva accarezzare i capelli.
Rispetto al passato c’era una differenza, però: infatti lui, prima, faceva l'idiota per farsi notare, ma adesso?
Adesso il conte l'aveva notato, eccome!
Caspita, cosa faccio? Si chiese l’androide con ansia.
In biblioteca le cose si svolsero esattamente come aveva immaginato: Sua Grazia s’immerse nella lettura e lui si rannicchiò al suo solito posto, con la guancia posata sulla coscia di Pritch, come un cagnolino obbediente.
Le dita del nobiluomo erano sempre calde, affusolate e vellutate come le zampe di un felino e, carezzevoli, lo sfioravano fino a farlo sciogliere, ricordando a Billie ciò che avevano saputo fargli sia la notte che la mattina precedenti.
Per tutti i diavoli, era un androide! Ed allora perché sentiva il proprio stomaco di latta rimescolarsi sottosopra?
- Non ho più voglia di leggere. - bofonchiò il suo padrone, facendo cadere il libro a terra con poca grazia e sollevando il mento di Billie con la mano libera - Perché non mi parli un po'? Raccontami qualcosa. -
- Non so cosa potrebbe farle piacere ascoltare, signore. -
- Mi vedevi quand’eri un Osservatore? - domandò allora Pritch, riferendosi all’incredibile storia narrata da Moore nel proprio laboratorio.
Il robot accennò un lieve sorriso - Oh sì, signore. La guardavo spesso. -
- Perché proprio me? -
- Perché lei, Milord, era divertente. -
- In che senso? -
- Mi faceva ridere, ecco. -
Michael lo squadrò senza espressione.
- Ti dò cinque secondi per rimangiarti quello che hai detto. -
Il volto di Billie s’illuminò di gioia.
- Lei era così esuberante da ragazzo, niente a che vedere con quei noiosi bigotti che la circondavano. -
Il conte rimase sinceramente stupito - Mi osservavi da così tanto tempo? -
- E ho osservato molti altri, prima di lei. - ridacchiò il maggiordomo - Fino a quando non mi resi conto che la vera vita, a me, non sarebbe stata mai donata. Così feci esattamente come Tristan e, con la mia essenza, mi appropriai dell’androide che Mr. Moore stava costruendo. Ormai sono un tutt’uno con quest’involucro e mi comporto di conseguenza. -
Michael rimase in silenzio, senza sapere cosa dire. Chissà cosa doveva aver provato Billie in quell’eterno limbo.
- Ma tu volevi... Volevi arrivare proprio da me o magari...? - non gli riuscì di formulare per intero la domanda, avendo troppa paura della risposta.
- Non ero sicuro di riuscire a capitare in casa sua, Milord. - mormorò l’interpellato, inclinando la testa -Però posso affermare con certezza che, fino a quel momento, lei era l'unico a cui avessi dedicato tutta la mia attenzione. -
Il conte gli accarezzò il viso con tenerezza, guardandolo con quegli occhi azzurri come l'infinità del cielo.
- Sono veramente felice che tu sia qui. - sussurrò.
- Anch'io. - ammise Billie.
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Miss Tender non era donna da piegarsi di fronte alle avversità. Si era sempre ritenuta una mutante in gamba e riteneva di gestire alla perfezione la residenza Pritch, facendola funzionare come un perfetto ingranaggio di un orologio svizzero.
Questo, fin quando non era arrivato quel robot.
Dannato, stupidissimo ammasso di ferraglia, un pericoloso estraneo che si era subito impossessato della casa, minando le sue fondamenta morali.
Era arrogante, petulante, sfrontato e sgarbato, trattava Sua Signoria con poco rispetto, di certo non con quello che il suo ruolo di maggiordomo gli avrebbe imposto, e cosa ancor peggiore, Lord Pritch lo lasciava fare!
Ah, i primi tempi di quella convivenza forzata erano stati, per lei, qualcosa d’insopportabile! Era stato come dover badare ad un moccioso, insofferente a qualsiasi regola, come dover stare sempre di guardia ad un bimbetto disobbediente. Assurdo! Quelli come lui erano programmati per eseguire gli ordini!
Poi, dopo aver sentito parlare di modelli difettosi, al mercato dove si recava ogni mattina, era giunta alla conclusione che anche quell’arnese che si tenevano in casa facesse parte di quel gruppo e che fosse stato assemblato male.
Avrebbe voluto raccontarlo a Sua Signoria, ma questi sembrava così tremendamente attaccato a quell'errore ambulante, che non aveva avuto il coraggio di rivelargli quella scomoda verità, riguardo al suo giocattolo preferito.
Pertanto aveva deciso di lasciar correre e permettere, a quel cretinetto, di continuare a girovagare indisturbato.
Così erano passati gli anni, milioni di ore, minuti e secondi, trascorsi sotto lo stesso tetto col proprio acerrimo nemico. Poi era diventato quasi divertente minacciare continuamente di smontarlo, e l’apoteosi era stata raggiunta il giorno in cui gli aveva fracassato il cranio con una padellata, con l’unico scopo di provare a ficcare un po’ di buon senso in quella testa vuota. Purtroppo non era un’esperta d’ingegneria robotica e non immaginava assolutamente che quell’affare avrebbe iniziato a sanguinare, nonostante fosse fatto di ferro!
Ecco, da quel momento Billie aveva smesso di essere il suo personalissimo tormento, per diventare il cucciolo di Lord Pritch.
Era stato già abbastanza irritante vederli sempre insieme, giorno dopo giorno, ora dopo ora, separandosi solo la notte, almeno fino ad un paio di settimane prima, visto che ormai passavano insieme anche quella.
Non capiva cosa stesse succedendo, ma sapeva con esattezza cosa provasse a tale riguardo.
Si sentiva assurdamente gelosa. No, non di Sua Grazia, anche perché il conte era del tutto immune al fascino femminile e lei l’aveva compreso da lungo tempo, pur essendosi sempre ben guardata dal rivelarlo ad anima viva. Ci teneva al posto di lavoro e poi, su certe questioni etiche, visto che era una mutante, preferiva sorvolare.
Tuttavia il nanetto riusciva a scatenare il suo risentimento, con quegli occhi troppo verdi, sempre rivolti altrove.
Miss Tender si chiese oziosamente cosa diamine se lo tenesse a fare, Lord Pritch, uno così in camera propria.
Era maleducato, lunatico e strafottente, pareva avesse preso le peggiori qualità degli esseri umani.
Però era anche così bello…
Sì, era inutile nascondersi dietro ad un tentacolo, Billie possedeva un involucro esteriore che più di un volta aveva fatto girare la testa a qualche servetta, che lei stessa aveva sorpreso ad accarezzarlo, mentre lui mostrava uno sguardo vuoto e stupito.
Eppure, era talmente... talmente… tenace!
Teneva testa a tutti, non importava che fossero nobiluomini in visita a Lord Pritch, servette, tronfi maggiordomi ed altere governanti di altre residenze, o addirittura sprezzanti proprietari delle ville limitrofe, Billie non si era mai fermato di fronte a niente ed a nessuno.
Forse questo suo atteggiamento era riconducibile alla sua totale mancanza di sovrastrutture, che invece tutti gli esseri viventi, soprattutto nella loro società, si vedevano imporre. Nel suo piccolo era un sovversivo, che aveva tentato in ogni modo di domare, senza alcun successo.
Non sapeva bene perché, ma anche lei, magari per colpa della propria parte umana, aveva la stravagante tendenza di desiderare le cose impossibili, pur sapendo da subito quante poche fossero le probabilità di ottenerle.
Lei forse provava le stesse cose, per Billie. Avrebbe voluto che diventasse il maggiordomo perfetto, che sorridesse sempre e si facesse da parte a tempo debito, e che fosse educato e misurato con chiunque… ma in fondo, una simile utopia, sarebbe stata davvero auspicabile e, soprattutto, giusta?
A questa domanda, Miss Tender, non sapeva proprio cosa rispondere e quindi decise fosse meglio smettere di star lì, a lambiccarsi il cervello. Anche perché doveva affrettarsi ad andare dalla sarta, per far sistemare i famosi vestiti.
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- Milord... - Billie non sapeva più dove guardare, era imbarazzato a morte per quello che sentiva, nonostante si trattasse solo di una carezza.
Ma Michael non si diede per vinto e posò le labbra sulla sua fronte, scatenando di nuovo qualche recettore malandrino, mentre le proprie dita continuavano a vagare sul viso di Billie, fino a sfiorarne la bocca, una zona che sembrava particolarmente sensibile.
- Padrone, non dobbiamo fare queste cose! - blaterò di nuovo e l’interpellato sogghignò, rubandogli un bacio.
- Onestamente, non m’interessa se sia permesso o meno farlo… Lo voglio fare comunque. - sentenziò divertito.
- Almeno chiudiamo la porta! - supplicò agitatissimo il robot .
- Se preferisci, accosta pure il battente. - gli concesse il conte con un sorrisino irritante.
- Milord, davvero...il mio non è un capriccio…è che siamo in casa! - cercò di protestare l’automa.
- Anche ieri lo eravamo. - fece Pritch in tono canzonatorio, alzandosi dalla poltrona ed andando di persona, a chiudere a chiave l’uscio, dato che Billie sembrava essersi trasformato in una statua di sale.
- Ma, ma...signore…chissà cosa penserà la servitù, se dovesse accorgersi che siamo barricati qui… - il disagio dell’androide era a dir poco palpabile.
- Beh, nella carrozza eravamo ancor più visibili, eppure non hai fatto tante storie. Non ti piaccio già più? - lo dileggiò l'altro, tornando verso di lui.
- Voi siete un umano folle. - replicò il robot, strisciando sul tappeto.
- Oh Billie! - rise Michael chinandosi con un movimento fluido, sensuale come un gatto. - Umani che non fossero folli, non sarebbero degni di essere chiamati tali. -
Il moro non seppe più assolutamente cosa rispondere e, del resto, cosa avrebbe potuto aggiungere?
Niente.
Così si limitò a lasciarsi abbracciare ed a farsi sdraiare a terra, sul folto tappeto persiano.
- Milord... - mormorò, ingoiando aria a vuoto e fremendo già.
- Sì, Billie? -bisbigliò Michael, mentre gli passava le labbra sul collo.
- Signore, io…io mi sono innamorato di lei… - rispose quest’ultimo con un sussurro.
Mike si bloccò per un attimo, rimanendo fermo, immobile e quasi senza respiro.
Poi riprese ad accarezzarlo, con più delicatezza di prima, lasciando che la sua mano scorresse verso il torace dell'androide.
Billie piegò la testa di lato, mentre la mano del conte si posizionava dove, presumibilmente, avrebbe dovuto trovarsi il suo nucleo positronico, quanto di più simile ad un cuore umano un robot potesse possedere.
- Padrone... -
Mike gli chiuse la bocca con la propria, accarezzandogli le labbra con la lingua, languidamente, posandogli una mano sui capelli ed avvertendo, sotto il palmo dell'altra, un calore che pur essendo di natura elettrica, era comunque qualcosa di straordinariamente romantico.
Michael voleva credere con tutte le proprie forze che Billie non fosse soltanto un insieme di circuiti in un involucro sintetico, forse perché quell’automa era molto più umano di tante persone di sua conoscenza.
All'inizio aveva considerato questa sua diversità come un errore, un difetto di programmazione, un insopportabile fastidio per cui aveva addirittura pensato di restituirlo all’ingegner Moore, per farlo revisionare.
Eppure…
Eppure Billie era perfetto così… così umano e così differente da tutti gli altri androidi. E’ vero, per essere considerato un uomo avrebbe avuto bisogno di quel muscolo chiamato cuore, tuttavia lui aveva ben altro, lui aveva un’anima, pura, sincera e più sensibile di quella di chiunque altro Pritch avesse incontrato sul proprio cammino.
- Anch'io ti amo, Billie... - sospirò, baciandolo appassionatamente.
Forse era un po' presto per pronunciare una simile dichiarazione, ma gli bastò l'espressione felice del proprio robot, per comprendere che tra loro ci sarebbe stata una lunga e felice convivenza.
In fondo, che male c'era ad amare?
continua...